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di Floriano Calvino, Sandro Nosengo, Giovanni Bassi, Vanni Ceola, Paolo Berti, Francesco Borasi, Rita Farinelli, Lorenza Cescatti, Sandro Gamberini, Sandro Canestrini

Un processo alla speculazione industriale

La strage di STAVA

negli interventi della parte civile alternativa

Edizione a cura del Collegio di difesa di parte civile alternativa
© Trento, 1989

Alla memoria di 269 vittime
della speculazione e dello
sfruttamento insensato del territorio
e alla memoria di Floriano Calvino
che - dalla parte delle vittime,
come sempre - si schierò,
con intelligenza e con amore.

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INDICE

Presentazione - pag. 5

Premessa - pag. 9

LA PERIZIA DI PARTE CIVILE, di Floriano Calvino 15

CONSIDERAZIONI TECNICHE DOPO IL PROCESSO DI PRIMO GRADO, di Sandro Nosengo e Giovanni Bassi - 29

LE COLPE DEGLI IMPUTATI, di Vanni Ceola - 49

LA MONTEDISON: SUPERFICIALITA' E PROFITTO, di Paolo Berti - 75

IL SONNO DELLA RAGIONE HA DISTRUTTO STAVA, di Francesco Borasi - 89

I ROTA: DAI GELATI ALLE MINIERE, di Rita Farinelli - 113

LE OMISSIONI DI CURRO' DOSSI E PERNA, di Lorenza Cescatti - 129

IL RUOLO DEL DISTRETTO MINERARIO, di Sandro Gamberini - 143

DAL VAJONT A STAVA: LA MONTEDISON NON E' CAMBIATA, di Sandro Canestrini - 161

APPENDICE I

Dalla relazione della Commissione tecnico-amministrativa di inchiesta nominata dal Consiglio dei ministri - 179

APPENDICE II

Dall'articolo: «I bacini di decantazione dei rifiuti degli impianti di trattamento dei minerali» del prof. Giovanni Rossi (Industria Mineraria, nn. 10 e 11, 1973) - 193

Sandro Nosengo - Giovanni Bassi

CONSIDERAZIONI TECNICHE DOPO IL PROCESSO DI PRIMO GRADO

Queste pagine riprendono e integrano la «Perizia di parte civile» redatta da Floriano Calvino nel novembre 1986. I dati, i concetti e le osservazioni in essa contenuti, se non chiaramente citati o ripetuti, sono comunque da noi pienamente condivisi. Abbiamo aggiunto fatti e considerazioni personali che abbiamo potuto maturare insieme a Calvino prima che morisse nel gennaio 1988 ed altre suggeriteci dopo la sua scomparsa dalla lettura di documenti e relazioni tecniche, dalle discussioni con avvocati e colleghi e dalla partecipazione al dibattimento nel processo di primo grado. E' stata un'esperienza irripetibile che avremmo voluto condividere anche con lui, maestro di battaglie civili.

Premettiamo che, come ricordato da Canestrini e da Ceola, si tratta di una difesa di parte civile "diversa", che è stata voluta dai legali e da noi tecnici proprio per l'assenza di motivazioni che non fossero la semplice necessità o diritto di alcuni di coloro che sono rimasti di essere appoggiati e supportati - senza riserve di alcun genere - da persone che hanno una discreta esperienza circa gli scontri col potere. Perché di questo si è trattato: uno scontro cominciato con 269 vittime senza una dichiarazione di guerra.

Dobbiamo ricordare anche noi Floriano Calvino, mancato nel gennaio '88 prima della celebrazione del processo al quale avrebbe saputo dare un contributo di sapere e di impegno civile come pochi altri avrebbero potuto. Egli, non dimenticato maestro e amico, aveva già saputo cogliere la sostanza del problema ed indicare con la massima chiarezza le cause e le responsabilità del dramma: la lettura della sua perizia è essenziale per la comprensione dei fatti.

Un paesaggio lunare dove c'erano i bacini di Stava

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I bacini di Prestavel

E' una storia molto semplice: a qualcuno viene in mente di costruire a Pozzole di Stava un impianto di decantazione dei fanghi provenienti dalla flottazione del minerale di fluoro contenuto nei porfidi di Prestavel. L'idea nasce da due necessità fondamentali:

1) sistemare in loco il materiale di scarto che sarebbe estremamente costoso trasferire altrove;

2) smettere di versare nel torrente Stava le acque di lavaggio del minerale contenenti notevoli quantita di tensioattivi.

Non si tratta di coscienza o di particolare sensibilità ecologica. Semplicemente, un conto economico aveva convinto la dirigenza della miniera e quindi della società che la cosa era conveniente sia sul piano tecnico sia su quello strategico: assumere tale iniziativa costituiva un guadagno d'immagine insieme ad un risparmio. Nasce così il primo bacino o 'vasca di decantazione'.

Vedremo più avanti la questione progettuale specifica, ora ci preme puntualizzare alcuni fatti di base. Costruire una vasca di decantazione comporta alcune scelte preliminari; fra queste l'individuazione di un luogo in cui collocarla. Il sito deve avere determinate caratteristiche:

- capacità adeguata (essenziale); - stabilità geologica e assenza di rischi di altra natura (necessaria); - vicinanza all'impianto di produzione degli scarti (preferibile); - possibilità di minimizzare i costi di impianto e di esercizio (consigliabile).
Grosso modo, l'elencazione corrisponde anche ad una scala gerarchica. In particolare, la capacità si ottiene disponendo di una concavità naturale del terreno che possa essere facilmente racchiusa con opere di contenimento oppure elevando argini di notevole mole su terreni pianeggianti o quasi. E' anche possibile sbarrare un solco vallivo deviando o intubando il relativo corso d'acqua.
I rischi "idrogeologici" sono essenzialmente:
- scarsa consistenza e cedevolezza del terreno di appoggio della fondazione degli argini;

- presenza nel terreno stesso di acque emergenti che possono disturbare la decantazione e la consolidazione dei fanghi e che possono compromettere la stabilità degli argini;

- altri eventuali rischi esterni, quali, ad esempio, precipitazioni di particolare intensità, fenomeni sismici o eventi franosi ed alluvionali;

- rischi indotti, per presenza di insediamenti o manufatti danneggiabili dall'eventuale instabilità degli argini.

(foto1) La violenza dello spostamento d'aria ha scoperchiato questa casa

La tecnica di realizzazione dei bacini è molto semplice. Il materiale da collocare a dimora è una "torbida" con circa il 95% di acqua contenente i residui sterili del processo di flottazione con cui si separa mediante tensioattivi il minerale utile dalla roccia madre frantumata. Gli sterili hanno dimensioni variabili da quelle delle sabbie a quelle dei limi. La 'torbida' viene addotta, per caduta o per pompaggio, ad un'attrezzatura detta "ciclone" - una banale centrifuga - che provvede a separare la frazione sabbiosa dal limo e dall'acqua.

La prima viene depositata direttamente al piede del ciclone e poco alla volta va a formare l'argine di contenimento della vasca; acqua e limo vengono lanciati contemporaneamente all'interno dove ha inizio il processo di decantazione e di "chiarificazione" della torbida stessa. Muovendosi lungo una direzione predeterminata, uno o più cicloni innalzano ed estendono l'argine. Secondo i casi, il procedimento varia dando luogo a diverse configurazioni:

- innalzamento col metodo "a valle", con cui la sabbia viene depositata verso l'esterno dell'argine cosicché esso si accresce verso valle ed assume una forma trapezoidale di notevole mole;

- metodo di innalzamento "centrale" con deposizione della sabbia in corrispondenza di uno stesso asse verticale per cui l'argine si accresce simmetricamente dalle due parti impegnando un volume di sabbia relativamente minore;

- metodo "a monte" col quale, ad ogni fase di innalzamento, il ciclone viene spostato verso l'interno del bacino a formare prismi trapezoidali sfalsati e poggianti ciascuno in parte su quello sottostante ed in parte sui limi gi&agrve; deposti: in questo caso il volume occupato dall'argine di contenimento sara ancora minore (vedi schema nella figura che segue).

Schemi teorici per i bacini di Stava

Per allontanare l'acqua chiarificata si devono predisporre scarichi con bocche a varie quote (sfioratori), ovvero drenaggi intermedi che possano assorbire l'acqua, prosciugare la torbida e consentire la consolidazione del limi, essendo assolutamente pericoloso che questi si mantengano fluidi e che all'interno degli argini e dei limi si formi una falda idrica. Il processo di consolidazione consiste appunto nell'espulsione dell'acqua dal materiale limoso soggetto alla pressione degli strati sovrastanti fino al raggiungimento di una densità e di una consistenza più o meno solida. Per ottenere questo risultato occorre che anche il fondo del bacino sia pervio all'acqua o reso tale artificialmente poiché una condizione di impermeabilità ostacolerebbe la consolidazione.

La scelta di Pozzole

Non poteva essere peggiore dal punto di vista idrogeologico e morfologico cosicché quei rischi da evitare si sono invece esaltati.
Il terreno di appoggio aveva scarsa consistenza (secondo lo stesso progettista, resistenza ai carichi pari a 0,2 kg/cmq, assolutamente inadeguata per qualunque manufatto). Il toponimo 'Pozzole' è chiarissimo: nell'area erano presenti diverse emergenze d'acqua provenienti da falde contenute in livelli permeabili all'interno del pendìo ritrovate prima e dopo la frana: esse sono state scambiate per zone di ristagno di acque piovane o dovuto allo scioglimento di neve, avvalorando l'ipotesi di una impermeabilità del terreno assai utile per allontanare l'idea del rischio di infiltrazione di inquinanti nel terreno. L'area era in pendìo accentuato - una sorta di piano inclinato di circa 14 gradi - cosa che predispone all'instabilità e favorisce una filtrazione delle acque all'interno dei bacini non solo in senso verticale. La condizione morfologica non consentiva un appoggio laterale agli argini che hanno dovuto essere conformati a ferro di cavallo con la convessità rivolta verso valle (altro fattore di rischio). Fra l'altro, il rapporto sabbia/limo doveva essere tale da non permettere altre soluzioni di accrescimento. Era inoltre impossibile ampliare il bacino verso l'esterno e pertanto si è adottato il meno sicuro metodo "a monte" accrescendolo notevolmente inaltezza e conferendogli forti pendenze per non esaurirne troppo rapidamente la capacità. Questi elementi erano evidenti a priori e non sono stati certamente ignorati ma semplicemente trascurati od occultati perché scomodi di fronte all'imperativo categorico del risparmio sui costi d'impianto e di gestione. Infatti Pozzole consentiva l'adduzione della torbida per caduta con un percorso di soli 200 metri circa.
La scelta quindi nasce dalle motivazioni di secondo ordine:

- bacino di decantazione a due passi dagli impianti di lavorazione;

- annullamento dei problemi di trasporto e di pompaggio;

- disponibilità di un'area a basso costo;

- facilità di approvvigionamento idrico.

Queste ragioni emergono chiaramente dagli atti processuali e dalla difesa Montedison.
In effetti lo smaltimento degli scarti e la "chiarificazione" delle acque di lavaggio (che è poi un primo livello di depurazione di acque chimicamente caricate dai tensioattivi) sono le maggiori voci passive per ogni impresa del genere e per questi processi di lavorazione. Qualunque riduzione di costi è guadagno netto ed è ovviamente accolta con la massima soddisfazione. Questo atteggiamento, di per se' non abbietto, lo diventa quando, trascurando coscientemente le altre condizioni, si precostituiscono gravi condizioni di rischio.

Sottolineamo che, in questo tipo di opere "autogene" che crescono di pari passo con il loro uso, l'interesse viene a cessare proprio al termine della costruzione, a differenza di altri manufatti come dighe, argini ed altre opere idrauliche che cominciano ad esplicare appieno la loro funzione solo allora e che quindi vanno attentamente curate e mantenute per lungo tempo.

Il progetto iniziale

Con le carenze ora citate si parte con un simulacro di progetto - il "progetto Rossi" - che prevede un'altezza massima dell'argine di 9 metri ed una geometria del bacino che avrebbe consentito una volumetria utile di poche decine di migliaia di metri cubi. In realtà, come dichiarato dallo stesso Rossi in interrogatorio, era già prevista fin d'allora un'espansione fino a 400.000 metri cubi che assolutamente il progetto iniziale (rimasto poi l'unico) non poteva supportare.

In ogni caso si trascura ogni indagine geognostica e geotecnica preliminare (nel '61 la materia era già ben sviluppata): sembra che una certa impresa Piombo dovesse farsene carico ma non si ha traccia di alcuna risultanza in merito. Il progettista prevede un nucleo - "arginello di base" - più resistente con una struttura a pettine in calcestruzzo: con una resistenza ai carichi di 0,2 kg/cmq, ben altri provvedimenti di consolidamento si sarebbero potuti adottare. Bisogna ammettere peraltro che questa struttura ha resistito al franamento essendo crollato il secondo bacino successivamente costruito più a monte.

Si trascura il drenaggio delle acque sorgive e non si predispongono apparati per il drenaggio dei limi né gronde per l'allontanamento delle acque di pendìo. Le bocche degli sfioratori captano solo una parte dell'acqua chiarificata e, per di più, vengono otturate ad ogni fase di innalzamento, mentre, attrezzate con filtri adatti, potrebbero continuare a funzionare come dreni sommersi.

L'argine viene progettato con un'inclinazione di 40 gradi in quanto il procedimento di ciclonatura comporta il semplice sversamento delle sabbie che assumono l'angolo di pendìo loro proprio, prossimo appunto a tale valore e circa coincidente con l'angolo d'attrito interno: il coefficiente di sicurezza quindi e a priori molto prossimo a 1. Non si prevede né si attua il costipamento del materiale che migliorerebbe le caratteristiche meccaniche del materiale stesso ma che interferirebbe con la ciclonatura e porterebbe oneri notevoli.

Come già detto, si adotta l'accrescimento "a monte", che è la tecnica meno affidabile, forse anche per la ridotta estensione dell'area acquisita a questo scopo. Per inciso, la parziale sovrapposizione delle sabbie ai limi in via di consolidazione può ingenerare assestamenti e cedimenti dell'argine stesso già minimizzato nel rapporto volumetrico con i limi che deve contenere.

Non si prevede l'installazione di attrezzature di controllo (piezometri, inclinometri, eec.).

Non si eseguono verifiche di stabilità né prima né dopo la costruzione, almeno fino al '75 con l'intervento dell'ing. Ghirardini.

Anche la gestione risente dei difetti di base: si prosegue con la ciclonatura a monte senza costipamento, non si impiegano drenaggi che favoriscano la consolidazione dei limi.

Gli scarichi degli sfioratori corrono sul fondo dove costituiscono delle discontinuità lungo le quali si possono concentrare le acque d'infiltrazione con effetti dannosi. Niente controlli, niente verifiche in corso d'opera indispensabili proprio nel caso di opera "autogena". Solo controlli a vista (sic!) da parte di personale non specializzato. Gli uffici pubblici competenti nell'arco di 24 anni non effettuano nemmeno quei sopralluoghi da cui avrebbero potuto forse notare:

- l'eccesso di pendenza delle scarpate;

- le forti quantità di acqua in gioco;

- l'aleatorietà della tecnica di costruzione.

Di fronte ad un'opera che rappresentava una "conquista tecnologica" proveniente dalla mitica America portata dall'esperto Rossi, non si è nemmeno risvegliata la "curiositas" di qualche tecnico, sia pure burocrate: eppure il Perna, ad esempio, curava nel 1964 l'imponente opera «L'industria mineraria nel Trentino-Alto Adige» in cui si parla di Prestavel. L'ing. Perna, oltre che esperto in materia di impianti minerari, è anche un appassionato cultore di scienze naturali certamente non privo degli strumenti intellettuali necessari.

Il bacino superiore

Con gli stessi criteri, ed anzi con maggior leggerezza tecnica, viene poi costruito il secondo bacino a monte del primo.

Il suo argine di base - di dimensioni molto ridotte e privo di quelle sia pur minime strutture di rinforzo che Rossi aveva adottato in precedenza - finirà per poggiare pericolosamente sui limi presenti in coda al bacino inferiore: questa sarà una delle concause più evidenti del crollo.

Esso nasce su queste premesse, senza nemmeno un "progetto" ufficiale come quello Rossi nel 1961. Dalle varie documentazioni interne Montedison-Fluormine si notano preoccupazioni esclusivamente finanziarie, tanto che l'arginello di base viene ridotto a circa 1/3 e non si adotta il costipamento pur indicato nelle specifiche tecniche dell'impresa Misconel (vedi memoria difensiva Mancini-Ricceri).

Inoltre, si inizia con il metodo di sopraelevazione centrale per poi tornare a quello 'a monte' quando ci si accorge che si è finiti sui limi del primo bacino (e che le sabbie disponibili non sono sufficienti per continuare con quella tecnica).

Non viene costruito il 'pettine' in cemento armato adottato dal Rossi per l'arginello inferiore nonostante che gli scavi effettuati da Misconel avessero dato dei problemi per presenza di acqua.

Non vi sono ripensamenti sulle pendenze degli argini fino all'intervento Ghirardini.

Le vicende dei due bacini, in questo periodo, non fanno storia. Tutto procede normalmente. Gli organismi di controllo si assuefanno alla routine fidandosi della proprietà transitiva: se il bacino 'A' ha funzionato finora ed 'A' è uguale a 'B', anche il bacino 'B' continuerà a funzionare.

Tutti fanno finta di non partecipare ad un gioco d'azzardo la cui posta sarà non già del denaro o un pugno di fagioli secchi, ma la vita di 269persone.

I controlli vengono omessi per evitare la previsione del pericolo.

La previsione dell'evento

Negli incartamenti che Calvino ha lasciato abbiamo trovato un appunto che riportiamo testualmente:

«Aver agito nonostante la previsione dell'evento è un'aggravante della colpa. Ma aver agito omettendo di raccogliere elementi di previsione non merita almeno di influire sull'aggravamento della pena? E' vero. Nel caso di Stava non fu scritto su una cartolina: 'che Dio ce la mandi buona'; non furono compiute diligenti e quotidiane misurazioni del progresso verso il disastro, come nel caso del Vajont. Nessuno apparentemente temeva. Tutti speravano. Anche il Garavana che perdette una figlia, come osserva il P.M. a pag. 57 della requisitoria, unico cenno alla previsione, per negarla.
Non vi fu progetto, né specifiche tecniche; non ci fu monitoraggio dei livelli d'acqua sotterranei dentro l'arginatura; il controllo a vista era pleonastico, perché una semplice crepa sarebbe stato l'inizio di una rapida fine, l'invito a tutto il fango trattenuto dalla crosta di sabbia ad erompere inarrestabilmente. Chi doveva prevedere non si vede contestata alcuna aggravante; chi doveva mettere gli imputati in condizione di non poter fare a meno di prevedere, cioè i dirigenti delle grosse società minerarie, tramite consulenze qualificate, non è neppure tra gli imputati. E' comodo 'non fare', in materia di sicurezza, con una giustizia così!
Eppure, quando si inizia a costruire un castello di carte, si sa già che non arriverà al soffitto; alla roulette russa è scontato, che prima o poi partirà il colpo fatale. Ma 'si spera', e si tira il grilletto a occhi chiusi
».
Per parte nostra, crediamo necessario aggiungere - e ritenere come base per tutte le considerazioni tecniche, morali, giuridiche e di merito che potranno venir fatte da chiunque - che non stiamo discutendo di un caso di pericolo imminente né stiamo ricercando o valutando le sue cause, la sua entità e le modalità con cui esso potrà concretizzarsi per attribuire a chi di dovere l'onere dei provvedimenti di sicurezza: stiamo invece discutendo di una catastrofe già accaduta, di frana ed inondazione procurate, di 269 vittime.

Questo deve esser tenuto ben presente in ogni passo di questa triste vicenda, in ogni virgola di ogni scritto, in ogni parola detta, in ogni pensiero prima di esprimerlo.

Sono state create condizioni di rischio elevato che si sono risolte in strage: questo è il fatto fondamentale indiscutibile.

Per interesse, ci si è posti al di fuori delle norme, anche di quelle dettate dal buon senso.

Le responsabilità devono giungere fino ai vertici amministrativi e finanziari delle aziende che decidono come mettere a frutto i loro capitali. La convenienza economica si gioca sempre anche sul contenimento dei costi da cui deriva il successo di un investimento che, in linea di principio, è un azzardo nel nostro sistema economico.
Perciò la proprietà costituisce una struttura amministrativa e tecnica atta a conseguire quel risultato. Di qui la scala gerarchica discendente cui, nei diversi gradi, spettano diverse competenze e responsabilità: ma queste ultime sono filiazione della prima e più importante, che si associa all'originaria decisione dell'azienda di porre in essere l'iniziativa.
Comunque, la struttura di un'impresa deve essere costituita da persone dotate del massimo di capacità nei rispettivi campi d'azione. Così, l'ingegnere o il perito minerario dirigente deve conoscere a menadito tutto ciò che concerne l'attività di miniera, ivi compresa la tecnica costruttiva di eventuali impianti di decantazione; è anche fatto obbligo di un aggiornamento continuo tecnico, gestionale e normativo.

Se ciò non avviene, imperizia, incapacità e incultura del dipendente fanno ancora risalire la responsabilità alla proprietà che non ha provveduto alla tempestiva sostituzione dell'inesperto, o al suo acculturamento, o all'ingaggio di un consulente esterno per affiancarlo.

Ciò vale soprattutto per Montedison-Fluormine, società di vasta esperienza che già da tempo operavano in campo minerario, ma vale altresì, in qualche misura, per Prealpi. Per quanto produttori di gelati, i Rota hanno avuto tanto discernimento da accumulare capitali che hanno poi ritenuto di arrischiare nell'attività mineraria e quindi si sono assunti la loro parte di responsabilità nei termini sopra citati. E non è attenuante il balletto della vendita 'chiavi in mano' di Prestavel, con tanto di dirigenti esperti come optionals, avvenuta sotto gi auspici del Distretto Minerario.

Gli specialisti esterni non sono stati consultati perché, senza alcun dubbio, avrebbero costretto la società a porre in essere provvedimenti per il miglioramento della sicurezza dei bacini - cosa certamente onerosa - ovvero a cessare l'attività. In ambedue i casi, le consulenze esterne si sarebbero risolte in mancato profitto o in costi che evidentemente le imprese non volevano sostenere. Di qui, l'affidamento ai dipendenti o ai collaterali, pur di grado elevato, di "controlli" e progetti peraltro inesistenti o insufficient!. Di qui, l'aggravante dell'omissione di previsione.

E' chiaro in ogni caso, che un dipendente, specie di una grande azienda, quale che sia il suo grado nella gerarchia, non ha solo come obiettivo l'interesse della "proprietà" ma anche il proprio in rapporto alle prospettive economiche e di carriera. E' facile quindi che scattino meccanismi di identificazione con la "proprietà" e di compiacenza nei suoi confronti, al punto, magari, di anticiparne desideri e bisogni risolvendo autonomamente problemi più o meno contingenti per alleggerire il grave peso dell'amministrazione di un'impresa. Quanto più la "proprietà" sarà sollevata dai fastidi quotidiani tanto più gradito sarà il dirigente e via scendendo nella gerarchia.

Ed ecco nascere anche motivi di convivenza o complicità allorché gli scopi del padrone diventano abbietti come il perseguire oltre ogni limite il profitto e il minor costo. Così, il dipendente giunge a omettere e a trascurare, anche se commette irregolarità e scorrettezze. Pur di compiacere i vertici dell'azienda, egli giunge a rimuovere ogni ostacolo. Una specie di concussione in famiglia.

In tale perversa spirale entrano da comprimari anche gli uffici pubblici cui competono le attività di controllo e di approvazione, con il dubbio che, oltre al "metus" nei confronti di aziende così potenti, giochino comportamenti e rapporti non precisamente legittimi.

Ancora il Rossi

Il primo progettista dei bacini tipo Prestavel 269 (con naturale riferimento al numero delle vittime) torna alla ribalta nel 1973 con l'articolo già citato nella Perizia Calvino pubblicato sulla rivista «L'industria minerana». In esso si dice tutto su quello che si dovrebbe fare e che lo stesso Rossi avrebbe dovuto fare nei 1961 nel progettare il primo bacino di Prestavel.
Le metodologìe esposte sono analoghe a quelle che si seguono normalmente nella progettazione di opere idrauliche in materiali sciolti. Prima di Prestavel egli aveva già conseguito il master alla "Colorado School of Mines" e senza dubbio conosceva la trattatistica mineraria e geotecnica che ora espone. L'articolo contiene alcune considerazioni molto importanti:

- l'elevata attitudine (delle sabbie) a formare canalicoli interni che indeboliscono gli argini e favoriscono i sifonamenti;

- la pericolosità del metodo "a monte";

- la necessità di controlli mediante piezometri;

- la difficoltà della costipazione (dovuta alla ciclonatura); - la grande facilità di congelamento, specialmente delle frazioni fini;

- l'attitudine del materiali alla "liquefazione";

- gli inconvenienti che, in località fredde, derivano dal congelamento delle acque nelle tubazioni di scarico.

Il Rossi, inoltre, rende noto che il nucleo del bacino inferiore aveva un volume di oltre 10.000 mc, molto maggiore di quello del bacino superiore risultato poi di 3.400 mc circa (difesa Fiorini, II-29): si comincia a capire perché è crollato per primo questo.

Un altro dato molto importante offertoci dal Rossi riguarda la presenza di fanghi ancora allo stato fluido da lui osservati nel 1962 in profondità nel bacino di Fenice Capanne, gemello di Prestavel.

Noi crediamo che l'articolo del 1973 rappresenti il vero schema di progetto di Prestavel, ovvero il completamento teorico a posteriori di quella parvenza di progetto esecutivo che erano le tre o quattro pagine di relazione e gli scarni disegni del 1961.

A nostro parere, già nel '62 Rossi aveva segnalato la questione di Fenice Capanne, senza risultato, cosicché, fra ripensamenti e premonizioni, undici anni dopo si decide a pubblicare tutto ciò su una rivista di importanza almeno nazionale che certamente non può sfuggire agli organismi competenti né ai responsabili dell'impianto.

Riteniamo che anche allora si sia realizzata la previsione della catastrofe.

Non a caso l'anno successivo, il 1974, nascono le prime preoccupazioni ufficiali che porteranno all'intervento dell'ing. Ghirardini, purtroppo senza esito positivo.

L'affare Ghirardini

Finalmente, a qualcuno viene qualche dubbio. In conseguenza dell'ennesima richiesta di ampliamento del bacino superiore, nel 1974 il Sindaco di Tésero chiede l'intervento del Distretto Minerario, il quale, una volta tanto, richiede delle verifiche di stabilità. A chi? Naturalmente alla stessa Fluormine che vuole l'ampliamento. Viene chiamato l'ing. Ghirardini, consulente di famiglia, esperto in impianti idroelettrici e competente «in fatto di stabilità di rilevati in terra» ma non di bacini di questo tipo (che differenza vi sia fra 'rilevati' e 'argini', nessuno può dire). Tuttavia, egli non si tira indietro e, con un solo sopralluogo, si rende conto dello stato di precarietà del bacino superiore e, in un promemoria alla sua committente Solmine, notifica il fatto e richiede alcuni saggi geotecnici sulla natura e consistenza del materiale, rilevazioni sull'andamento delle acque, sondaggi.

Risulteranno poi effettuate prove di taglio diretto, determinazioni di umidità, granulometria, grado di addensamento e permeabilità eseguite, chissà perché, su materiali provenienti dall'argine inferiore.

Ne deriva, alla fine, una lettera al Distretto Minerario dalla Fluormine titolata «Ampliamento dei bacini di decantazione - Relazione tecnica». Essa è stranamente priva di firma.

Contiene i risultati delle prove - ma mancano sondaggi e misure sulle acque - e due verifiche di stabilità che indicano coefficienti di sicurezza non certo elevati ma considerati accettabili (errore di lettura dei valori della tabella Brawner e Campbell: vedi Perizia Calvino). Vi si conclude con la nota frase «... appare come sussistano, con la dovuta cautela, le condizioni per eseguire il previsto sopralzo dell'arginatura superiore».

Malgrado questa sussistenza, viene suggerito di abbattere fortemente la pendenza dell'argine (dall'80% al 66% circa) e di creare una "berma" un gradone per arretrare l'argine - ad ulteriore riduzione della pendenza media totale. Questa improvvisa dimostrazione di sensibilità nei confronti di un problema ignorato da 15 anni rende perplessi sulle effettive motivazioni.

Ad esempio, con gli stessi parametri, Mancini e Ricceri per la Prealpi e gli stessi Periti d'Ufficio hanno trovato coefficienti di sicurezza anche inferiori all'unità: bastava considerare cerchi di scorrimento diversi. E' bene precisare che le verifiche di stabilità di scarpate artificiali come quelle vengono effettuate ipotizzando uno scorrimento rotazionale ed esaminando l'equilibrio secondo superfici approssimabili a quelle di cilindri con asse orizzontale disposto parallelamente alla scarpata. Normalmente si considera una "fetta" del cilindro di spessore unitario e la sua intersezione con il terreno avrà andamento circolare. Per approssimazioni successive, analizzando per tentativi l'equilibrio di cerchi aventi raggio e posizione diversi, si giunge alla determinazione di quel cerchio - detto «cerchio critico» - per il quale il coefficiente di sicurezza risulta minimo.

Usualmente, occorrono da 5 a 7 prove per avere un dato attendibile (vedi anche risposte dei periti d'ufficio durante il dibattito tecnico) se non si ricorre all'uso di calcolatori elettronici.

Invece, il Ghirardini presenta solo due prove con i coefficienti che conosciamo: il dubbio che siano stati occultati i dati meno rassicuranti è legittimo. Di fatto il Ghirardini si dichiara autore della parte di quella relazione anonima che comincia col paragrafo 4 (caratteristiche geotecniche ...) ed afferma di aver ricevuto ampie assicurazioni sul buon comportamento del materiale dai dirigenti della miniera.

Il Distretto Minerario (Currò Dossi) "gira" quello che è divenuto uno «studio di fattibilità» (non certo un progetto) a chi di dovere e salta fuori ancora una volta l'autorizzazione, la licenza definitiva di uccidere.

Non interviene alcun consulente esterno indipendente.

L'insieme di questi comportamenti e delle loro conseguenze è inquietante: è nostra convinzione che in quel momento, più ancora che in altri, si è avuta l'esatta percezione del rischio e la previsione della catastrofe.

L'enigma lessicale

Cosa sono in definitiva i bacini di Prestavel?

Si pretende che non siano dighe eppure, almeno temporaneamente, contengono un fluido col 95% di acqua.

Sono indubbiamente dei rilevati, almeno nella forma.
Sono delle discariche perché contengono materiali di scarto.

Sono anche impianti di depurazione - 'bacini di decantazione' - per la chiarificazione delle acque di lavaggio del minerale.

Quest'ultima definizione, che è esclusivamente funzionale, viene assunta come tecnica costruttiva fine a se stessa; si prende a prestito il 'metodo americano', adatto a regioni a bassa densità di popolazione, dove i rischi per cose e persone possono essere nulli e lo si applica a Stava, impiantando i bacini poche centinaia di metri a monte dell'abitato e a circa 100 metri di dislivello. Come si è visto, la tecnica è quella meno costosa e meno sicura: evidentemente si spera, con la solidificazione dei fanghi, di raggiungere rapidamente una condizione di sicurezza.

Altrettanto funzionale è la definizione di 'discarica'.

Nel concreto, essi sono sostanzialmente dei rilevati in materiali scioiti e incoerenti (sabbie) destinati a contenere inizialmente limi in miscela acquosa al 95%: in questo senso possono anche essere considerati manufatti idraulici affini agli argini fluviali ed alle dighe.

Perché si è preferito definirli 'bacini di decantazione'? Certamente non per ignoranza ma per convenienza economica:

- l'etichetta richiama un gesto pulito, benefico, catartico, che rende ben accetta l'operazione;

- la tecnica costruttiva dei rilevati (termine poco musicale e decisamente più "pesante") comporta, anche per rilevati non soggetti a sollecitazioni particolari, determinate cautele quali bontà del terreno di fondazione, costipamento, pendenze più ridotte, controllo delle acque; la normativa sulle dighe (sostantivo ancor meno rassicurante) era ed è ovviamente ben più complessa e restrittiva.

Perciò, ricorrendo ad un escamotage lessicale si aggira l'ostacolo e si rinnega anche l'originario termine americano "tailing dam" che significa letteralmente diga (di materiale) sterile (cioè priva del minerale già estratto).

============================= Lo sconforto dei soccorritori (foto)

Non a caso, il primo argine è stato inizialmente mantenuto al di sotto dei 10 metri di altezza e dei 100.000 metri cubi di capacità per non rischiare l'applicazione della 'normativa dighe' che avrebbe impedito anche l'adozione della convenientissima ciclonatura, poiché vieta l'uso di tecniche idrauliche per la costruzione dei rilevati.

In ogni caso, qualunque manufatto costituito da materiali sciolti va realizzato secondo i canoni della geotecnica (e del buon senso), canoni già definiti all'epoca della prima progettazione. Le sottili distinzioni fra rilevati di contenimento di limi consolidati o meno, dighe, impianti di decantazione, argini, discariche divengono fuorvianti se da queste discende una qualche differenziazione qualitativa delle responsabilità.

La destinazione dell'opera non esime da una progettazione accurata e completa e da un'esecuzione corretta che garantiscano insieme la massima sicurezza in rapporto ad ogni evenienza ed utilizzazione.

I nostri erano di fatto argini di contenimento di fanghi dispersi in acqua.
L'argine superiore è crollato perché ad un certo punto la sua resistenza meccanica è venuta meno per difetti d'origine (tecnica poco sicura, carenze progettuali) e di crescita (carenze esecutive, assenza di controlli). Dal franamento è derivata la morte di 269 persone. Poco importa ai fini della responsabilità quali fossero i motivi della creazione dei bacini o le norme fino allora aggirate.

La difesa tecnica del Fiorini (Montedison)

Confermiamo il giudizio positive sulla perizia d'ufficio condotta con estrema attenzione e competenza, pur tra mille difficoltà.

Fra le varie difese tecniche esamineremo qualche punto della difesa Fiorini (Montedison), la più importante e impegnativa per certe posizioni tecniche e di principio che, a nostro parere, sconfinano nel campo della pura arroganza, anche se non possiamo non riconoscere il diritto degli imputati ad essere sostenuti tecnicamente fino in fondo (purché la correttezza informi ogni passo compiuto). Le osservazioni e le contestazioni a questa difesa sono moltissime: in gran parte sono già state espresse durante il dibattimento fra i tecnici nel processo di primo grado.

Come premessa, neghiamo che la trattatistica sui rilevati e sulle dighe in terra nel 1961 fosse sporadica; lo era forse per i bacini di decantazione "inventati" in quegli anni, come prima si è visto. Nulla, tranne i costi, impediva di progettare dei normali rilevati o addirittura delle dighe.

Fin dalle prime pagine della memoria Marcello-Marchini-Noè-Tomiolo sorgono motivi di contestazione: ad esempio, tutte le considerazioni sulle acque di falda sottostanti i bacini e sulle acque contenute nei limi (parte I, pp. 7-20) confermano la loro presenza e testimoniano che i limi stessi potevano essere saturi (e fluidi) e che il drenaggio delle acque di falda poteva essere impedito dalla presenza stessa dei bacini con sviluppo di sottopressioni.

La conclusione, «dal punto di vista idrogeologico il sito scelto non presentava controindicazioni», è in antitesi con la realtà.

Circa la progettazione dei bacini, si esprimono valutazioni addirittura ridicole se non fossero tragiche. Parte I, pag. 30: «... le metodologie costruttive previste (del secondo bacino) ripetevano il procedimento seguito per l'innalzamento del bacino inferiore»; «...metodologie di innalzamento codificate, messe in pratica e rigorosamente controllate ...»; «Infatti, per Montedison la messa a dimora dei materiali sterili è rigorosamente connessa all'impiego del ciclone ...». Ecco il dogma Montedison. Ecco il nocciolo del problema. Ma non si era detto che mancava una normativa tecnica specifica?

Alla pagina 61, sempre della prima parte della loro memoria difensiva, i consulenti Montedison danno una dimostrazione della loro levatura: essi affermano il falso allorché fanno dire a Terzaghi e Peck, luminari della geotecnica, che il metodo di "compattazione ad acqua" (che loro pretendono venga attuato con la ciclonatura) è uno dei più validi per il costipamento dei terreni incoerenti. E' vero esattamente il contrario: nel testo integrale da loro stessi citato (Geotecnica, UTET 1975) si dice che la compattazione per irrigazione «... è comunque molto meno efficace delle vibrazioni ...» cosicché «... non si può che sconsigliarne l'adozione».

Questo l'atteggiamento dei consulenti di parte Montedison.
Questa l'impostazione della difesa. Questa l'arroganza.

Per inciso, lo stesso Terzaghi, nella prefazione alla prima edizione dell'opera citata, dice: «Quando non sia possibile determinare il comportamento del terreno in linea preventiva, sarà necessario osservarlo durante la costruzione e modificare il progetto di conseguenza. Questi concetti non possono essere ignorati senza tradire completamente le finalità della geotecnica ...». Questa la trattatistica!

Un'altra perla (prima parte, pag. 63): «gli operai addetti al bacino dovevano passare sul paramento esterno dell'argine ... Ciò comportava un parziale rimaneggiamento del materiale più superficiale, e comunque richiedeva che l'argine fosse non solo al di là del limite di equilibrio, ma anche in grado di sostenere il peso delle persone, cioè un sovraccarico».
Che dire, di questa delizia tecnico-umoristica? Dunque, per Montedison il peso di un uomo costituisce discriminante fra stato di equilibrio e condizione di instabilità; dunque per Montedison gli operai erano le cavie da utilizzare per verificare il coefficiente di sicurezza!

Parte seconda, pagine 3 e seguenti: la ricostruzione della geometria dei bacini tende a mettere in dubbio la sovrapposizione del secondo ai limi del primo. Ogni pretesa "dimostrazione" cade di fronte alle riprese fotografiche, ai rilievi topografici precedenti al crollo ed agli stessi disegni "progettuali" Montedison-Fluormine in atti.

Ancora una presa in giro circa il «primo progetto del rilevato del bacino superiore" (parte seconda, pag. 18): «Va rilevato che, all'epoca, il metodo in sè era visto più come una procedura industriale ben nota ed accettata che come un'opera da progettare in senso costruttivo». Dunque, la scienza delle costruzioni e la geotecnica devono abdicare di fronte alla procedura industriale. Dunque anche i progetti sono inutili perché la procedura industriale - o meglio l'interesse economico - impone la ciclonatura e tutto ciò che ha portato passo passo alla catastrofe. Questa, è la vera natura dell'operazione Montedison! Questo il "codice", queste le "specifiche costruttive".

Infatti (parte seconda, pag. 26) «il bacino superiore rappresentò quindi soltanto l'estensione di quello inferiore in termini di volume di invaso disponibile, essendo venute a mancare aree disponibili per la naturale espansione del bacino inferiore stesso». Esattamente come abbiamo già osservato in precedenza: ma le aree di "naturale" espansione non c'erano mai state. Ogni considerazione sulla bontà del sito viene messa da parte.

Ci spiace insistere sulla sfacciataggine dei consulenti Montedison: (parte seconda, pag. 29) circa l'argine di base del secondo bacino di cui già abbiamo parlato, va osservata l'annotazione a matita riportata ... Tale annotazione dice:

totale mc sbancamento - 6.106,0

totale mc discarica - 2.697,5

totale mc riporto - 3.408,5

«Il significato di questa annotazione ... sono indicati quanti metri cubi sono stati impiegati per la costruzione del rilevato e quanti sono stati avviati alla discarica evidentemente perché inadatti alla funzione drenante attribuita all'argine di base. Ciò testimonia che il materiale fu selezionato con cura in funzione delle esigenze di qualità costruttiva richiesta: si tratta di un semplice (ma significativo) esempio di come, a garanzia di qualità, la Montedison non si ponesse il problema delle spese, come dimostra il trasporto a discarica dei materiali anziche il più comodo e meno oneroso accumulo sul posto. La cosa certifica sia la sensibilità ai problemi connessi alla delicatezza della costruzione, sia la priorità delle motivazioni tecniche rispetto a questioni di economia spicciola».

Certo! L'arginello di base viene ridotto a 3.400 mc rispetto ai 10.000 di quello del bacino inferiore perché i 2.697,5 mc già portati a discarica avevano "svuotato" le casse Montedison! Altro che 'sensibilità'. Inoltre, si erano accorti che il materiale cavato in loco era del tutto inadatto e, non volendo importarlo da poco più distante, hanno chiuso la faccenda in quel modo. Una vera farsa.

Ancora (parte terza, pag. 5): «... si può escludere che vi fossero limi non consolidati o allo stato semifluido». E un'affermazione gratuita che non corrisponde a realtà (si vedano i contenuti d'acqua dei materiali prelevati in sito riscontrati dai periti d'ufficio costantemente prossimi o superiori ai limiti di liquidità di Atterberg).

Parte terza, pag. 15: dato che la consolidazione avviene con diminuzione dei vuoti, la sola «tendenza alla diminuzione dell'indice dei vuoti con la profondità con eccezioni» in luogo di una costante e marcata diminuzione, evidenzia la labilità dello stato di consolidazione dei limi.

Anche tutta la ricostruzione delle caratteristiche geotecniche dei materiali, la loro interpretazione ed utilizzazione da parte dei periti d'ufficio sono gravemente affette da errore, secondo i consulenti Montedison, tanto da concluderne che i coefficienti di sicurezza calcolati sono nettamenti sottostimati (parte terza, pag. 32). Ma essi non riusciranno mai a dimostrare che i bacini erano stabili, visto che sono crollati, così come non potevano evidentemente farlo i periti d'ufficio.

Analoghe contestazioni vengono espresse nella parte quarta della difesa tecnica Montedison, ma ci si può facilmente accorgere che viene costruito un castello di affermazioni apodittiche che, via via, assumono l'aspetto di verità inoppugnabili.

I consulenti Montedison fingono di non sapere che le verifiche di stabilità a posteriori si devono eseguire in rapporto a diverse condizioni evidentemente sfavorevoli alla stabilità per definire quale sia stato il meccanismo più realistico del dissesto, visto che il dissesto c'è stato. E' ovvio che, se si utilizzano solo parametri favorevoli, il risultato non può che dar ragione a Montedison contraddicendo però la tragica verità. I periti d'ufficio hanno correttamente valutato la situazione ed introdotto ipotesi del tutto verosimili. Semmai, essi hanno usato parametri pur sempre largheggianti poiché tutti i dati geotecnici sono stati rilevati dai materiali non coinvolti nella frana e quindi dotati di migliori caratteristiche.
In mancanza di elementi, essi hanno ad esempio tralasciato di valutare l'influenza della filtrazione lungo un circuito idraulico esterno incidente sulla base dell'argine superiore e la possibilità di superamento del gradiente idraulico critico o l'indebolimento dell'argine stesso per fenomeni di sifonamento al suo interno.

Insomma, per la difesa Montedison la frana dei bacini di Stava non c'é stata e i 269 sono morti di raffreddore.

E dire che almeno la toponomastica né ha avuto qualche riflesso positivo.
Nella carta fotogrammetrica a scala 1:5.000 del 1983 appare per la prima volta l'indicazione "bacini ecologici" che consacra l'operazione e la consegna alla Storia.
Sarebbe interessante comporre su una carta d'Italia tutte le località dove sono accaduti disastri ecologici o catastrofi firmate Montedison.

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Un tempo, leggevi queste cose e ti trovavi su www.vajont.org.
Poi sbucarono - e vennero avanti - i delinquenti, naturalmente quelli istituzionali ....

  


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Fortogna:
nella foto sotto, il *Giardino delle bestemmie* attuale, un fal$o TOTALE dal 2004: un falso storico, fattuale, e ASSOLUTAMENTE IMMORALE da 3,5 mln di Euro. Un FALSO TOTALE e oggettivo - a cominciare dai FALSI cippi «in marmo di Carrara» - targato *sindaco De Cesero Pierluigi/Comune di Longarone 2004*.
Oggi questo farlocco e osceno «Monumento/sacrario» in località S. Martino di Fortogna riproduce fedelmente in pianta e in miniatura, come un parco "Italia" di Viserbella di Rimini, il campo "B" del lager nazista di Auschwitz/Birkenau. Fantastico, no? ed e' la verita' verificabile ma se solo ti azzardi a dirlo o far notare le coincidenze, sono guai. $eri. Perché... qui in Italia, e soprattutto in luoghi di metàstasi sociale e interessi inconfessabili come la Longarone 'babba' ... «la Verità si può anche dire. Ma però che non ci sia nessuno che l'ascolti (o legga!)»

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Ma tutto deve andare come da copione, in Longar-Corleone. Dal dicembre del 1964 qui è così: lo mise nero su bianco gente colle spalle ben più larghe delle mie, e in tempi non sospetti:

«E' quasi come in Sicilia, mi creda; a Longarone si configurano gli elementi tipici della mafia. Non è questione di partito 'A', o 'B'; c'è un determinato giro fatto di poche persone all'interno del quale non entra nessuno. Il potere è in mano a costoro, cinque o sei persone a Longarone, e poi qualche diramazione fuori, cioè altre persone nei posti giusti, perché un sistema del genere non può sopravvivere se non c'è corruzione».
Fonte: Giampaolo Pansa, sul Corriere della Sera del 9 ottobre 1973; sta riportato sul libro della Lucia Vastano. LIBRO CONSIGLIATISSIMO.

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