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19 DICEMBRE 1974
VAJONT: UNA COLOSSALE TRUFFA
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PORDENONE. Rifare la storia del Vajont e soprattutto di quanto è accaduto dopo il disastro del 1963, anche se l'ottica vuole inquadrare soltanto la porzione della torta che interessa il pordenonese, è praticamente impossibile. Bisognerebbe aver tempo, tempo e ancora tempo. Vajont, o meglio la questione ad esso attinente, rischia di diventare come la guerra dei Trent'anni: senza fine.
Vajont è stato un guazzabuglio impressionante di provvedimenti, di leggi, di esodi, di ritorni, di truffe, di imbrogli: un cumulo di sporcizia dal quale è difficile uscirne con le idee chiare. A rimetterci è stata, come accade sempre, la popolazione. Una volta con la frana e con l'ondata del lago, che ha seminato la morte; un'altra volta con quanto è successo dopo, con gli avvoltoi che puntualmente sono calati a razzolare nel fango alla ricerca di ricavare benefici che a loro non spettavano per nulla. Dietro agli avvoltoi molte famiglie bene di Pordenone, quelle che in città sono venerate, e anche altri grossi operatori economici da fuori provincia. E tutto è avvenuto legalmente, perché la legge lo permetteva.
SINDACO
Per cercare di mettere un po' d'ordine in tutta la faccenda abbiamo voluto parlare con Italo Filippin, sindaco di Erto e Casso, dopo che la Regione aveva autorizzato la spartizione amministrativa fra questo comune e quello nuovo del Vajont (legge regionale numero 22 del 1971; un provvedimento eccezionale, approvato a tempo di record e composto da soli tre articoli). Filippin, prima di questa legge era stato nominato Commissario straordinario a Erto che, in quel tempo, era diventata frazione di Vajont. Filippin è giovane; ha appena smesso gli stivali con i quali si è arrampicato su per la montagna con alcuni tecnici della forestale. Non fa fatica a parlare, anzi.
DOPO LA TRAGEDIA
«Abbiamo un po' tutti perso la testa. Non si sapeva più come orientarsi. A livello politico si è allora subito agito per evacuare tutta la vallata. C'è stato, da parte delle Destre e della DC, un tentativo concreto di spopolare completamente la vallata. Lo scopo era quello di poter riutilizzare a pieno il bacino senza correre più pericoli». L'idea di riutilizzare il bacino si era affacciata, stranamente, anche prima della tragedia, con la costruzione di gallerie di collegamento - o by-pass - che avrebbero dovuto permettere un'unione fra le due parti in cui la frana avrebbe diviso il lago. Lo smottamento quindi era ben previsto, soltanto che lo si pensava lento e graduale. Ma il Toc non ha ragionato con mente umana.
«L'evacuazione - prosegue il sindaco di Erto - la si iniziò così subito, con gravi danni all'economia agricola e zootecnica della valle, proponendo alla gente la scelta fra tre località: Vajont, in comune di Maniago, a Madonna di Vedoia, in comune di Ponte nelle Alpi e a 'Quota 830', sopra il vecchio abitato di Erto, l'attuale Stortàn. S'iniziò quindi tutta una serie di contrattazioni per mezzo i delle quali si cercò d'incanalare tutta la gente a Vajont, zona che soltanto il 35 per cento aveva scelto come località gradita per un trasferimento. Le provvidenze infatti andarono a Vajont, le facilitazioni pure.
A Madonna di Vedoia (8 case costruite in 5 anni) e a Stortan (che sta sorgendo adesso, dopo una dura battaglia della popolazione), non andava invece niente. Ecco come si è cercato di spopolare la valle, creando lo specchietto per le allodole a Vajont».
Il consigliere regionale Ermanno Rigutto, DC, sindaco anche di Maniago, fu uno fra i più attivi propagandisti della «soluzione Vajont», tanto che riuscì a far arrivare, poco lontano, il Nip(1) (Nucleo industriale provinciale), che conta già un certo numero di fabbriche, ma che è in territorio di Maniago e non in quello di Vajont, come logica e giustizia avrebbero richiesto.
GLI AVVOLTOI
Ma il fenomeno forse più sconcertante è stato quello relativo all'enorme speculazione che la legge sul Vajont ha permesso di compiere. Se non vi fosse la legge, ciò che è stato fatto potrebbe essere rubricato come falso, e truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato. Ma invece la legge c'è e allora anche la magistratura, qualora anche lo volesse, non può agire. Il meccanismo (della vogliamo chiamarla truffa?) è semplicissimo.
L'articolo 12 della legge parla della «ristrutturazione delle aziende artigianali». Un artigiano, poniamo di Erto, alluvionato e sinistrato aveva diritto a chiedere contributi allo Stato per ampliare o ristrutturare la propria azienda danneggiata. Il 20 per cento di tale contributo era a totale carico dello Stato; il rimanente 80% veniva concesso, obbligatoriamente, a titolo nominativo, in maniera che le agevolazioni e i benefici andassero soltanto a favore degli effettivi danneggiati, ma potevano andare a ditte di Udine, di Pordenone, di Lignano, di Trento ecc., ditte, ovviamente, mai alluvionate.
Lo stesso articolo 12 infatti permetteva la cessione dei diritti. Come dire che se un piccolo artigiano vendeva la sua licenza a un prestanome, costui diventava di fatto «il danneggiato», e, mentre l'artigiano avrebbe forse chiesto uno "sproposito" di indennizzo, poniamo 50 milioni, i prestanome chiedevano anche 6 miliardi (com'è accaduto). Se l'artigiano fabbricava mestoli di legno, il prestanome fabbrica... un cementificio kolossal, e il tutto con denaro pubblico. Anche in questo modo sono stati realizzati i cementifici di Travesio e di Fanna.
PER L'ENEL UN CAPOFAMIGLIA VALEVA UN MILIONE
L'ENEL, nel guazzabuglio del Vajont, si è trovata contro circa 2.090 persone che si sono dichiarate parte civile. Il sistema migliore per togliersele dai piedi ovviamente, era quello di tacitarle a suon di quattrini. L'ente ha così potuto disporre di 10 miliardi(2) con i quali prima di tutto ha rimborsato pinguamente alcune aziende di Longarone e di Castellavazzo, mentre per la gente ha riservato le briciole. Un capofamiglia, morto nel disastro, era valutato 1 milione o poco più; un fratello o un figlio (in questo secondo caso il prezzo variava, a seconda dell'età del defunto) erano valutati 800 mila lire; la moglie - o una donna in genere - 500 mila lire.
A tutt'oggi non si sa chi abbia messo a disposizione dell'ENEL questa cifra; chi ne abbia autorizzato la dilapidazione; né esistono dei rendiconto che spieghino, nero su bianco, se la cifra è stata spesa tutta, oppure se c'è rimasto qualcosa. Insomma, niente che assomigli a una semplice operazione di contabilità.
E l'ENEL, ovviamente, utilizzava denaro pubblico; denaro cioè di tutti noi. Ma c'è di più: i 3 miliardi e 603 milioni raccolti dalla solidarietà nazionale e internazionale sono stati distribuiti a sinistrati ma anche a vedove, orfani, e enti di beneficenza. Magari saranno finiti anche in tasca alla Pagliuca(3), il che è tutto dire!
Di tutto questo danaro non c'è più traccia contabile. Italo Filippin in una foto recente. Aderisce alla raccolta firme, come Marco Paolini e svariate migliaia di cittadini italiani e del mondo. Clicca la foto per saperne di piu' sull'iniziativa. |
Facciamo un po' di nomi di questi procacciatori d'affari ai quali pare andasse, ad affare concluso, il 10 per cento del prestito concesso: Werter Villalta, Santin Defragè, Giorgio Pardini; ma non sono i soli, altri appartengono alla DC e al MSI. Costoro si presentavano naturalmente agli artigiani locali con regolari procure notarili.
"Ma ce ne sono molti altri. - ci dice il sindaco Filippin - Io ho conservato le delibere che ho trovato. Ma prima, quante altre sono state concesse? E per quali importi? ".
Le delibere che Filippin ha conservato, ma che non sono le più eclatanti, testimoniano che sono stati concessi soltanto nella provincia di Pordenone e in quelle di Udine 18 miliardi 650 milioni 953 mila e 775 lire. Il vero boom infatti si è verificato fra il 1968 e il 1971, ma di quelle delibere, almeno nel comune di Erto, non vi è più traccia.
I procacciatori d'affari poi non è che pagassero molto le licenze (i diritti) che acquistavano dagli artigiani o dagli ambulanti di Erto: le quotazioni andavano da meno di 100 mila lire fino a un massimo di 500 mila. Facciamo un po' di conti. E' come dire che, con 60 mila lire si poteva ricavare un utile netto di 5 miliardi, 999 milioni 940 mila lire, chiedendo allo Stato un contributo tondo di 6 miliardi. Al procacciatore andavano come premio 600 milioni. Sarebbe interessante vedere oggi quanto pagano di tasse questi commercialisti e trafficoni che hanno agito specialmente per conto terzi sulle disgrazie altrui.
Chi coordinava il traffico (a Erto lo sanno anche i gatti) era il geometra Arturo Zambon, dirigente dell'ufficio tecnico del comune di Erto e poi trasferitosi al comune di Vajont. Quando oggi ci si chiede perché lo Stato stia andando a fondo in un mare di debiti(4), il disastro del Vajont, e soprattutto ciò che ne seguì, può offrire una risposta.
SI RICOSTRUISCE
Comincia intanto l'opera di ricostruzione. Alla fine del 1970 il villaggio di Vajont è praticamente quasi terminato. A Madonna di Vedoia (comune di Ponte nelle Alpi, Belluno) non c'è quasi nulla e a Stortan non sta sorgendo proprio niente. Il tentativo di spopolare la vallata è ancora in atto. Erto frattanto è dichiarato inabitabile e sulle strade ci sono le forze dell'ordine a fare i blocchi stradali per impedire il passaggio a quanti vogliono ritornare. Ma gli ertani i blocchi li eludono per i boschi e a poco a poco cominciano a ritornare nelle vecchie abitazioni. Davanti al dato di fatto, si cominciò a concedere l'abitabilità, ma soltanto per le ore di luce. Di notte dovevano tutti andarsene. Più tardi, siccome la gente non si lasciava intimorire, si concesse la piena abitabilità, ma lasciando "i sovversivi" - per vie burocratiche - privi di tutto.
"Mancava la luce. - dice Filippin - Le scuole, il prete, il medico, l'ufficio postale. Insomma, mancava tutto. E malgrado le proteste, non si otteneva nulla. Si è dovuto ricorrere sistematicamente alla violenza per avere qualcosa". Per l'allacciamento all'ENEL, malgrado che un telegramma dell'allora ministro dei lavori pubblici Mancini imponesse l'immediato ripristino della fornitura, nessuno si riteneva competente. Il tentativo di spopolare continuava. Bisognava stanare gli ertani creando attorno a loro il vuoto assoluto.
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