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di Floriano Calvino, Sandro Nosengo, Giovanni Bassi, Vanni Ceola, Paolo Berti, Francesco Borasi, Rita Farinelli, Lorenza Cescatti, Sandro Gamberini, Sandro Canestrini

Un processo alla speculazione industriale

La strage di STAVA

negli interventi della parte civile alternativa
Edizione a cura del Collegio di difesa di parte civile alternativa
© Trento, 1989

Alla memoria di 269 vittime
della speculazione e dello
sfruttamento insensato del territorio
e alla memoria di Floriano Calvino
che - dalla parte delle vittime,
come sempre - si schierò,
con intelligenza e con amore.

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INDICE

Presentazione - pag. 5

Premessa - pag. 9

LA PERIZIA DI PARTE CIVILE, di Floriano Calvino 15

CONSIDERAZIONI TECNICHE DOPO IL PROCESSO DI PRIMO GRADO, di Sandro Nosengo e Giovanni Bassi - 29

LE COLPE DEGLI IMPUTATI, di Vanni Ceola - 49

LA MONTEDISON: SUPERFICIALITA' E PROFITTO, di Paolo Berti - 75

IL SONNO DELLA RAGIONE HA DISTRUTTO STAVA, di Francesco Borasi - 89

I ROTA: DAI GELATI ALLE MINIERE, di Rita Farinelli - 113

LE OMISSIONI DI CURRO' DOSSI E PERNA, di Lorenza Cescatti - 129

IL RUOLO DEL DISTRETTO MINERARIO, di Sandro Gamberini - 143

DAL VAJONT A STAVA: LA MONTEDISON NON E' CAMBIATA, di Sandro Canestrini - 161

APPENDICE I

Dalla relazione della Commissione tecnico-amministrativa di inchiesta nominata dal Consiglio dei ministri - 179

APPENDICE II

Dall'articolo: «I bacini di decantazione dei rifiuti degli impianti di trattamento dei minerali» del prof. Giovanni Rossi (Industria Mineraria, nn. 10 e 11, 1973) - 193

Rita Farinelli

I ROTA: DAI GELATI ALLE MINIERE

La discussione sulla responsabilità penale della Prealpi non intende ovviamente affermare che solo al Rota, al Garavana e al Campedel debba essere ascritta la responsabilità della sciagura di Prestavel. Appare chiaro infatti dalla lettura degli atti e dall'esame dei fatti, così come ricostruiti attraverso le testimonianze e attraverso gli elaborati dei C.T.U., nonché con la limpida ed intelligente relazione peritale del prof. Calvino, perito di parte, attraverso interventi concisi, ma stringenti del prof. Nosengo, ed anche attraverso gli stessi elaborati dei consulenti di parte Prealpi, che, responsabile in primo luogo di quanto accaduto è la Montedison.

Dalla Montedison è partito il filo che ha collegato fatti, protagonisti e responsabilità della morte di 269 persone, della distruzione di tante esistenze e di tante esperienze e che ha causato tanti danni morali, materiali ed alla vita di relazione dei superstiti.

Affermando la responsabilità in primo luogo della Montedison nella causazione degli eventi, non è corretto ritenere però, così come nel disperato tentativo di offrire una difesa ai propri clienti fanno i consulenti di parte Mancini e Riccieri, che il filo che collega uomini e responsabilità non debba comprendere anche gli uomini che hanno prestato la propria attività per Prealpi o, e a maggiore ragione, (come vedremo per i motivi che verranno poi illustrati) l'uomo che della Prealpi fu l'amministratore e che di fatto ne condizionò scelte e comportamenti: si intende qui parlare di Giulio Rota.

Al quale Giulio Rota noi non attribuiremo la qualifica di "gelataio", che tanto abbiamo visto profondere nei suoi confronti a torto o a ragione.

E ciò non perché tale qualifica lo disturba, a giudicare almeno da quanto si legge nelle «Osservazioni sulla sentenza/ordinanza della Sezione Istruttoria della Corte d'Appello di Trento» dei consulenti Mancini e Riccieri del marzo1988. In tale atto si formulano «alcune considerazioni sul continuo riferimento al Rota "gelataio" ed alla sua "incultura"...».

Pur ribadendo che «il Rota manca di cultura tecnica specifica nel campo minerario», i consulenti tecnici della Prealpi giustificano tale fatto asserendo che «questo accade semplicemente perché per esercitare le funzioni di amministratore di una S.p.A. non è richiesto nessun titolo di studio, né una speciifica cultura tecnica, non essendo suo compito quello di progettare impianti, collaudare macchinari, ideare nuove tecnologie, verificare il funzionamento di macchine, verificare la stabilità delle strutture, controllare la produzione, ecc.».

Dato per pacifico detto fatto Mancini e Riccieri affermano ancora che «ci si deve chiedere se il Rota, o meglio la Prealpi, possiede o meno la capacità tecnica di gestire miniere».

La «capacità tecnica ed economica deve per legge essere verificata dalle autorità minerarie, come condizione a che la concessione mineraria venga accolta ed alla Prealpi venne ufficialmente riconosciuta».

Come dire che, con la concessione mineraria, si attribuisce agli amministratori della societa anche la qualifica di "capace tecnicamente", con un processo mentale e logico che è limitante definire forzato.

Ma, pur riconoscondo al Rota una capacità e una competenza specifica nel settore minerario, possiamo noi oggi convenire con il fastidio che questi prova nell'essere qualificato "gelataio", non occupandosi, egli, nella gestione della Prealpi, di gelati, ma finalizzando il suo intervento alla commercializzazione della fluorite.

Sarebbe stato più proprio ed esatto quindi definirlo semplicemente per quello che egli era ed è, "un imprenditore-commerciante", cioè un soggetto che investe del denaro nell'impresa e commercializza i beni per trarne un profitto.

La qualità di imprenditore-commerciante può essere ritenuta un titolo di merito. Questi sono stati, nei secoli, grandi viaggiatori, navigatori, mecenati, hanno finanziato studi e ricerche che hanno portato ad importanti scoperte tecniche o scientifiche. Alcuni.

Altri, spinti dalla smania di conseguire in ogni modo i maggiori profitti possibili, si sono mossi nella scelta e nella gestione delle imprese con un atteggiamento di grande superficialità ed incuranza di fronte ai rischi che con il proprio comportamento e le proprle scelte imprenditoriali ponevano in essere.

Foto - Il processo rinnova la disperazione dei parenti

A tale ultima categoria di imprenditori appartengono i Rota o, per meglio dire, Giulio Rota; il quale non ha esitato ad occuparsi di un'impresa per la quale, come egli stesso attraverso i suoi consulenti ammette non aveva e non ha alcuna cultura specifica, né alcuna preparazione, confidando semplicemente di poter ottenere, con la commercializzazione del prodotto, i massimi profitti con i minimi investimenti.

E' la logica del profitto che sottende tutto il comporlamento del Rota nella scelta di occuparsi di miniere; è la logica del profitto che lo ha portato a decidere di subentrare alla Fluormine nella gestione della miniera di Prestavel.

Profitto immediato, attraverso la gestione della miniera e la commercializzazione del prodotto, con i minimi costi possibili; profitto futuro, a seguito dell'esaurimento della miniera con il possibile riutilizzo del suolo.

Profitto immediato

La logica dei massimi profitti nella gestione, operando con i minimi investimenti ed i minimi costi è una logica, per la verità, che la Prealpi ha ereditato da chi i bacini aveva progettato e costruito. Il contenimento dei costi nella progettazione e costruzione era stata una precisa scelta della Montedison, la quale avrebbe potuto, impiegando solo una minima parte dei soldi che oggi è costretta a spendere per perizie e difensori, scegliere di avvalersi di tecnici idonei ad effettuare studi seri ed approfonditi per progettare e costruire i bacini.

Ma evidentemente la Montedison, tracciando la strada per le successive gestioni Fluormine e Prealpi, aveva ritenuto di non voler compromettere il profitto certo ed immediato con i costi di collaborazione di esperti qualificati.

Forse per evitare anche di dover sopportare poi ulteriori e nuovi costi per una diversa localizzazione del luogo ove costruire i bacini, per diverse prescrizioni in relazione alle modalità costruttive, per più accurate e approfondite modalità di controllo.

Dei bassissimi costi dei bacini di Prestavel il Rossi si fa un vanto, nell'articolo scritto nel 1973, ove, comparando i vari costi di installazioni analoghe, evidenzia il bassissimo costo sostenuto per i bacini di decantazione sul rio Stava.

Di certo nessun tecnico qualificato avrebbe potuto approvare la scelta del luogo ove costruire, per la presenza, in prossimità, di zone abitate; per la pendenza del luogo; per la presenza di acque emergenti; per l'assenza di spalle d'appoggio; per la mancanza di drenaggio sia in relazione alle acque superficiali che alle acque di decantazione.

Né alcun tecnico qualificato ed esperto avrebbe potuto suggerire come sicure le scelte (tecniche e di metodo) relative alla costruzione del bacino inferiore prima, scelte riprodotte acriticamente ed in modo peggiorativo per la costruzione del secondo bacino, poi. Scelte che, come abbiamo sentito dagli stessi consulenti della Prealpi, sono state dettate più dalla logica di conseguire un profitto, che dalla logica di ottenere maggior sicurezza.

Mancini e Riccieri, i consulenti di parte della Prealpi, hanno ribadito all'udienza del 16 maggio innanzi al Tribunale di Trento che il metodo "a monte" «è unanimemente riconosciuto come il più economico ma anche il meno affidabile quanto a stabilità, dato che le sopraelevazioni successive poggiano sui sedimenti più fini» (deposizione Mancini e Riccieri 16 maggio 1988) .

Foto - gli imputati della prealpi

I controlli

Né alcun tecnico avrebbe potuto riconoscere come corretto e sicuro il sistema dei controlli cosiddetti "a vista", introdotto dalla Montedison e prodotto poi dalla Fluormine e dalla Prealpi. Con detto metodo infatti non si può accertare se i limi non consolidano, né si può accertare lo stato dei condotti sotto gli argini, né si può valutare compiutamente l'incidenza dell'acqua di ruscellamento.

E' d'altronde lo stesso Rossi, che in gioventù e senza particolari esperienze, che costruì per la Montedison i bacini, nel suo citato articolo del 1973, indica espressamente le corrette modalità di controllo da adottare per i bacini di decantazione.

Il Rossi, a tal proposito, dice che i controlli di stabilità devono essere effettuati mediante:

1. rilevamenti topografici periodici dell'allineamento e dell'assestamento verticale;

2. misure della portata di affluente da trasudazione;

3. mediante piezometri.

Ma detti controlli sarebbero risultati tutti più costosi e più impegnativi dei controlli "a vista" introdotti dalla Montedison e perpetuati dalla Fluormine e dalla Prealpi: e perciò avrebbero compromesso parte del profltto realizzabile con la gestione della miniera e dei bacini.

Si e perciò pensato bene di continuare con i controlli "a vista" limitando detti controlli pressoché integralmente alla verifica del corretto funzionamento delle griglie di scarico, dei tubi di sfioro e dei cicloni.

Affermano infatti tutti i testi-dipendenti che era loro compito effettuare giri di controllo dei bacini ogni ora e mezzo - due ore, ma che i controlli venivano effettuati principalmente sugli sfiori, sui cicloni e sulle griglie.

Afferma Adelio Piazzi il 20 luglio 1985 al Pretore di Cavalese: «I bacini venivano controllati ogni ora oppure ogni due ore;... compito dell'ispezione è controllare gli sfiori, non gli argini». Ed ancora Adelio Piazzi al Tribunale, il 27 aprile 1988: «Controllavamo solo i cicloni su ordine del caposervizio; controllavamo su ordine solo i bacini, per tali intendo le griglle ed i cicloni».

Afferma Primo Caviola il 20 luglio 1985, innanzi al Pretore di Cavalese: «Controllavo i bacini ogni ora per un turno di 8 ore ... controllavo le griglie di scarico e qualsiasi altro guasto ai bacini».

Afferma Remigio Vinante, il 29 agosto 1985 al P.M. Simeoni: «La frequenza dei controlli era in relazione agli impegni di lavoro presso i rispettivi impianti di competenza ... avevo il compito di controllare solo le griglie».

Ed ancora Giuseppe Zeni, il 19 settembre 1985 al P.M.: «Vi furono controlli sporadici durante la gestione Prestavel Prealpi».

Questi controlli finalizzati alla verifica dell'esatto funzionamento delle parti meccaniche dei bacini (griglie, cicloni e sfiori), diminuirono durante i periodi in cui il ciclone non era in funzione.

Affermano infatti i testi che: «Una volta cessato l'uso del ciclone c'era stata una diminuzione quantitativa dei controlli» (deposizione al Tribunale 27 aprile 1988 Silvano Del Marcoo); «Ero spesso lì tutto il giorno e non ho visto nessuno che controllasse i bacini (Luigi Canal al P.M. il 17 agosto 1985); «In quel periodo rimpianto era fermo e perciò i controlli erano saltuari e ciò anche per disposizioni superiori. Ricordo anche che una volta il Garavana, vista la mia intenzione di fare un controllo e visto che lo avevo già effettuato in mattinata, mi disse che tale controllo era inutile» (Frizzer, al Tribunale 27 aprile 1988).

E' stata la logica del profltto facile sia nell'immediatezza che per il futuro, che ha determinato il Rota, e quindi la Prealpi, a decidere di subentrare alla Fluormine nella gestione di Prestavel. Sicuramente ha inciso su tale decisione il fatto che la Fluormine abbandonando la concessione, lasciava in essa anche tutti i macchinari ivi installati, che sarebbero poi passati in proprietà ai nuovi gestori.

Sicuramente ha inciso anche sulla decisione dei Rota di assumere la gestione di Prestavel, la possibilità di utilizzare i bacini di decantazione anche per altre operazioni non relative all'estrazione della fluorite dal miniera di Prestavel.

Il problema dello smaltimento dei rifiuti, come si sa, è un problema che preoccupa sempre più la nostra civiltà industriale: dopo che immani scempi sono stati perpetrati ai danni della collettività con conseguenze di distruzione del patrimonio ecologico, vi è una maggiore attenzione agli aspetti e alle conseguenze del degrado ambientale, naturale e faunistico che tutte le discariche comportano. Attenzione che, paradossalmente, è presente anche nell'intera vita dei bacini di Prestavel.

A più riprese si evidenzia negli atti che ciò che maggiormente verrà temuto dai gestori/proprietàri e dagli Amministratori pubblici era la possibilità dell'inquinamento della zona, attraverso un cattivo funzionamento dei bacini di decantazione; ciò che veniva richiesto dalla Forestale, dal Comune e dai funzionari della Provincia era il reinverdimento della scarpata, apparendo come fatto grave che per qualche tratto i bacini non fossero inerbati.

Si è visto, come tutti siano stati attenti ai rischi di una possibile tracimazione dei bacini, ed ai rischi dell'inquinamento delle acque nella zona del rio Stava (che peraltro risultavano ampiamente inquinate). Utilissimo appariva quindi poter utilizzare i bacini già esistenti per lo smaltimento di altri rifiuti minerari. Operazione peraltro largamente utilizzata dalla Prealpi con lo stipamento nei bacini di Prestavel di copioso materiale proveniente da altre miniere.

Smaltimento effettuato in larga misura visto che per poter consentire il transito ai camion che ai bacini trasportavano detti materiali, senza causare agli abitanti di Tesero disagi troppo gravosi, si è richiesto addirittura che venisse costruita una nuova strada: «in occasione di un voto espresso dal Consiglio comunale si manifestavano delle perplessità e delle preoccupazioni per il traffico intenso dei camion viaggianti da e per la miniera di Prestavel e che passavano per le strade strette del paese. Ricordo che in tale occasione venne uno dei fratelli Rota, mi pare il Giulio che parlando con il sindaco disse che si sarebbe interessato in Provincia a caldeggiare l'esecuzione dei lavori stradali al fine di dotare Tesero di una circonvallazione stradale» (Volcan Flavio al P.M. 4 settembre 1985).

Deposizione peraltro confermata in altri atti e dichiarazioni.

Il massimo sfruttamento dei bacini non poteva che risultare operazione altamente conveniente, visti i molteplici problemi che era necessario in ogni caso affrontare per lo smaltimento dei rifiuti minerari.

Profitto futuro

Ma i profitti potevano risultare anche dal futuro dei bacini. Quando cioè le aree da essi occupate si sarebbero liberate a seguito delFesaurita attività della miniera.

E' lo stesso Rossi, che nel suo studio del 1973 ci prospetta il problema e le possibilità del riutilizzo delle aree già occupate da bacini di decantazione, fornendoci addirittura delle soluzioni per il possibile recupero. I bacini di Prestavel avevano ed hanno una particolare caratteristica: si trovano inseriti in una zona a forte sviluppo turistico nella quale i valori dei terreni tendono a crescere in misura esponenziale.

Le aree quindi, occupate a prezzi stracciati, sarebbero divenute lucrosissime in un prossimo futuro, appena si fosse esaurito il loro utilizzo attuale ed ultimata una bonifica.
D'altronde lo stesso Rota ci fa intravvedere i programmi futuri avendo egli chiesto nell'anno 1985 una modifica della destinazione d'uso del terreno, limitata, è pur vero, alle sole aree dei capannoni («al momento di approvare le varianti al programma di fabbricazione comunale del 1984 fu discussa la richiesta dei fratelli Rota di inserire l'area dei capannoni della miniera nella zona industriale. Peraltro si decise di lasciare le cose come stavano» (Flavio Volcan al P.M., 9 settembre 1985).

Afferma Romano Poier al Pretore di Cavalese il 24 luglio 1985: «verso la fine di marzo di quest'anno in fine settimana, di sabato, mi sono recato a piedi sopra il bacino, percorrendo i prati che passavano vicino alla casa del mio collega Giuseppe Zeni che era posta ai piedi del bacino; andavo da quella parte per controllare lo stato della neve nella zona in quella particolare stagione perché c'era l'idea di studiare la possibilità di realizzare impianti da sci nella zona».

Insomma, si profilava un futuro lucroso per l'utilizzo dei terreni, terreni che con gli anni venivano occupati sempre in misura più vasta. E' noto infatti che i bacini si erano fino a quel momento ampliati allargandosi, fino ad occupare i terreni limitrofi.

Al momento del crollo, è altresì noto, un nuovo ampliamento era stato chiesto con la concessione ai titolari della miniera di ulteriori terreni, anche se appariva a tutti chiaro che la miniera non avrebbe avuto ancora una lunga vita e nonostante il fatto che la previsione di utilizzo dei bacini di decantazione fosse prossima alla scadenza: «Il minerale a Prestavel era in quantità tale da poter essere estratto ancora per un anno» (Campedel al P.M., 19 settembre 1985).

Ma il pianificare futuri sfruttamenti del suolo dei bacini e della miniera, di per sé, non sarebbe attività tale da comportare gravi colpe da addossare ai titolari della Prealpi che, come si è già detto, sono imprenditori commerciali.

Tecnici inidonei

Ben più pesanti e gravi sono invece le colpe di Giulio Rota. Egli infatti ha posto a capo della miniera due tecnici i quali erano indubbiamente inidonei a svolgere tali attività.

Ed infatti, se è pur vero che l'amministratore di una S.p.A. non deve essere depositario di particolare cultura tecnica, né deve avere fra i propri compiti e doveri quello di progettare impianti o quello di verificare la stabilità delle strutture, è anche indubitabilmente vero che se il suddetto amministratore riconosce e professa ignoranza in relazione alla materia trattata, egli dovrà dotare la propria impresa di personale tecnicamente esperto e capace di eseguire detti compiti, e di assolvere detti òneri.

La scelta del Rota fu di far ricoprire i posti di vertice della miniera a Garavana e Campedel, i quali, indipendentemente dal titolo di studio conseguito, erano evidentemente inidonei a ricoprire i posti loro affidati. Tale affermazione ci sentiamo di farla sulla base del semplice buon senso comune, alla luce di quelle che sono state le tesi difensive avanzate dai due imputati, e per quello che è stato il loro comportamento prima del crollo.

Non dimentichiamo nemmeno il grave comportamento di Campedel dopo il crollo, con il suo pacchiano tentativo di inquinare le prove (in parte peraltro riuscito viste le discrepanze tra le dichiarazioni rese dai testimoni prima di essere avvicinati dal Campedel, e dopo).

Il buon senso comune

Il buon senso comune invocato dagli stessi consulenti di parte Prealpi Mancini e Riccieri, nel loro elaborato del luglio 1986 appare assente nei comportamenti e nelle scelte operative del Campedel e del Garavana. Non occorrevano infatti complicati calcoli matematici né occorreva una aggiornata preparazione scientifica per rappresentarsi i pericoli ìnsiti nella gestione dei bacini e nel loro innalzamento successivo.

Anche per il semplice buon senso comune appariva necessario e dover accertarsi che tutto nei bacini funzionasse a regola d'arte e perciò effettuarsi periodici controlli e verifiche sulla stabilità degli argini e sul consolidamento dei limi.Controlli e verifiche che dovevano apparire ancor più indispensabili all luce di alcune considerazioni di buon senso comune:

1. i bacini erano stati costruiti in un luogo sovrastante un abitato;

2. i bacini erano di non recente costruzione tanto da rendersi necessari numerosi interventi di manutenzione straordinaria (vedasi le numerose fatture per manutenzione straordinaria contenute negli atti sequestrati);

3. era stata parzialmente modificata la modalità di utilizzo dei bacini stessi, tantoché la stabilità poteva esserne compromessa;

4. vi erano stati numerosi guasti, soprattutto nell'ultimo periodo.

D'altronde gli stessi dipendenti dichiarano che si erano più volte fra loro domandati se i bacini fossero sicuri: «facemmo un'osservazione se il bacino teneva o meno, osservazioni circa la tenuta della sabbia» (Adelio Piazzi al Tribunale 28 aprile 1988) ed ancora: «talvolta mi e capitato di domandarmi, insieme ai miei colleghi, se questo materiale andava bene per l'argine; mi sembrava un po' fine, ma visto che in fin dei conti era tanto tempo che l'argine era fatto con questo materiale e teneva bene ho lasciato stare anche perché non dipendeva niente di tutto questo da me» (Remigio Vinante al Pretore di Cavalese, 20 luglio 1985) ed ancora: «confermo che parlando con Garavana ci preoccupavamo per le infiltrazioni di acqua» (Silvano De Marco, al Tribunale, 27 aprile 1988).

Buon senso che sembra sconosciuto allo stesso tecnico Montedison, prof. Rossi che, nonostante quanto affermato nell'articolo del 1973, dichiara al P.M. il 31 luglio 1985: «In base alla mia esperienza posso affermare che sotto la crosta apparentemente solida della parte asciutta dell'area di sedimentazione, a pochi metri di profondità possono trovarsi ancora fanghi con contenuti d'acqua tali da dar loro la consistenza di una sabbia mobile»; ed ancora: «La pendenza dell'argine può avere rilevanza anche decisiva dal punto di vista statico», concludendo però: «La presenza a valle di insediamenti urbani non creava problemi in quanto il progetto era studiato in maniera tale che il bacino non doveva crollare»
(!) Come se rientrasse nella logica comune costruire bacini che debbano crollare.

Foto - i difensori Prealpi

Visti i pericoli dell'installazione, i tecnici non possono addurre a giustificazione dell'assenza dei controlli, così come fa il Campedel, che «Non abbiamo mai avuto dubbi sulla tenuta del terrapieno, da quando e stato costruito, né alcuno ha mai prospettato timori per eventuali crolli o altro» e che «ero convinto, come tutti, che il materiale depositato nel bacino in quegli anni si fosse compattato».

Dimenticando o volutamente ignorando che era proprio compito del tecnico il controllo della stabilità degli argini e del consolidamento dei limi, è cosa ben diversa dalla "convinzione" di stabilità professata. Né è accettabile, a scusante, l'affermazione che «con le autorità di controllo non si è parlato mai di stabilità dei bacini: unici problemi erano la tracimazione, e il reinverdimento, e la purezza delle acque».

Né può essere addotto a giustificazione dell'assenza di controlli il fatto che non era conosciuta dagli imputati Campedel e Garavana la letteratura tecnica relativa ai bacini di decantazione e neppure l'utilizzo dei piezometri per la verifica della stabilità degli argini.

Né può essere sostenuto a discarico della responsabilità per l'insipienza professionale dei due "tecnici", l'ignoranza degli incartamenti relativi ai bacini delle precedenti gestioni Montedison e Fluormine.

Laddove poi, invece, il Campedel indubbiamente conosceva quantomeno l'incartamento relativo ai bacini e poteva consultarlo in tempi brevi. Non è un caso infatti che quando, nel gennaio 1985, si è aperta la falla sull'argine superiore, il Campedel, accorso per verificare l'accaduto, «disse a me e al D'Agostin di scavare con il badile per vedere se trovavamo il tubo, mentre egli si sarebbe recato negli uffici a controllare i disegni per stabilirne l'esatta ubicazione. Dopo circa un'oretta tornò che noi avevamo già scavato per un tratto e ci disse di smettere in quanto il tubo si trovava circa ad una ventina di metri più profondo entro l'argine» (Silvano De Marco al PM 29 agosto 1985).

Ma i tecnici, o quantomeno il Campedel, non solo conoscevano i disegni dei bacini, ma conoscevano da vicino anche la verifica effettuata sui bacini stessi di Ghirardini nel 1975. anno nel quale il Campedel, peraltro, presso il complesso minerario già lavorava con qualifica direttiva. E che il Campedel conoscesse sia la verifica del Ghirardini sia gli inquietanti interrogativi che essa poneva, risulta indubitabile dal suo comportamento processuale.

Infatti, interrogato dal G.I. afferma «nel 1974/'75 lavoravo in miniera e quindi non so se furono espletate le indagini richieste all'ing. Ghirardini Non ho mai saputo perché fu lasciata la prima berna e perché la pendenza dell'argine venne addolcita al di sopra di essa, non sapevo della richiesta del Comune di Tesero» (al G.I. 15 dicembre 1986).

Affermazioni queste in completa contraddizione con quanto dichiarato al dibattimento, ove egli ha affermato: «Quanto ai bacini mi tranquillizzava la verifica del 1975 che garantiva la stabilità del manufatto fino al limite di concessione dei bacini» (dichiarazione al Tribunale 20 aprile 1988).

Evidentemente l'imputato Campedel conosce quanto nella relazione del Ghirardini era detto, se sente ancora il bisogno di sottolineare che «non ho letto la relazione Fluormine dell'ottobre 1975; che tali verifiche erano state disposte ed effettuate lo seppi in ufficio dal Da Roit, contestualmente al periodo che furono effettuate» (dichiarazione al Tribunale 20 aprile 1988).

Affermazioni tutte che hanno dell'incredibile, atteso che il Campedel presso la Fluormine aveva la qualifica di capo-servizio di I categoria, e si faceva e si fa vanto di «tenere i contatti con tutte le Autorità» (30 luglio 1985 al P.M.). Affermazioni che sarebbero ancora più preoccupanti se fossero vere, essendo indici di gravi e responsabili superficialità.

Infatti il Campedel nella gestione Prealpi fu chiamato a coprire mansioni di direttore: proprio per le mansion! svolte egli avrebbe avuto il dovere professionale di prendere in esame lo studio del Ghirardini, di cui conosceva l'esistenza, per sopperire, con la conoscenza di detto studio, alle deficienze scolastiche che egli stesso dichiara.

Evidentemente però la mancata conoscenza non poteva che essere voluta: conoscere il contenuto dello studio ed indagare sulla stabilità dei bacini avrebbe portato per conseguenza, non solo alla chiusura dei bacini stessi, ma all'obbligo del loro smantellamento, risultando evidente il grave indice di rischio che essi comportavano, anche se non funzionanti. Più comodo e più semplice quindi non conoscere (o meglio far finta di non conoscere) per non dover adottare le conseguenti decisioni.

La preparazione professionale

A sostegno della correttezza della scelta dei tecnici Campedel e Garavana da parte della Prealpi per la direzione della miniera, i consulenti di parte Mancini e Riccieri affermano che essi «provenivano da una scuola particolarmente rinomata, che dava al datore di lavoro plena garanzia di capacità e preparazione» (cfr. Mancini e Riccieri: "Osservazioni ottobre 1987"), ed a conforto della propria argomentazione i consulenti allegano il testo del discorso inaugurale dell'anno scolastico dell'Istituto Geominerario Follador di Agordo (presso il quale gli imputati si sono diplomati), ove si fa dell'Istituto e degli studenti ivi diplomati un panegirico.

Che i signori Campedel e Garavana si sono diplomati presso codesto Istituto è un fatto incontrovertibile. Altrettanto incontrovertibile è che gravi lacune vi erano nella loro preparazione tecnica, relativamente ai rilevati in terra ed ai bacini di decantazione.

Non si vede come, in caso contrario, non solo essi abbiano sempre snobbato i problemi del controllo dei bacini e della loro sicurezza, ma non abbiano neppure assunto le necessarle iniziative in relazione all'eccessiva pendenza dei manufatti, che avevano da tempo superato l'altezza critica e da numerosi anni erano in procinto di crollare.

Non si vede neppure come abbiano potuto far continuare l'accrescimento in altezza dei bacini, senza porsi alcuni interrogativi sulla stabilità anche in relazione all'altezza. La pendenza del manufatto e l'altezza critica dello stesso, proprio per la loro "visibilità", che avrebbero dovuto, anche per semplice buon senso, essere oggetto di attento esame da parte dei tecnici.

Tragicamente invece la dichiarata ignoranza si è associata all'assenza di buon senso. Così che la tragedia, predisposta dalla Montedison e dalla Fluormine, è potuta andare a compimento con la gestione Prealpi.

Per dirla con i consulenti di parte Mancini e Riccieri, la Prealpi su di un edificio «male o addirittura non progettato, con fondazioni certamente inadeguate a sopportare il peso delle strutture sovrastanti», ha costruito un ultimo piano, seguendo lo stesso metodo fino ad allora usato, cioè costruendo senza progetto e senza studi di resistenza o di qualità.
Elementi questi di grave impreparazione professionale.

Il Campedel

Nell'esaminare la responsabilità degli imputati il Tribunale dovrà valutare il comportamento del Campedel che, convocati presso la sua abitazione i dipendenti Prealpi, tempestivamente sentiti dal Pretore il giorno dopo il crollo dei bacini, chiede lumi sulle domande loro formulate e fa pressioni, cercando di convincerli ad abbracciare la tesi a lui ed alla Prealpi più convenienti. Il fatto è particolarmente grave perché solo grazie alla rettitudine di alcuni testi si è potuto apprendere di detto intervento, il quale, per la verità, ha in qualche misura condizionato ugualmente i dipendenti/testimoni.

Questi ultimi risentiti in sede istruttoria dal P.M. o dal G.I. hanno - quantomeno alcuni - modificato le proprie dichiarazioni rispetto a quelle rese nell'immediatezza dei fatti.

Affermava il De Marco al Pretore di Cavalese il 21 luglio 1985 (a due giorni dalla strage): «Si è rotta una mattonella del cunicolo ... cosicché il cunicolo è stato cementato dopo averlo tappato».

Afferma il 29 agosto al P.M. (dopo l'intervento del Campedel): «La nicchia non fu da noi tappata; può darsi che io davanti al Pretore abbia confuso».

Afferma ancora il De Marco al Pretore: «E' capitato che il Bortolas abbia anche abbassato pescando materiale nel bacino e portandolo sull'argine». Rettifica (dopo il colloquio con il Campedel) al P.M.: «Io non ho mai visto gli uomini nel Bortolas mentre effettuavano uno scavo dentro il limo del bacino superiore. Mi pare che qualcuno mi abbia detto che bisognava fare uno scavo di tal genere».

Afferma infine al Tribunale: «Mi sovviene in questo momento che allo scopo di agevolare il deflusso di acqua verso lo sfioro, il Bortolas effettuò uno scavo anche all'interno del bacino superiore».

Afferma Fabiano Zorzi il 20 luglio al Pretore: «Sono stato un paio di volte a far manutenzione al bacino». Rettificando poi (dopo l'intervento del Campedel) al P.M. il 3 settembre 1985: «Per manutenzione intendo che qualche volta sono stato mandato ... per fare qualche lavoro generico e cioè per prendere o portare tubi o altro materiale», ma, messo alle strette, poi precisa di «aver sistemato una curva di un tubo di immissione di acqua dal bacino superiore al bacino inferiore».

Afferma Adelio Piazzi al Pretore il 20 luglio: «Non so se per l'innalzamento dell'argine vi erano progetti, facilmente lo facevano ad occhio. Da quando lavoro, per gli innalzamenti dell'argine, veniva la ditta Bortolas, qualche volta li facevamo noi con la ruspa». Al Tribunale spiegando l'uso della ruspa afferma: «Non vi era un vero innalzamento, mi riferisco allo spostamento della sabbia, che comportava spostamenti di lieve entità» (28 aprile 1988 prima parte).

I confronti analitici potrebbero continuare esaminando le deposizioni di Remigio Vinante e di Ernesto Defrancesco, Enzo Delvai, eec., anche su aspetti come la presenza e le interferenze del Rota sulle attività connesse e l'uso di terreno vegetale da parte del Bortolas per gli argini.

L'intervento del Campedel è ancora più grave, posto che i giorni immediatamente successivi al crollo non vi era nessuna certa ipotesi tecnica sulle cause del crollo e pertanto la modifica di qualsiasi elemento utile alle indagini avrebbe potuto comportare maggiori ostacoli alla ricerca della verità su fatti di una tale devastazione ed ampiezza.

Ma anche per un altro fatto il comportamento del Campedel e del Garavana è stato di grave e colposa superficialità: non aver informato alcun organo pubblico delle perdite avvenute nei bacini, tanto che gli enti che avrebbero potuto o dovuto eseguire controlli non intervennero. Tutto il comportamento fin qui evidenziato concreta elementi di negligenza, imprudenza, imperizia e di inosservanza delle buone regole.
Da quanto esposto si traggono, come afferma nella sua perizia il prof. Calvino, le seguenti conclusioni:

- La Montedison ideando e costruendo il primo bacino stabilì «incancellabili premesse alla catastrofe», costruendo «in luogo inadatto e rischioso e proseguendo la costruzione con modalità pericolose, fissate empiricamente e successivamente replicate da Fluormine e Prealpi.

- La Fluormine, pur avendo avuto occasione e motivo nel 1975 di sottoporre a serio controllo la stabilità dell'intero impianto di decantazione, ha continuato ad eludere le regole dell'arte ed a proseguire un indirizzo progettuale errato che non poteva concludersi altrimenti se non con la rottura dei bacini e la fuoruscita di un'enorme massa melmosa, il cui consolidamento era stato impedito da erronee modalità gestionali, in assenza di dispositivi di controllo.

- La Prealpi, subentrata nella gestione dei bacini dopo anni di sosta, ha tenuto colpevolmente un comportamento imitativo di quello delle maggiori società che l'avevano preceduta.
Il concorso nella colpa della Prealpi appare pertanto più sfumato dal punto di vista tecnico-scientifico, ancorché la società abbia tenuto la responsabilità dei bacini negli ultimi 4 anni di esercizio, decisivi ma determinanti.

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Fortogna:
nella foto sotto, il *Giardino delle bestemmie* attuale, un fal$o TOTALE dal 2004: un falso storico, fattuale, e ASSOLUTAMENTE IMMORALE da 3,5 mln di Euro. Un FALSO TOTALE e oggettivo - a cominciare dai FALSI cippi «in marmo di Carrara» - targato *sindaco De Cesero Pierluigi/Comune di Longarone 2004*.
Oggi questo farlocco e osceno «Monumento/sacrario» in località S. Martino di Fortogna riproduce fedelmente in pianta e in miniatura, come un parco "Italia" di Viserbella di Rimini, il campo "B" del lager nazista di Auschwitz/Birkenau. Fantastico, no? ed e' la verita' verificabile ma se solo ti azzardi a dirlo o far notare le coincidenze, sono guai. $eri. Perché... qui in Italia, e soprattutto in luoghi di metàstasi sociale e interessi inconfessabili come la Longarone 'babba' ... «la Verità si può anche dire. Ma però che non ci sia nessuno che l'ascolti (o legga!)»

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Ma tutto deve andare come da copione, in Longar-Corleone. Dal dicembre del 1964 qui è così: lo mise nero su bianco gente colle spalle ben più larghe delle mie, e in tempi non sospetti:

«E' quasi come in Sicilia, mi creda; a Longarone si configurano gli elementi tipici della mafia. Non è questione di partito 'A', o 'B'; c'è un determinato giro fatto di poche persone all'interno del quale non entra nessuno. Il potere è in mano a costoro, cinque o sei persone a Longarone, e poi qualche diramazione fuori, cioè altre persone nei posti giusti, perché un sistema del genere non può sopravvivere se non c'è corruzione».
Fonte: Giampaolo Pansa, sul Corriere della Sera del 9 ottobre 1973; sta riportato sul libro della Lucia Vastano. LIBRO CONSIGLIATISSIMO.

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