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di Floriano Calvino, Sandro Nosengo, Giovanni Bassi, Vanni Ceola, Paolo Berti, Francesco Borasi, Rita Farinelli, Lorenza Cescatti, Sandro Gamberini, Sandro Canestrini

Un processo alla speculazione industriale

La strage di STAVA

negli interventi della parte civile alternativa
Edizione a cura del Collegio di difesa di parte civile alternativa
© Trento, 1989

Alla memoria di 269 vittime
della speculazione e dello
sfruttamento insensato del territorio
e alla memoria di Floriano Calvino
che - dalla parte delle vittime,
come sempre - si schierò,
con intelligenza e con amore.

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INDICE

Presentazione - pag. 5

Premessa - pag. 9

LA PERIZIA DI PARTE CIVILE, di Floriano Calvino 15

CONSIDERAZIONI TECNICHE DOPO IL PROCESSO DI PRIMO GRADO, di Sandro Nosengo e Giovanni Bassi - 29

LE COLPE DEGLI IMPUTATI, di Vanni Ceola - 49

LA MONTEDISON: SUPERFICIALITA' E PROFITTO, di Paolo Berti - 75

IL SONNO DELLA RAGIONE HA DISTRUTTO STAVA, di Francesco Borasi - 89

I ROTA: DAI GELATI ALLE MINIERE, di Rita Farinelli - 113

LE OMISSIONI DI CURRO' DOSSI E PERNA, di Lorenza Cescatti - 129

IL RUOLO DEL DISTRETTO MINERARIO, di Sandro Gamberini - 143

DAL VAJONT A STAVA: LA MONTEDISON NON E' CAMBIATA, di Sandro Canestrini - 161

APPENDICE I

Dalla relazione della Commissione tecnico-amministrativa di inchiesta nominata dal Consiglio dei ministri - 179

APPENDICE II

Dall'articolo: «I bacini di decantazione dei rifiuti degli impianti di trattamento dei minerali» del prof. Giovanni Rossi (Industria Mineraria, nn. 10 e 11, 1973) - 193

Francesco Borasi

- IL SONNO DELLA RAGIONE HA DISTRUTTO STAVA -

Signor Presidente, Signori del Tribunale, avevo pensato di dover molto parlare, perché molto si è detto e scritto nell'istruttoria dibattimentale, e prima ancora in quella formale e sommaria.
Di dover molto parlare anche per la povera memoria di coloro che non sono qui ad ascoltarci e la cui mancanza è la causa e l'occasione di questo processo. Cercherò invece di stringere il più possibile questo mio discorso, e di evitare temi già trattati: non per disaccordo con i colleghi di parte civile che mi hanno preceduto, ma per evitare inutili duplicazioni.
Nel corso di questo processo abbiamo vissuto insieme momenti di alta tensione morale, di grande impegno scientifico, abbiamo ascoltato dotte osservazioni di diritto, ma anche gravi tentativi di depistaggio e di fuorviamento della verità.

- Premesse sulla difesa tecnica

Chiedo al Collegio ed ai colleghi la massima comprensione, perché la mancanza di mezzi e le ridotte disponibilità economiche dei miei rappresentati ha costituito un ostacolo rilevante alla predisposizione di memorie e osservazioni tecniche del livello di quelle proposte dalle difese degli imputati, che hanno cercato, con la forza delle grandi strutture loro messe a disposizione, di costruire una o più "verità alternative" a quella ricostruita a mio parere con grande cura ed attenzione nonostante le inevitabili difficoltà, dai Periti d'ufficio.

Ma a me sembra, e molti difensori di parte civile prima di me hanno già esposto tale convinzione, che questi tentativi abbiano avuto scarso risultato, per due ordini di motivi:

a) perché pongono in contraddizione le relative difese degli imputati (o meglio: tutti contro la Prealpi, e la Prealpi contro tutti, con Ghirardini in mezzo a far da arbitro);

b) perché le pur pretenziose osservazioni tecniche dei consulenti degli imputati hanno più presunzione teorica che sostanza concreta, fondandosi tutte sul "senno del poi", peraltro rimasticato "ad usum delphini" in particolare sottacendo elementi di grande significato ed importanza' ed esasperando al contrario l'importanza di altri, ed in particolare del meccanismo ultimo di caduta dei bacini.

E vorrei aggiungere che in particolare la difesa tecnica di Montedison e Fluormine è apparsa particolarmente combattiva, ma non serena, proprio per la necessità di difendere scelte che hanno comunque portato ad un evento così catastrofico.

Pare quasi che la difesa tecnica Montedison abbia dimenticato che anche posta e non concessa l'assoluta estraneità da qualsiasi "livello" di colpa degli imputati che mira a tutelare - un qualche "livello", invece, di rispetto per la gravità dell'evento, per le vittime e per le loro famiglie è necessario anche da parte loro.

In tal senso concordo con quanto ha detto il primo di noi difensori delle parti civili, quando ha parlato, con toni rigorosi quanto convinti e convincenti, di «arroganza» da parte dei difensori tecnici degli imputati Montedison e Fluormine.

Questa arroganza ha forse condizionato anche l'attuale dirigenza Montedison, convinta forse, di poter risparmiare sull'entita del risarcimento, e facendole quindi rinnegare nei fatti quella vera e propria "promessa al pubblico", tanto pubblicizzata dai mezzi di informazione da fuorviare e distrarre l'attenzione dell'opinione pubblica da questo processo.

Arroganza quindi nel voler pretendere la propria spiegazione dei fatti come l'unica possibile; arroganza nel promettere e poi non mantenere; arroganza allora, quando si costruivano quegli enormi "gavettoni" senza dir niente a nessuno, restando soltanto in attesa che qualcun altro vi immettesse la goccia deflnitiva e fatale, per addebitare a questi l'intero evento.

E non stupisce che a tale tipo di difesa tecnica si siano accodati i difensori della "mano pubblica": l'unica loro speranza di salvezza era ed è quella di addebitare a fatti fuori dell'ordinario, a cause imprevedibili, impreviste ed improvvise, l'evento che invece precisi obblighi istituzionali a loro imponevano di prevenire ed evitare.

Ed ancora: devo rilevare che il meccanismo perverso dei controlli di competenza che vengono affidati, invece, proprio a coloro che dovrebbero essere controllati, si è sviluppato non solo nel periodo della forsennata gestione Montedison e Fluormine delle miniere, ma anche oggi, di fronte all'evento.

In sostanza, il ragionamento dei tecnici della Montedison e dei "controllori" si può così sintetizzare. Ci dobbiamo sostenere a vicenda, affermare che è stata la dissennata gestione Prealpi, ed in particolare sono stati gli ultimi giorni di vita dei bacini a cagionare l'evento, altrimenti imprevisto e imprevedibile, perché se ciò non riusciamo a dimostrare, mancati controllori e mancati controllati saranno inchiodati irrimediabilmente alla gravità della propria colpa.

Ma l'aiuto dei tecnici dei controllori a quelli dei controllati, in questo processo, ha molta somiglianza con l'accusa che Hegel faceva alle costruzioni idealistiche di Schelling, di essere colui che, annegando in uno stagno, cerca, sollevando se stesso con un braccio, di salvarsi.

Non che tutta questa serie di considerazioni voglia far ritenere una mancata responsabilità degli ultimi gestori: ma la loro colpa è solo la conclusione inevitabile della logica contraddittoria e gravemente colposa di coloro che li hanno preceduti.

La difesa Montedison, che ha cercato sotto il profilo tecnico di dimostrare, a mio parere infruttuosamente, che i bacini di Stava erano «il migliore dei mondi possibili» finché è durata la loro gestione, ritengo cercheranno quantomeno di dimostrare l'assenza di un nesso causale tra le loro colpe e l'evento.

Cercherò di analizzare e dimostrare, fondandomi soprattutto su documenti che a mio parere sono stati talvolta sottovalutati, l'esistenza di grave colpa in capo agli imputati, ed in particolare a coloro che ricoprivano funzioni di maggior responsabilità ed il nesso di causalità tra tali colpe e l'evento.

E mi pare a questo punto importante rammentare anche la gravità delle conseguenze rispetto al valore economico di una produzione che, tutto sommato, poteva apparire sostanzialmente ininfluente per un colosso industriale come la Montedison.

L'attenzione mirata in via esclusiva alla produzione ed al profitto, daparte della massima dirigenza Montedison, al contrario dimostra che Prestavel non era «ai confini dell'Impero» ma uno stabilimento se non fondamentale, comunque tenuto nella massima considerazione.
Non vogliamo fare entrare elementi di demagogia in questo processo.

Credo che la migliore smentita a chi lo affermasse, è il contributo all'istruttoria fornito dal prof. Calvino nella sua relazione e al dibattimento dal prof. Nosengo nel suo intervento. Si tratta invece di affermazioni che tenterò di dimostrare alla luce di incontrovertibili documenti.

Ed è ancora parzialmente vero quello che l'avvocato Stella sosteneva, che questi imputati sono le «ultime ruote del carro» ma è anche vero che secondo il nostro ordinamento giuridico, non possiamo condannare penalmente una società per azioni, od un Ente pubblico: abbiamo di fronte degli uomini, che a nostro parere hanno gravemente sbagliato, e le loro colpe andremo ad analizzare, anche se evidentemente il loro agire è stato condizionato dalla filosofia aziendale o dall'assurda fiducia nella "tecnologia" Montedison; uomini che si sono crogiolati nel «dolce far niente», per poi prospettarci la sorpresa (o l'omertà) di chi non ha visto, o se c'era, dormiva.

Cercherò, Signori del Tribunale, di portare ulteriori argomenti a favore della tesi della responsabilità di tutti gli imputati seguendo il seguente criterio logico:

- concetto di sicurezza nell'ordinamento giuridico e nella logica Montedison;

- concetto di prevenzione utilizzato da Montedison;

- le prove richieste da Ghirardini;

- l'articolo del Rossi;

- le spese per la sicurezza;

- gli elementi di colpa;

- la progettazione e la gestione originaria del secondo bacino;

- la consolidazione dei limi;

- la relazione del consulente tecnico di parte Fiorini;

- l'evidenza delle prove del 1968 e del 1970 sui limi ed il nesso di causalità;

- la sospensione dell'attività nel 1978 ed il nesso di causalità;

- nesso di causalità tra il comportamento degli imputati, attivo od omissivo, ed evento.

Gli imputati (foto)

- Concetto di sicurezza nell'ordinamento giuridico e nella logica Montedison

Si può partire da una premessa certa: la mancanza di una legge o di una disposizione normativa completa di carattere cogente, può avere due significati, quando l'attività che un'industria intende svolgere e comunque pericolosa:

a) l'attività è talmente nuova e potenzialmente pericolosa, che l'agente si assume direttamente ogni singola responsabilità per i fatti che possono derivare a terzi od anche a se stessi dalla propria condotta.
(Si pensi agli sperimentatori delle radiazioni, a Maria Curie, ai radiologi pionieri che sottoponevano anche se stessi al pericolo pur di far progredire un certo concetto di scienza).

b) Oppure l'attività è, sì, nuova, ma non talmente inaccessibile ed impervia od estrema rispetto alle attività già note da non poter essere regolata e valutata alla luce degli standards già affermati od imposti in relazione ad uno stato dell'arte, scienza e tecnica già conosciuti: in tal caso mancanza di leggi specifiche, di carattere tecnico, è dovuta ad una carenza dell'ordinamento legislativo, ma non ad un vuoto legislativo vero e proprio: si può e si deve far riferimento ai generali principii, agli antichissimi principii nel nostro ordinamento codificati dagli articoli 2043 e 2050 del Codice civile: «neminem ledere» e responsabilità per le attività pericolose.

E si deve far riferimento ancora a tutto quanto, con norme in bianco, ha imposto l'ordinamento giuridico penale con l'inserimento degli articoli 437 e 449 c.p.

In sostanza, si può così sintetizzare il nostro sistema giuridico in presenza di attività pericolose: se vi è una normativa tecnica specifica; l'applicazione anche pedissequa della stessa da parte dell'agente non significa di per se stessa l'esclusione di qualsiasi reato connesso all'azione.

D'altro canto, in assenza di tale normativa tecnica, si impone un'ancora maggiore attenzione a che nessun evento dannoso, in qualche modo previsto o prevedibile da tecnici del settore, ed a maggior ragione anche da persone di normale buon senso, venga cagionato da azioni od omissioni umane.

La mancanza di una normativa specifica impone cioè all'agente ancora maggiori scrupoli, ed attenzioni ancor più rigorose al riguardo del semplice rispetto delle norme esistenti, nel caso queste vi siano.

Utilizzando forse impropriamente un paragone di carattere civilistico si potrebbe dire che la presenza di norme e di specifiche tecniche in ipotesi rispettate dall'agente dia luogo ad una sorta di inversione dell'onere della prova.

Chi sostenesse la responsabilità e la colpa dell'agente per un evento luttuoso, dovrebbe sostenere e dimostrare che le norme tecniche, pur rispettate, non erano sufficienti, e che l'agente aveva un obbligo specifico di conoscere gli ulteriori elementi di comune esperienza, o comunque conosciuti o conoscibili, sufficienti ad evitare l'evento.

In caso di mancata normativa specifica e cogente, invece, spetterebbe a coloro cui è addebitato l'evento dannoso dimostrare di aver seguito tutte le disposizioni che la conoscenza delta tecnica o dell'arte imponevano, di essersi aggiornati su eventi verificatisi in altre parti del mondo, aver conosciuto la letteratura tecnica più aggiornata, ed averne applicato volta per volta i precetti.

Dovranno dimostrare ancora di non aver «tirato sul prezzo» della sicurezza, perché non solo per la nostra Carta Costituzionale le vite umane perse a Stava hanno un valore immensamente superiore a tutto il minerale che né è stato tratto, fosse stato anche oro.

- Le prove richieste da Ghirardini

Nel corso dell'istruttoria e del dibattimento, mi sono più volte domandato le reali ragioni per cui le prove e gli esami ulteriori richiesti dal Ghirardini nella relazione del 1975, non siano stati effettuati.

Tutti gli imputati hanno sempre sostenuto che, per quanto riguardava la sicurezza, la Montedison non aveva mai usato la politica della lésina. Eppure tali ulteriori prove ed esami non furono effettuati, e questo ha avuto, come cercherò di dimostrare, efficacia causale con l'evento.

La spiegazione che ritengo più attendibile, l'ho reperita interpretando gli interrogatori di Morandi e di Toscana del 14 aprile 1988. Morandi riferisce: «In relazione alle indagini suggerite nella lettera 2 giugno 1975 di Ghirardini, confermò che non vennero effettuati i sondaggi in profondità."Si trattò di una decisione della Società. Tali sondaggi vennero ritenuti superati dati i buoni risultati della prova per campioni prelevati...».

E lo stesso giorno, interrogate in sede dibattimentale, l'ing. Toscana così riferiva: «Confermo che alcune delle indagini suggerite dal Ghirardini non furono effettuate in quanto quelle già disposte erano ritenute sufficienti e tranquillizzanti».

Ecco la spiegazione della mancata attuazione delle ulteriori misure richieste da Ghirardini: i controlli ulteriori sarebbero stati fatti solo se i primi controlli, empirici, con la "puntazza" avessero dato risultati negativi, contrari alla prosecuzione dello sfruttamento della miniera e dei bacini!

Esattamente il contrario di quello che un moderno concetto di sicurezza, o meglio, un concetto di sicurezza legato al principio «neminem ledere», impone: e cioè, sospendere immediatamente ogni attività pericolosa nel momento in cui anche prove empiriche facessero riscontrare un pericolo: mai tranquillizzarsi, accontentarsi, adagiarsi su prove empiriche positive, nello svolgimento di un'attività pericolosa, se specialisti e tecnici, se la letteratura, richiedono un maggiore approfondimento.

E' la mancata effettuazione delle 'prove Consonda', che pone Ghirardini in una posizione ambigua, in contrasto con gli altri imputati Montedison.
Egli ha avuto la possibilità di dissociarsi dall'evento già previsto e prevedibile e non lo ha fatto; ha poi cercato di minimizzare l'importanza delle richieste di verifica poi non fatte, dando un insperato aiuto a Bonetti ed amici, ma anche conclamando la propria responsabilità.

- L'articolo del Rossi

Non intendo certo insistere su tale punto, che è stato più volte, anche da me, toccato nel corso dell'istruttoria dibattimentale, e spessissimo dai colleghi che mi hanno preceduto nella discussione finale.

Cercherò di illustrare tale documento sotto un diverso profilo, e cioè sotto la prospettiva degli imputati o meglio, delle loro dichiarazioni.

Gli imputati Montedison e Fluormine, comunque si voglia intendere la loro responsabilità, o la loro colpa, non sono degli sprovveduti ed hanno avuto a loro disposizione, dopo l'evento, uno staff tecnico di prim'ordine, che, verrebbe da dire, se utilizzato prima dell'evento, avrebbe consentito forse di risparmiare tanti lutti (il "forse" è d'obbligo, dopo aver ascoltato alcuni loro consulenti!).

Esaminiamo che cosa hanno detto questi imputati in merito alla loro conoscenza dell'articolo di Rossi.

Morandi: «La circostanza che il Rossi accennasse ad una semifluidità dei limi ... anche a distanza di molto tempo dal loro deposito, non era per me motivo di allarme, sia perché tale terminologia non é tecnica, e poi che il modello del Rossi è costituito dal primo bacino, dove i limi si erano consolidati.

Bonetti: « La lettura dell'articolo di Rossi mi tranquillizzò per un duplice aspetto: primo, perché seguivamo le norme impartite fin dal progetto iniziale del bacino, inviato al Genio Civile da parte dell'ing. Rossi, molto ben descritto e dettagliato; secondo, perché avevo constatato che non c'eravamo mai allontanati da dette prescrizioni, del resto confermate a oltre dieci anni di distanza dall'articolo stesso; terzo, perché se un'ombra di preoccupazione fosse nata nell'ing. Rossi in occasione del suo aggiornamento e studio sui bacini di Fenice Capanne e Prestavel, certamente avrebbe trovato il modo di esprimerlo».

Lattuca: «In ordine ai precedenti disastri di cui all'articolo del Rossi, non né ricavai particolare motivo di allarme, dato che dalla stessa pubblicazione si evinceva che seguendo le buone tecniche costruttive nessun pericolo vi era ...».

Ghirardini: «La frase del Rossi "la presenza di masse fluide" è poco ingegneristica (ricordiamo la frase di Morandi: "non è tecnica" n.d.r.) perché i limi avevano il tempo di consolidarsi dato il lento accumulo».

Nulla è stato richiesto al Toscana, il quale peraltro ha avuto modo di riferire: «Confermo che la parte introduttiva della relazione (relazione cosiddetta 'Ghirardini') ove si accenna anche alla consolidazione dei limi è stata da me predisposta. La lentezza dell'accrescimento dei bacini dava luogo ad una facile sedimentazione e quindi al consolidamento e non si verificavano infiltrazioni nell'argine».

Ed ancora, Ghirardini: «La fluidità dei fanghi esisteva solo quando venivano versati, poi si consolidavano», ma questi si fidava delle rassicurazioni dei responsabili della miniera, così come degli stessi si fidava per esser certo che le fondazioni del secondo bacino (cioè il piede dell'argine) erano state fatte e poggiavano su terreno naturale e non sui limi del bacino inferiore, pur non avendo egli esperienza diretta di bacini di decantazione sterili.

Rileviamo solo fin d'ora l'importanza della completa sottovalutazione a posteriori, e della reale ignoranza, ex ante, delle implicazioni dell'articolo del Rossi, anche in relazione alla mancata assunzione di responsabilità in merito a precedenti incidenti in impianti analoghi.

- Le spese per la sicurezza

All'interno di un concetto di sicurezza, di una filosofia della sicurezza, che Montedison e Snam hanno sempre sostenuto di porre al primo punto sta evidentemente l'autonomia di spesa. Anche qui valgono, più che le osservazioni della parte civile, le parole stesse degli imputati e le loro contraddizioni.

Bonetti: «Le eventuali spese per la sicurezza venivano esposte dal direzione della miniera net programmi annuali... Le spese per la sicurezza dovevano essere discusse ed approvate dalla direzione della società, che ha sempre approvato».

Morandi: «Qualunque spesa che non fosse di ordinaria amministrazione, doveva essere autorizzata dai vertici societari... Escludo che alla base della decisione di non effettuare i sondaggi, tramite la Consonda, vi sia stata una speculazione di ordine economico; fu solo una scelta tecnica».

E per quanto riguarda l'installazione dei piezometri, il Bonetti: «I piezometri si possono installare facilmente ed a poco costo ma la loro lettura non è di facile interpretazione salvo una rete molto complessa di piezometri e di elementi di segnalazione e può dar luogo, se non interpretata da personale altamente specializzato, ad erronee e spesso tranquillizzanti interpretazioni. Tale installazione si giustifica per impianti di maggiori dimensioni. Né la nostra divisione aveva tale personale specializzato, né poteva reperirsi altrove in Italia».

Allora in sostanza: i piezometri costano poco, ma devono esser accompagnati ad una rete di segnalazione, che a sua volta comporta la necessità di personale specializzato, tutto da istruire, e da pagare.

«Tale installazione si giustifica per impianti di maggiori dimensione» confessa Bonetti. Un bel concetto di sicurezza, una bella filosofia di sicurezza davvero! Anche i Rota, nella loro follìa, hanno lasciato maggiori disponibilità e maggiore autonomia ai propri tecnici!

- Gli elementi di colpa

Anche in questa analisi dò per associate e mi riporto alle considerazioni degli avvocati Stella, Pulitanò, Ceola e Ascari, in particolare in merito alla progettazione, alla ubicazione dei bacini, alla gravità delle conseguenze sulla scelta di primitiva edificazione, alla mancanza di controlli.

Cercherò solo di integrare quelle osservazioni con alcune altre, desumibili da documenti che mi sembra non siano stati adeguatamente sottolineati in fase di discussione.

- La progettazione e la funzione originaria del secondo bacino

Sulla progettazione, o meglio, sulla mancata progettazione del secondo bacino sono molto accurate e degne di nota le osservazioni della relazione Mancini-Ricceri del luglio 1986, relative al fatto che il secondo bacino avrebbe dovuto servire non tanto come doppio elemento di decantazione dei limi al fine di evitare l'inquinamento delle acque del rio Stava, ma a contenere i rifiuti della flottazione dei limi contenuti nel primo bacino di decantazione, ritrattati per recuperare la fluorite contenutavi, al fine di evitare l'inquinamento dei limi stessi da parte del materiale di sbancamento.

Davvero illuminante, per una serie di motivi è la lettera del 12 agosto 1968 del direttore Fiorini all'ing. Bonetti e altrettanto illuminante la risposta dell'ing. Bonetti datata 9 settembre 1968.

I due documenti sono il simbolo di come, ex ante, la Montedison abbia pensato esclusivamente ad un fine immediatamente economico, e di come ex post, imputati e consulenti di parte, per giustificarsi non solo davanti a Voi Signori Giudici, ma forse ancor più per non tradire la "immagine" di una società che si proclama all'avanguardia della tecnica, cerchino di giocar con le parole, come se gli imputati potessero, in quest'aula come di fronte all'opinione pubblica, comportarsi come degli estranei presenti qui per caso, per una malvagia demagogìa postsessantottina ed antindustriale, non per colpe gravissime, che hanno cagionato un danno altrettanto grave.

Ciò che sto per dire è l'indice, a mio parere, della profonda malafede con cui è stato affrontato questo processo da parte del responsabile civile Montedison.

Personalmente, sono un garantista, ed accetto con convinzione che l'imputato abbia la possibilità di mentire, ma se questi, come pure il responsabile civile, dopo aver superato i limiti della legge civile e penale, supera anche i limiti del ridicolo, se né deve assumere ogni relativa responsabilità.

Riprendo il primo documento citato, quello del 12 agosto 1968: sono essenziali a mio parere due affermazioni, oltre a quella della rivelazione del vero scopo, primigenio, del secondo bacino.

Leggo testualmente: «Per quanto riguarda gli argini, riteniamo che non saranno necessarie opere di spianamento e rullamento per strati successivi, ma che sia sufficiente la costipazione che si determinerà per peso proprio. Tanto meglio se automezzi o lo stesso mezzo meccanico di scavo transiteranno per esigenze di discarica sugli argini durante la loro formazione».

Seconda affermazione importante è: «Incognite sul preventivo di spesa ... sono:

- l'eventuale ritrovamento di roccia (caso che riteniamo improbabile)

- l'esecuzione del lavoro in periodo piovoso

- l'esecuzione del lavoro in terreno acquitrinoso.

Ciò determina maggion difficoltà e maggiori spese». La prima osservazione è un'ulteriore dimostrazione del solo fine economico che ha sempre improntato l'atteggiamento Montedison.

Infatti una parte della relazione tecnica dell'imputato Fiorini datata 29 marzo 1988 è dedicata al fatto che la scelta di non costipare gli argini con mezzi meccanici sarebbe stata assai opportuna, e che forse una delle ragioni del crollo del 1985 era stato proprio il passaggio dei mezzi meccanici della Prealpi sull'argine!

Ma nel 1968 si diceva: «Tanto meglio se automezzi o lo stesso mezzo meccanico di scavo transiteranno sugli argini!».

E ciò ha solo una spiegazione: nel documento 17b allegato alla stessa relazione, e che è poi il preventivo dell'impresa Misconel per l'esecuzione dei lavori di sbancamento, si vede che eventuali lavori di compattazione sarebbero dovuti essere compensati a parte.

Leggo testualmente: «0ve venga richiesto, i rilevati verranno compattati con rulli vibranti od altri idonei attrezzi secondo la natura del terreno, regolando il numero dei passaggi e l'aggiunta d'acqua per innaffiamento in modo da ottenere una densità al 90% di quella Proctor. Nel caso di rilevati compattati agli strati di formazione del rilevato non dovranno eccedere i 30 cm. ed ogni strato sarà costipato nel modo richiesto prima del ricoprimento con altro strato».

Ed a chi contestava, come il prof. Nosengo, la scelta della compattazione per proprio peso, citando il fatto che un testo scientifico da tutti i tecnici conosciuto, il Terzaghi, sconsigliava apertamente la tecnica della costipazione per peso proprio o per innaffiamento, gli arroganti consulenti di parte non avevano avuto il coraggio che di rispondere con una sciocca battuta di spirito!

E ciò fa giustizia anche della ridicola affermazione riportata a pag. 29 della parte seconda delle osservazioni dei consulenti tecnici del Fiorini datate 29 marzo 1988, in cui si sostiene che: «... sono indicati quanti né sono stati impiegati per la costruzione del rilevato e quanti invece sono stati avviati alla discarica, evidentemente perché inadatti alla funzione drenante attribuita all'argine di base».
Ciò testimonia che il materiale fu selezionato con cura in funzione delle esigenze di qualità costruttiva richiesta: si tratta di un semplice ma significativo esempio di come, a garanzia della qualità, la Montedison non si ponesse il problema delle spese, come dimostra il trasporto a discarica dei materiali, anziché il più comodo e meno oneroso accumulo sul posto.

La cosa certifica sia la sensibilità ai problemi connessi alla delicatezza della costruzione, sia la priorità delle motivazioni tecniche rispetto a questioni di economia spicciola!».

Sembra quasi di essere in un altro processo; che i consulenti parlino di altre persone, di altre dighe, di un'altra società. Non intendo sostituirmi ai difensori dei Rota nella loro difficile opera, ma non posso esimermi dal fare altre due osservazioni sul punto:

- la prima: se l'addebito che i consulenti Montedison Fluormine pongono alla gestione Prealpi è quello di aver fatto passare i mezzi meccanici sopra l'argine, questo era addirittura un seguire quell'indicazione che la direzione della miniera, all'epoca Montedison, riteneva fosse «tanto meglio»;

- la seconda: non esiste alcuna prova che l'impresa appaltatrice nel costruire l'arginello di base, abbia operato un'attenta scelta del materiale, perché il drenaggio fosse adeguato.

Esistono anzi due precise prove in contrario:
a) Il riscontro della presenza di terreno vegetale e di residui vegetali vari di colore rossastro, nel corso del sopralluogo del Giudice Istruttore, sopralluogo - effettuato colla presenza dei difensori degli imputati e dei loro consulenti tecnici - che nessuno ha contestato od impugnato di falso;

b) La risposta data dai Periti d'Ufficio ad una esplicita domanda al dibattimento, e cioè la presenza, nell'arginello di base del secondo bacino, di oltre il 40% di materiali limosi argillosi, il che ha costituito, a parere dei consulenti d'ufficio anche in questo non smentiti dagli arroganti consulenti di parte, un ostacolo alla funzione drenante dell'arginello stesso, con conseguenze serie sulla stabilità dell'intero complesso.

La seconda osservazione che si può trarre dal documento 12 agosto 1968, trae spunto dalla pag. 2, in cui il Fiorini indica comunque il problema di possibili maggiori spese nel caso del riscontro di imprevisti.

E' rilevante a nostro parere la seconda pagina del doc. 13 allegato alla relazione Ricceri-Mancini, perché lo stesso documento è stato allegato (all. n.14) alla parte seconda (ricostruzione della geometria dei bacini) della relazione dei consulenti Montedison Fluormine.

Per la precisione, è bene osservare come sia stata allegata solo la prima pagina di tale documento. E ciò a ragion veduta: la seconda pagina contrastava in modo troppo evidente con l'affermazione e la rivendicata serietà e conclamata attenzione ai problemi di sicurezza «anche a scapito delle spese» fatta a pagina 29.

Sembra quasi che la Montedison si voglia creare una nuova realtà ad immagine e somiglianza di una società seria, ma purtroppo la realtà non la si può pagare o comprare come si vorrebbe. Par di sognare: la Montedison che si comporta come lo scolaretto che nasconde la "nota di biasimo" ai genitori, neppure comprendendo che l'ingenuità del mezzuccio usato è di breve momento e inficia la veridicità di tutta la serie di ulteriori argomentazioni.

Terzo punto di rilevanza notevole, se non eccezionale, del documento 12 agosto 1968, e che fa giustizia ancora una volta di ulteriori, disperate difese, è quella relativa (ultimo capoverso della prima pagina) alle incognite sul preventivo di spese che deriverebbero dall'eventuale ritrovamento di roccia (ritenuta lmprobabile) e dall'esecuzione del lavoro in terreno acquitrinoso.

19 luglio (foto) 1985: angoscia e disperazione dei sopravvissuti Rammentiamo la supponente risposta dell'ing. Bonetti ad una esplicita domanda al dibattimento: «Sia la Società che la Direzione minerari avevano un'ottima conoscenza geologica della zona ...». E allora, perché le incognite, e allora perché la pressante quanto contraddittoria richiesta d" una nuova perizia geologica avanzata dai difensori? I dubbi di Fiorini sui costi, perché forse si sarebbe dovuto lavorare in terreno acquitrinoso, come in effetti si dovette fare, fanno risaltare la responsabilità di Bonetti e della Direzione centrale Montedison, che si interessava in modo continuo e preciso della miniera.

Di un'unica cosa possiamo dare atto a Bonetti: che nella sua arroganza di dirigente a livello superiore di una multinazionale "stracciona" (ed uso tale termine a ragion veduta, sia ripensando alle promesse ai superstiti fatte in quest'aula, sia anticipando un ulteriore ragionamento su documenti che farò poi) il Bonetti, dicevo, si è assunto delle responsabilità tecniche, a fronte di altri imputati che si sono «chiamati fuori» in modo oltraggioso.

A pagina 192 dell'interrogatorio dibattimentale, alla domanda dell'avv. Gentili l'imputato Bonetti ha risposto: «Sono responsabile della posizione definitiva dell'argine del secondo bacino». Ma dato atto di questo, anche il Bonetti ha tentato di travisare pesantemente fatti e documenti.

In relazione alla lettera 9 settembre 1968 da lui inviata al Fiorini, il Bonetti così riferisce nell'interrogatorio dibattimentale: «... A questo primo invio di documenti (si trattava della lettera 12 agosto 1968 già citata) fece seguito la lettera della Direzione, Servizio Miniere, firmata da me e dal mio collaboratore ing. Citti (dirigente del servizio, era un ex-direttore di miniera ed era a me sottoposto), con la quale si prendeva atto dell'elaborato, si comunicava di aver date disposizioni al servizio approvvigionamenti al relativo servizio della Società (approvvigionamenti) di inviare una bozza di capitolato di appalto, ma soprattutto si dava disposizione di allontanare l'argine di base del bacino inferiore ...».

Sarebbe questo l'elemento determinante per poter sostenere che mai, in tutta la loro storia i bacini hanno influito l'uno sull'altro, e dà ancora la cesura del nesso causale con il comportamento Prealpi.

Riprendiamo tale documento: (terzo capoverso) «... Per quanto riguarda l'ubicazione del bacino ed il progetto siamo di massima d'accordo con la vostra impostazione.

Riteniamo semmai opportuno evitare di incidere con il nuovo argine il vecchio bacino (come avviene in una parte dello stesso): all'uopo sarà sufficiente rialzare un po' la quota del nuovo bacino impostando leggermente più alto».

Questa sarebbe per Bonetti, una "disposizione" vincolante e presa ai fini della sicurezza!

Analizziamo quanto indicato nella lettera: questa fa riferimento alla precedente del 12 agosto 1968 del Fiorini che aveva come riferimento il «progetto del nuovo bacino di decantazione che dovrà servire al contenimento del rifiuto della flottazione dei limi contenuti nell'attuale bacino di decantazione».

Bonetti (terzo capoverso, lettera 9 settembre 1968) è d'accordo sia con l'ubicazione che con il progetto. Nel corso del suo interrogatorio per spiegare come mai un bacino di decantazione che avrebbe dovuto contenere soltanto i limi del primo bacino, dopo il recupero della fluorite in essi contenuti, sia diventata l'enorme bomba di fango che in effetti divenne, e cercando di voltare a proprio favore una constatazione che invece è particolarmente grave, si inventa di sana pianta un secondo motivo, che sarebbe stato alla base della "disposizione" di allontanare a monte l'arginello di base.

Leggiamo tale interrogatorio: «La creazione del secondo bacino ebbe due motivazioni principali: la prima conseguente alle prove di ulteriore arricchimento sui fini... la seconda consisteva nell'opportunità, tenuto conto che il primo bacino era giunto all'altezza di 25 metri, se ben ricordo, il suo accrescimento sarebbe andato ad interessare sui versante orografico sinistro una zona boscosa più ripida, di provvedere alla costruzione di un altro bacino in zona più idonea. Perciò il motivo per cui fu indicato al signor Fiorini di allontanare a monte l'arginello di base era la previsione, da parte della Direzione della Società, che il secondo bacino dovesse fungere soprattutto ad ottemperare alla seconda esigenza sopraddetta».

Peccato che, nella lettera 9 settembre 1968, nessuna indicazione di tale seconda motivazione vi era e che evidentemente, data anche l'autonomia della gestione della miniera dallo stesso Bonetti sostenuta, appare assai strano che a pensare al futuro della miniera e dei bacini dovesse essere la Direzione centrale, senza neppure una parola di spiegazione al povero Fiorini.

Nessuna spiegazione, e neppure peraltro un rimprovero per l'errata progettazione con la sovrapposizione tra i due bacini. Bonetti infatti dice: «... La sovrapposizione tra l'argine superiore ed il bacino inferiore, desumibile dai disegni inviati, non destò preoccupazione di preparazione del Fiorini in questa materia proprio per disparità di concezione circa la destinazione del nuovo bacino».

- La consolidazione dei limi: la relazione dei consulenti di Fiorini

Montedison insiste da sempre, con grande dispendio di tempo e di fatica per tutti (soprattutto per coloro che hanno dovuto scervellarsi sulle faticose pagine di verbale direttamente dettato dall'italianista ing. Tomiolo) sul fatto che i limi dei bacini erano consolidati e che nessun pericolo poteva venire dagli stessi, essendo stata cagionata la liquefazione, in modo improvviso, dalla rottura dell'argine con conseguente perdita dell'appoggio ed improvvisa decompressione.

- Bonetti: «... La lentezza della deposizione dei limi e l'esistenza di un fondo naturale permeabile escludevano qualsiasi possibilità che i fanghi stessi non fossero consolidati.

- Ghirardini: «... La fluidità dei fanghi esisteva solo quando venivano versati, poi si consolidavano».

- Toscana: «... La lentezza dell'accrescimento dei bacini dava luogo ad una facile sedimentazione e quindi al consolidamento (dei limi)».

Per tutti gli imputati la frase del Rossi relativa alla presenza di fanghi semifluidi è «poco tecnica e poco ingegneristica» salvo sostenere che il Rossi che aveva steso il progetto del primo bacino, era stato grande maestro per tutto il personale subalterno che così appreso "sul campo" le tecniche di costruzione.

I consulenti Montedison-Fluormine dedicano tutta la parte terza della loro ampia dissertazione alle caratteristiche dei materiali e all'evidenza scientifica della consolidazione.

Con la consueta arroganza gli stessi attaccano i periti d'ufficio: «... Resta tuttavia incomprensibile come mai dopo aver preso atto di un così elevato valore del coefficiente di consolidazione, essi (i periti d'ufficio) abbiano potuto dichiarare che i limi si trovavano in uno stato "sotto consolidato": un calcolo anche elementare avrebbe potuto provar loro il contrario».

Tale accanimento ha una sola quanto evidente motivazione. Attaccare, cioè, la evidenza di colpa addebitata a Montedison, ex ante:

a) dall'articolo di Rossi, che parla di fluidità dei limi anche a distanza di molti anni;

b) dagli atti del convegno di Tucson, che erano evidentemente noti alla Direzione Miniera non solo perch e do e stato affermato da più imputati, ma anche perché sulla base della tabella allegata agli stesi atti venne parzialmente impostata la relazione Ghirardini;

c) dall'esistenza di precedenti disastri in discariche di sterili, la cui genesi non era stata ancora spiegata.

Questo affannarsi tecnico dei consulenti Montedison ha come supporto, in via esclusiva, le prove ISMES, successive all'evento, su materiale che come hanno riferito i periti d'ufficio al dibattimento, era il migliore possibile da campionare, in quanto nei luoghi dove più significativo sarebbe stato il prelievo, non era possibile, neppure a distanza di mesi dall'evento, giungere, ma che non era quello che cagionò l'evento. E non a caso i consulenti non allegano altro che i risultati delle prove "ex post" a tale parte della loro relazione.

- La evidenza delle prove sui limi ed il nesso di causalità.

Non stupisce che, nella sua logica difensiva e deviante ad esplicita domanda di questo difensore, l'ing. Bonetti riferisse testualmente: «Anche per il bacino inferiore nel mio periodo di direzione, non sono state fatte prove di consolidamento dei limi, perché anche per esso valevano le stesse considerazioni di tranquillità derivanti dal lento accrescimento del bacino e dalla permeabilità del fondo naturale.

Tali prove non vennero effettuate nemmeno in occasione dell'invio di campioni di limo all'Istituto Donegani di Novara nel corso degli studi della possibilità del loro riciclaggio».

Questa difesa di parte civile concorda con il Bonetti che le prove di consolidamento dei limi non furono fatte mai, nel bacino inferiore, e solo nel 1975, con la famosa "puntazza", sui fanghi del bacino superiore. Dà però un'interpretazione ben diversa alla mancanza di tali prove, rispetto a quanto sostenuto dagli imputati e dai loro consulenti.

E ciò sulla base di almeno tre documenti che ritengo di importanza fondamentale e sui quali voglio richiamare l'attenzione del Collegio. Si tratta dei documenti 9,10 e 25 allegati alla memoria Ricceri e Mancini del luglio 1986, e cioè della lettera Fiorini a Bonetti del 12 gennaio 1968; della lettera sempre di Fiorini a Bonetti 27 febbraio 1968 e del pro-memoria scritto a mano relativo alle prove di arricchimento per flottazione siglato "Novara 28 settembre 1970" e non firmato.

I primi due documenti sono inoltre signincativi sotto un altro profilo, quello relativo a! rapporti con gli Enti pubblici e al rispetto della vita umana e dell'ambiente, come vedremo.

Ma ritornando al punto della consolidazione, che secondo i consulenti di Parte potrebbe porre una cesura del nesso causale tra il comportamento Montedison, in ipotesi coll'oso, e l'evento, i documenti che ho richiamato sono eloquenti in modo assoluto.

Prendiamo e citiamo testualmente il primo: «Campionamento (dei limi bacino inferiore). Non è stato facile l'accesso all'area del bacino, per la presenza di acqua e di fango mobile».

Ed il secondo (27 febbraio 1968) «... Riteniamo assai difficile rendere asciutto il limo depositato ...»

«:Considerata la viscosità del materiale ...» «... Evitare che nel vecchio bacino si ristabilisca periodicamente un nuovo livello di acqua che peggiorerebbe le condizioni di ripresa già difficili a causa della viscosità del materiale ...»; «... Il dato positivo ... è che si può evitare di intorbidire le acque del torrente Stava, reimmettendo gli scarti nello stesso bacino in una zona marginale (dopo il ritrattamento), tentando addirittura un filtraggio sommario attraverso la sabbia delle sponde ...»!

Il tutto con buona pace di coloro che sostengono che la maggiore preoccupazione della Montedison era quella di tenere a distanza (la famosissima 'spiaggia'!) le acque dalla sabbia dell'argine!

Ed infine il pro-memoria Istituto Donegani di Novara del 1970, a distanza di oltre due anni: «Prove industriali. La ripresa dei limi dal bacino nel periodo dal 20 al 21 aprile 1970, non si poté effettuare a causa della intransitabilità del terreno su cui avrebbe dovuto manovrare l'escavatore; sia il terreno sia i limi, infatti, erano fortemente intrisi di neve acquosa ...«.

E' ben evidente il motivo per cui Montedison sottace completamente, ignora, tali documenti. Perché sono la prova provata, documentale, e precedente allo scritto del Rossi, che i limi del bacino inferiore non si erano consolidati a distanza di 10 anni dalle prime immissioni. Tali documenti non possono essere tacciati di essere «poco tecnici o poco ingegneristici», come le affermazioni di Rossi, che forse dagli stessi aveva tratto ispirazione.

Di fronte alla presenza di fanghi fluidi, assume rilevanza quasi confessoria l'affermazione del Bonetti, sempre a domanda di questo difensore, che i campioni per le prove di recupero della florite contenuta nei limi «non vennero presi in profondità perché dovevano esser campioni medi che si potessero utilizzare». La verità è invece nei documenti che ho sopra citato.

E se il bacino superiore, che come quello inferiore non poteva non rappresentare gravi problemi di consolidamento dei limi, crolla miseramente (e non vorremmo fare del sarcasmo), il tentativo dei consulenti Montedison-Fluormine, e poi presumibilmente quello dei difensori, sarà di porre la cesura causale.

- La sospensione dell'attività nel 1978 ed il nesso di causalità

Ancora sul nesso di causalità, dati per scontati tutti gli ulteriori elementi di colpa che son già stati illustrati da parte dei colleghi, da parte del pubblico Ministero nella sua rigorosa e valida requisitoria, da parte del Giudice Istruttore ma sui quali non intendo dilungarmi se non per richiamarli in modo estremamente sommario, si deve fin d'ora, con le stesse quasi ingenue ammissioni di uno degli imputati, smentire e smontare un'altra possibile obiezione della difesa, già anticipata dai consulenti.

La difesa infatti non può non ammettere, perché sarebbe documentalmente smentita più di quanto non lo sia già stata: 1) la conoscenza dell'articolo di Rossi, 2) la conoscenza e la sottovalutazione dei precedenti incidenti, 3) la inidoneità del luogo, 4) la contemporanea presenza di tre elementi di pericolosità, con effetto sinergico: la pendenza, la sovrapposizione dei due bacini, la presenza di abitazioni ed abitanti a valle, 5) la costruzione con il sistema "a monte": («effettivamente un accrescimento a valle dà più tranquillità sotto il profilo della sicurezza» - interrogatorio al dibattimento di Bonetti). Ammetterebbe forse anche che i limi, come ho documentalmente provato, non si erano consolidati ancora nel 1970.

Ma tenterà in ogni modo di provare che se la cesura del nesso di causalità non si è verificata nel 1982, con la ripresa dell'attività con la gestione Prealpi ed il conseguente presunto cambiamento delle modalità operative, quantomeno tale cesura si è verificata nel 1978, quando venne bloccata l'attività di flottazione. A me pare basti rammentare le parole dell'imputato Toscana sul punto: «Non si pensò di demolire i manufatti (nel 1978, quando si fermò la flottazione) perché era pur sempre ipotizzabile un futuro utilizzo, dal momento che ciclicamente avvenivano ritrovamenti di nuovi filoni minerari nella zona».

E collocando questa affermazione con quella contenuta in tutta la letteratura tecnica ed in particolare nell'ormai abusato articolo del Rossi, secondo il quale i bacini di sterili non debbono garantire la sicurezza solo nel periodo di utilizzazione, ma «per molte generazioni a venire», la frattura del nesso di causalità, più sperata che ritenuta, non può neppure essere ipotizzata!

foto - Si cercano i corpi delle vittime

Sulla base delle considerazioni che ho sopra fatto, gli immensi sforzi dei consulenti Montedison e Fluormine per dimostrare che i loro assistiti hanno seguito una "regola dell'arte" esistente all'epoca della costruzioni dei bacini, lo sfoggio di presunta scienza che abbiamo dovuto subire tutti per più giorni, hanno breve momento.

Si tratterebbe ora di discutere delle responsabilità di chi doveva controllare e non controllò, e di chi gestì la miniera ed i bacini nell'ultimo periodo.

- La gestione Prealpi

La gestione Prealpi fu caratterizzata dalla stessa impostazione gravemente coll'osa del periodo Fluormine-Montedison.
Lo stesso tentativo dei difensori della Prealpi di dimostrare che «tutto proseguì come prima» semmai migliorando le condizioni dell'argine, è dimostrazione confessoria di colpa.

Ciò anche se, nella gradazione della pena, che è consentita al Giudice non si potrà non tener conto della differenza di mezzi, di uomini, e di condizioni che caratterizzò la gestione Rota.

Non si potrà non tener conto, ancora, che Montedison, dopo aver scaricato come rottami quelle bombe, era peraltro sostanzialmente l'appaltatrice di tutta la gestione, acquistando l'intera produzione di Prestavel ed anzi sollecitando l'aumento della produzione stessa per far fronte a proprie esigenze.

Per quanto attiene agli imputati pubblici dipendenti, lo stesso appoggio alle tesi Montedison dato in sede di consulenze tecniche, mi sembra evidente ammissione di responsabilità. Una nota particolare, tra gli imputati pubblici dipendenti, merita l'ing. Perna.

I suoi due capolavori difensivi sono l'affermazione che: «SentIl mio dovere interessarmi al problema della sicurezza, anche se non di mia competenza, in quanto ritenevo che nessuno se né occupasse ...» e l'altra di aver conosciuto esclusivamente le norme di Polizia mineraria, nel preoccuparsi della sicurezza dei lavoratori, e di non aver conosciuto l'esistenza ed il contenuto dell'articolo 437 del Codice penale.

Un vero antesignano delle norme più garantiste a tutti imposte dall'ultima sentenza della Corte Costituzionale, di cui si diceva essere stato il prof. Pulitanò l'ispiratore teorico, sulla conoscenza e la rilevanza della conoscenza delle norme penali!

Si potrebbe chiudere qui la parte di fatto di questo mio intervento. Ma si impone ancora un'annotazione relativa al comportamento degli imputati Montedison, ed in particolare del Bonetti e del Fiorini. Il loro atteggiamento difensivo era già pronto, su questo come su altri eventi. Leggiamo ancora i documenti 9 e 10 della relazione Ricceri e Mancini: la lettera 12 gennaio 1968 di Fiorini a Bonetti, a pag. 3 in fondo: «In realtà per questo secondo rifiuto si penserebbe, in considerazione delle impall'abilità del materiale od al periodo relativamente breve di ripresa, di immetterlo direttamente nello scarico del bacino o di conseguenza nel torrente Stava come del resto viene di fatto nel periodo invernale; salvo scaricarlo come detto sopra nel bacino solo raramente ad esempio nel periodo di maggiore frequenza turistica. Di fronte ad eventuali reclami si potrebbero vantare giustificazioni tecniche, guasti e manutenzioni, o ragioni di forza maggiore del momento».

Lettera 27 febbraio 1968 di Fiorini a Bonetti: «Vaghe notizie dicono che la fauna ittica non sia stata depauperata dagli scavi».

Fu proprio un atteggiamento di questo genere, ignaro e sprezzante del preminente interesse alla vita ed all'ambiente, a costituire la premessa indispensabile, casualmente rilevante, del disastro di Stava.

L'acqua torbida che gli abitanti di Tésero oramai si erano abituati, secondo Fiorini, a vedere nel torrente, e che non potevano comunque controllare dalla via principale per la profondità delle acque, si è tramutata il 19 luglio 1985 in qualcosa che neppure gli ignari imputati della "mano pubblica" potevano non vedere.

Ma gli imputati di parte Montedison hanno continuato nella loro politica, conclamata, di predeterminare un danno pubblico perché, a breve momento, ci si potesse appropriare di un profitto privato.

Sul punto più propriamente del diritto hanno già parlato vari e valenti colleghi. Alle loro argomentazioni mi riporto in modo totale. Mi corre però l'obbligo di richiamare l'attenzione del Collegio giudicante su una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione (n. 1112 del 23 maggio '86) che depositerò in copia, contro i responsabili del cosiddetto «disastro Icmesa».

L'analogìa con il presente caso è assolutamente significativa, anche se, fortunatamente per la gente di Seveso, l'evento diossina ha avuto più rilevanza pubblica ma meno lutti di quello di Stava. Anche là si trattava di attività pericolosa, di un fatto che gli imputati ritenevano inspiegabile con la propria gestione ed i propri mezzi, anche là il vero agente era una multinazionale chimica (che peraltro fece fronte ai danni con ben maggiore serietà e signorilità che non la Montedison).

Anche in QUEL caso, il meccanismo scatenante dell'evento rimase in qualche modo 'non noto'. O meglio i responsabili dell'Icmesa, muniti come quelli della Montedison di illustri consulenti internazionali, addirittura addebitarono ad un fenomeno fisico non conosciuto (il cosiddetto effetto Teophanus), la causa scatenante ed interruttiva del nesso di causalità.

Così la Montedison ha tentato di addebitare una frattura del nesso di causalità all'intervento della gestione Prealpi e comunque all'interruzione dell'attività nel 1978. Ho segnato, per evitare perdita di tempo al Collegio, le pagine contenenti i punti di diritto che ci riguardano.

Per utilizzare una formula cara all'avv. Stella, se noi mentalmente eliminiamo, dalla sentenza Icmesa, la parola 'tricrolofenolo' e vi inseriamo quella "fanghi"; se sostituiamo la parola "fanghi liquidi" alla parola "diossina"; se sostituiamo i nomi degli imputati svizzeri di allora con quelli degli imputati italiani di oggi di parte Montedison, l'analogia non potrebbe che trasformarsi in identità.

La Corte di Cassazione ha affermato la colpa degli imputati come caratterizzata da omissione di misure precauzionali, nel non aver tenuto in debito conto i gravi rischi impliciti ed evidenti nel processo produttivo, nell'aver fatto completo affidamento su un impianto e su un sistema di lavorazione non affidabili per inadeguatezza tecnica, sì da integrare gli estremi dell'imprudenza, della negligenza e forse anche dell'imperizia.

Sono state loro addebitate quali elementi di colpa che hanno portato alla condanna l'inadeguatezza delle strumentazioni di controllo, l'inesistenza di precise disposizioni scritte circa le modalità di esercizio, con particolare riguardo a possibili situazioni di emergenza, la carenza di informazione e preparazione del personale e la sistematica omissione di sorveglianza dell'impianto.

E se anche qualcuno degli odierni imputati, come in qualche modo ha cercato di fare il Bonetti in alcuni punti, soprattutto in relazione alla mancata effettuazione delle prove richieste dal Ghirardini, tentasse di difendersi facendo riferimento al principio della delega, la Cassazione sostiene che tale principio può sì concettualmente trovare applicazione anche in attività che coinvolgono non solo la prevenzione infortunistica ma anche l'integrità del territorio, l'incolumità fisica e gli interessi economici dei suoi abitanti, ma richiede altresì che «chi di tale principio voglia giovarsi si sia astenuto da ogni ingerenza tecnica o comunque non sia venuto a conoscenza dell'inosservanza delle norme sia tecniche che giuridiche dettate per la sicurezza degli impianti.
Inoltre per il principio dell'esigibilità, che regola l'imputabilità in materia di comportamenti colposi, perché un dirigente possa andare esente da responsabilità è necessario che le sue capacità tecniche e le cognizioni di fatto relative all'esistenza di una determinata situazione obiettiva di pericolo non rendano da lui attendibile e quindi da lui penalmente esigibile un determinato comportamento volto a determinare la predetta situazione».

Questo processo, che è stato condotto in modo rigoroso, faticoso per tutti ma rispettoso dei diritti di tutti, e di questo ringrazio il Collegio ed il Presidente in particolare, ha evidenziato tutte queste manchevolezze, tutti questi elementi di colpa.

Per Bonetti, Morandi, Ghirardini, Fiorini e gli altri si è trattato di un lunghissimo sonno della ragione. Questo «sonno della ragione» ha generato i mostri.

Anche perché questo non capiti più, Vi chiedo che gli imputati vengano tutti dichiarati responsabili dei reati loro ascritti, con condanna alle pene che riterrete giuste ed al risarcimento dei danni in solido con i rispettivi responsabili civili, così come specificato nelle conclusioni rassegnate a parte.

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Un tempo, leggevi queste cose e ti trovavi su www.vajont.org.
Poi sbucarono - e vennero avanti - i delinquenti, naturalmente quelli istituzionali ....

  


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Fortogna:
nella foto sotto, il *Giardino delle bestemmie* attuale, un fal$o TOTALE dal 2004: un falso storico, fattuale, e ASSOLUTAMENTE IMMORALE da 3,5 mln di Euro. Un FALSO TOTALE e oggettivo - a cominciare dai FALSI cippi «in marmo di Carrara» - targato *sindaco De Cesero Pierluigi/Comune di Longarone 2004*.
Oggi questo farlocco e osceno «Monumento/sacrario» in località S. Martino di Fortogna riproduce fedelmente in pianta e in miniatura, come un parco "Italia" di Viserbella di Rimini, il campo "B" del lager nazista di Auschwitz/Birkenau. Fantastico, no? ed e' la verita' verificabile ma se solo ti azzardi a dirlo o far notare le coincidenze, sono guai. $eri. Perché... qui in Italia, e soprattutto in luoghi di metàstasi sociale e interessi inconfessabili come la Longarone 'babba' ... «la Verità si può anche dire. Ma però che non ci sia nessuno che l'ascolti (o legga!)»

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Ma tutto deve andare come da copione, in Longar-Corleone. Dal dicembre del 1964 qui è così: lo mise nero su bianco gente colle spalle ben più larghe delle mie, e in tempi non sospetti:

«E' quasi come in Sicilia, mi creda; a Longarone si configurano gli elementi tipici della mafia. Non è questione di partito 'A', o 'B'; c'è un determinato giro fatto di poche persone all'interno del quale non entra nessuno. Il potere è in mano a costoro, cinque o sei persone a Longarone, e poi qualche diramazione fuori, cioè altre persone nei posti giusti, perché un sistema del genere non può sopravvivere se non c'è corruzione».
Fonte: Giampaolo Pansa, sul Corriere della Sera del 9 ottobre 1973; sta riportato sul libro della Lucia Vastano. LIBRO CONSIGLIATISSIMO.

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