L'italia delle cricche

(fine PENA, mai!!)

La figura del conte Giuseppe Volpi di Misurata, l'inventore di Porto Marghera e della Mostra del Cinema, rievocato dalla stampa locale.
L'ultimo doge: dimenticato dai veneziani (ma non da Vajont.org)

Venezia, 18 ottobre 2006 -
(versione riveduta e corretta da un articolo pubblicato il 17.10.2006)

Il figlio di Volpi frigna. Mentre il figlio di Formigoni Emilio preferisce giustamente l'oblìo, sulla 'carriera' del padre podestà. Studiare il caso Vajont, aiuta la Memoria!
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Dal TG3 nazionale, agosto 2007. Una delle ville di Volpi costa "troppo"...


GIUSEPPE VOLPI.
Iscritto al Partito Nazionale Fascista fin dal 1922, nello stesso anno diventa senatore del Regno. Governatore della Tripolitania fino al 1925, ottiene come ricompensa dal regime il titolo nobiliare di conte di Misurata. Dal 1925 al 1928 è ministro delle Finanze. Giuseppe Volpi, negli anni del fascismo ricopre innumerevoli cariche: tra cui quelle di presidente della CIGA (Compagnia Italiana Grandi Alberghi), del Porto di Venezia, delle Assicurazioni Generali e della Biennale. Dal 1934 al 1943 è presidente della Confederazione fascista degli industriali. Nel 1939 diventa proprietario del Gazzettino, il quotidiano del capoluogo veneto. Con il crollo del fascismo, il conte è abilissimo a riciclarsi: dopo l'otto settembre 1943 fugge in Svizzera dove entra in contatto con gli ambienti della Resistenza e offre denaro e ricovero nei suoi possedimenti a partigiani e membri del CLN. Proprio per questo, dopo la liberazione, una commissione d'inchiesta lo assolve, evitandogli perfino l'epurazione. Legato, dopo la guerra, agli ambienti democristiani, Giuseppe Volpi muore a Roma il 16 novembre 1947.

Per ulteriori approfondimenti sulla vita di Giuseppe Volpi si veda tra tutti
- M. REBERSCHAK, 'Il comitato di liberazione nazionale regionale veneto e il caso Volpi', in 'Non uno itinere. Studi storici offerti dagli allievi a Federico Seneca', Venezia, 1993, pp. 319-361.
e
- S. ROMANO, 'Giuseppe Volpi, industria e finanza nel Veneto tra Giolitti e Mussolini', Milano, 1979.

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Nella chiesa dei Frari a Venezia, Giuseppe Volpi - il conte di Misurata - si era fatto preparare un monumento degno di un doge, accanto alla pala d'altare di Tiziano dedicata a un banchiere del Cinquecento, non lontano dal sepolcro di Antonio Canova. La tomba restò a lungo vuota, sino all'intervento di Papa Giovanni XXIII che era stato patriarca di Venezia e al quale nessuno osava dire di no. L'uomo che era stato il più potente delle Tre Venezie e certo uno dei più potenti e ricchi dell'Italia prima giolittiana e poi fascista, morì esiliato dalla 'sua' città.

Giuseppe Volpi indossa la camicia nera a 47 anni con un nome già ben rispettato nell'alta finanza. Nel 1912 era stato plenipotenziario per trattare la pace tra Italia e Turchia dopo l'occupazione della Libia. Volontario nella Grande Guerra come ufficiale del Genio, poi delegato alle trattative di pace a Parigi come presidente del «Comitato di mobilitazione industriale». Nel 1921 è nominato 'governatore della Tripolitania'.
Giolittiano di ferro, liberale tradizionale in politica e poi fascista, ma negli affari progressista e sempre spregiudicato. Lo dimostra nel progetto per Porto Marghera che nasce in piena guerra, nel 1917, con compagni di strada come Filippo Grimani, sindaco di Venezia per vent'anni, e l'industriale Pietro Foscari. Loro sono nati nobili, lui lo diventerà nel primo dopoguerra come "conte di Misurata": ettari sabbiosi in Libia dove per Mussolini, che in questo modo se lo ringrazia, andrà a reprimere la rivolta locale con pugno di ferro usando e abusando del macellaio Graziani e provocando quello che diventerà nel tempo il "contenzioso Italia-Libia per danni di guerra" con Gheddafi (risolto ai giorni nostri - a suo modo - dal nano emulo/reincarnazione bolsa 'Al Tappone' Berlusconi).
Tornato dal Nord Africa, chiamerà il famoso Ettore Tito per farsi affrescare il palazzo Balbi (oggi e non a caso la sede della Regione Veneto) con "scene di guerra" in Tripolitania.

Per Porto Marghera, Volpi mette insieme imprese di ogni genere: elettriche (Sade e Cellina), ferroviarie, marittime, siderurgiche come la Franco Tosi, meccaniche. Le grandi famiglie apportano capitali privati: dai Papadopulo agli Stucky dei Molini. L'idea è quella di realizzare nella laguna un moderno porto commerciale e una zona industriale che poggi su una nuova città di trentamila abitanti/braccia lavoro. Volpi con la sua Sade le garantisce energia elettrica con una grande centrale. È lui a garantire il sì del governo e a trascinare nell'impresa i grandi investitori italiani: la Terni Ilva, le Acciaierie di Piombino, l'Ansaldo. I primi insediamenti vengono inaugurati nel 1922, in dieci anni si passerà da 22 a 514 milioni di lire di investimento.

Nel 1924 Volpi si fa eleggere deputato, e un anno dopo è ministro delle Finanze al posto del veronese Alberto De Stefani. A un liberismo tutto teoria sostituisce una politica protezionista che si adatta meglio alle mire del regime. È infatti il ministro ideale per i rapporti tra Mussolini e gli industriali; è abile a trovare prestiti (anche da gruppi bancari americani speculatori come la J.P. Morgan), coi quali fino al secondo conflitto mondiale indebiterà pesantemente l'Italia. E a convincere gli inglesi a rinunciare ai danni di guerra. Al suo rientro da Londra, nel 1926, Venezia gli tributa un trionfo degno di un doge nella Sala del Maggior Consiglio del Palazzo Ducale. Poi gli conferirà una laurea di Cà Foscari e una reliquia di San Marco consegnatagli dal patriarca Pietro La Fontaine.

Vuole un ponte sulla laguna, da affiancare a quello ferroviario, e lo realizza (il ponte della Libertà). Vede più lontano degli altri, prevede un grande sviluppo automobilistico, anche con piazzale Roma e i 'garages'. Immagina una Venezia della cultura con avvenire turistico e una 'seconda Venezià in terraferma, commerciale e industriale. Senza trascurare la possibilità di trasformare in spiagge popolari il comprensorio di bonifica del Basso Piave: sua è l'idea della creazione e della valorizzazione di Jesolo e Sottomarina. Naturalmente è di sua proprietà l'altra faccia del turismo, quello aristocratico dei grandi alberghi di lusso del Lido (CIGA Hotels, Compagnia Italiana Grandi Alberghi).

Gli anni Trenta sono gli anni del "sogno dogale" di Volpi. Ottiene una sorta di zona franca per "Venezia capitale del cinema, del teatro, delle arti figurative". Durante la Biennale, la città deve essere soprattutto un'area aperta alla cultura e alle idee internazionali. Volpi è il garante che tranquillizza il regime. Dice Volpi, sornione: «Non è colpa mia, se i miei interessi coincidono con quelli della Patria». Dipende: non a caso, un giorno della "scuola Volpi" si dirà di uno stato nello Stato (processo Vajont, L'Aquila, 1969).

E il cinema vi approda senza censure; arrivano a Venezia il principe di Galles, Churchill, la regina Guglielmina d'Olanda, Henry Ford. «Tutto ciò che è veneziano gli appartiene di diritto, e nulla può accadere a Venezia senza che egli ne sia l'iniziatore, il testimone, il notaio», ha scritto un suo biografo.
Perfeziona il controllo della città impadronendosi con pochissimi scrupoli del "Gazzettino" alla morte del fondatore, il cadorino Giampietro Talamini (oggi dote di nozze di Casini PierFerdy/AzzurroCaltagirone).

Nel 1939 la sua Società Adriatica di Elettricità vanta un miliardo di capitale, e controlla una ventina di società nelle Tre Venezie e in Emilia, gli acquedotti di Roma, Napoli, Palermo e Torino. Più navi, ferrovie, alberghi, fornaci, opifici, armamenti. Piccoletto, tondeggiante, ma uomo di bell'aspetto, colto, ironico, Volpi conosce tre lingue, ma quando può parla in veneziano. Sarà anche per 9 anni presidente della Confindustria fascista ma fiutata l'aria si stacca dal fascismo poco prima della caduta del regime. Dopo l'8 settembre 1943, nei giorni che seguono il caos dell'Armistizio, realizza il capolavoro della "Sua concessione" - illegale anche per le SUE leggi fasciste - che si è inventato per l'enorme abuso edilizio del 'Vajont'. Ma mentre se la svigna viene riconosciuto e arrestato a Roma dalle SS che lo portano nel carcere di via Tasso per torturarlo.

Ma colle sue entrature, e il potere dei suoi soldi, riuscirà a sfuggire alla rappresaglia degli ex alleati nazisti e repubblichini e raggiungere i suoi conti bancari in Svizzera nascosto come un ladro su un camion. E da lì, ora malato, tratterà con gli uomini della Resistenza per garantirsi un ritorno non traumatico nella nuova Italia che si profila per tutelare famiglia e patrimonio, consolidato e lievitato ulteriormente soprattutto con (e grazie) al ventennio Mussoliniano. Si rivergina finanziando il Comitato di Liberazione Nazionale, come fanno del resto altri industriali veneti voltagabbana, e cede a un emissario di Alcide De Gasperi (e della DC, peraltro rigurgitante come l'Italia intera di ex fascistoni amnistiati come Lui o di "tifosi del duce" come Giovanni Leone) la proprietà del giornale "Il Gazzettino" al prezzo decisamente simbolico di *una lira*.
E così, a guerra finita, una "amnistia pacificatrice" targata Togliatti (sic!) del '46 e la "giustizia italiana scuola Giovanni Leone" lo assolvono dai suoi misfatti, dai crassi profitti e dalle sue rapine private E di regime.

Ma Venezia non lo aspetta più. Morirà nel 1947, a Roma.


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E come a tutti i Faraoni o Gengis Khan che si rispettino, l'amico e sodale e collega "Conte di Monselice" Vittorio Cini, suo degno successore alla guida della SADE, gli sacrificherà nel 1963 al Vajont 1.917 schiavi e Suoi capimastro per servirLo e riverirLo nell'aldilà. Nell'aldiqua lucrandoci sopra a mani basse impunito da allora, "naturalmente" (es., ENEL). Ma soprattutto gettando le basi (sessantennali, quotidiane) dell'odierno Paese di Merda rappresentato dall'Italia della DC/Tangentopoli e delle cricche e dei 'Paniz' del terzo millennio.

Da un professionista, ai vari Brancher/Cosentino/Verdini/Lombardi/Bossi. Evoluzione? AMEN



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