L'Italia della cricca. Il ruolo di Leone nel Vajont

Un breve estratto del libro descritto a lato

Serve a delineare il personaggio "Giovanni Leone" e ad arrivare "vaccinati" al paragrafo del voltafaccia, da parte dell'allora Presidente del Consiglio che venne a promettere, a Longarone, « Giustizia » e "ricostruzione. Tant'è che pochi mesi dopo, divenne il capo degli avvocati della difesa della cricca mafioso-politica (DC) che rese possibile il disastro. Una sorta di "tradizione professionale" per il "fine giurista", Avvocato Leone Giovanni. Quello della « Giustizia», un tanto al chilo.


CAPIRE (anche) IL VAJONT:

L'anonima DC.
Trent'anni di scandali da Fiumicino al Quirinale

di Orazio Barrese e Massimo Caprara
Finestre sul '900 italiano: tra guerra fredda e anni di piombo - Anni '70 - Storia del crimine organizzato in Italia - Mafia dei colletti bianchi

0 Dalla quarta di copertina:
«Forchettoni, vandali, corvi, avvoltoi» sono le etichette che la pubblicistica e la denuncia delle sinistre hanno affibbiato per oltre trent'anni, per tutto il corso della restaurazione capitalistica, ai responsabili dei maggiori scandali nazionali che venivano scoperti con le mani nel sacco. Gli autori di questo libro ricostruiscono l'occupazione del potere da parte della DC e i più gravi fenomeni degenerativi di lucro estorto e di corruzione che hanno coinvolto uomini e gruppi del partito dominante, centri economici pubblici e privati, banche e poteri dello Stato.
Una folla d'affaristi, profittatori, portaborse, guardaspalle e prestanomi di ministri, alti prelati, amministratori pubblici, generali e alti magistrati; un sottobosco di favori, protezioni, concessioni, benefìci indebiti occupano le pagine di questo libro con un crescendo che punta sempre più alto.
Dai primi scandali a ridosso degli anni Quaranta-Sessanta (monsignor Prettner che ricicla valuta attraverso i canali del Vaticano; il Giuffrè "banchiere di Dio", che incamera miliardi per le "opere di religione"; la grande casata dei conti Torlonia che s'impingua ulteriormente vendendo le "zolle d'oro" di Fiumicino), si arriva poi agli sfrontati profittatori di Stato (Trabucchi, il ministro delle banane e poi del tabacco messicano).

Vajont+GIOVANNILEONEMan mano, si sale ai "grandi elemosinieri", che dal torbido giro internazionale del petrolio gonfiano le tangenti per i partiti al governo (Valerio, Cazzaniga); si passa attraverso gli sportelli bancari dei santuari del capitale, custoditi da fiduciari di ferro della DC (Arcaini, Ventriglia); si tocca la complice "delinquescenza" dei boiardi di Stato (Cefis, Einaudi, Petrilli, Girotti, Di Cagno); si transita nelle ville dei "robbery barons", i baroni ladri delle commesse militari (i fratelli Lefébvre D'Ovidio, Crociani), per sfociare nel gran mare, agitato da correnti in lotta, degli uomini politici coinvolti, da Andreotti a Fanfani, Cossiga, Zaccagnini, Colombo, Rumor, Preti, Tanassi, Gui fino all'apoteosi oscena del presidente Leone.
Questo libro solleva qualche lembo dietro gli "omissis" imposti al testo del rapporto della commissione del Congresso Americano (la 'Commissione Pike') che ha indagato sui finanziamenti della CIA agli uomini politici e ai partiti di vari paesi compresa l'Italia, riaprendo in tal modo il dibattito sulle dirette responsabilità del più alto vertice istituzionale.

Feltrinelli Editore, 1977 - 293 pagine



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[...] L'onorevole Leone continua a prestarsi a favore della Federconsorzi. Nel 1963, prima di lasciare il governo, egli corrisponde un ulteriore donativo a Bonomi. Leone modifica il precedente decreto del suo stesso governo ed ammette la vendita, prima vietata, nelle grandi città, di latte prodotto non solo dalle Centrali municipali ma da aziende private.37 L'istanza gli era stata rivolta, assieme ad un ricorso al Consiglio di stato, dalla Polenghi-Lombardo di Lodi, produttrice del latte 'Stella', incamerata dalla Federconsorzi con una procedura al ribasso delle azioni che si concluse con il suicidio del vecchio proprietario, ritenutosi volgarmente aggirato e truffato da una macchinazione pubblica e privata.
Un analogo qualificato intervento, si manifesta in un campo altrettanto delicato: Calogero Volpe, presidente dell'Ente Zolfi Siciliani sino al 1953 e deputato democristiano di quella "corrente" che annovera fra i suoi sostenitori Genco Russo, boss altolocato della mafia italo-americana dei don Calogero Vizzini e di Albert Anastasìa, già separatista, poi monarchico, indi democristiano, divenuto sottosegretario alla sanità, avvicina il professor Leone, uscito dal governo, per chiedergli solidarietà.
Scatta l'assunzione da parte del professore Leone della difesa dell'onorevole Mattarella e dello stesso Volpe contro Danilo Dolci e Franco Alasia che avevano consegnato alla commissione parlamentare antimafia un dossier di fatti e notizie sui "saldi ancoraggi" dei due parlamentari con la mafia. L'arringa del professor Leone al processo presso il tribunale di Roma, dove si trascinerà per oltre un anno, salverà Mattarella, nonostante le riserve del Pubblico Ministero e Dolci sarà condannato a due anni proprio mentre a Valledolmo, nel cuore della "Mafia dei giardini", i carabinieri arrestano uno dei querelanti contro Dolci per associazione a delinquere.

La commissione antimafia istituisce un comitato apposito per indagare sui fatti riferiti da Dolci e da Alasia.
Il comitato viene bloccato, l'indagine prima ristagna poi il senatore Donato Pafundi, democristiano, avoca a sé la stesura della relazione, rifiuta il contributo della minoranza, invia il testo al secondo piano di Montecitorio dove hanno sede gli uffici della presidenza della Camera ed i funzionari meglio legati alla presidenza Leone. E si dimentica, alla fine, di sollecitarne la restituzione.


Un Leone nella giungla dei voti

Un ulteriore squarcio di costume e di connessione organica, non casuale, di dipendenza illecita e reazionaria, che avvince la sfera professionale e personale con il pubblico interesse, è ancora una volta offerto dall'onorevole Leone.
Il 21 dicembre 1965, durante un fastoso ricevimento all'albergo Hilton-Cavalieri di Roma sulle pendici di Monte Mario disboscate e devastate dall'Immobiliare, egli è il protagonista di un clamoroso episodio. Una folla di alti funzionari del parastato e dei ministeri, di sindacalisti, di procacciatori di affari mutualistici è accorsa al matrimonio della figlia dell'avvocato Romanelli, ex presidente dell' Istituto nazionale della previdenza sociale. All'improvviso gli invitati si volgono dalla parte dove è seduto l'onorevole Leone, presidente del consiglio in carica.

"Ti prego di lasciare stare il mio nome per quanto riguarda il trasferimento di quei Babolini. Questo è un affare che riguarda Delle Fave!", sta urlando Leone. "Semmai, c'entra il Consiglio di stato. Non c'entro, io. Tutta Napoli attribuirebbe a me questo trasferimento. Lo capisci o no? Io ho perduto 50 mila voti e non voglio perderne più."
Quando cessa la scalmana, i presenti si scambiano bisbigli di pettegolezzi ed interrogativi a voce più alta.
Umberto Delle Fave è il ministro democristiano del Lavoro in carica. Gino Babolini è direttore sanitario dell'ospedale sanatoriale 'Principe di Piemonte' di Napoli. L'interlocutore dell'invettiva presidenziale è il professore Angelo Corsi, ex deputato socialdemocratico, presidente dell'INPS in bilico fra proroga e cessazione dal suo mandato. La questione aveva avuto origine più di due anni prima, nel settembre del 1963.

Un'ispezione compiuta dal dottor Sebastiano Alfonsi, ispettore centrale dell'istituto della previdenza sociale, aveva concluso che "i dirigenti dell' ospedale napoletano erano certamente corresponsabili se non addirittura causa prima di un corpo cospicuo di irregolarità emerse o soltanto evidenziate."38

A metà settembre, l'onorevole Corsi, criticatissimo dai sindacati per il malgoverno dell'Istituto e per reiterati contrasti interni con la macchina dell'INPS, dispone la sospensione ed il trasferimento ad altra sede del Babolini e la sua sostituzione con il professore Alfredo Monaco quale nuovo dirigente del 'Principe di Piemonte'. Babolini è consigliere democristiano al Comune di Napoli e si rivolge immediatamente al suo partito e ai sindacati aziendali invocando guarentigie politiche e sindacali e denunziando la persecuzione centrale. Le sezioni della DC ribollono di sdegno alla notizia che uno di loro venga sfiorato. I ricoverati sperano che dallo scontro tra le due cosche nazionali e locali si apra, per il "Principe di Piemonte", uno spiraglio finalmente di ordine e di nettezza. Babolini ricorre al Consiglio di Stato. Il ministro Delle Fave, pressato da Napoli e da Roma, chiede lumi. L'onorevole Corsi fa partire un rapporto alla magistratura che apre un procedimento contro i dirigenti del sanatorio, primo fra tutti il Babolini, che viene immediatamente incriminato per truffa aggravata e continuata.

L'11 settembre scende in campo l'onorevole Leone, presidente napoletano del Consiglio dei Ministri.
Lo muove un nobile calcolo. Nella discussione di partito sulla scelta dei candidati alle elezioni politiche dell'aprile 1963, Leone aveva ottenuto che Babolini, già forte di una consistente base clientelare, venisse escluso dalla rosa con un argomento di tipo etnico e razziale che Moro avrebbe chiamato "dirimente": benché da 10 anni a Napoli, Babolini non è napoletano e come tale non può rappresentare la città. L'intervento successivo di Leone su Corsi non è un atto riparatore contro questa precedente assurdità che, del resto, non riesce neppure a far velo al motivo autentico ossia alla volontà di Leone di sbarazzarsi di un incomodo concorrente in materia di voti di preferenza. Non è neppure motivato dalla personale convinzione che il Babolini sia vittima incolpevole di una macchinazione politico-giudiziaria. Appartenente ad una famiglia il cui padre, Mauro, aveva ottenuto, come vecchio ex popolare, la gestione per anni dell'ospedale Ascalesi, l'onorevole Leone era in grado di apprezzare su quale giungla di privilegi, favoritismi commerciali, preferenze nelle forniture, poggiasse e quali vantaggi elettorali desse la direzione, a Napoli ed in quegli anni, gli ospedali insufficienti, disattrezzati, dove un posto letto viene conferito non al malato ma al migliore o più autorevole raccomandato.
Leone dichiara di muoversi per un privatissimo scopo elettorale: non vuole che si dica e si commenti che contro Babolini continua la sua persecuzione. Solerte e senza sosta, Leone manovra all'interno, e incalza al vertice. L'11 settembre insegue l'onorevole Corsi a Salsomaggiore, dove il presidente dell'INPS "passa le acque" e gli invia un messaggero nella persona del professore Di Maria, docente all'Università di Catania, suo medico personale e sostenitore.
Corsi si rifiuta di riceverlo. Di Maria gli lascia una lettera su carta intestata all'Hotel Milano, lo informa dello scopo, del resto trasparente, della missione ed elenca le personalità contrarie al trasferimento di Babolini. Il 12 settembre, il ministro Delle Fave telegrafa a Corsi a Salsomaggiore. Il 13 settembre, egli rivolge per iscritto, non all'INPS ma alla direzione generale competente del suo ministero, un ordine di revoca del trasferimento. Il 27 settembre il Consiglio di stato sospende la misura dii trasferimento adottata dall'onorevole Corsi.

Quando esplode la lotta per la successione alla presidenza dell'INPS tutto il materiale sommerso riaffiora. L'onorevole Corsi prima blandisce, poi rivendica comprensione, successivamente minaccia, indi lascia filtrare tutta la corrispondenza intercorsa tra lui stesso, l'onorevole Leone, il ministro degli Esteri - e poi il presidente della Repubblica - Giuseppe Saragat, il ministro Delle Fave, l'onorevole Mario Tanassi segretario del PSDI, l'onorevole Aldo Moro nuovo presidente del Consiglio. Sono trenta cartelle che puntualmente registrano una rissa, una macchinazione e un nepotismo da basso impero, ai danni degli assicurati e dentro un ente, l'INPS, che amministra 3 mila miliardi e la salute della maggioranza degli italiani.39

L'onorevole Corsi inizia rivelando che "decine di persone", tutte degnissime e capacissime, "dichiarano inorridite che in questo momento il suo allontanamento dall' INPS costituirebbe un atto manifestamente diffamatorio." Infatti, egli spiega, "io sono alle prese con alcuni personaggi, che, abilmente sobillati, hanno formulato vili denunzie contro di me." (Si tratta delle documentatissime inchieste penali sulla degenerazione dell'assistenza antitubercolare).
Egli prosegue sottolineando che la sua sostituzione sarebbe "manifestamente iniqua", perché, "mentre imperversa un'odiosa e diffamatrice campagna di stampa e mentre si attende dal magistrato un alto e severo giudizio, essa può apparire come una attribuzione di responsabilità." Le preoccupazioni per il futuro non interrompono le mancanze per il presente e infatti continuano le operazioni di accaparramento dei vertici dell'Istituto. Dalla corrispondenza emerge un "modello" di comportamento. L'11 marzo 1963, il principale collaboratore dell'onorevole Tanassi, il dottor Carlo Santoro, scrive all'onorevole Corsi a proposito della nomina di un vice direttore generale dell'Istituto e sostiene che, per decidere, occorre adottare una norma infallibile: "bisogna scegliere quello che ha già dato la prova di essere stato il più vicino al nostro partito per combattere le mire di Nenni e dei DC sull'avvenire degli istituti."

Santoro scarta "un nome fin troppo conosciuto" con questa testuale argomentazione: "in questi anni non ha mai dedicato al nostro partito quella minima attenzione che avrebbe avuto il dovere di riservargli, se non altro perché il nostro è il Partito del Presidente"; elimina un secondo, il dottor Campopiano, con un argomento che lo incenerisce: "una volta mi ha personalmente trattato con clamorosa scostumatezza"; propone, infine, un terzo, il dottor Caracciolo, con lapidaria concisione: "è intervenuto favorevolmente in centinaia di casi prospettati dal Partito e questo è un fatto che non possiamo dimenticare in questo momento se non vogliamo metterci in avvenire nella impossibilità di rivolgerci al Servizio del personale che è l'unico settore che veramente interessa il Partito."
Inoltre, con modestia, completa il giudizio: "Io personalmente non potrei più mettere piede all'INPS nell'impossibilità e nel timore di incontrare un uomo così malpagato da un Partito che il medesimo non aveva alcun obbligo di aiutare." Il professor Corsi replica prendendo nota degli argomenti mentre il ministro degli Esteri, onorevole Saragat, assicura il suo interessamento per mantenergli l'incarico, anche se "l'attuale momento politico non mi consente di seguire l'importante questione."

Sull'affare Babolini, il professor Corsi esordisce, nel documento n. 10 della raccolta resa pubblica circa dieci anni dopo, dichiarando di "essere stato costretto ad indirizzare una lettera sull'incidente dall'albergo Hilton per non provocare una scenata per la sconvenienza del presidente del Consiglio."
La "sconvenienza" non sta nel fatto che la causa di Babolini patrocinata con vigore non disinteressato dall'onorevole Leone è indifendibile, ma sta nella circostanza che il presidente del Consiglio, attaccando massicciamente, aveva modificato a vantaggio dell'odiato direttore generale Cattabriga i rapporti interni all'INPS e tolto poteri al suo presidente determinandone il declino, se non l'estromissione. L'onorevole Leone replica con dieci cartelle dattiloscritte di una "riservata personale" diretta al "caro Corsi" e poi lo convoca a palazzo Chigi. Quando i commessi in livrea chiudono le porte di noce ed isolano lo studio presidenziale che s'affaccia all'angolo tra piazza Colonna ed il Corso, il dialogo che vi si snoda è uno scontro all'arma bianca.40

"Stai facendo un deplorevole gioco alle mie spalle. Volevi trasferire Babolini per rappresaglia contro la scuola di Monaldi (un tisiologo napoletano assai noto ma meno apprezzato ministro della Sanità, dicastero appositamente inventato per lui dall'onorevole Fanfani). Questo è il vero motivo", aggredisce Leone.
"Lo nego", replica Corsi. "Tu difendi un disonesto per placare la tua cattiva coscienza. Gli hai soffiato il seggio alla Camera e ne temi le rappresaglie", insiste, con un tono che vuoi essere tagliente, il professor Corsi.
"Volevi colpire Monaldi perché egli ha una colpa ai tuoi occhi: ha sollecitato al Senato lo scorporo della fetta del settore assistenza e tubercolotici per passarlo dall'INPS all'Istituto nazionale delle malattie. E tu, invece, vuoi mantenere tutta la torta", insiste alterato Leone, gesticolando.
"Lo sai che non è vero. Io mi occupo solo delle sorti dell'Istituto", oppone enfatico Corsi alzando la voce.
Allo scontro è presente l'avvocato Renato Morelli, già presidente dell'INAIL napoletano, amico di entrambi, fattosi, per questo, intermediario di propria iniziativa e imbarazzato perché la sua missione di pace fa naufragio. Pensando di deviare l'attenzione, introduce il nome del professore Di Maria, altro comune sodale di un tempo.
"Ti ho mandato Di Maria a Salsomaggiore", afferra al volo l'onorevole Leone, "perché è tuo medico da molti anni e ti ha dedicato un'assistenza devota. Non solo professionale. Anche politica. Veniva spesso da me per sostenere il rinnovo della tua candidatura. Dopo tutto, come medico non lo hai neppure pagato."
"Per tua norma", dice il professore Corsi sillabando le parole, "io ho sempre largamente pagato i medici professionisti, a differenza di quanto fai tu. Di Maria era contrario anche lui allo scorporo dell'assistenza ai tubercolotici. E sai cosa mi diceva Di Maria? Mi riferiva giudizi che, alla luce della tua insolenza odierna verso di me, appaiono almeno iperbolici. Ne ricordo uno solo che vale per tutti. Di Maria mi diceva che tu eri solito sostenere che lo Stato avrebbe bisogno di molti Corsi. Adesso sei persino contrario alla mia riconferma. Bella coerenza!", grida il professore Corsi.
"L'ultima volta, e tu lo sai, la tua nomina alla presidenza dell' Istituto fu più che controversa. Per tacitare Gronchi che dal Quirinale premeva per un altro nome, dovemmo assicurargli che ti saresti dimesso dopo due anni. Non ti sono bastati. Adesso ne vuoi altri cinque", dice Leone. "Il tuo voler essere aggrappato all'incarico è una cosa che posso capire", urla concitato Leone, poi facendo appello alla sua formazione giuridica aggiunge: "Ma questo significa cronicizzare una perpetuatio del tutto assurda."
Il presidente del Consiglio si alza, gira le spalle ai suoi interlocutori e conclude: "Finiscila con questo gioco poco commendevole di punzecchiature di spillo. Il tuo preannunzio di rivelazioni non mi fa paura. Il candidato alla tua successione ce l'abbiamo già."
Solo Morelli riesce a stringergli frettolosamente la mano.
L'onorevole Moro, informato per iscritto dello scambio di invettive e poi di lettere tra i due, ricche di insinuazioni tali da riguardare se non direttamente il giudice politico almeno quello penale, rifiuta di occuparsi dell'«increscioso affare» e di lasciarsi distrarre dalle proprie occupazioni con argomenti così spiacevoli. L'autoconservazione di classe copre e disinnesca le contraddizioni personali interne lottizzando l'oggetto della contesa, non per riformarlo ma per conservarlo come apparato ideologico che tutto assolve e digerisce come "interna corporis".41


36 La stima è documentata da Livio Zanetti in "l'Espresso", 11 luglio 1959. Il settimanale continuò ad occuparsi diffusamente anche della questione "esporta e raddoppia", un ingegnoso giro di entrata ed uscita di grano a prezzi nìaimiurali, oggetto della denunzia formulata nel gennaio 1960 da parte del dottor Crespellani, procuratore generale presso la Corte di Appello di Brescia, dove era in corso un giudizio per peculato a carico di funzionari del locale consorzio agrario. "Se i controlli dello Stato sulla gestione del Consorzio agrario", disse Crespellani all'inaugurazione dell'anno giudiziario, "fossero stati tempestivamente esercitati, il delittuoso episodio avrebbe certamente assunto ben minori proporzioni."

37 Gli estremi degli atti governativi sono contenuti in Giulio LA CAVA, La Stella bonomiana, in "l'Astrolabio", n. 17 del 10 dicembre 1963, pp. 8-9.

38 Per l'illustrazione di questo caso facciamo riferimento alla corrispondenza interna d'ufficio dell'INPS ed agli atti del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale pubblicati in varie puntate nell'annata 1966 da "l'Astrolabio", ed dal libro rosso dell'INPS, supplemento al n. 11 de "l'Espresso", 13 marzo 1966.

39 Cfr. Il libro rosso dell'INPS, cit. Documenti da n. 1 a n. 16.

40 Gli argomenti, le battute, le frasi, l'aggettivazione sono riassunti lestualmente nei documenti dal n. 10 al n. 13 de Il libro rosso dell'INPS, cit.. Lettera del professore Giovanni Leone all'onorevole dottor Angelo Corsi, presidente dell'INPS e risposta di quest'ultimo.

41 Sul ruolo degli "apparati ideologici di stato", fra i quali quello assistenziale, cfr. Louis ALTHUSSER, Ideologia e apparati ideologici di Stato, in "Critica marxista", anno VIII, n. 5, settembre-ottobre 1970, pp. 39 e segg. 42 Commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro del Vajont, 15 luglio 1965. Atti parlamentari IV legislatura, documento XII, n. 1-bis, volume LV, n. 904, pp. 3-31.


Tamponare le falle

Lasciando Palazzo Chigi e la residenza di via Cristoforo Colombo numero 183, per un'altra più confortevole sulla Via Cassia, il professore Giovanni Leone torna ai consueti studi curiali ed alle impegnative incombenze nelle aule giudiziarie.

Alle dieci e mezza di sera del 9 ottobre 1963 si verifica la più grande tragedia accaduta nel nostro paese negli ultimi cinquant'anni.

Un'immane frana, già in atto e in movimento, si scarica nel bacino idroelettrico del Vajont dove l'acqua si trova a quota 700 metri di invaso, sollevando un'ondata alta 200 metri che ricade in parte verso il lago, mentre una massa di 25 milioni di metri cubi di acqua e fango, tracimando dalla diga, si rilancia nella gola del Vajont, dirompe nella valle del Piave, distrugge ogni traccia di vita su Longarone, Pirago, sulla sponda di Fornace, di Villanova, di Faé, dei borghi di Castellavazzo e di Codissago, investe Pineda, si riflette fino a colpire San Martino e Le Spesse, rimonta fino al passo di Sant'Osvaldo, e cancella ogni cosa al suo passaggio.

Il bacino è stato costruito sotto il controllo diretto del Ministero dei Lavori pubblici. L'opera è stata progettata, seguita e gestita dalla SADE, Società Adriatica di elettricità poi incorporata nell'ENEL con la legge di nazionalizzazione. Una commissione parlamentare d'inchiesta sul disastro viene costituita con legge del 22 maggio 1964, quasi un anno dopo, ed è affidata alla presidenza del senatore DC di Napoli Leopoldo Rubinacci.
La minoranza comunista della commissione raccoglie una serie dettagliata di inoppugnabili responsabilità del ministero nella persona di due parlamentari già noti per similari avventure: l'onorevole Giuseppe Togni che ha nominato la Commissione di collaudo per l'invaso delle acque includendovi tre tecnici che avevano approvato il progetto come componenti il Consiglio superiore dei Lavori pubblici e come tali inabilitati (ossia fuorilegge, n.d.r) persino a norma del Regolamento fascista; l'onorevole Benigno Zaccagnini, che, benché ripetutamente sollecitato dal Consiglio provinciale di Belluno, dai sindaci di Longarone, Pieve d'Alpago e Ponte nelle Alpi, dal consiglio comunale di Erto, allarmati da un primo massiccio smottamento precipitato il 4 novembre 1960, dispone un sopralluogo del servizio dighe ma omette di fare attuare una vigilanza rigorosa sulle operazioni della SADE e, successivamente, tace la verità delle risultanze alle popolazioni interessate e agli organi elettivi.42
Ne risulta una mostruosa roulette russa in cui la SADE fa ruotare il tamburo della pistola puntata sugli abitanti del Vajont ed i due ministri non fanno il loro dovere per fermarlo.

Senza che il Ministero dei lavori pubblici intervenisse con la dovuta energia, la SADE riesce ad impedire che i sopralluoghi geologici di controllo vengano proseguiti e resi sistematici. I ministri competenti non fanno eseguire le opere necessario a garantire la sicurezza. La SADE/ENEL, forte dei suoi preziosi appoggi politici, utilizza gli organi del ministero come strumento al proprio servizio imponendo ad essi direttive ed indirizzi (anziché riceverne), annullando l'azione di enti elettivi, fingendo fino a "nascondere o sottovalutare il rischio per non compromettere il successo dell'opera in corso di realizzazione", manomettendo in modo irreparabile la sistemazione idrogeologica della valle e dei picchi a monte.

Del tutto insensibile ai rilievi elaborati ed esposti dall'inchiesta, alla natura umana e civile dell'accusa che grava sui responsabili della SADE e sulla colpevole tolleranza dei ministri, il professore Giovanni Leone viene officiato ed accetta di difendere, con la propria dottrina ed autorità, i responsabili della catastrofe: esattamente i dirigenti dell'ENEL. Il dibattito pubblico comincia nell'ottobre 1969, con un imputato in meno poiché drammaticamente il direttore dell'ufficio studi della SADE, il geometra ingegner Mario Pancini si suicida alla vigilia, senza attendere il processo.
Degli otto rinviati a giudizio, 5 sono assolti, e 3 condannati al minimo della pena, cioè a 6 anni di cui 2 condonati (ingegneri Biadene della SADE e Violin del Genio civile, Batini del Consiglio superiore dei Lavori pubblici, appena rientrati in Italia dopo la fuga all'estero, durata il necessario per dare il tempo alla Cassazione di revocare i loro mandati di cattura).
La sentenza spiega testualmente che costoro "sono persone ineccepibili sotto ogni aspetto e la loro colpa sta nel non avere avuto nell'ora suprema l'appercezione e la riflessione, il lampo illuminante dell'imminente pericolo." Le loro carriere non sono offuscate da questo "tragico errore." Comunque, dice il collegio giudicante, ciò che ha ucciso non è la frana, e cioè la prevedibile cedevolezza dell'area scelta e non tenuta sufficientemente sotto controllo, ma soltanto l'inondazione per cui "l'evento non può essere addebitato all'agente ossia alla SADE-ENEL".

La tecnica forense e la sottigliezza della scuola giuridica napoletana, ma soprattutto il peso del potere personale del professor Leone hanno impressionato il presidente del tribunale dottor Marcello Dal Forno ed anche i giudici di secondo e terzo grado, che confermano sentenza e motivazione.

Intanto la sottosegretarla si traveste

Il potere burocratico è così diffusamente inquinato che la corruzione investe non solo i vertici ma lambisce abbondantemente anche i quadri politici intermedi. Senza fare più scandalo né notizia. Un sottosegretariato influente viene ambìto come una centrale operativa di prim'ordine. Ed il sottosegretario onorevole Maria Badaloni, una modesta esponente delle istituzioni scolastiche confessionali, ne abusa largamente.
II 15 gennaio del 1965, nel proprio ufficio ministeriale in viale Trastevere, riceve in separate e successive udienze due funzionari e dinanzi ad essi si sdoppia in separate funzioni. Innanzi al primo, assume la veste di rappresentante dell'ente pubblico Centro nazionale per i sussidi audiovisivi di cui è presidente sotto il controllo della Corte dei conti. Nella seconda udienza, riveste quella di sottosegretario con delega del ministro della Pubblica istruzione. Per non mancare di souplesse e morbidezza e stare al gioco dell'omologia, i due funzionari mimano l'onorevole Badaloni; il primo si identifica con il ministero, l'altro con l'Ente nazionale biblioteche popolari e scolastiche.

Alla fine dell'udienza, nero su bianco, sono stati stipulati due contratti. Con il primo, il funzionario/ministero affida al sottosegretario/ente l'incarico retribuito di acquistare e distribuire materiale audiovisivo alle scuole di ogni ordine e grado ed ai centri di lettura come è scritto nel testo della convenzione; con il secondo, il sottosegretario/ministero affida al funzionario/ente delle biblioteche il servizio di acquisto e distribuzione libri alle biblioteche delle scuole elementari, degli istituti di istruzione secondaria di primo grado, dei ginnasi e dei licei nonché delle istituzioni integrative della scuola.
Il Centro istituito con legge del 1956, il cui direttore professore Vittorio Sala fa parte della direzione nazionale democristiana ed è, anche, dirigente di un Centro produzione film, acquista i materiali ordinati a prezzo di listino dalle case editrici e dai fabbricanti con uno sconto del 25% al quale se ne aggiunge un altro "legale" del 9% ed un altro "nero" che passa dal 34 al 40, e poi al 45 per cento su tutte le spese incontrate.
Il cospicuo margine di utile viene destinato alla produzione di filmine, diapositive, film e dischi educativi ai quali provvede il Centro produzione film, il cui dirigente è, al tempo stesso (e felicemente) commissionario e fornitore. Nel solo '65 le spese iscritte nel bilancio delia pubblica istruzione per questa voce sono state di 250 milioni per le sole scuole elementari con un complesso previsto di circa un miliardo. Nel nuovo "piano della scuola" per il quinquennio '66-'70, la cifra è meno esatta ma sicuramente più redditizia perché assorbita, genericamente, in uno stanziamento globale che subisce un'impennata e giunge a 121 milardi ed un milione. Per ogni miliardo, è garantito al Centro un cespite di 100 milioni. La presenza dell'onorevole sottosegretario ha un ruolo specifico di tipo bancario: quello di un normale funzionario allo sportello. Essa favorisce a vista il trasferimento dei fondi dallo Stato ad un altro ente che ne curerà la spesa, o meglio, l'incasso.

La Corte dei conti, al cui controllo il Centro è sottoposto dal 7 agosto 1964, non scopre né solleva incidenti per irregolarità. [...]


Libere opinioni, ricerche e testi di: Tiziano Dal Farra (se non diversamente specificato e indicato nel testo)

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