Camilla Cederna

GIOVANNI LEONE

la carriera di un presidente


Camilla Cederna

Dalla quarta di copertina
Questo libro è nato da un amore profondo per la democrazia, i suoi organi, i suoi istituti, i suoi valori e persino i suoi simboli. E da un rispetto, che a qualcuno parrà persino eccessivo, per quella massima espressione dello spirito democratico che è il presidente della repubblica, alto presidio del nostro sistema politico istituzionale. Purtroppo nei trent'anni di vita del giovane stato italiano questo amore è andato deluso: parallelamente al corrompersi della vita politica e al decadere delle istituzioni si è avuta una progressiva degradazione dell'immagine del rappresentante ufficiale del paese. Tra i due fenomeni c'è sicuramente correlazione, sicché sarebbe ingiusto considerare la singola persona come responsabile di un guasto che ha cause più diffuse e profonde. Semmai si potrebbe dire ancora, questa volta con amara ironia, che l'immagine simbolica dell'ltalia esprime fedelmente l'essenza, la natura, lo stato della nostra repubblica.
Ma se le cause del malanno vanno ricercate nella storia del trentennio i sintomi e gli effetti possono essere colti oggi solo da un severo accertamento diagnostico: di qui la decisione di condurre un'indagine sull'attuale capo dello stato, sulla sua carriera professionale e politica, le sue amicizie, il suo curricula parlamentare, fino ai momenti più alti dell'ascesa ai vertici, come presidente della Camera, presidente del consiglio e infine presidente della repubblica. Sarcastico e conciso, ma sorretto sempre da una costante passione politica, il libro si snoda veloce in sedici capitoli, scanditi da quattro parti, che descrivono l'uomo dal suo affacciarsi alla vita pubblica fino al suo triste declino.

Camilla Cederna, che da anni sull'Espresso segue fatti e personaggi della società civile e politica italiana, ha pubblicato da Feltrinelli volumi di grande successo che hanno inciso profondamente sull'opinione pubblica: "Pinelli. Una finestra sulla strage" (1971) e "Sparare a vista. Come la polizia del regime DC mantiene l'ordine pubblico" (1975). Precedentemente erano apparsi presso altri editori "Noi siamo le signore" (1958), "La voce dei padroni" (1962), "Fellini 8 e 1/2" (1963), "Signore e signori" (1966), "Le pervestite" (1968), "Maria Callas" (1968).
È uscito in edizione tascabile "Il lato debole", che raccoglie dei testi apparsi nella celebre, omonima rubrica giornalistica.


CAMILLA CEDERNA, Giovanni Leone. La carriera di un presidente, Feltrinelli.
Prima edizione: marzo 1978 - Ottava edizione: maggio 1978
(significa che andò - come si dice - a RUBA)

    - BIBLIOGRAFIA:

VajontLeoneP. A. ALLUM, Potere e società, a Napoli nel dopoguerra, Einaudi, Torino 1973.

P. A. ALLUM, Anatomia di una repubblica. Poteri e istituzioni in Italia, Feltrinelli, Milano 1976.

ORAZIO BARRESE e MASSIMO CAPRARA, L'Anonima DC. Trent'anni di scandali da Fiumicino al Quirinale, Feltrinelli, Milano 1977.

SILVIO BERTOCCI, Dossier Baia Domizia. Uno scandalo democristiano, Boria, Roma 1977.

Sen. GUIDO CAMPOPIANO, Memoria d'accusa contro l'on. Giovanni Leone, Commissione inquirente per i provvedimenti d'accusa, 1977.

ROMANO CANOSA, Il giudice e la donna, cento anni di sentenze sulla condizione femminile in Italia, Mazzetta, Milano 1978.

GIOVANNI Di CAPUA, Le chiavi del Quirinale, Feltrinelli, Milano 1971.

MAURO DE LUCA, PAOLO GAMBESCIA, FABIO ISMAN, Tutti gli uomini dell'Antilope, Mondadori, Milano 1977.

ORIANA FALLACI, Interviste con la storia, Rizzoli, Milano 1973.

ROBERTO FAENZA, MARCO FINI, Gli americani in Italia, Feltrinelli, Milano 1976.

VITTORIO GORRESIO, Il sesto presidente, Rizzoli, Milano 1972.

GIOVANNI LEONE, Testimonianze, Mondadori, Milano 1963.

GIOVANNI LEONE, Don Luigi Sturzo, Commemorazione tenuta al Teatro di Corte in Napoli il 10 settembre 1959.

GIOVANNI LEONE, Il discorso del presidente della repubblica per il trentennale della Costituzione, dicembre 1977.

GIOVANNI LEONE, Messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica, trasmesso alla Presidenza il 15 ottobre 1975.

    - Investigation of neutron-radiographic techniques for maintenance inspection of Air Force Aircraft, San Antonio Air logistic Center, 3 marzo 1975.

ANTONIO RIBOLDI, Lettere dal Belice e al Belice, Mursia, Milano 1977.

ANTHONY SAMPSON, Il supermercato delle armi, Mondadori, Milano 1977.

    - Seduta comune da giovedì 3 al 10 marzo 1977, Camera dei Deputati, Senato della Repubblica. Relazione della Commissione inquirente per i procedimenti di accusa nei confronti del sen. Luigi Gui e del deputato Mario Tanassi, nelle loro qualità di ministri della Difesa, e di Duilio Fanali, Bruno Palmiotti, Ovidio Lefèbvre d'Ovidio, Antonio Lefèbvre d'Ovidio, Camillo Crociani, Vittorio Antonelli, Luigi Olivi, Maria Fava, Victor Max Melca, relativamente all'acquisto di 14 aerei "C-130 Hercules" dalla società Lockheed (discussione).

NINO VALENTINO, Il presidente. Elezione e poteri del Capo dello Stato, Eri edizioni, Roma 1973.


Ho letto con grande interesse il libro sopraindicato, che conoscevo già vagamente per la fama della giornalista Cederna. Sono andato invece a cercarmelo dopo aver letto, su «La repubblica», due lettere della scrittrice Rosetta Loy, che - come lo scrivente - non ha molto apprezzato il recente OMAGGIO a Napoli del Capo del nostro Stato a una figura retorica e francamente miserabile (nell'ottica del Vajont, ma NON SOLO) che ha segnato, fino alle ere politiche di Craxi e poi del cav. Berlusconi, il punto piu' basso delle Istituzioni repubblicane quanto a gestione delle cose pubbliche.

Consigliatissima - ora che l'ho fatto - la lettura di questa perla giornalistica. Come la Merlin Tina, la Cederna scrive in modo puntuale, a volte puntiglioso, ma sempre coerente, scomoda (perchè VERA e DOCUMENTATA) e dovrebbe essere portata a esempio dal giornalismo (se ne resta ancora) contemporaneo.

Ripropongo in QUESTA pagina, tutti i passaggi riguardanti il "rapporto" tra questa marionetta di "statista" ed il Vajont tratti dalle pagine della compianta Cederna. I meno distratti tra i visitatori dovrebbero ricordare che Giovanni Leone fu il presidente del Consiglio in carica quando accadde il massacro politico-mafioso dei valligiani ertani e longaronesi. Colle apparenti lacrime agli occhi (ora so che fu per il terrore superstizioso che la catastrofe fosse capitata "in mano a lui" e non ad un altro, che jella!) Egli promise a quei disperati tra il fango «una Longarone piu' bella della precedente», nonchè «e Giustizia avrete!!».
Non poteva capitare figura di farabutto peggiore a garante e consolazione, per quegli sventurati e per noialtri italiani in genere. E tant'è che qualche mese dopo, cambiato il governo (Moro), passò professionalmente al servizio della sua parte politica imputata nel processo contro gl'interessi delle vittime e delle loro famiglie (chi le aveva ancora). Col suo attivissimo aiuto, e non parliamo poi dell'aiuto della prima amministrazione longaronese del "dopo", gli esecutori e i mandanti della strage (uno tra tutti, Vittorio Cini) videro sgonfiarsi responsabilità e reati contestati.

Morale: principalmente GRAZIE a LEONE, di otto imputati, morto Pancini suicida la vigilia dell'inizio del processo, cinque assoluzioni e tre condanne col minimo della pena.

Forse è per questo tipo di prestazioni, che Giorgio Napolitano lo ha definito (2006) "illustre giurista".
Buona lettura.


CAPIRE (anche) IL VAJONT:

L'anonima DC.
Trent'anni di scandali da Fiumicino al Quirinale

di Orazio Barrese e Massimo Caprara
Finestre sul '900 italiano: tra guerra fredda e anni di piombo - Anni '70 - Storia del crimine organizzato in Italia - Mafia dei colletti bianchi

0 Dalla quarta di copertina:
«Forchettoni, vandali, corvi, avvoltoi» sono le etichette che la pubblicistica e la denuncia delle sinistre hanno affibbiato per oltre trent'anni, per tutto il corso della restaurazione capitalistica, ai responsabili dei maggiori scandali nazionali che venivano scoperti con le mani nel sacco. Gli autori di questo libro ricostruiscono l'occupazione del potere da parte della DC e i più gravi fenomeni degenerativi di lucro estorto e di corruzione che hanno coinvolto uomini e gruppi del partito dominante, centri economici pubblici e privati, banche e poteri dello Stato.
Una folla d'affaristi, profittatori, portaborse, guardaspalle e prestanomi di ministri, alti prelati, amministratori pubblici, generali e alti magistrati; un sottobosco di favori, protezioni, concessioni, benefìci indebiti occupano le pagine di questo libro con un crescendo che punta sempre più alto.
Dai primi scandali a ridosso degli anni Quaranta-Sessanta (monsignor Prettner che ricicla valuta attraverso i canali del Vaticano; il Giuffrè "banchiere di Dio", che incamera miliardi per le "opere di religione"; la grande casata dei conti Torlonia che s'impingua ulteriormente vendendo le "zolle d'oro" di Fiumicino), si arriva poi agli sfrontati profittatori di Stato (Trabucchi, il ministro delle banane e poi del tabacco messicano).

Vajont+GIOVANNILEONEMan mano, si sale ai "grandi elemosinieri", che dal torbido giro internazionale del petrolio gonfiano le tangenti per i partiti al governo (Valerio, Cazzaniga); si passa attraverso gli sportelli bancari dei santuari del capitale, custoditi da fiduciari di ferro della DC (Arcaini, Ventriglia); si tocca la complice "delinquescenza" dei boiardi di Stato (Cefis, Einaudi, Petrilli, Girotti, Di Cagno); si transita nelle ville dei "robbery barons", i baroni ladri delle commesse militari (i fratelli Lefébvre D'Ovidio, Crociani), per sfociare nel gran mare, agitato da correnti in lotta, degli uomini politici coinvolti, da Andreotti a Fanfani, Cossiga, Zaccagnini, Colombo, Rumor, Preti, Tanassi, Gui fino all'apoteosi oscena del presidente Leone.
Questo libro solleva qualche lembo dietro gli "omissis" imposti al testo del rapporto della commissione del Congresso Americano (la 'Commissione Pike') che ha indagato sui finanziamenti della CIA agli uomini politici e ai partiti di vari paesi compresa l'Italia, riaprendo in tal modo il dibattito sulle dirette responsabilità del più alto vertice istituzionale.

Feltrinelli Editore, 1977 - 293 pagine



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Nel 1963 Leone sta salendo su un elicottero militare che lo deve portare a visitare le zone disastrate del Vajont. Sull'apparecchio sono in sedici: ma all'ultimo momento sale un fotoreporter, il diciassettesimo. "Giù, giù", fa il presidente. "Ma eccellenza, io tengo un pool di agenzie, per piacere faccia salire anche me." Leone riconta ad uno ad uno i presenti, poi sbotta di nuovo: "Giù, giù; se tu tieni un pool di agenzie, io tengo un pool di figli."


Come presidente del consiglio, nell'autunno '63, quasi piangendo, assicurò alle famiglie delle duemila vittime della catastrofe del Vajont che al più presto giustizia sarebbe stata fatta e i colpevoli assicurati alla giustizia. Solo che pochi mesi dopo, diventato semplice deputato, al tribunale dell'Aquila egli accettò di far parte del collegio di difesa dei dirigenti della Sade, la società responsabile del disastro. Dopo il suicidio di un ingegnere geometra (Pancini), otto erano i rinviati a giudizio. Risultato: cinque assolti e tre condannati al minimo della pena.

È noto a tutti che il disastro si poteva evitare, che da anni i comuni che poi verranno travolti lamentavano smottamenti e slittamenti temendo il peggio, è noto che senatori e onorevoli democristiani avevano precise responsabilità (quanti avevano approvato il progetto del bacino costruito sotto il controllo diretto dei Lavori pubblici e senza ordinare la più stretta vigilanza sui lavori della Sade, quelli che non avvertirono di eventuali pericoli la popolazione). Così la sentenza si commenta da sé: evidentemente l'eloquente, e lautamente retribuita, memoria scritta che mandò allora Leone ebbe il suo peso sui giudici e sul tribunale. Eccola: "Gli imputati sono persone ineccepibili sotto ogni aspetto e la loro colpa sta nel non aver avuto nell'ora suprema l'appercezione e la riflessione, il lampo illuminante dell'imminente pericolo." (Come se fossero stati tutti là a sorvegliare e si fossero distratti un momento). Quindi non sono responsabili di questo "tragico errore" (errore di chi? di quella loro fatale distrazione?). E poi: "Ciò che ha ucciso non è la frana, cioè la prevedibile cedevolezza dell'area scelta e non tenuta sufficientemente sotto controllo ma soltanto l'inondazione, per cui l'evento non può essere addebitato all'agente, cioè alla Sade-Enel." (E chi ha la colpa dell'inondazione, se non chi non ha tenuto sotto controllo quell'area cedevole?) Le stesse argomentazioni che si leggevano il giorno dopo la tragedia sui giornali conservatori, difensori delle società idroelettriche. "Calamità naturale" era il ritornello d'allora, quando invece la calamità era prevista da anni, denunciata dai sindaci e da giornalisti locali, e temuta anche da qualcuno, tra i meno cinici, dei funzionari dei Lavori pubblici.


(dal capitolo su Aldo Moro)

"Per tutte queste ragioni, onorevoli colleghi che ci avete preannunciato il processo sulle piazze, vi diciamo che noi non ci faremo processare.
Se avete un minimo di saggezza, della quale talvolta si sarebbe indotti a dubitare, vi diciamo fermamente di non sottovalutare la grande forza dell'opinione pubblica che, da più di tre decenni, trova nella Democrazia cristiana la sua espressione e la sua difesa. ... Rispettando gli altri, desideriamo essere rispettati a nostra volta in qualsiasi momento, ed in particolare, quando esprimiamo un voto di coscienza. Chiediamo di essere rispettati non solo per l'imponente quantità di consensi che, sostanzialmente inalterata, noi abbiamo alle nostre spalle, ma anche e soprattutto perché, mentre è in atto una corrosione dei valori e delle strutture della società, una corrosione che dovrebbe far riflettere seriamente quanti vanno al di là dell'immediato, e guardano al domani, noi rappresentiamo non solo dei voti, ma idee, speranze, valori, un patrimonio insieme di innovazioni, di ricchezza umana, di stabilità democratica, del quale il paese, secondo la nostra profonda convinzione, non potrebbe fare a meno."

"Comunque termini questa vicenda, quale che sia la sorte degli uomini per la quale, pieni di passione e speranza, ci siamo battuti, noi democristiani, fedeli alla tradizione, ma capaci di una nuova creazione, faremo ancora il nostro dovere."


Chiuso: vivissimi, prolungati applausi al centro e dei parlamentari socialdemocratici. Molte le congratulazioni. Proprio perché Moro ha avallato una teoria indifendibile.

Il malgoverno non si discute, come non si discutono gli smodati appetiti, gli infiniti scandali che son stati la più vera espressione della Dc da quando è il partito dominante. Dopo anni di comune esercizio del potere, di sostegno ai più grossi speculatori del regime, quello che si presenta come il Gran Saggio della Dc decide che la corruzione in casa loro non esiste. Come dire che, tanto per citare i più grossi, gli scandali di Fiumicino, delle banane, della Federconsorzi, del Vajont, del Belice, del Friuli, ecc. ecc. sono invenzioni dei giornali, come questo grande pasticcio Lockheed.
I giornalisti sono "spie" (vedi Donat-Cattin) o "mentecatti" per i democristiani. I commissari dell'Inquirente, guidati da uno spirito persecutorio nei loro confronti.
Loro no, loro "pieni di idee, speranze, valori, ricchezza umana e stabilità democratica", sono puri come il Biancofiore. Loro sono uomini di rispetto. Loro sono i più forti. Parola di Moro.

Dopo la grande, ecco la piccola corruzione

"Non siamo corrotti", ripete Moro fino all'esasperazione, come se avesse il potere di cancellare con un colpo di spugna la storia degli aerei, la grande corruzione americana in Italia, attraverso il brillante avvocato Ovidio.
È certo quindi che non prenderà nemmeno in considerazione la piccola corruzione, quel traffico minore a base di regali, strenne, mance, viaggi gratis offerti ai vari italiani di seconda categoria: tutta una rete di persone ritenute utili, un'allegra brigata di generali, colonnelli, funzionari in pensione che gravitano intorno al Ministero della difesa e vengono gratificati generalmente con pacchi dono e piccole elargizioni, magari mortificanti per qualche superbo, ma graditissimi a questi qui. Anche in tali traffici di piccolo cabotaggio, il capo è sempre Ovidio Lefèbvre, ugualmente corruttore e ugualmente corrotto, che una volta di più si rivela all'altezza delle peggiori aspettative, sempre convinto dell'utilità, per far marciare meglio gli affari, le compiacenze, le adesioni, di lubrificare gli ingranaggi, di ungere le ruote.
Basta aprire il dossier della Corte costituzionale e saltan fuori anche questi documenti risibili, ma neanche tanto, perché denunciano un costume prettamente italiano.


(dal capitolo "Gli ultimi scandali")
Datava però già dal febbraio l'inquietudine del presidente. Da tempo era fatto segno infatti a uno stillicidio di critiche e non giornalistiche, ma provenienti dagli ambienti politici di sinistra, anche da "cecchini" del suo partito. Il primo a fare allusioni più che spiacevoli sul suo conto era stato l'onorevole Giacomo Mancini alla conferenza di organizzazione del Psi (febbraio 1975).

"Se esaminiamo la storia dei vari settennati, vediamo che spesso si sono create strane complicità, da cui son venuti grossi pericoli e attacchi alle istituzioni", e questo non ne era stato che il principio.
"Se facciamo l'analisi dei vari settori della Repubblica italiana, vediamo che molte volte i momenti di difficoltà costituzionale sono venuti in maniera diretta o indiretta dall'apice dello Stato, dal vertice dello Stato. Ci sono i lunghi periodi che abbiamo vissuto dal 1954 in avanti che dicono che intorno a questi vertici si formano strane complicità, strane situazioni antidemocratiche, anche nella fase dell'elezione del presidente della repubblica... La stampa che per fortuna oggi è più aperta, più sensibile a determinati problemi, non ha mai protestato, che io sappia, quando, in occasione dell'elezione dei capi della repubblica... si è saputo che i grandi potentati economici dell'industria privata e dell'industria pubblica sostenevano questo o quel candidato. Questa strana storia che non viene mai alla luce, delle intercettazioni telefoniche nasce ai vertici dello stato democratico del nostro paese. Le greche e gli ermellini hanno troppi contatti con i vertici del nostro paese... (applausi)...
Determinate nomine che sono state fatte negli anni passati, nomine importanti, dei vertici militari, dei vertici della magistratura, sono state riconfermate anche oltre la scadenza della legge con l'appoggio dei vertici dello stato. La commissione del Sifar dava delle indicazioni precise nei confronti del parlamento, ma anche nei confronti della più alta magistratura repubblicana, soprattutto per quanto riguarda le nomine, ma i grandi generali sono rimasti al loro posto oltre il consentito, e hanno fatto la loro carriera tra i fascicoli del Sifar e del Sid."

Un durissimo attacco seguito da una risposta astiosa di Preti, da una volgare di Saragat, finché, tramite l'Ansa, era arrivata la replica del Quirinale: "Se l'onorevole Mancini ha qualche rilievo da fare ne parli nella sede adatta, cioè in parlamento."
A Leone si rimproveravano (oltre alla sua disinvoltura professionale come la difesa in cassazione del mafioso Mangiafridda e dei dirigenti della Sade, responsabili del Vajont) anche l'aver intrattenuto rapporti privati e incontrollabili con organi e personaggi dei due corpi separati, il Consiglio superiore della magistratura e quello delle Forze armate, di cui è a capo il presidente della Repubblica, e, in particolare, di essere intervenuto in vertenze riguardanti uomini incriminati per favoreggiamento di piani eversivi.
Per esempio l'aver espresso un mucchio di riserve sulle modalità dell'arresto del generale Vito Miceli (novembre 1974), "indegne di un alto ufficiale", l'esser convinto che la competenza del caso spettasse alla magistratura militare, l'aver sottratto il procedimento contro Miceli al giudice istruttore di Padova, Giovanni Tamburino.
Quando poi il pubblico ministero di Roma chiede la conferma del mandato di arresto, il presidente non si perde d'animo e viene incaricata la seconda commissione del Consiglio superiore della magistratura di accertare se non ci siano "validi motivi per deliberare l'incompatibilità del magistrato a svolgere attività giudiziaria a Roma."
(E ad occuparsi della cosa viene chiamato il magistrato di cassazione Francesco Greco, nato a Santa Maria Capua Vetere, già iscritto al Partito fascista dal '25 al '43.)

Poi, l'aver difeso oltre ogni limite di decenza l'ammiraglio Eugenio Henke, già capo del Sid negli anni più caldi della strategia della tensione, l'averlo anche promosso quando finalmente va in pensione (a metà del '75), nonostante che la commissione d'inchiesta sul Sifar a suo tempo avesse detto ben chiaro che prestar servizio nel Sid non deve costituire un titolo di preferenza ai fini della carriera. Come non detto; che appena in pensione, Henke viene nominato capo di Stato maggiore della difesa.

Non solo: nel caso di Miceli, la nomina del generale a comandante di un corpo d'armata del nord, era stata sconsigliata da Andreotti, quando Leone l'aveva già controfirmata. E i rapporti di Leone coi potentati economici? Probabilmente si allude a quel tipo di sodalizio meridionale per cui egli ha sempre cercato solidarietà, partecipazione e probabilmente vantaggi tangibili dai più monetati uomini di finanza e di potere, che vedi caso, son quasi tutti suoi amici: e di tali sodalizi si usa citare per primo quello antico e saldissimo con Nino Rovelli.

Ma c'è un altro attacco, e grave anche quello.
Molti hanno l'impressione che Leone, in un momento di crisi profonda delle istituzioni, voglia allargare i poteri presidenziali, fare del presidente della repubblica una nuova figura di capo dello Stato, con poteri più definiti e magari più ampi di quelli attuali, in cima a una struttura costituzionale che potrebbe subire anch'essa dei cambiamenti vistosi. Dunque a regger la Repubblica ci sarebbe un personaggio di maggior peso e maggiori poteri, e naturalmente molto pericoloso. Già un anno prima, il 23 dicembre 1974, in un'intervista al "Giorno" per la prima volta e in forma ufficiale Leone aveva posto il problema di una revisione della Costituzione. "Al tempo d'oggi", aveva detto, "una costituzione non può più essere tabù dopo venticinque anni, e il sistema parlamentare deve essere rivisto." Avanza quindi una proposta di una modifica al sistema bicamerale, con più ampie deleghe al governo e via per sempre la paura dei "decreti legge". Imbarazzo dei democristiani, cautela dei socialisti e dei comunisti. ("Di chi è la colpa se il governo non sa usare dei poteri di cui dispone?") Vaghezza dei socialdemocratici e repubblicani, attacco da parte del gruppo del Manifesto ("L'intervista di Leone è un documento per lo meno bizzarro. Vien fatto di pensare che, sentendo aria di sfasciume istituzionale, Leone voglia mettere le mani avanti e farsi sotto.")


Fin qui gli estratti. Consiglio ancora di leggerlo, questo libro della Camilla Cederna. Serve a capire ed a conoscere molte cose. Del Vajont, ma soprattutto di questo nostro Paese, in mano dal dopoguerra a una classe politico-fascista-mafiosa che da allora ad oggi, benchè modificata nell'aspetto ma nemmeno piu' di tanto, lavora alacremente e quotidianamente per succhiare risorse - spesso anche il sangue - all'italiano elettore e CONTRIBUENTE.
Perlomeno a quella parte che per definizione - ed il caso del Vajont lo dimostra in maniera atroce - NON fa parte di loro, del loro DNA.

Scritti e commenti di Tiziano Dal Farra
(se non diversamente specificato nel testo)

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