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di Floriano Calvino, Sandro Nosengo, Giovanni Bassi, Vanni Ceola, Paolo Berti, Francesco Borasi, Rita Farinelli, Lorenza Cescatti, Sandro Gamberini, Sandro Canestrini

Un processo alla speculazione industriale

La strage di STAVA

negli interventi della parte civile alternativa
Edizione a cura del Collegio di difesa di parte civile alternativa
© Trento, 1989

Alla memoria di 269 vittime
della speculazione e dello
sfruttamento insensato del territorio
e alla memoria di Floriano Calvino
che - dalla parte delle vittime,
come sempre - si schierò,
con intelligenza e con amore.

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INDICE

Presentazione - pag. 5

Premessa - pag. 9

LA PERIZIA DI PARTE CIVILE, di Floriano Calvino 15

CONSIDERAZIONI TECNICHE DOPO IL PROCESSO DI PRIMO GRADO, di Sandro Nosengo e Giovanni Bassi - 29

LE COLPE DEGLI IMPUTATI, di Vanni Ceola - 49

LA MONTEDISON: SUPERFICIALITA' E PROFITTO, di Paolo Berti - 75

IL SONNO DELLA RAGIONE HA DISTRUTTO STAVA, di Francesco Borasi - 89

I ROTA: DAI GELATI ALLE MINIERE, di Rita Farinelli - 113

LE OMISSIONI DI CURRO' DOSSI E PERNA, di Lorenza Cescatti - 129

IL RUOLO DEL DISTRETTO MINERARIO, di Sandro Gamberini - 143

DAL VAJONT A STAVA: LA MONTEDISON NON E' CAMBIATA, di Sandro Canestrini - 161

APPENDICE I

Dalla relazione della Commissione tecnico-amministrativa di inchiesta nominata dal Consiglio dei ministri - 179

APPENDICE II

Dall'articolo: «I bacini di decantazione dei rifiuti degli impianti di trattamento dei minerali» del prof. Giovanni Rossi (Industria Mineraria, nn. 10 e 11, 1973) - 193

Appendice I

DALLA RELAZIONE DELLA COMMISSIONE TECNICO-AMMINISTRATIVA DI INCHIESTA NOMINATA DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Le cause del disastro di Tésero

Una sommaria osservazione della morfologià della località su cui sorgevano i bacini di decantazione della miniera di Prestavel, indipendentemente da ogni considerazione attinente l'iml'atto ambientale di tali strutture, dà l'immediata convinzione che ubicazione meno adatta per i bacini in questione non poteva essere trovata.

Oggi, a tragedia avvenuta, riesce difficile spiegare come mai, all'atto della scelta del sito più idoneo dove allocare le vasche di decantazione nessuno abbia dato alcun peso all'enorme pericolo potenziale costituito dal contenuto fangoso di tali vasche, poste in zona a pendio e ad una quota di oltre cento metri più elevata rispetto ad un fondovalle sede di numerosi insediamenti residenziali e turistici.

Un errore di localizzazione cosi macroscopico può trovare giustificazione soltanto nella scarsa considerazione generate che all'epoca il mondo della produzione e quello proposto alla gestione del territorio mostravano verso i problemi della salvaguardia dell'ambiente e della sicurezza civile.

Si vuole con ciò affermare che, anche se l'opera fosse stata realizzata secondo rigorose regole dell'ingegneria - e così non avvenne come vedremo - la previsione che il suo sempre ipotizzabile collasso avrebbe potuto causare una immane catastrofe in relazione al non elevato livello di sicurezza statica che bacini del genere possono garantire, ne avrebbe dovuto sconsigliare la costruzione.

Queste considerazioni dovevano essere tenute nel debito conto non solo nella fase iniziale della costruzione dell'opera ma soprattutto quando si trattò di ampliare la capacità della vasca e si pen so di farne una seconda, sovrapposta a quella inferiore.

All'epoca della costruzione del secondo bacino erano stati già divulgati dalla stampa tecnica e scientifica del settore i risultati di studi effettuati in occasione di alcuni disastri verificatisi in opere analoghe in altri Paesi del mondo ed inoltre erano già stati dati suggerimenti per più rigorose procedure di progettazione, costruzione e controllo dei bacini di decantazione a servizio di miniere.

All'atto della costruzione del bacino superiore esistevano quindi tutti gli elementi che avrebbero dovuto indurre a ricercare una soluzione diversa ed a non utilizzare l'area prescelta.

Ma indipendentemente dalle considerazioni sopra esposte ed anche volendo trascurare il vincolo territoriale - che pur doveva essere tenuto presente - dovevano quanto meno essere adottati dai soggetti interessati alla realizzazione dell'opera criteri ispirati alla massima prudenza avvalendosi delle conoscenze più aggiornate esistenti all'epoca nel campo delle costruzioni in terra.

L'opera di cui si discute non ricadrebbe nella categoria delle dighe in materiali sciolti qualora venisse accolta un'interpretazione restrittiva della normativa in proposito vigente nella legislazione italiana.

In ogni caso, dal momento che in Italla già all'epoca esisteva una normativa tecnica molto accurata che regolava la progettazione di dighe in materiali sciolti, sarebbe stato quanto meno opportuno che ad essa si fosse fatto riferimento nella costruzione dell'opera considerando la stretta analogià sia del tipo di struttura da realizzare che dell'entita dei danni che in caso di collasso si sarebbero potuti determinare.

Ciò a maggior ragione ove si consideri che la fondatezza di tale interpretazione restrittiva può anche apparire discutibile. Infatti è da porre in luce che opere di contenimento di fluidi, non costituenti sbarramento di corsi d'acqua o comunque nelle quail l'effetto di sbarramento era insignificante, risultano in concreto essere state assoggettate alla disciplina dettata per le dighe.
Si citano quali esempi gli impianti di riaccumulazione ENEL di Edolo o di Piani di Cesima.

E' stata invece seguita una logica - peraltro anch'essa condannabile - normalmente adottata nei casi di gran lunga meno pericolosi di bacini di decantazione, al servizio di miniere, costruiti in territori pianeggianti o quasi, situati lontano da insediamenti urbani, dove il crollo di strutture del genere può comportare soltanto danni materiali.

Anche se la tradizione dell'ingegneria mineraria porta ad adottare coefficienti di sicurezza inferiori a quelli usati dagli ingegneri civili, quelli relativi agli argini di Prestavel erano tanto bassi da non pote essere accettati ed in ogni caso la loro adozione avrebbe dovuto comportare a titolo precauzionale, indispensabili provvedimenti di salvaguardia degli abitanti di valle.

Cenni sulle norme di progettazione costruzione e controllo dei rilevati in terra

Premesso quanto sopra la Commissione ritiene di non dover procedere al confronto tra le caratteristiche dell'opera e le prescrizioni specifiche della normativa dighe, ma non può esimersi dal rilevare che la costruzione stessa appare singolarmente carente sotto numerosi aspetti, siano o meno consacrati in regole giuridiche. Infatti la costruzione di rilevati dell'altezza di qualche metro che, ricadendo in territon di alto valore economico e sociale, devono garantire un grado di sicurezza globale pressoché assoluto (probabilità bassissima, quasi nulla, che si verifichi un collasso) comporta durante l'esecuzione l'applicazione di regole, dettate dalla moderna scienza geotecnica.

Fra tali regole rivestono particolare importanza le seguenti:

a) eliminazione della parte superficiale di terreno fino a raggiungere uno strato roccioso impermeabile di sufficiente spessore nel quale ammorsare il rilevato al fine di assicurare la tenuta in fondazione dell'opera.
Nel caso gli strati rocciosi si rinvengano a profondità eccessive, si può fondare l'opera - sempre dopo l'eliminazione dello strato superficiale sui terreni permeabili di base provvedendo però con opportuni accorgimenti tecnici (diaframmi, iniezioni impermeabilizzanti, manto impermeabile situato sul fondo del bacino) ad allungare i percorsi di filtrazione sotto l'opera; potrà così essere evitata l'asportazione di materiale con conseguente formazione di "crateri" in corrispondenza dell'unghia di valle pericolosissimi per la stabilità dell'opera.

b) Costruzione di un filtro in materiale di opportuno assortimento granulometrico per evitarne l'intasamento, da situare al piede del manufatto in corrispondenza del paramento di valle, col fine di drenare le acque permeate attraverso il corpo diga ed evitare nel contempo l'insorgere del fenomeno di erosione interna che può comportare la distruzione, talora rapida, della struttura.

c) Disposizione di ulteriori filtri di drenaggio nel corpo della struttura, proseguiti a tappeto alla base fino a collegarsi al filtro di valle sempre al fine di drenare l'acqua in modo che non affiori sul paramento di valle evitando in tal modo la creazione di 'fontanazzl'.
Si fa notare che l'assenza di acqua dal corpo del rilevato evita oltre ai già citati fenomeni di erosione e sifonamento anche la formazione di pressioni neutre all'interno della struttura, la cui presenza aggrava notevolmente le condizioni di stabilità della medesima.

d) Costruzione del rilevato per strati successivi dello spessore di alcune decine di centimetri (20-50 cm) ciascuno dei quali deve essere costipato con l'uso di appropriati mezzi meccanici e continuamente bagnato con un quantitativo di acqua idoneo (umidità ottima) al fine di far raggiungere il massimo addensamento del materiale.
L'addensamento del materiale che si ottiene con la costipazione (praticata fin nelle opere antiche) diminuisce la permeabilita ed aumenta la resistenza limite. Per mettere nel giusto rilievo l'importanza di una siffatta tecnica costruttiva si ricorda quanto già riferito in precedenza e cioè che la normativa dighe vigente fa divieto di utilizzare nella costruzione degli sbarramenti in materiale sciolto sistemi idraulici o semidraulici, consistenti in pratica nel trasporto e posa in opera dei materiali a mezzo di condotte previa eventuale fluidificazione.

e) Il rilevato non deve essere attraversato da manufatti di qualsiasi natura, tubazioni comprese, considerata la grande difficoltà di assicurare la perfetta tenuta in corrispondenza di tali attraversamenti e l'impossibilita, quindi, di evitare ivi la formazione di vie di acqua preferenziali in grado di trascinare i granuli del materiale costituente il rilevato.

Le opere in terra del genere che stiamo analizzando nella pratica dell'ingegneria civile sono di due tipi: un primo in cui non ha importanza l'impermeabilità dell'opera ai fini della conservazione dell'acqua; si tratta di rilevati in materiali sciolti di tipo drenante che si avvicinano abbastanza al tipo di argine realizzato a Prestavel per i bacini di decantazione; in tali argini, che in genere non superano la decina di metri, vengono osservate tutte le regole prima accennate. La stabilità dell'opera è quindi garantita essenzialmente da un'opportuna scelta e stabilizzazione dei materiali e dall'esistenza di un filtro adeguato ed efficiente al piede del rilevato che, agendo da richiamo, garantisce dal pericolo di un'emergenza dell'acqua di filtrazione in corrispondenza del paramento di valle.

Il secondo tipo, di maggiore impegno, per il quale continuano ovviamente a valere tutte le regole precedenti, viene ulteriormente impermeabilizzato o mettendo in opera sul paramento di monte un manto (calcestruzzo, lamiere d'acciaio, conglomerato bituminoso) o mediante la costruzione di un nucleo (limo-argilloso) all'interno del manufatto.
Per tutti i rilevati in terra valgono inoltre le seguenti norme:

1) il rilevato non deve in nessun caso essere tracimato dalle acque poiché le azioni erosive che tale fenomeno provoca darebbero luogo ad un progressivo dilavamento del paramento di valle e del piede del rilevato e, in definitiva, in breve tempo, alla sua distruzione. Il pericolo di tracimazione dell'argine viene evitato dotando l'invaso di opere di scarico superficiali, di solito libere, che entrano in funzione non appena il livello dell'acqua nel bacino supera una soglia preflssata scaricando nell'alveo di valle le portate in arrive al bacino.

2) Le caratteristiche geometriche del rilevato devono essere stabilite in base a calcoli di stabilità che prendano in considerazione le azioni esterne più pericolose, anche se poco probabili, quali si verificano caso di rottura del manto impermeabile di monte.
Prudenzialmente si ipotizza inoltre che contemporaneamente si verifichi il rapido svuotamento della vasca, sicché il rilevato rimane completamente impregnato di acqua, e quindi soggetto a pressione neutra, e nello stesso tempo sottratto alla spinta idrostatica che ha effetto stabilizzante nei riguardi del paramento di monte.

3) Nelle condizioni di massimo invaso deve essere poi verificato che non si inneschi il fenomeno del sifonamento ed infine nel caso di sisma che non si verifichi il fenomeno della liquefazione delle terre.

4) L'esecuzione dei calcoli sopraddetti comporta una campagna sistematica di misure geotecniche da effettuare in sito ed in laboratorio col fine di determinare alcuni parametri meccanici dei terreni di fondazione del rilevato.

Criteri di progettazione e di costruzione adottati per la realizzazione dei bacini della miniera di Prestavel

Dopo aver riassunto brevemente nel paragrafo precedente le principali norme da seguire nella progettazione o nella costruzione di rilevati di materiali sciolti di notevole altezza - quali erano gli argini dei bacini di decantazione della miniera di Prestavel - vediamo ora come i vari soggetti interessati in queste attività si siano comportati.

Cominciando dalla costruzione si riassumono di seguito le più evidenti inosservanze ai criteri generali prima enunciati:

a) Innanzitutto per quella parte degli argini fondati sui terreni naturali non si è proceduto, quanto meno per l'argine superiore, all'ammorsamento negli strati di roccia impermeabile di base né alla realizzazione di alcuna opera atta ad assicurare la tenuta delle fondazioni.

b) Mentre una cura particolare è stata posta dal progettista del primo bacino, nell'esecuzione del filtro drenante di base, eseguito con materiali sciolti e fascine, (vedi Rossi 1973) per l'argine superiore, le contraddittorie testimonianze e gli elementi emersi durante i sopralluoghi sembrano indicare chiaramente che si sia eseguita la costruzione sommaria e non progettata di un primo nucleo di materiale di fondazione che può certo essere considerato alla stessa stregua di un filtro efficiente destinato a durare nel tempo con possibilita di ispezione. Inoltre metodo di costruzione "a monte" adottato a Prestavel l'intero argine avanzava gradualmente verso monte poggiandosi costantemente sui limi da poco depositati nel bacino, limi che in tal modo venivano sempre più a costituire il vero terreno di fondazione delle progressive sopraelevazioni con il risultato che un'ipotetica superficle di scorrimento veniva a interessare sempre più all'interno depositi fangosi mal consolidati e mal drenati e, quindi, con resistenza al taglio praticamente nulla.

c) Gli argini erano attraversati dai condotti dello scarico di superficie dei bacini col rischio già evidenziato di provocare infiltrazioni di acqua. E poiché infiltrazioni nel corpo dell'opera si sono di fatto verificate, potrebbero essere messi in relazione a tali attraversamenti i fenomeni di sifonamento dell'argine superiore sicuramente rilevati anche nel 1985 in corrispondenza della spalla destra.

d) A quanto risulta la costruzione dei rilevati è avvenuta con metodo idraulico, anche alternato alla posa in opera dei terreni con pala meccanica; tale modo di procedere non consente di ottenere per il materiale costituente il corpo arginale il raggiungimento di valori appropriati dei parametri meccanici; inoltre esso non ha consentito di raggiungere per il manufatto caratteristiche di resistenza omogenee.
Probabilmente solo gli strati più bassi del rilevato avranno potuto raggiungere col passare del tempo un livello di consolidamento confrontabile con quello che l'utilizzazione di mezzi meccanici costipanti consente di ottenere già durante la fase di costruzione del rilevato.
E' da aggiungere che nella pratica mineraria di posa in opera dei materiali una certa impermeabilizzazione del paramento di monte viene assicurata dalla formazione del "delta" o "spiaggia" di cui si è già detto, costituito da materiali fini che forma una fascia continua, tra l'argine e il bacino, di materiale limo-argilloso. In realtà a Prestavel l'uso del ciclone fisso, soprattutto negli ultimi anni, e l'utilizzazione di pale meccaniche per il rialzo degli argini impediva anche questa forma elementare di impermeabilizzazione del paramento di monte, che riduce le portate filtranti.

e) La pendenza dei paramenti di valle e di monte era tale da non garantire la stabilità dell'opera. I valori di tali pendenze erano superiori anche a quelli che il regolamento dighe del 1959 (in vigore fino al 1982) prevedeva in sede di progettazione di massima dell'opera.
Infatti tale regolamento fissava per rilevati compresi tra 15 e 30 metri di altezza la pendenza di 1 di altezza per 2,5 di base per il paramento di monte e di 1 di altezza per 2 di base per quello di valle. Per rilevati di altezza maggiore di 30 metri tali pendenze erano ancora più basse. Come già visto la pendenza del paramento di valle degli argini era invece mediamente di 1,5 di base per 1 di altezza. Nella parte recentemente sopraelevata del bacino superiore era addirittura pari ad 1/1.

La normativa vigente - che, come più volte visto, nel 1982 sostituì la precedente - non fissa limite alcuno per i parametri geometrici delle dighe salvo che per la larghezza in sommità che non deve essere inferiore al doppio del franco di coronamento, variabile con l'altezza dell'acqua. Nel caso in esame tale larghezza non sarebbe dovuta essere minore di 5 metri.

Chiaramente la preoccupazione degli estensori della normativa dighe e stata quella di fissare regole ispirate alla prudenza più estrema, attese le gravissime conseguenze che il collasso di tali opere può causare. Ed è per questa ragione che, soprattutto nella normativa vigente fino al 1982, erano fissate dimensioni minime per le dighe in terra al di sotto delle quali, anche se il calcolo avesse provato la stabilità dell'opera, non si sarebbe dovuto andare.

Nell'ultima edizione della normativa, per contro, vengono fissate modalità costruttive dell'opera e ipotesi rigorosissime di sollecitazione da assumere nelle verifiche di stabilità.

Pertanto, se si accetta il concetto di fondo che l'adozione di misure prudenziali equivalenti a quelle della normativa dighe non può essere trascurato da chiunque progetta, costruisce o gestisce opere di rischio equivalente, si deduce immediatamente che regole identiche o più restrittive dovevano essere adottate anche per i bacini della val di Stava.

Ed invece cosi non fu anche nei riguardi delle dimensioni degli argini, nel fissare le quali si operò assegnando, come già riferito, pendenze del paramenti di monte e di valle (in particolare del bacino a quota maggiore) decisamente superiori a quelle or ora richiamate.

Foto - Alcuni imputati, gli avvocati, il pubblicoAlcuni imputati, gli avvocati, il pubblico

Si possono inoltre avanzare le seguenti ulteriori considerazioni.

(fotina pagina)

In altre parole le forze che si oppongono allo scorrimento e quindi al dissesto dell'opera risultano quasi uguali a quelle che lo generano (da rilevare che nella pratica dell'ingegneria civile tali coefficienti raramente scendono sotto 1,3).

Ma e da aggiungere che l'ipotesi di rilevato asciutto e assolutamente ottimistica nei riguardi della sicurezza. Essa prudenzialmente non dovrebbe essere presa in considerazione neppure nel caso in cui fossero realizzate opere idonee a garantire una buona impermeabilizzazione ed un perfetto drenaggio e fosse tenuta sotto costante controllo la loro efficacia come peraltro impone la normativa dighe. Ancora, anche nell'ipotesi di rilevato asciutto, nella verifica della stabilità degli argini si sarebbe dovuto tener conto del fatto che il materiale limoso di riempimento dell'invaso, a monte del rilevato, esercita spinte in quanto ancora imbibito d'acqua. Ciò non è stato fatto essendo probabilmente diffusa l'errata convinzione che tale materiale fosse completamente consolidato.

In realtà, già il semplice fatto che il materiale contenuto nel bacino sia defluito velocemente a valle per alcuni chilometri in occasione del disastro sotto forma di fango, prova che nell'invaso esso si trovava per lo più allo stato fluido o comunque di facile liquefazione.

L'ipotesi corrente presso i tecnici minerari locali che il materiale di riempimento dell'invaso si consolidasse rapidamente e, tra l'altro, in contraddizione con quella che il materiale subito a ridosso del paramento di monte fosse impermeabile poiché, com'è noto, i tempi di consolidazione sono strettamente legati ai tempi di filtrazione che dipendono dalle carattenstiche del materiale e dalla lunghezza dei percorsi di drenaggio.

Alla luce delle più recenti conoscenze un'ipotesi più realistica sarebbe stata quella, invece, di considerare il materiale di riempimento a monte e rilevato costituito da una fascia superficiale di materiale sovraconsolidata di spessore dell'ordine al massimo di qualche metro e per il resto materiale allo stato praticamente fluido.

I risultati delle prove di laboratorio e i parametri di resistenza al taglio adottati per le verifiche di stabilità nella relazione "Fluormine" (presentata in sede di istanza di ampliamento del bacino superiore nellott'ottobre 1975) sono accettabili per il materiale che costituiva i rilevati (è stato assunto C=0 e cosfi =35¡, in cui C è la coesione). Tali risultati però non sono verosimili per il materiale di riempimento dell'invaso (è stato assunto C=0 e cosfi =30¡) per il quale, essendo come già visto il materiale lontano dall'aver raggiunto lo stato di consolidamento, la resistenza al taglio risultava praticamente nulla, con tutte le conseguenze implicite e intuibili ai fini della stabilità. Ponendo, infatti, nei calcoli tali valori nulli dei parametri di resistenza; il coefficiente di sicurezza sarebbe risultato certamente <1. Si ricorda inoltre che, ammesso il mezzo omogeneo e il fondo impermeabile, in assenza del filtro, la linea freatica attraversa il paramento di valle quasi al piede e precisamente (Arredi, Costruzioni idrauliche, UTET, 1977) a 2,25 metri da questo misurati lungo la scarpata (1,26 metri in verticale), essendo l'inclinazione del paramento medesimo pari a 34¡.
Questo fenomeno è generalmente causa della formazione di "fontanazzi".

Nel nostro caso è però più che probabile che "fontanazzi" si siano formati anche a quote superiori dato che le permeabilità verticale ed orizzontale non erano sicuramente le stesse visto il diverso addensamento e la diversa composizione degli strati. Per evitare la formazione di tali "fontanazzi" sarebbero stati indispensabili filtri anche nel corpo diga collegati con il filtro al piede.

La mancanza di un adeguato ed efficiente sistema drenante può quindi annoverarsi tra le cause che hanno favorito il crollo.

Si deve infine sottolineare che in una sabbia di quel tipo, satura e scarsamente addensata, si possono facilmente verificare per applicazione di azioni attive, rapide e ripetute, fenomeni di liquefazione. La sabbia da noi prelevata dall'argine di monte (tratto non crollato) era per l'appunto monogranulare satura e scarsamente addensata.
Anche l'azione dei mezzi meccanici che ultimamente transitavano sul coronamento dell'argine avrà avuto effetti indubbiamente negativi.

Conclusioni tecniche

Sulla base di quanto precedentemente esposto non può non sottolinearsi che gli argini di Prestavel erano in una condizione-limite di stabilità, privi cioè di quei margini di sicurezza sui quali in definitiva si basa l'affidabilità statica di qualsiasi opera di ingegneria civile. Né essi erano soggetti, a quel che risulta, a nessun sistema di controllo da parte di esperti consapevoli dei limiti intrinseci dell'opera e quindi del rischio che essa comportava, né era predisposta alcuna strumentazione di monitoraggio che potesse evidenziare segni premonitori di un imminente collasso come pure mancava ogni possibilità di ispezionare periodicamente i filtri di valle, la cui efficienza era destinata comunque a diminuire fino ad annullarsi nel tempo, con conseguenze facilmente intuibili.

In tali condizioni tutto l'impianto di decantazione costituiva un a continua minaccia incombente sulla vallata; e qualsiasi evento, come un sifonamento limitato, gli effetti del gelo e del disgelo, un dissesto parziale la tracimazione conseguente a precipitazioni di eccezionale intensità, l'azione vibrante di un mezzo meccanico, una scossa sismica anche di bassa magnitudo, qualche dissesto nei condotti di scarico, avrebbe potuto compromettere la stabilità degli argini e pertanto renderne inevitabile il crollo.

Fra gli eventi citati le scosse sismiche e le precipitazioni possono essere escluse come cause determinanti; invece quasi tutti gli altri sono avvenuti anche nell'arco di pochi mesi precedenti il crollo, provocando inconvenienti seri seppure, all'apparenza, non irreparabili, ma che avrebbero dovuto mettere in allarme coloro che gestivano gli impianti.

Ci si riferisce ai sifonamenti nel lato destro dell'argine superiore; alle rotture delle condotte di scarico sia della diga superiore (gelo) sia di quella inferiore; alle sollecitazioni provocate dai mezzi meccanici, che nell'ultimo mese hanno percorso il coronamento dell'argine superiore per trasporti di materiale e per l'ulteriore innalzamento dell'argine stesso.

Per quanto riguarda la dinamica del dissesto, in base ad una prima valutazione si ritiene come ipotesi più plausibile (convalidata anche dalla ricostruzione dei depositi e delle forme superficial! operata subito dopo il disastro) che il primo cedimento sia avvenuto nell'argine dell'invaso superiore, nel tratto terminale del fianco destro adiacente al tratto frontale e che l'abbondante fuoruscita di materiale abbia causato il dissesto della stessa parte frontale che, a sua volta, ha provocato la tracimazione e l'immediato crollo dell'argine del bacino inferiore.

In conclusione l'impianto è crollato essenzialmente perché progettato, costruito, gestito in modo da non offrire quei margini di sicurezza che la società civile si attende da opere che possono mettere a repentaglio l'esistenza di intere comunità umane. L'argine superiore, in particolare, era mal fondato, mal drenato, staticamente al limite. Non poteva che crollare alla minima modifica delle sue precarie condizioni di equilibrio.

Conclusioni giuridico-amministrative

Per quanto riguarda le prime conclusioni che è possibile trarre sul piano giuridico-amministrativo, esse possono accentrarsi sui seguenti punti:

1) il progetto originario di costruzione del primo bacino, pur non potendosi qualificare allo stato sicuramente legittimo e regolare l'iter che ha portato alla sua realizzazione, pur tuttavia appariva idoneo a consentire, con un ragionevole margine di sicurezza, la costruzione di un invaso dell'altezza e portata originariamente prevista; ciò anche se appariva necessario un periodico controllo dell'esercizio del bacino, soprattutto al fine di accertare il processo di consolidazione o meno dei fanghi e se la localizzazione del bacino fosse da ritenersi completamente infelice per le tragiche conseguenze che anche un ipoteticamente escluso collasso dell'impianto avrebbe determinato.

2) Nella fase successiva:

a) non sono stati effettuati periodici controlli e verifiche o perlomeno non sono stati effettuati con l'efficacia e accuratezza che sarebbero state assolutamente necessarie;

b) si è proceduto alla costruzione prima del secondo bacino poi dei due successivi ampliamenti di quest'ultimo senza un'idonea progettazione, senza osservare alcuna regola di buona costruzione, ne quelle normative connesse alla costruzione di dighe o di discariche in terra, ne quelle connesse alla buona tecnica di costruzione. Ne e derivato un manufatto privo di ogni garanzia di sicurezza e stabilità, in relazione alle cui caratteristiche, un'eventuale collasso, lungi dal costituire evento anomalo ed imprevedibile, era invece da considerarsi pressoché certo nel verificarsi anche se incerto nel termine;

c) non sono state interessate per un giudizio di validità sull'opera le autorità che pur avrebbero avuto competenza tecnica ad esprimere tale giudizio; e le Autorità interessate a diversi fini, non hanno sollevato il "doveroso dubbio" sull'efficacia progettuale e costruttiva dell'opera ne hanno ritenuto di richiedere specifica documentazione in merito.

3) Da parte delle Autorità preposte, risulta essere mancata ogni attività di sorveglianza degli impianti o di ispezione volta ad accertare l'esistenza degli impianti medesimi ai fini di una loro qualificazione e conseguente valutazione della disciplina applicabile. E' da notare che le attività di vigilanza, ispezione e sorveglianza, sono attività strumentali all'esercizio delle funzioni amministrative di competenza e devono svolgersi anche d'ufficio in difetto di specifica segnalazione da parte dell'interessato o di terzi.
Tale sorveglianza era tanto più necessaria ove si consideri che l'impianto è completamente andato modificandosi nelle sue caratteristiche fino a raggiungere le dimensioni ragguardevoli sussistenti all'atto del sinistro.
Ne tale sorveglianza poteva ritenersi collegata ad aspetti estranei allo specifico problema della stabilità dell'impianto. Non tanto perché i vizi di costruzione potessero essere rilevati 'prima facie' anche da un tecnico non avente competenza specifica sull'argomento, quanto invece perché rientrava nell'ambito delle competenze dei vari organi sia l'esame della regolarità della documentazione amministrativa sia la richiesta di informazioni e pareri su tale specifico aspetto. Tutte queste carenze ed omissioni hanno senza dubbio impedito che da un tempestivo accertamento dell'insicurezza dell'impianto, potessero trarsi le dovute conseguenze.

4) E' peraltro da notare la rilevanza che ha esercitato ai fini del verificarsi delle suddette omissioni, lo stato di incertezza normativa sulla materia. Riservandosi gli ulteriori dovuti approfondimenti, può rilevarsi che nessuna delle Autorità ed Uffici pubblici interessati sapeva con assoluta certezza a quale disciplina fossero soggetti gli impianti di Pozzole.
Questa incertezza è stata quindi causa non ultima dell'effettiva mancanza di intervento pubblico sui bacini. L'incertezza dei confini di applicazione di numerose norme costituisce dunque elemento rilevante per l'apprezzamento della vicenda. Così pure l'uso del potere discrezionale dell'organo pubblico può essere oggetto di sindacato nei limiti in cui il comportamento in concreto posto in essere appaia ingiustificatamente difforme, per negligenza o imperizia della condotta, che si sarebbe dovuta tenere, rispetto a un modello obiettivo di razionalità da identificarsi secondo i dati dell'esperienza amministrativa; difformità non giustificabile ed irrazionale che però, per gli elementi che la caratterizzano, deve essere chiaramente riconoscibile prima ancor della verificazione dell'evento dannoso.

5) Egualmente vanno apprezzate le carenze di organico e di coordinamento fra i vari Uffici pubblici interessati. Soprattutto ai fini dell'esercizio dei poteri ispettivi e di controllo è stato lamentato da più parti, probabilmente non senza ragione date anche le difficoltà connesse al passaggio di competenze alla Provincia autonoma, che né il Genio civile, né gli Uffici provinciali aventi competenze in materia di acque, opere pubbliche e foreste, né il Comune avessero un'organizzazione e una disponibilità di elementi idonea allo scopo; e ciò sotto il duplice profilo della scarsità di elementi disponibili e di assenza di elementi tecnici qualificati. Ne è risultata drasticamente sminuita l'efficacia dell'azione di coordinamento fra i vari Servizi ed Uffici statali e provinciali. Punto anche questo che necessita di ulteriore approfondimento e che in parte può porsi a spiegazione delle denunciate omissioni.
Per converso, le omissioni e carenze segnalate nell'azione dei pubblici Uffici non possono essere giustificate dal comportamento incredibilmente imprudente e negligente dei soggetti privati legittimati all'esercizio della miniera. Si tratta infatti di obblighi e doveri operanti su piani diversi che di regola non presentano reciproche interferenze se non quando l'inosservanza di uno di essi renda impossibile o inefficace l'osservanza dell'altra serle di doveri.
Situazione questa che non appare essersi verificata nel caso di specie, in cui l'ampiezza del lasso di tempo caratterizzata dalla situazione di pericolo, il carattere non riservato o clandestino delle iniziative costruttive della società concessionaria (la quale anzi sotto diversi profili non ha mancato di contattare alcune autorità pubbliche), la natura tecnicamente manifesta dei vizi dell'opera portano ad escludere che le gravi responsabilita imputabili alla concessionaria siano idonee ad incidere in maniera determinante sulle responsabilità connesse alle predette omissioni poste in essere dai pubblici Uffici.

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Fortogna:
nella foto sotto, il *Giardino delle bestemmie* attuale, un fal$o TOTALE dal 2004: un falso storico, fattuale, e ASSOLUTAMENTE IMMORALE da 3,5 mln di Euro. Un FALSO TOTALE e oggettivo - a cominciare dai FALSI cippi «in marmo di Carrara» - targato *sindaco De Cesero Pierluigi/Comune di Longarone 2004*.
Oggi questo farlocco e osceno «Monumento/sacrario» in località S. Martino di Fortogna riproduce fedelmente in pianta e in miniatura, come un parco "Italia" di Viserbella di Rimini, il campo "B" del lager nazista di Auschwitz/Birkenau. Fantastico, no? ed e' la verita' verificabile ma se solo ti azzardi a dirlo o far notare le coincidenze, sono guai. $eri. Perché... qui in Italia, e soprattutto in luoghi di metàstasi sociale e interessi inconfessabili come la Longarone 'babba' ... «la Verità si può anche dire. Ma però che non ci sia nessuno che l'ascolti (o legga!)»

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Ma tutto deve andare come da copione, in Longar-Corleone. Dal dicembre del 1964 qui è così: lo mise nero su bianco gente colle spalle ben più larghe delle mie, e in tempi non sospetti:

«E' quasi come in Sicilia, mi creda; a Longarone si configurano gli elementi tipici della mafia. Non è questione di partito 'A', o 'B'; c'è un determinato giro fatto di poche persone all'interno del quale non entra nessuno. Il potere è in mano a costoro, cinque o sei persone a Longarone, e poi qualche diramazione fuori, cioè altre persone nei posti giusti, perché un sistema del genere non può sopravvivere se non c'è corruzione».
Fonte: Giampaolo Pansa, sul Corriere della Sera del 9 ottobre 1973; sta riportato sul libro della Lucia Vastano. LIBRO CONSIGLIATISSIMO.

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