Merde ....d'Artiste... clicca x ingrandire ...Protagonisti, Dicembre 2005

La Vergogna di Riferimento:

Una sgangherata intervista a Mauro Corona pubblicata dal quotidiano "Libero" in occasione dell'anniversario del 2005, ed una prima reazione via lettera dell'Avv. Zangrando, a cui basito l'avevo segnalata, e che poi ricevetti in copia per conoscenza.
Così pubblico volentieri anche qui il carteggio presente sulla rivista di Storia contemporanea «Protagonisti» N° 89 pubblicata nel marzo 2006, a pag. 100. I commenti accompagnati dal "nota mia, webmaster" interni al testo di Reberschak sono miei, di Tiziano dal Farra, Belluno.

Da questo momento in poi - mie note a parte - è riprodotto INTEGRALMENTE il testo della Rivista Storica Bellunese, e... 'naturalmente' - come per tutti gli altri documenti ISBREC - con il loro permesso.

Buona lettura.

Dibattiti e discussioni

Il PCI ed il Vajont

L'intervento di Mauro Corona apparso sul quotidiano "Libero" proprio lo scorso 9 ottobre 2005 ha suscitato dissensi e indignazione tra quanti hanno allora partecipato, attraverso i sindacati ed i partiti di sinistra, alle battaglie del dopo Vajont.
L'avvocato Peppino Zangrando ha raccolto una serie di interventi che ora "Protagonisti" pubblica, con l'aggiunta di una riflessione dello storico Maurizio Reberschak. Gli autori hanno avuto tutti un ruolo attivo nelle vicende del Vajont e del "dopo-Vajont". In particolare, Peppino Zangrando, Sandro Canestrini e Giorgio Tosi sono stati difensori delle parti civili al processo de L'Aquila; Mario Passi è stato l'inviato speciale al processo de L'Aquila per il giornale "L'Unità"; Giovanni Bortot e Franco Busetto sono stati deputati al parlamento (il secondo fu anche membro della Commissione Parlamentare d'inchiesta sul Vajont); Marino Olivotto è stato segretario della Federazione provinciale del PCI di Belluno.
Infine, Maurizio Reberschak è uno storico, da sempre impegnato nello studio e nella ricerca sul Vajont.




Intervento di Peppino Zangrando:

« Dopo la copiosa messe di letteratura pornostorica [Pisanò, Serena, Pirina] e la successiva alluvione di antologie necrofile [Pansa, Pittalis e, buon ultimo, Vespa Bruno], tocca ora a Mauro Corona (si parva licet) inaugurare una nuova fonte di falsificazione della storia e ciò a proposito del dramma del Vajont. La strategia che accomuna le iniziative libresche dei revisionisti di destra e di sinistra(?) è sempre la stessa: da un lato convincere il lettore che la Resistenza fu buona cosa finché non venne monopolizzata dai cattivi comunisti che volevano instaurare la dittatura dei Soviet e dall'altro lato - ed è questo il versante che riguarda il Corona - che i cattivi comunisti della nostra provincia bellunese hanno speculato sull'immane tragedia al solo scopo di ''colpire la DC'' e di ''strumentalizzare il nostro dolore" per i loro fini di bassa macelleria politica. E ancor più: disinteressandosi della "ricostruzione e dei risarcimenti ai superstiti" li hanno "incoraggiati ad accettare una somma vergognosa dall'ENEL" con la transazione.

Marco Corona«Calumniari est falsa crimina intendere», dicevano i nostri antenati e solo calunniose vanno definite le proposizioni che Mauro Corona ha versato, in concomitanza con il 42esimo anniversario della catastrofe su di un quotidiano di destra che le ha prontamente raccolte. Credo che, al proposito, torni giustificato il ben conosciuto aforisma di Giulio Andreotti a proposito del malvezzo della maldicenza e gli amici che mi hanno scritto hanno rilevato la motivazione che può aver indotto lo scrittore ertano a pronunciare simili nequizie.

Intendiamoci. Non è che la taccia ai comunisti bellunesi di "sciacalli del Vajont" sia cosa nuova: tale accusa venne lanciata, nell'immediatezza dell'immane catastrofe, da scrittori di ben altra vaglia che non il Corona ed esternata sulle colonne del più paludato quotidiano italiano da giornalisti che avevano di nome Indro Montanelli e Dino Buzzati. Se Corona nella sua invettiva giunge quindi in ritardo di 43 anni, costui non esita ad esporre ben articolati addebiti che ci costringono a rispondere fuori dai denti.

Dice l'intervistato Corona, «Tutti sapevano che il Toc sarebbe franato ma nessuno fece nulla. L'unica voce fuori dal coro fu quella della giornalista Tina Merlin che aveva intuito il rischio e lo denunciava a piena voce su "L'Unità" senza essere ascoltata neanche dal PCI»

Senza essere ascoltata dal PCI?
L'onorevole Francesco Giorgio Bettiol, deputato del PCI, intervenne ripetutamente a denunciare (i verbali lo attestano) sia nelle sedute del Consiglio provinciale, sia alla Camera dei deputati la situazione di pericolo che Tina aveva evidenziato su l'Unità, quotidiano del partito, anche ricordando che l'ingegnere capo del Genio Civile di Belluno, reo di mancata acquiescenza ai voleri della SADE, era stato trasferito d'autorità, di punto in bianco, ad altra sede.

E il comunista onorevole Bettiol, fuori del coro, aveva promosso il consorzio degli espropriandi di Erto contro le prepotenze degli elettrici; e fuori del coro era anche lo scrivente, incaricato dalla Federazione del PCI di Belluno, di assistere la giornalista comunista rinviata a giudizio avanti il Tribunale di Milano per aver preannunciato i pericoli della frana del Toc. Fuori del coro quindi i comunisti bellunesi, ancorché la loro iniziativa di forza politica minoritaria in provincia non fosse riuscita a bloccare i disegni dei potentati economico-politici.
Alla conferenza stampa svoltasi presso l'Albergo delle Alpi pochi giorni dopo il 9 ottobre '63 per la presentazione del «Libro Bianco sul Vajont», uno dei giornalisti presenti - non ricordo se Pansa o Bocca - osservò, a fronte delle copiose informazioni raccolte, che con ogni evidenza Corona non conosce o non vuol conoscere, che "i Comunisti avrebbero dovuto fare la rivoluzione". Noi comunisti bellunesi non facemmo la rivoluzione ma cercammo di riunire, nel "Comitato per la rinascita della valle ertana" i più avvertiti dell'incombente pericolo e quel pericolo indicammo nelle sedi istituzionali che avrebbero dovuto - e NON lo fecero - intervenire in tempo.

Ma il vaniloquio di Corona non termina qui: «Il PCI iniziò un'invasione politica, ergendosi a difensore delle vittime, e strumentalizzando il nostro dolore per colpire il governo DC». Non esiste alcun atto a dimostrazione dell'assioma.

La notte del 9 ottobre '63 chi scrive, assieme ai compianti Toni Berna e Gianni Lanzarini, inviò a Botteghe Oscure un telegramma ad avvisare che a Longarone era avvenuta una «strage annunciata». L'azione del partito si sviluppò quindi nella solidarietà ai superstiti, nella denuncia delle responsabilità penali e nella rivendicazione di ricostruire i paesi dov'erano prima della catastrofe, a fronte di ipotesi di trasferimento in altre zone. Certamente la solidarietà fu anche quella degli ex partigiani che avevano operato sul Mesazzo e a Provagna, giunti da Bologna col loro sindaco, Giuseppe Dozza, a dare una mano.
E Giovanni Bortot, comunista, allora vicesindaco di Ponte nelle Alpi, si prodigò a recuperare dalle acque del Piave 250 salme, e così Giovanni Melanco sulle grave di Limana, e tanti altri compagni.
Non voglio ripetere quanto testimonia l'onorevole Bortot.

Ciò che mi preme sottolineare è il fatto che la nostra accusa fu sempre e solamente contro chi aveva costruito e riempito l'invaso del Vajont e contro chi non aveva dato ascolto ai segnali che provenivano dal Toc, per evitare il disastro. Altro che "strumentalizzazioni" contro la DC (ma forse il Corona dimentica il fatto che alcuni autorevoli dirigenti di quel partito e delle ACLI furono allontanati e fatti tacere per avere anch'essi denunciato le responsabilità dei manager e dei politici nella causazione della catastrofe).

L'ultima vergognosa offesa riguarda la posizione del PCI in vista dell'offerta transazionale dell'ENEL-SADE con l'avallo governativo (e, per quanto è a mia conoscenza, della massima autorità istituzionale). Non c'è dubbio che la proposta transazionale originò un problema di enorme valenza, che ci costrinse a accorate ed estenuanti discussioni in sede politica (ma sul punto altri potranno testimoniare). Per noi del collegio delle parti civili la situazione fu drammatica.
Da un lato dovevamo tener conto, per retta deontologia professionale, dell'orientamento della maggioranza dei nostri tutelati favorevoli all'accettazione della transazione, così evitando l'alea e l'onere di interminabili azioni giudiziarie e ciò alla luce del detto popolare «pochi, maledetti e subito».
Al tempo stesso però, come ben ricorda Bortot, e come è documentato nella pubblicazione "La notte del Vajont" edito di recente dalla CGIL di Belluno, il Comitato di Solidarietà, presieduto da Ferruccio Parri (vicepresidente, l'avvocato comunista di Belluno Antonio Bertolissi) avvisò i superstiti che l'offerta transazionale avrebbe indebolito il fronte delle parti civili nel processo che si stava profilando per merito di un coraggioso e infaticabile Giudice Istruttore presso il tribunale di Belluno.
E ciò fece in pubbliche assemblee, anche se il Comune di Longarone, con amministrazione di centro-destra eletta nel '64 (e che, come primo atto aveva revocato il mandato a difesa ai legali nominati dalla precedente giunta Arduini) rifiutò all'ex presidente del Consiglio, Ferruccio Parri, la sala del municipio ove avrebbe voluto incontrare i superstiti. E così il nostro 'Maurizio' ebbe accoglienza nell'ospitale cooperativa dell'allora «rossa» Provagna.

Teatro Comunale di Belluno
Teatro Comunale, Belluno (foto d'epoca)
- Voglio qui ricordare che la ferma presa di posizione contro l'ipotesi transattiva del Comitato di Solidarietà, della CGIL, dell'INCA e del PCI ebbe riflessi dolorosi anche all'interno dell'altro partito della sinistra bellunese, il PSIUP, tanto che l'avvocato Manlio Losso, allora iscritto, ne fu allontanato per aver sottoscritto l'accordo.

- Ed ancora, il Corona dimentica di ricordare la "Marcia della sicurezza" promossa dal Comitato; e la grande assemblea al Teatro Comunale a Belluno, promossa dai tre comuni di Longarone, Erto-Casso e Castellavazzo, quale protesta per l'inconsulta decisione di spostamento del processo a L'Aquila (forse perchè ivi prese la parola uno dei padri della nostra Costituzione, il comunista Umberto Terracini).

- Ed infine, chi scrive questa nota, assieme al collega Giorgio Tosi, ottenne da Alessandro Natta - incaricato dal segretario generale Luigi Longo di seguire la vicenda giudiziaria - la più ampia solidarietà: ci fu affiancato un grande proceduralista e cattedratico, Giuseppe Sotgiu; e a L'Aquila, il valoroso avvocato Giovanni Carloni. Ogni azione fu quindi esperita per assicurare degna e tenace permanenza delle parti civili avanti il Giudice penale: gli "irriducibili" (ricordo Arduini, Franchini, Dalla Putta, Teza ed altri) poterono così proclamare la loro domanda di giustizia nelle conclusioni dei loro difensori (e l'avvocato Sandro Canestrini è stato di recente nominato Cittadino Onorario di Erto-Casso).
Non posso soffermarmi sulle iniziative dei gruppi del PCI in ambo i rami del Parlamento e mi limito a ricordare la costante opera dei Busetto, Bortot, Bettoli, Gianquinto, Lizzero e Scoccimarro nella formazione delle normative della ricostruzione. Altri lo potrà fare meglio di me.

Concludendo:

Mauro Corona potrà anche ritenere che i cattivi comunisti bellunesi abbiano compiuto orrendi misfatti (l'anticomunismo rende ciechi, disse un giorno Enrico Berlinguer, buonanima). Ciò che è inammissibile è che il predetto si sia dimenticato di ricordare che i responsabili, con nome e cognome, dell'immane delitto furono identificati nei manager e nei padroni della SADE

zangrando firma



Intervento di Mario Passi:

0Libro PASSI MarioHo conosciuto Mauro Corona in una trattoria di Belluno, e ne ricavai l'impressione che le sue doti di bevitore non fossero inferiori a quelle di scrittore di successo. Mi propose di presentare a Erto il mio ultimo libro sul Vajont. Poi scomparve.
Si riaffaccia ora dalle colonne di "Libero" per infilare in poche righe una serie incredibile di bestialità.
La tragedia del Vajont per lui è un semplice "incidente" funestato non tanto dalle colpe e responsabilità della SADE ma dalla "speculazione politica dei comunisti". Nessuno fece nulla, dice: o non sa di cosa parla o è in malafede.
Mai sentito parlare del "Comitato per la salvezza della Valle Ertana" di cui fu promotore sul finire degli anni '50 il parlamentare comunista bellunese Francesco Giorgio Bettiol? E della pressante azione di denuncia in Parlamento del dramma che veniva maturando, tanto che il Presidente DC della Provincia di Belluno giunse a denunciare "la Sade è uno Stato nello Stato"?
E non si permetta di infangare la memoria di Tina Merlin, sostenendo che "non era ascoltata neanche dal PCI". Il PCI fece una sua bandiera, un suo impegno politico e morale, della lotta dei superstiti del Vajont per affermare la verità e la giustizia nei confronti di chi porta la responsabilità materiale, tecnica e politica della più grave catastrofe che abbia colpito l'Italia nel dopoguerra. Nella foga di ingraziarsi "Libero" e le forze di destra di cui è portavoce, l'incauto Corona non esita ad affermare il falso, sostenendo che il PCI "incoraggiò i superstiti ad accettare una somma vergognosa per ogni parente perso".

Ci sono sette anni del mio impegno professionale e morale sulle colonne dell'Unità a provare chi fu a battersi contro la transazione dell'Enel, voluta dalla DC e dai responsabili della tragedia per sottrarsi alle sanzioni della giustizia. Se i processi si sono poi fatti, e se le parti civili poterono continuare a battersi, difese da avvocati come Manlio Losso e Sandro Canestrini lo si deve al Consorzio dei Superstiti, promosso e finanziato da un Comitato di Solidarietà voluto dalla CGIL e dalle forze di sinistra.

Dopo avere sputato fango e falsità, Mauro Corona si impanca a nuova guida morale auspicando - proprio lui, nuovo seminatore di odio - "pace per i morti e una riconciliazione fra i vivi". Che tristezza, per uno scrittore scoperto da un Claudio Magris e finito ora tra le braccia di un Vittorio Feltri.



Testimonianza di Marino Olivotto:

Da pochi mesi ricoprivo l'incarico di Segretario provinciale del PCI, quando avvenne il disastro del Vajont. Tra il 1956 ed il 1960 avevo però svolto l'incarico di costruttore e responsabile di zona del PCI nel Longaronese che comprendeva anche il Comune di Erto. Da contatti e riunioni che ebbi in questo periodo in detto comune, dove esisteva una organizzazione di Partito, ebbi conoscenza di voci riguardanti la situazione di pericolo incombente sul costruendo bacino del Vajont per lo smottamento e franamento del monte Toc. Ne informai fin da allora i compagni della Federazione e Tognon, che era allora Segretario, incaricò Tina Merlin, componente del Comitato Federale, responsabile della Commissione femminile e corrispondente locale de "l'Unità", di recarsi sul posto per assumere ulteriori informazioni. Io la accompagnai dal compagno Piero Corona, allora segretario della Sezione di Erto, e con lui prese contatto con altri compagni e abitanti del comune, raccogliendo una serie di informazioni che utilizzò per comporre i suoi servizi per "L'Unità". Ma il 9 ottobre 1963 ogni pur funesta previsione venne grandemente superata con il tragico bilancio di vittime e distruzione.
Furono giorni di grande tristezza, ma anche di rabbia.

Ci mettemmo d'impegno a vedere cosa si doveva fare soprattutto per sostenere i superstiti. Erano prioritarie la sicurezza della zona e la difesa dei diritti dei superstiti, tesa alla ricerca della verità e delle responsabilità; occorreva garantire un minimo di funzionalità degli Enti Locali (a Longarone erano rimasti vivi solo 10 consiglieri comunali) ed assicurare in ogni modo possibile solidarietà morale ed economica a tutti i cittadini della zona.

La sede della Federazione di Belluno del PCI era un andirivieni continuo di compagni dei paesi vicini, della Provincia e di molte federazioni delle diverse Regioni, pronti a dare una mano e decisi a mettersi subito al lavoro. Le prime decisioni che furono assunte riguardarono la organizzazione degli aiuti, la creazione del comitato di difesa legale più ampio possibile con l'affidamento dell'incarico ai compagni Antonio Bertolissi, Peppino Zangrando e Manlio Losso, la costituzione del comitato per la sicurezza della zona, di cui furono incaricati i compagni Giorgio Bettiol e Toni Cagnati, con il mandato di contattare tutti i componenti del «Comitato per il progresso della montagna» per realizzare il massimo di mobilitazione ed organizzare la 'Marcia della sicurezza', che poi ebbe luogo con la partecipazione di oltre 10.000 persone.

Ci impegnammo molto nel sostegno agli amministratori locali, convinti come eravamo che soprattutto le comunità locali dovevano essere protagoniste della battaglia per la difesa dei diritti, per la sicurezza e per la ricostruzione. Inviammo a Longarone un deputato esperto, già sindaco di Piacenza, in aiuto al compagno Arduini, il vicesindaco socialista che successe al compagno Guglielmo Celso deceduto nel disastro e ai due assessori comunisti del comune, Stragà e De Bettio, che furono distaccati per almeno sei mesi al lavoro in Comune con gli oneri a carico della Federazione.

Organizzammo subito assemblee in tutte le frazioni di Longarone e Castellavazzo insieme ai compagni socialisti per dare sostegno ai superstiti e farli sentire uniti ai propri amministratori. Tutte le iniziative erano sostenute dai contributi di solidarietà inviati dalle diverse federazioni del PCI e da molti compagni.



Intervento di Giovanni Bortot:

Quanto scritto o affermato da Mauro Corona a proposito della posizione del PCI sia nazionale, sia locale, sulla tragica vicenda del Vajont e del dopo Vajont e cioè che il PCI non fece niente né per aiutare i superstiti né per la ricostruzione delle zone colpite, né per l'accertamento della verità, fino ad affermare che il PCI si fece parte attiva per fare accettare dai superstiti la transazione proposta dall'ENEL (10 miliardi di vecchie lire), è l'esatto contrario della Verità.

Giovanni BortotInfatti solo il PCI d'allora assieme ad un gruppo di socialisti rappresentati in primo luogo da Terenzio Arduini, prese iniziative non solo per organizzare la solidarietà verso i superstiti, ma soprattutto per far accertare dalla magistratura le responsabilità della SADE in ordine alla catastrofe. Il PCI si fece promotore, assieme alla CGIL, della costituzione di un gruppo di avvocati per assistere i superstiti nella causa che avrebbe giudicato le responsabilità della SADE. Presidente del gruppo di avvocati venne nominato il compianto avvocato Antonio Bertolissi (e solo dopo 42 anni dal disastro fu ricordato dall'attuale sindaco di Longarone nella cerimonia del 9 ottobre 2005).

I gruppi parlamentari del PCI alla Camera e al Senato presero iniziative sia per varare le leggi per la ricostruzione e sia per la nomina di una commissione per l'accertamento delle responsabilità. Da parte di molti militanti e dirigenti dell'allora PCI ci fu l'impegno di fornire alla magistratura tutti gli elementi possibili che provassero le colpe della SADE. In carcere finì anche un compagno di Padova che fece copia del modello di caduta della frana nel lago del Vajont che la SADE aveva commissionato due anni prima dell'evento tragico al professor Ghetti dell'Università di Padova. Le prove della caduta simulata della frana ebbero luogo nella centrale di Nove, in comune di Vittorio Veneto.
Molti operai che lavoravano ai sondaggi sul monte Toc e che sapevano com'era fatto il terreno all'interno della montagna, deposero le loro testimonianze presso il magistrato di Belluno, e questo avvenne su mia segnalazione.
Lo stesso documento del comune di Erto-Casso del giorno 8 ottobre 1963 (che allego) e che aveva per titolo: "Avviso di pericolo continuato", venne da me consegnato al magistrato. Lo avevo recuperato a Casso, sull'albo delle affissioni comunali il giorno 16 ottobre 1963. Il paese era completamente deserto.

Tralasciando altri elementi da noi forniti al magistrato, veniamo alla transazione e al processo de L'Aquila. L'ENEL-SADE di allora, con l'avallo politico del governo, mise a disposizione dei superstiti la somma di 10 miliardi di lire facendo firmare agli stessi una "transazione" con la quale avrebbero rinunciato a costituirsi parte civile nel processo. Da notare che i "compensi" ammontavano a circa un milione di lire di media per la perdita di ogni familiare. Il PCI di allora fece subito un manifesto di contrarietà a questa iniziativa e contattò tutti superstiti che fu possibile trovare perché NON firmassero la transazione.

La firma della transazione avveniva presso il municipio di Longarone che avallava l'iniziativa perfino con la messa a disposizione dei propri impiegati e con la sovrintendenza dei nuovi avvocati del Comune (studio Scanferla di Padova); l'amministrazione comunale di Longarone era cambiata. La maggioranza dei superstiti accettò la transazione ma molti la rifiutarono. Innumerevoli furono le riunioni con i superstiti che rifiutarono la transazione e queste vennero fatte per esaminare le iniziative da prendere in vista del processo.

Protagonisti per il NO alla transazione fummo in primo luogo noi comunisti assieme all'ex sindaco Arduini Terenzio e ad un folto gruppo di ertani con in testa il segretario del locale PCI Cappa Cipriano. Assieme ad Arduini e al Cappa organizzammo un pullman di superstiti per assistere all'apertura del processo a L'Aquila. Durante il processo che durò molti mesi altri viaggi in pullman e alla fine del processo, a lato della sentenza, ancora pullman e macchine con tanti superstiti che non avevano transato. Noi comunisti di allora c'eravamo, siamo stati con loro e abbiamo sostenuto anche finanziariamente i viaggi e le permanenze al processo. - Se c'è stata una sentenza di colpevolezza - anche se con condanne miti e parziali - lo dobbiamo in primo luogo ai "resistenti" che non hanno firmato, ai giudici di Belluno (Mario Fabbri) ed anche a noi comunisti che siamo stati parte attiva in tutte le vicende del Vajont.

Allegato documento:

COMUNE DI ERTO E CASSO - Provincia di Udine

AVVISO DI PERICOLO CONTINUATO

Si porta a conoscenza della popolazione che gli Uffici Tecnici dell'ENEL/SADE segnalano la instabilità delle falde del Monte Toc, e pertanto è prudente allontanarsi dalla zona che va dal "GORC" oltre Pineda e presso la Diga, per tutta l'estensione, tanto sotto che sopra la strada. La gente di Casso, in modo particolare si premuri di approfittare dei mezzi che l'ENEL/SADE mette a disposizione per sgomberare ordinatamente la zona, senza frapporre indugio, con animali e cose.
Boscaioli e cacciatori cerchino altre plaghe.
E siccome la frana del Toc potrebbe sollevare ondate paurose su tutto il lago, si avverte ancora la gente ed IN MODO PARTICOLARE I PESCATORI che è estremamente pericoloso scendere sulle sponde del lago: le ondate possono salire la riva per decine di metri e travolgere, annegando anche il più esperto dei nuotatori.

Chi non ubbidisce ai presenti consigli, mette a repentaglio la propria vita.

L'ENEL/SADE ed Autorità tutte non si ritengono responsabili per eventuali incidenti che possono accadere a coloro che sconsideratamente si avventurano altre i limiti sopra descritti.

Erto e Casso lì 8/10/1963 - Il Sindaco - L'Assessore delegato



IlGrandeVajont

Intervento di Maurizio Reberschak:

Mauro Corona ci ha abituati ormai alla provocazione. Anzi al cinismo, come egli dice di se stesso e della sua esistenza: "La vita non ha trascurato di tirarmi i suoi spintoni, a volte violenti. Mi ha sbilanciato ma non è riuscita a farmi cadere. Strapazzandomi ha reso il mio animo forte, forse cinico" (Finché il cuculo canta, Biblioteca dell'Immagine, Pordenone 1999, pp. 92-93). E non si tira indietro oggi come ieri a farsi forte del paradosso. "La vera tragedia del Vajont è quella che si è verificata dopo la frana del monte Toc" (Sulla tragedia del Vajont dalla sinistra solo speculazioni politiche, "Libero",9 ottobre 2005). Due anni fa, in occasione della 40° ricorrenza del disastro, aveva spiazzato tutti, proclamando "adesso basta", invocando il silenzio... e il perdono!
Allora ci fu chi riconobbe che "a un artista è riconosciuta grande libertà di parola, perfino più di altri"; ma non gli si può concedere di farsi paladino della cancellazione della memoria (Toni Sirena, Lettera aperta a Mauro Corona, "Corriere delle Alpi", 7 agosto 2003).
Corona è una persona originale, indubbiamente. Uomo dei monti; scalatore, scultore, scrittore... e che altro? Alberi, animali, gente; sono il suo mondo. Ma anche croda, legno, parola. E poi si è costruito un personaggio la cui immagine viene bene gestita, da lui e da altri. Tutto sommato, egli "cede troppo alla tentazione di atteggiarsi a personaggio ed originale, divenendo improvvido e ingiusto verso se stesso" (Claudio Magris, Prefazione a Il volo della martora, Vivalda, Torino 1997, p. 12). "Dopo l'incidente è nata una vera speculazione politica sul dolore di noialtri"...

Incidente? Del Vajont?
C'è chi ha speso una vita per far entrare dalla porta principale della memoria il Vajont come "disastro", "catastrofe", "tragedia" (STRAGE, no eh?? nota mia, webmaster).
Disastro, per il rilievo penale del delitto.
Catastrofe, per la violenza sulla natura.
Tragedia, per l'insensatezza degli uomini quando forzano la mano agli "dei" per farsi loro stessi "dei" (è il senso della tragedia nel mondo dell'antichità greca e latina).
Un colpo di spugna di "incidente" non può spazzare via dalla memoria 1910 morti.

Eppure di "disastro" e "tragedia" ha parlato anche Corona. "Il disastro del Vajont aveva cancellato in pochi secondi secoli di cultura, tradizioni, storia, vita" (Il volo della martora, p. 129). "Pochi conoscono i dettagli della tragedia che lentamente continuò anche dopo la frana e che dura tuttora" (Aspro e dolce, Mondadori, Milano 2004, p. 27). Dunque disastro che spazza via la vita; tragedia che permane anche 'dopo' quanto avvenuto il 9 ottobre 1963. Proprio per questo il Vajont è "patrimonio del mondo" (Ibidem).
(Del mondo, magari puo' essere, ma non certo del sindaco longaronese, nota mia, webmaster)

Forse quello di Corona è un limite di comunicazione. Lui stesso lo riconosce. "Lo so, il mio è un limite, un problema di comunicazione, di rapporto con il prossimo. Ma che ci posso fare?" (Nel legno e nella pietra, Mondadori, Milano 2003, p. 271). Non è vero che egli sappia esprimere più col legno che con la parola, anche se, come ricorda Claudio Magris, "è poeta del legno", ma è anche "autonomo scrittore": da lui "la lingua viene scolpita come un tronco" (Magris, Prefazione, p. 10-11). Corona, scultore della parola, ha donato tante "storie del bosco antico", in cui un mondo del passato viene fatto vivere ancora. Perché non sono bastati il "rumore terrificante, come se un miliardo di aerei passassero insieme", o la "pressione di un vento compatto" che fecero immaginare la realtà ("immaginai che fosse caduta la montagna") (Finché il cuculo canta, p. 209), ad espellere per sempre la vita. Nonostante il "taglio netto", il "colpo di rasoio" (II volo della martora, pp. 96, 141) inferto all'esistenza, la "bolla di oblio" (Aspro e dolce, p. 346) poi soffiata ad arte, la costruzione della "memoria corta" (Nel legno e nella pietra, p. 203) elaborata artificialmente, nessuno è riuscito a zittire del tutto "le voci del bosco".

CoronaMauroImpostore
videoVajontFortogna
Il Cimitero di Fortogna, 2003
SCORIA della Storia
videoVajont CIALTRONE
Una intervista a un impostore,
che da quando sta al mondo,
non sa cosa sia la vergogna.
Corona è soprattutto Erto, la cui "ripidezza" sta "nel suo infelice destino, perché tra i paesi della valle è stato senza dubbio il più disgraziato" (Il volo della martora, p. 163). E Casso...? "In amena posizione", dice la guida del Touring Club (Guida d'Italia. Friuli Venezia Giulia, Touring Club Italiano, Milano 1982, p. 430). Sì, ma cassus in latino vuol dire "vuoto", "inutile". Nome programmatico? Peggio di così...

A chi mi chiede di fargli "vedere il Vajont", lo porto prima di tutto e sempre a Casso. La vita è rimasta quella di prima. Nel bar all'ingresso del paese puoi bere un caffè semplice o un bicchiere sincero. Se ti affacci dalla strada vedi la "M" della frana, la montagna che sta dove non dovrebbe stare a coprire la valle che non c'è più, l'orlo della diga. Capisci tutto. Più su, alla fine del paese trovi la chiesa col campanile con la cuspide che era stata toccata dall'onda, e, oltre, il cimitero, quello di sempre. Se arrivi in settembre, nella curva prima di salire alle case, trovi le donne che fanno il raccolto delle poche patate che una terra difficile regala; oppure, sotto il cimitero si tira su qualche prodotto più generoso forse perché più ingrassato in un terreno un po' meno stentato. Se ci vai in novembre, ti capita di inerpicarti sul manto di ghiaccio che copre le ripide stradine; tutte rigorosamente pedonali, perché così sono nate nei secoli. E nella porta di casa si affaccia una vecchia che, incredula, ti chiede che ci fai là, e tu le spieghi che vuoi vedere case e gente, come lei, ascoltare anche il silenzio, e capire sempre di più. Anche questo "è" il Vajont. Casso.

Non solo Erto. Abbandonata ma con qualche piccolo segno di rinascita. Non certo la "nuova" Erto, con cui ricordo un impatto traumatico: una vecchia con una gerla colma di legna sulle spalle aveva imboccato la scalinata che sale dritta dritta verso la "nuova" Erto, brontolando fra sé in ertano: «se trovo chi ha fatto tutti questi scalini per arrivare fino a casa, gli do una botta con un legno sulla testa».

Non solo Longarone. Che nessuno sa cosa sia, se non una cosa nuova nata da una pianificazione urbanistica basata sull'alterità della "sociologia del bicchiere di vino", considerato "ciclo portante" del "processo dinamico di formazione dei caratteri basilari di personalità degli individui appartenenti alla cultura del comprensorio del Vajont", come indicava una cosiddetta Indagine sociologica elaborata a supporto del Piano urbanistico comprensoriale del Vajont. "Alle popolazioni dell'area del Vajont - diceva ancora la supposta Indagine - sono mancati e mancano tuttora le vie sociali per l'espressione corale, socializzata cioè, del proprio bisogno di comunicativa", per cui la "funzione di riscatto sociale del bere in compagnia il "bicchiere di vino" il "goccio", "l'ombretta", il "caffè per uomini", il "grappino", è espressa inequivocabilmente e realizzata attraverso la esaltazione e la mistificazione di tutte quelle qualità individuali a cui il gruppo sociale associa una funzione di valore e sulle quali basa la sua tradizione, quali la forza virile, la solidità delle idee, l'attaccamento alle cose semplici e vere del passato, la bravura, il prestigio sociale".
La soluzione? Azzeramento di tutto e ripartenza dal nulla. Come se il disastro del 9 ottobre non lo avesse già fatto.
"Dal punto di vista culturale oltreché naturalmente urbanistico, e soprattutto economico, la costituzione di un centro urbano nel comprensorio su cui gravitassero le spinte sociali espansive e da cui potessero irradiarsi modelli di vita associativa e di esistenza nuovi, assume un'importanza vitale". Ecco Longarone...

In Corona non c'è Longarone, ed è logico. C'è molta Erto, poca Casso. Ma è naturale, perché quello è il suo mondo. Un mondo che vorrei sempre più conoscere attraverso le "storie" che sono fatte rivivere da lui nei racconti. Come quelle che può e sa narrare un "vecchio saggio". "Forse sono un po' più saggio, o sto diventando vecchio" (Nel legno e nella pietra, p. 272).



Lettera di Giorgio Tosi a Peppino Zangrando:

Padova 21 novembre 2005

Carissimo Peppino,
La tua lettera che ho aperto stamattina mi ha sorpreso e indignato. Mauro Corona deve essere impazzito.
E' possibile criticare tutto: l'istruttoria del Vajont, il processo, le sentenze, le arringhe degli avvocati, la transazione, la sua gestione da parte di alcuni, ma è inaccettabile la calunnia a freddo contro il PCI, contro le organizzazioni Sindacali e contro avvocati di cui non si fa il nome. Bisogna controbattere punto su punto, stando attenti a non fare pubblicità al Corona e al giornale che lo ha ospitato.
Non so al momento quale possa essere la via migliore: un comunicato congiunto su "Repubblica" e su "L'Unità"? Una conferenza stampa a Longarone, aperta al pubblico? Una tavola rotonda di politici, di specialisti, di avvocati difensori dei superstiti e magari di alcuni imputati? Rifletterò e ti saprò dire.

Intanto io spero che ti giungano le risposte delle persone a cui hai scrltto. Per quanto riguarda la mia posizione al processo (non compresa da alcuni compagni e a volte aspramente discussa) è documentata dagli originali delle mie arringhe in primo e in secondo grado, registrate e trascritte dal cancelliere del Tribunale dell'Aquila, ora depositate in mano ad Amantia, presso l'Istituto storico della Resistenza di Belluno. E' documentata altresì dalle cause civili da me fatte per tutti coloro che non accettarono la squallida transazione; cause che durarono anni davanti al Tribunale di Pordenone e che ebbero sentenze favorevoli con ampi risarcimenti a favore dei superstiti che avevano resistito alle lusinghe. Le sentenze mi pare di averle depositate presso il Centro Studi "Ettore Luccini" di Padova.

Giorgio TosiPrima di chiudere questa lettera, vorrei sapere se Terenzio Arduini è ancora vivo; vorrei sapere inoltre se puoi mandarmi il libro della C.G.I.L. di Belluno "La notte del Vajont" che dovrebbe contenere la storia della transazione (che io non ho mai letto). Ti abbraccio

Giorgio

Lettera di Giorgio Tosi a Peppino Zangrando:

Padova 28 dicembre 2005

Faccio seguito alla tua telefonata dell'altro ieri.
Confermo prima di tutto il contenuto della mia lettera del 21 novembre 2005.
Concordo con la tua decisione di pubblicare tutte le lettere che ti sono arrivate sulla questione Corona-Vajont. Io non le conosco perché non ne ho avuto copia, ma mi fido del tuo giudizio. Ti ringrazio di avermi spedito il libro "La Notte del Vajont" a cura di Franco Cadore, con prefazione di Sergio Cofferati, che sulla base di documenti chiarisce quella che è sempre stata la mia coerente posizione sulla transazione-capestro.
Sono davvero lieto che la CGIL abbia ristabilito la verità, dopo tante ombre anche da parte di alcuni compagni. Ti prego di far pubblicare questa mia lettera, oltre quella del 21 novembre. Certo che ricordo il nostro contraddittorio contro un fascista in un dibattito a Bressanone, durante i corsi universitari estivi nel '51-'52, e anche a me piacerebbe rievocare con te i tempi oramai lontani quando ciascuno di noi poteva dire, per la sua militanza, «Incedo per Ignes».

Ti prego di ricordarti di mandarmi il tuo libro che mi dici uscirà in occasione del 25 Aprile, e tanti auguri per la tua prossima attività di difensore civico. Auguri anche per il prossimo anno a te, a tua moglie e a i tuoi figli.
Ti abbraccio

Giorgio



Lettera di Franco Busetto a Peppino Zangrando:

«Il sottoscritto chiede d'interrogare il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Ministro dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato, per sapere, fermo restando l'autonoma iniziativa intrapresa nel comune di Longarone nel provocare la citazione in giudizio del presidente dell'ENEL per le responsabilità civili conseguenti alla catastrofe del Vajont del 9 ottobre del 1963,

- qual'è il giudizio del Governo circa il comportamento dell'ENEL, sottoposto al controllo e agli indirizzi generali dell'esecutivo a norma della legge di nazionalizzazione attraverso l'apposito Comitato dei ministri, nei confronti dei superstiti e dei danneggiati dal tragico evento nonché nei confronti della ex SADE già titolare della concessione e del bacino idroelettrico del Vajont, firmataria della richiesta di elevare l'invaso del bacino sino alla massima quota in data 20 marzo1963 e custode dei beni nazionalizzati sino al 22 marzo dello stesso anno;

- per sapere, quindi, se è tollerabile che l'ENEL, prescindendo dalla parte di responsabilità che la magistratura in sede di giudizio potrà o meno contestargli, possa coprire la società SADE dalle sue presenti e fondamentali responsabilità per l'avvenuta catastrofe;

- per sapere, inoltre, se il Governo intende promuovere la sospensione da parte dell'ENEL del pagamento degli indennizzi alla SADE per l'avvenuta nazionalizzazione;

- per sapere, infine, quando il Governo, sentito il parere dell'Avvocatura dello Stato, si decide a dare le opportune disposizioni perché l'amministrazione dello Stato, usando il diritto di rivalsa consentitole dall'articolo 5 della legge n. 357 per le provvidenze alle popolazioni del Vajont, provochi la chiamata in giudizio in sede penale e civile della predetta SADE e dell'ENEL quali responsabili dell'evento catastrofico.»

On. FRANCO BUSETTO, IV LEGISLATURA - DISCUSSIONI - SEDUTA DEL 9 GENNAIO 1967


0

Padova, addì 22.11.05

Caro Peppino, come te, nel constatare che perfino la tragedia del Vajont è diventata oggetto del revisionismo storico della destra politica italiana. Non c'è bisogno di ricordare a te tutto quello che facemmo allora come PCI, come parlamentari comunisti, come Unità (la cara Tina) per prevenire l'immane disastro, per sovvenire i superstiti e i parenti delle vittime dopo la strage (di Stato e della SADE) e per chiedere giustizia (Belluno, L'Aquila, la Comm. parlamentare d'inchiesta). Mi fermo qui, mi unisco alla tua protesta, sono con te per ogni iniziativa. Un abbraccio

Franco Busetto

Lettera di Franco Busetto a Peppino Zangrando:

Caro Peppino, do il mio placet alla felice iniziativa che realizzate sulla rivista. Voglio aggiungere due considerazioni.
    - 1) Mi ricordo l'ottobre 63, qualche giorno dopo la catastrofe. Ci recammo a Belluno e sul Vajont con una delegazione di parlamentari del PCI per incontrare i familiari delle vittime, i superstiti, le forze politiche, le autorità locali. Trovammo afffissi sulle mura della vostra bella città, alla quale mi sono affezionato anche perché vi ho fatto l'alpino, manifesti recanti un titolo in grande "Sciacalli"! Eravamo noi, gli sciacalli, in quanto chiedevamo giustizia, non solo quella penale ma anche quella politica e morale perché ormai c'erano le prove la catastrofe non fu una fatalità, ma una strage di massa privata (la SADE) e pubblica (lo Stato ed i suoi organi). Restammo di stucco, ci sembrava impossibile, ma non era così purtroppo, perché lo constatammo a L'Aquila, al processo, indebitamente e immotivatamente colà trasferito, lo toccammo con mano nel corso della faticosa, drammatica, inchiesta parlamentare con cui, spudoratamente, contro l'evidenza degli eventi e delle responsabilità politiche e amministrative, la maggioranza attribuì il disastro a cause naturali.
Quanti viaggi, quanti incontri, quanti documenti da leggere! E' stata, nella tragedia, un'esperienza irripetibile, per me la più appassionata e vissuta fra quelle avute in circa venti anni di vita parlamentare (non sono pochi).

    - 2) A tanti anni dal Vajont, mi consola che c'è un uomo, un cittadino, un italiano che come tale si è rivolto il 31 dicembre scorso agli italiani, che gode della fiducia del 92 per cento del Paese reale [qui Busetto allude al Presidente della Repubblica Azeglio Ciampi, n.d.r.]. Questo mi aiuta a ritenere che dal Vajont, ma da tanti eventi, una fede nei valori civili e patriottici della nostra Costituzione, del nesso Resistenza-Repubblica-Costituzione, è rimasto, c'è ancora; l'unità nazionale, le virtù della convivenza e quelle del sentimento di pace, ci sono, la concezione della società teorizzata dal berlusconismo non è passata. Comunque è sul punto di cadere, il qualunquismo e l'antipolitica non sono passati.
Questo vuol dire che l'evento Vajont parla non solo a noi, ma agli italiani che dispongono ancora, trasferendole da generazione a generazione, delle lenti giuste per leggere ancora il Vajont e nel Vajont per la universalità, la profondità dei valori e dei disvalori, anche dei significati e dei sentimenti che il suo messaggio ancora promana.
Per questo fai bene, caro Peppino, a levare la voce contro le calunnie e i calunniatori.

Un abbraccio,

Franco Busetto



Lettera di Sandro Canestrini a Peppino Zangrando:

l'Avvocato Sandro Canestrini
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[ Cittadino Onorario di Erto e Casso ]

Rovereto, 28 novembre 2005/CO

Ricevo in questo momento la Tua lettera (che risulta impostata il 17/11 ma solo in questo momento a me pervenuta) che riguarda il Mauro Corona: è ovvio che cado dalle nuvole. Cerco ora di raggiungerTi per telefono ... ma rimango intontito: comunque, appena riceverò riscontro a questa mia ti farò uno scritto.

Affettuosamente,
Sandro

P.S: anzi nel caso che ci sia urgenza e che purtroppo l'informazione risulti seria, ecco il testo della mia indignata protesta:

"Caro Mauro, il fuoco del mio caminetto ha appena finito di distruggere le tue pubblicazioni: naturalmente le avevo comprate tutte ed altrettanto naturalmente ho provveduto oggi a bruciarle. [...]
Una riflessione: quanto è lunga attraverso tradimenti e menzogne la strada per giungere alla verità quando la potenza del denaro impera in questo modo". - Sandro Canestrini



Un tempo, leggevi queste cose e ti trovavi su www.vajont.org.
Poi sbucarono - e vennero avanti - i delinquenti, naturalmente quelli istituzionali ....

  


Ai navigatori. Queste sono tutte pagine "work-in-progress" (modificabili nel tempo) e puo' essere che qualche link a volte non risulti efficiente, soprattutto quelli obsoleti che puntano (puntavano) a dei siti web esterni. Scusate, e eventualmente segnalatemelo indicandomi nella mail la pagina > riga > link fallace.

[Home page] [Visite Museo] [Video - Video, 2 - Video, 3] [Libri] [Memoria] [Cimitero] [Lo $tupro dei Morti e dei VIVI]

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Ritagli di giornali, motivazioni e libere opinioni, ricerche storiche, testi e impaginazione di Tiziano Dal Farra - Belluno
(se non diversamente specificato o indicato nel corpo della pagina)

« VOMITO, ERGO SUM »

Fortogna:
nella foto sotto, il *Giardino delle bestemmie* attuale, un fal$o TOTALE dal 2004: un falso storico, fattuale, e ASSOLUTAMENTE IMMORALE da 3,5 mln di Euro. Un FALSO TOTALE e oggettivo - a cominciare dai FALSI cippi «in marmo di Carrara» - targato *sindaco De Cesero Pierluigi/Comune di Longarone 2004*.
Oggi questo farlocco e osceno «Monumento/sacrario» in località S. Martino di Fortogna riproduce fedelmente in pianta e in miniatura, come un parco "Italia" di Viserbella di Rimini, il campo "B" del lager nazista di Auschwitz/Birkenau. Fantastico, no? ed e' la verita' verificabile ma se solo ti azzardi a dirlo o far notare le coincidenze, sono guai. $eri. Perché... qui in Italia, e soprattutto in luoghi di metàstasi sociale e interessi inconfessabili come la Longarone 'babba' ... «la Verità si può anche dire. Ma però che non ci sia nessuno che l'ascolti (o legga!)»

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Ma tutto deve andare come da copione, in Longar-Corleone. Dal dicembre del 1964 qui è così: lo mise nero su bianco gente colle spalle ben più larghe delle mie, e in tempi non sospetti:

«E' quasi come in Sicilia, mi creda; a Longarone si configurano gli elementi tipici della mafia. Non è questione di partito 'A', o 'B'; c'è un determinato giro fatto di poche persone all'interno del quale non entra nessuno. Il potere è in mano a costoro, cinque o sei persone a Longarone, e poi qualche diramazione fuori, cioè altre persone nei posti giusti, perché un sistema del genere non può sopravvivere se non c'è corruzione».
Fonte: Giampaolo Pansa, sul Corriere della Sera del 9 ottobre 1973; sta riportato sul libro della Lucia Vastano. LIBRO CONSIGLIATISSIMO.

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