| ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Alla memoria di 269 vittime
Presentazione - pag. 5 Premessa - pag. 9 LA PERIZIA DI PARTE CIVILE, di Floriano Calvino 15 CONSIDERAZIONI TECNICHE DOPO IL PROCESSO DI PRIMO GRADO, di Sandro Nosengo e Giovanni Bassi - 29 LE COLPE DEGLI IMPUTATI, di Vanni Ceola - 49 LA MONTEDISON: SUPERFICIALITA' E PROFITTO, di Paolo Berti - 75 IL SONNO DELLA RAGIONE HA DISTRUTTO STAVA, di Francesco Borasi- 89 I ROTA: DAI GELATI ALLE MINIERE, di Rita Farinelli - 113 LE OMISSIONI DI CURRO' DOSSI E PERNA, di Lorenza Cescatti - 129 IL RUOLO DEL DISTRETTO MINERARIO, di Sandro Gamberini - 143 DAL VAJONT A STAVA: LA MONTEDISON NON E' CAMBIATA, di Sandro Canestrini - 161 Dalla relazione della Commissione tecnico-amministrativa di inchiesta nominata dal Consiglio dei ministri - 179 Dall'articolo: «I bacini di decantazione dei rifiuti degli impianti di trattamento dei minerali» del prof. Giovanni Rossi (Industria Mineraria, nn. 10 e 11, 1973) - 193
lo mi richiamo naturalmente, signor Presidente e signori del Tribunale, alle conclusioni scritte che sono già state date in atti.
Mi pare che questo bisogna sia detto qui nel momento in cui voi
per tirare le fila delle argomentazioni di parte civile, quando io ho una
funzione ormai solo di raccordo con quello che è già stato detto, dando per scontato tutto quello che è stato detto, allo scopo forse di tentare quello che mi è stato detto di fare e che faccio volentieri anche se mi accorgo che il compito è molto difficile: di fornire a voi un estratto, quanto meno un campionario della filosofia del processo come speranza (come diceva qualcuno, "se è un sogno, lasciatemelo sognare") di riuscire a dare anche attraverso questo intervento dei momenti di riflessione o dei momenti di motivazione per la stesura della sentenza.
Dirò anche delle cose dure ma voi ne avete già sentite molte in questo processo, delle parole di polemica, anche se sarà mia ambizione cercare di dirle nel modo più pacato e più sereno possibile.
Ma anche per un professionista come me che non ha mai creduto alia
neutralità della scienza e che si oppone alla teoria delle neutralità del
giudice, (per quello che riguarda la scienza abbiamo avuto la prova esemplare del Vajont, che la scienza è sempre al servizio di certi interessi) bisogna anche dire che se io fossi un magistrato mi offenderei nel sentirmi dare dell'asettico, dell'imparziale nel senso tradizionale, volgare, della parola: voi non siete in questo senso né asettici né imparziali, siete giudici della Repubblica che applicano un codice rattoppato, eredità del passato, ma comunque in parte adattato alle necessità di oggi, siete soprattutto i giudici che tengono presente che non abbiamo più uno Statuto albertino, ma una Costituzione repubblicana, che tra le altre cose impone a tutti e soprattutto alle forze economiche e politiche di rispettare alcuni diritti fondamentali del cittadino, il diritto alla vita, il diritto all'ambiente, il
diritto alla salute. E in questa prospettiva di questi diritti e doveri costituzionali, che sono certo voi stenderete una sentenza quale davvero la gente di Tésero e non solo la gente di Tésero si attende.
Come si costruisce l'immagine del Trentino
Leggo oggi i giornali: io sono vivamente stato amareggiato dalla notizia che un gruppo di persone che si occupano di sport da un certo hotel di Istanbul ha espresso la "commozione" non per i morti di Stava ma commozione (lo si dice testualmente) per l'assegnazione al Trentino in genere e alla val di Fiemme in particolare dei campionati del mondo di sci nordico 1991. Io non sono un nemico dello sport anche se non mi piace lo sport agonistico. Preferisco la passeggiata con i miei ragazzi e col cane in montagna, non mi piace lo sport pagato; però appunto non ne sono un nemico, e capisco che fa parte della società di oggi. Ma c'è stato qualche cosa che strideva nel momento in cui si concludevano le arringhe di parte civile, nel momento in cui il ricordo dei morti diventava rovente, nell'attimo in cui dei magistrati tiravano le somme di quello che l'accusa privata stava dicendo, in questa comunicazione euforica e che avrebbe dovuto essere esaltante, di una manifestazione sportiva quasi che fosse freudianamente un complesso di colpa da cancellare, un sentimento di pentimento da far filtrare tra le righe, un risarcimento di danni che non viene dalla Montedison o chi per lei ma dagli organi provinciali, e dal signor Malossini in particolare, quasi che fosse un'offerta al collegio di un risarcimento indiretto di danni. Poi ho capito che non era così: non era così perché ho letto nel comunicato ufficiale che «questo è un modo di creare un'immagine del Trentino con la sua tradizione e i valori sportivi che sono parte integrante del nostro, parlo da trentino, patrimonio culturale», ahimè.
E dire che questa immagine del Trentino dovrebbe essersi riverginata perché a Istanbul un gruppo di signori ha deciso di offrire alla val di Fiemme un campionato di sci, è volare davvero basso in un momento in cui la commozione prende tutti noi e 40 avvocati di parte civile, tutti, hanno fatto fatica a cominciare la loro arringa perché prima di esporre tesi giuridiche e discorsi a voi, hanno dovuto soffocare il nodo, di cui molti hanno parlato, che li prendeva alla gola. Un nodo maggiore ancora, se i colleghi mi permettono di dirlo, quali membri di questo insieme ormai chiamato «Collegio alternativo di parte civile». Noi come tutti sanno e dopo la commozione (mi sto riprendendo e posso anche fare una battuta), noi che siamo il collegio dei parenti poveri e intransigenti che abbiamo fin dall'origine avuto una certa funzione propulsiva, siamo stati i primi a fare l'assemblea dei superstiti a Stava, siamo stati davvero, ma non per vantare primogeniture assurde, coloro che hanno funto da pungolo, rispetto alle necessità dell'istruttoria, non risparmiando delle critiche quando delle critiche dovevano essere mosse.
Certo è difficile poter immaginare come una tragedia di questo tipo abbia potuto avere un impatto così clamoroso, abbia potuto svolgersi in una zona così più tradizionalmente calma, tranquilla, del Trentino. E' stata una cosa che ha meravigliato tutti noi vedere come la gente ha reagito all'atrocitàdell'ingiuria, dell'ingiuria proprio «contra ius», che le veniva portata, conoscendo come questa val di Fiemme sia la zona più tranquilla, la zona più bianca, la zona dove il rispetto all'autorità, (tutte, le autorità!) è più consolidato: mai la valle si sarebbe sognata di essere penalizzata, tant'è vero che immediatamente in suo "soccorso" sono arrivati coloro che parlando per la gente della val di Fiemme, han parlato di destino, o di terremoto, di volontà di Dio - imperscrutabile naturalmente - o di cieca furia della natura. Noi ci siamo ribellati tra i primi a questa definizione semplicistica e bestemmiatrice di quello che era accaduto e abbiamo potuto giovarci di norme di deontologia forense quali quelle che noi abbiamo (lo dico con orgoglio) noi dell'Ordine degli avvocati e procuratori di Rovereto.
Ecco, questo piccolissimo minuscolo riconoscimento di poter aver esercitato questo patrocinio in modo del tutto gratuito, giovandoci di questa norma così avanzata e così civile che noi abbiamo voluto darci, mi pare possa essere interessante come notazione di costume (certo non come notazione di diritto), in un processo come questo dove il costume ha largo diritto di cittadinanza talvolta anche a scapito del diritto. Le amarezze di fronte a queste soddisfazioni non ci sono mancate, ma la delusione atroce, diciamo atroce per adoperare un termine appropriato, per la mancata costituzione di parte civile dello Stato noi non riusciamo ancora a farcela passare; non riusciamo ancora a persuadere i nostri "clienti" che lo Stato, che pure attraverso il Presidente nuovo aveva detto parole nuove rispetto a quelle che aveva detto un Presidente vecchio sui fanghi del Vajont, non abbia ritenuto di dover mettere in pratica queste belle parole e questi ottimi propositi costituendosi parte civile e facendo così crollare come un castello di carta una serie di altre possibili costituzioni e comunque una serie di altre impostazioni.
Bisognerà quindi, con tranquillità come ho detto prima anche se è chiaro che l'indignazione palpita a livello delle vene, cercare di fare un discorso che possa essere travasato in tutto o in parte in una motivazione di sentenza senza che ci sia soltanto il richiamo ad un grido di dolore, a un'invocazione di aiuto che sarebbe un po' troppo poco per una motivazione.
Io ho voluto accennare a questa sfortunata coincidenza della decisione presa nella lontana Turchia per dire che sopravviviamo in un ambiente ormai gravemente alterato per la nostra immagine. C'è stato chi ha scritto autorevolmente che occorre ora un'autonomia di cui non vergognarsi per l'umiliazione a cui l'autonomia è stata portata (e diremo in che modo) attraverso un certo atteggiamento dagli organi responsabili politici, sociali ed economici della provincia, questa umiliazione avrà delle difficoltà a consolarsi, a rialzarsi, a cancellarsi nello stesso modo come è stato facile invece per la Provincia di Trento darsi una non richiesta autoassoluzione generosamente autodispensatasi: cercando forse che le fortune da riporre nel turismo facciano dimenticare che il turismo non si nutre di sangue e non può cancellare il sangue perché la macchia di fango e di sangue ha frustrato, ha demolito l'orgoglio autonomistico.
Dice l'imputazione che ci sono delle persone che hanno, spregiando l'incolumità del prossimo, orientato ogni scelta e direttiva esclusivamente a criteri di immediata redditività dell'impianto minerario e ciò con grave rischio della collettività.
La filosofia del profitto
Ma, signori del Tribunale, questo non è nuovo, non è successo solo a Stava come è stato qui da tanti colleghi ricordato, questo fa parte di una filosofia, è la filosofia del profitto nel suo aspetto importante nel quadro delle altre filosofie del processo e non è certo un caso che su questo e su questo tipo di scelte e di direttive si sia costruita la civiltà industriale. In un antico libro, che oggi fa parte della cultura comune, «Il Manifesto» del '48 di Marx e di Engels si dà una persuasiva giustificazione di questo. Si dice che la società industriale non poteva svilupparsi che così, perché nel momento in cui la frantumazione della civiltà contadina avvenuta durante la rivoluzione francese e la proletarizzazione di piccoli ceti possidenti fornivano milioni di braccia a buon mercato, era logico che ci fosse qualcuno che avrebbe approfittato di questa massa di disgregati e di affamati per creare qualche cosa di diverso: quello che si chiama 'civiltà industriale'.
Molti credono che contro questa civiltà gli artefici del movimento che a quel libro si ispira si siano scagliati con parole di orrore o di riprovazione e sono persone che non l'hanno letto perché in quel documento è lucida |'analisi: solo così era possibile costruire le premesse di una civiltà indutriale anche se l'8 marzo e il 1° maggio che festeggiamo tutti quanti assieme ogni anno sono ricordi di giorni di persecuzione atroce, di morte di innocenti, di lavoratori.
La Montecatini è nata così, la Montedison è nata così. Si nasce come piccola ditta toscana che si occupava di miniere, si ingigantisce nel corso della storia, si approfitta di Quintino Sella e della politica industriale del secolo scorso, della politica della lésina per cui occorreva nel triangolo industriale portare avanti una certa politica, e poi infine si approfitta del regìme che è andato al potere nel 1922, avendo addirittura in Donegani, il suo padrone, uno degli esponenti prìncipi di questo tipo di società assolutamente conservatrice.
Io non dico che dall'epoca del padrone delle ferriere ad oggi i metodi sono sempre gli stessi. Dico che i metodi sono molto cambiati, e dirò anche che sono molto cambiati in meglio, ma non per disposizione spontanea di autoregolamentazione e di autodisciplina, dei ceti possidenti sul piano economico e dominanti sul piano politico. E' che la volontà di spadroneggiare è stata ampiamente ridimensionata dal movimento sindacale prima, su e su fino ai movimenti più recenti che si ispirano a criteri di costituzionali diritti: il diritto all'ambiente, il diritto alla vita, il diritto alla salute. E' interessante considerare però che i cosiddetti 'delitti dei colletti bianchi' hanno cominciato solo da pochi anni ad essere perseguiti (io non dirò con severità, ché direi troppo: né in questo processo, né in altri) però come simbolo e sintomo di un cambiamento di mentalità nell'opinione pubblica e quindi della magistratura che ne è il termometro più delicato e più sensibile.
Oggi non è più possibile pensare che questi criteri «d'immediata redditività» dopo 150 anni di lotta sindacale, dopo 30 anni di lotta ecologica e ambientalistica la facciano ancora da padroni. Oggi non è più possibile pensare che l'ente pubblico sia soltanto come è sempre stato nei secoli la cinghia di trasmissione del potere economico, del potere dominante.
Oggi è cambiato qualche cosa, il fatto stesso che siamo qui con questi imputati e con queste parti civili, con questi patroni di parte civile che hanno trovato nel fuoco della lotta e dei comuni interessi la fusione anche di diversi modi di pensare, ne è una prova, che mi pare i nostri avversari non dovrebbero sottovalutare. Quando io dico avversari penso al più grosso, a questo colosso immenso che abbiamo di fronte, la Montedison; non leggo qui perché occorrerebbe troppo tempo solo per leggere questo documento, il suo bilancio dell'anno scorso dove si elencano le branche che fanno capo a questo colosso. Le cose più impensabili dal comune cittadino; dove vi sono gli interessi, le iniziative dove questo colosso ha messo piede e ha messo la mano dello sfruttamento.
C'è un ponte di morte che tra molte di queste iniziative e i processi si è verificato. Questo ponte di morte (il dissesto idro-geologico del territorio), questo ponte di profitto che talvolta ha causato delle morti, gli scarichi di Marghera, il processo per le 'macchie blu' della Montecatini di Mori di 20 anni fa per il fluoro emesso e che ha portato quei danni gravissimi ad ogni coltura e animale. Il processo di oggi, quello alla Samin e alla Samatec, gli abrasivi, il flagello del silicio inalato, i fanghi rossi di Scarlino; ho sentito qui parlare di Seveso, della Sloi, e oggi molti qui hanno ricordato il Vajont.
Né si dica che la Montedison ha dovuto fare i conti con una situazione di impreparazione tecnica: qua e là, sta circolando e circolerà ampiamente nelle prossime arringhe questa tesi secondo cui ad ognuno di questi crimini ambientali e con morti, non vi è risposta tecnica poiché la Montedison chiunque altro, come il fabbro nella sua bottega o come il calzolaio nella sua, avrebbe potuto usare solo gli strumenti che il tempo le dava e le ha dato. Non è vero; sappiamo che non è vero per le date degli studi che sulle tematiche di oggi abbiamo appreso studiando questo processo; ma non è neppure vero per un'altra ragione perché, se c'è stato un ritardo negli studi, qualcuno ha voluto questo ritardo perché chi ha, secondo un nostro vecchio proverbio, la torta, ha delle difficoltà a dividerla con altri. Chi spadroneggia e può far il nuvolo e il sereno non ha alcun interesse a che sorgano delle correnti di studi, a finanziare istituti universitari, a sollecitare maggiore preparazione, a pubblicare più libri perché venga tradotto in modo tecnico migliore il rispetto della vita, o il rispetto del territorio.
La Montecatini ci si è adagiata con gioia, se è vero che c'è stata un'insufficienza di informazione tecnica (e sappiamo che vi è stata soltanto relativamente). Era nel suo brodo naturale, più ignoranza tecnica ci fosse stata, più avrebbe avuto la possibilità di fare quello che ha fatto, accompagnandosi con quella che è stata definita in un altro processo la "viltà accademica" (cioè con qualcuno che in sede cosiddetta scientifica le avrebbe dato sempre ragione) e la viltà burocratica (contando cioè su pubblici funzionari che in ogni caso le avrebbero dato ancora e sempre ragione).
Tra lo Stato e i privati - dice sempre Cederna - vi è una collusione: il geologo è una specie di fantasma senza un ruolo preciso nella pubblica amministrazione, quei tecnici sono ancora quelli del Servizio Geologico d'ltalia, una trentina quanti erano un secolo fa, quando Quintino Sella, ancora lui, lo fondò; meno che in un paese come il Ghana, e 10-20 volte meno che negli altri paesi civili. E per di più - poiché nelle tragedie non manca il lato comico - questo servizio geologico è ospitato in un edificio del centro di Roma che sta crollando. Ma lo scandalo maggiore è che l'Italia è ancora priva dell'indispensabile legge quadro per la difesa del suolo nonostante gli innumerevoli disegni e proposte di legge franati anche loro ad ogni franamento di legislatura.
Il «Notiziario della protezione civile» che si ispira ad "un sovversivo" notorio come l'onorevole Zamberletti quando parla di Stava nel suo editoriale n. 5 del 1985, dice così:
Noi non siamo disposti a dimenticare, vogliamo ricordare ai nostri lettori che quando leggeranno questo editoriale le polemiche sulla valanga si saranno forse spente, che la responsabilità più grave per le tragedie che colpiscono ormai direi con sempre maggiore frequenza il nostro paese si trovano nel parlamento e nel governo che ci rappresentano. Un parlamento dove da diversi anni giace il progetto di legge per l'istituzione del servizio nazionale di protezione civile: oltre che al soccorso, come l'attuale, si occupi cioè di prevenzione e previsione di ciò che accade nelle catastrofi naturali e artificiali. Un parlamento che non riesce ad approvare una legge di difesa del suolo che doveva essere approvata già nel 1970.
Un parlamento che non legiferando permette la speculazione, l'incuria, il dissesto, l'imprevidenza, tutto ciò che la rapina delle risorse del territorio da parte di pochi contro l'interesse e la sicurezza collettiva permette. Un governo che non riesce ad individuare fra le tante emergenze di cui soffre il nostro paese una delle più importanti e gravi nonché dissestanti la stessa economia che tanto sembra preoccupare l'attuale primo ministro, l'emergenza protezione civile di un paese che assomma rischi di criterio geologico, vulcanico, sismico e industriale come nessun altro paese».
lo vorrei signori del Tribunale che dando a ciascuno il suo e con questo
per nulla né esonerando, né diminuendo la responsabilità degli imputati si inizi col dire che il pesce comincia a puzzare dalla testa. Che vi è qualche cosa che non va in questo tessuto connettivo, qualche cosa che non funziona in questo nostro paese, perche se è possibile che delle leggi che dal '70 aspettano l'approvazione non siano approvate, c'è qualche cosa che chiaramente è scollato, c'è qualche cosa che sicuramente non trova modo di venire onestamente alla luce.
E lo domandava anche Bruno Zorzi su un giornale che avrò più tardi il piacere di citare ancora, «Vita Trentina»: «E mai possibile che dopo i mille disastri dal Vajont a Stava e ora questo della Valtellina, in Italia non ci sia ancora una legge sulla difesa del suolo?".
Insomma, «sul ponte sventola - si intende il ponte di Tésero - scaricabarile". Ed è uno scaricabarile cui abbiamo assistito anche qui, uno scaricabarile per cui nel Vajont ci fu un'unica condanna per un tempo reclusione pari a tre minuti di detenzione per ogni morto (il che come statistica è abbastanza poco).
Come si sono difesi gli uomini che avevano il diritto, anzi il dovere occuparsi al vertice di questa vicenda? Gli uomini che entrano comunque nel processo, quelli che si sono autoassolti perché a loro sicuramente fa capo la difesa di qualche imputato per dire: se non avete punito Bazzanèlla, perché dovete punire me? Bazzanella è pirandellianamente l'uno, il nessuno, e i centomila perché egli non fa il gioco dello scaricabarile, egli dice «io non esisto». Il mio nome è Nessuno, come Ulisse nella caverna di Polifemo!
Perché mi appresto a dire delle parole severe, se passa questa filosofia, è chiaro che voi potete giudicare degli imputati tratti a giudizio, ma dietro a loro c'è questa filosofia su cui giocheranno, giovandosene per dire che altri semmai sono i capi che la giustizia non ha incriminato. E allora dovete dire che se così questi si difenderanno è perché c'è obiettivamente una corruzione oggettiva in questo tipo di burocrazia, in tutta questa burocrazia.
E' la corruzione oggettiva di chi si adagia sulla propria carriera, di chi sa che farà carriera solo se tacerà, di chi sa che avrà onori e prebende solo se non ostacolerà l'incompetente assessore di turno, quello che si fa vanto come medaglia di 'non essere un tecnico'.
Ahimè è la nostra burocrazia, non quella vituperata di Napoli o Palermo, che si è lasciata corrompere, perché non c'è bisogno per corrompere un uomo di dargli dei quattrini, non c'è bisogno di mandargli il whisky a Natale per avere un piacere. Si può corrompere anche facendogli capire che se tace sarà promosso ed è contro questo tipo di burocrazia che c'è stato uno scatto nel Consiglio provinciale quando il Presidente della seconda Commissione legislativa Nicolò Cadonna si era dimesso dall'incarico per un esame dal punto di vista burocratico della vicenda, avendo avuto il tecnico della commissione la proibizione di visitare uffici e di interrogarne i funzionari. Cadonna si è dimesso con parole di fuoco: «La Giunta provinciale sta ostacolando le indagini».
Lo dice nel suo documento; i giornali giustamente (che approfitto dell'occasione qui per ringraziare dell'attenzione che danno scrupolosamente al processo) l'hanno riportato a 6 colonne: enorme, quella stessa Giunta che si era autoassolta con le mielate e ipocrite parole del suo presidente, oggi, secondo la denuncia del Presidente della Commissione legislativa sta ostacolando le indagini, limitandosi poi il consiglio a dare atto che sono
stati evidenziati insufficienze e scollamenti che verranno sicuramente (come si scrive) "rimossi". Non si può dire che la Provincia è fuori perché è "politica". Leggo in un documento presentato da un gruppo di consiglieri provinciali: «il controllo politico sull'apparato tecnico-burocratico è in questa provincia ferreo». E' la stessa cosa, il controllo politico e il controllo tecnico-burocratico. Nessun tecnico che in qualche modo non abbia gradimento politico occupa posti di responsabilità. Non esiste praticamente un confine, tra tecnico e politico.
La commistione fra politica e burocrazia
C'e questo malefico intrecciarsi di politica e di burocrazia che porta i
frutti che porta. Stava ne è una delle prove: nodo che però è inestricabile, ma ci legittima quando sosteniamo che il politico non può giustificarsi scaricando le sue responsabilità sul tecnico. E' vero quello che scrive il G.I. in una intervista e cioè che quando è stato preso un certo provvedimento di proscioglimento istruttorio la giustizia non poteva essere rimproverata per questo, perché l'assoluzione tecnico-giuridica non è anche un'assoluzione morale e politica.
L'ordine di servizio Bazzanella - è sempre lui - lungi dall'essere ininfluente sulle cause indirette del crollo, ha creato le premesse alle omissioni di controllo dello stato di stabilità dei bacini che ha causato e continua a causare confusione anche in sede istruttoria. Ecco perché abbiamo detto che sotto i fanghi di Stava c'è anche l'autonomìa provinciale. Ma detto così, è detto male. Io ho in mano il documento sulla tragedia di Stava pubblicato da «ltalia Nostra», cioè da un Ente preposto anche a tutela del suolo. Dice meglio la stessa cosa: «La catastrofe ha dimostrato quanto carente e superficiale sia l'Amministrazione del nostro territorio. A Stava è crollato il castello provinciale dissolvendosi nella sua vera sostanza costitutiva: un mare di sangue. La logica che vi presiede è la logica della burocrazia ossequiente legata dai mille fili che abbiamo detto prima; la seconda è la logica del contributo che si fonda su un meccanismo e costruisce un sistema del caso per caso degli interessi individuali che precedono quelli collettivi. Al contributo accede spesso (Montedison: alza le orecchie!) non chi ne aveva diritto per la razionalità dell'intervento, ma il cittadino più intraprendente, l'imprenditore più ammanigliato, l'operatore più spregiudicato, il Comune più autorevole; questa logica genera un atteggiamento di attendismo operativo o di acquiescenza politica, per non dire di servilismo.
Ogni decisione anche squisitamente tecnica è assunta salvo rarissime eccezioni dal politico che in tal modo gestisce e distribuisce dall'alto i contributi e le incentivazioni, controlla capillarmente le autorizzazioni scardinando talvolta per i propri fini politici i piani di intervento predisposti dai propri organismi tecnici.
Dal peccato sociale al delitto politico
Così svilendo e mortificando le loro capacità e il loro desiderio di pianificare razionalmente gli interventi. Per questo meccanismo di mantenimento di potere politico ogni struttura si chiude su se stessa in una sorta di compartimento stagno in cui decide tutto l'assessore e non c'è alcuna circolazione di informazione né collegialità di giunta». Peccato che questo
documento non sia stato visto meglio dal Pubblico ministero e dal Giudice
istruttore. E' stato visto da altri, e molto bene da altri.
Da coloro che hanno in questi anni costruito la teoria del peccato sociale.
Parlo dell'organizzazione religiosa, della Chiesa in genere e del vescovo
di Trento in particolare. Molto più acuti nell'esame della situazione politica. Evidentemente molto meno legati al mercato delle vacche e ai piccoli
interessi elettorali, molto più certi nella preparazione ideale e nelle funzioni che l'ente pubblico può davvero esplicare, questi enti ecclesiastici cattolici hanno elaborato in questi ultimi anni questa teoria, la cosiddetta «teoria del peccato sociale», che mi servirà quando chiuderò spero fra un quarto d'ora la mia arringa per collegarmi con la teoria del delitto politico: per quello che per la Chiesa è il peccato sociale, per i giuristi non può essere che il delitto politico così come previsto dall'articolo 8 del codice penale.
La Chiesa, per arrivare a questo, ha dovuto partire da molto lontano, da molto
lontano: due secoli fa i vescovi avevano ancora gli schiavi neri al loro servizio, oggi dopo lo scossone giovanneo a cui tutti dobbiamo buona parte di quello che siamo oggi, quota di libertà e di tolleranza che viviamo ogni giorno, vi è stato un rapido correre verso soluzioni non solo adeguate socialmente ma addirittura più avanzate per molti versi dell'ambiente laico.
E' questo che mi interessa: io laico (notoriamente laico!) mi sono accorto da molto tempo che vi sono cosiddette 'forze laiche' che hanno fatto molta meno strada anzi, che incredibilmente si oppongono a questi sviluppi del pensiero ecclesiastico. Io penso ad esempio ad una famosa circolare di Spadolini contro i vescovi veneti che erano colpevoli di avere fondato il «Movimento beati i costruttori di pace», li aveva accusati di nostalgie temporalistiche ed erano invece gli antesignani di una civiltà nuova di pace
e di fraternità.
Dico che in questa teoria del peccato sociale la Chiesa oggi può davvero essere l'anello di congiunzione con la teoria del delitto politico, anticipando subito che per me Stava rientra in questa categoria e vi dirò fra un momento come può rientrare. La recente lettera pastorale di mons. Gottardi ha proprio un capitolo intitolato «peccati sociali». Di questi peccati sociali abbonda la convivenza umana non solo in generate nel mondo, ma nella nostra stessa società trentina.
Bazzanella e amici questa lettera pastorale non l'hanno letta. Non mi è possibile qui darne una totale lettura; mi basti accennare, sulla falsariga delle denunce emerse dal recente convegno promosso nella diocesi di Roma circa la responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di carità e di giustizia, come anche tra noi sia tutt'ora in atto specie nella città, a cominciare nel capoluogo ma anche nei paesi una situazione di sostanziali disumanità (udite, bene, il principe vescovo di Trento!) dovuta agli inesorabili meccanismi di sviluppo del sistema capitalistico. Checché si pensi della sua intrinseca correggibilità non se ne possono negare le false e inique conseguenze per l'individuo, la famiglia, la scuola, la città, l'economia stessa.
La «Sollecitudo rei socialis» dell'attuale pontefice è del 30 dicembre 1987. A questa analisi di ordine religioso si possono solo aggiungere considerazioni particolari. Per notare che tra le azioni e gli atteggiamenti opposti alla volontà di Dio, al bene del prossimo e alle strutture che essi inducono, i più caratteristici sembrano oggi soprattutto due, da un parte la brama esclusiva del profitto e dall'altra la sete del potere con proposito di imporre agli altri la propria volontà, aspetto socio-economico/aspetto politico.
Sono anche le parole di Gottardi a proposito di Stava nel primo anniversario della morte di quelli sventurati. Perché c'è un aggancio, tra il peccato sociale e il delitto politico. L'aggancio a mio avviso è intanto anzitutto l'atteggiamento, come è stato qui autorevolmente detto, di chi tace, di chi omette, di chi avalla.
Mi rendo conto come sia difficile ipotizzare dal punto di vista religioso la differenza tra delitto e contravvenzione. Ancora: a proposito di delitto politico, pur forse è opportuno rimeditare i presupposti di cui all'articolo 294 C.P. anche se non siamo di fronte ad una violazione prevista dalla legge di uno specifico articolo dei diritti civili del cittadino, ma dal 294 vedo qui un richiamo a questo sicuro 328 che giace sepolto pure lui nei fanghi di Stava. Qui siamo in presenza di qualche cosa che è accaduto di illecito e che non è stato punito.
Omettendo - diceva l'imputazione del prosciolto Parotto Elia, che come uomo è uscito, ma i fatti son rimasti - omettendo di controllare e sanzionare i lavori ulteriori e non autorizzati svolti dalla società concessionaria nella miniera del predetto bacino. Cosa vuol dire, 'lavori non autorizzati'? Ce lo dice la commissione d'inchiesta; la commissione d'inchiesta nazionale, io non so se pensando all'ing. Custer o ad altri, scrive:
E' poi da ricordare che con la legge provinciale tutto il territorio della valle di Stava è stato sottoposto a vincolo paesaggistico con la conseguenza che qualunque costruzione nell'ambito di tale territorio doveva essere soggetta ad autorizzazione dell'assessorato competente della Provincia, precedentemente della commissione comprensoriale di Cavalese. Anche in questo caso per altro, commissione di inchiesta nazionale e burocratica, né il comune ha segnalato la questione alla provincia né gli organi provinciali deliberando in approvazione degli atti comunali di autorizzazione all'occupazione del suolo hanno ravvisato la configurabilità di una fattispecie di costruzione in aree soggette a vincolo paesistico con la conseguente necessità di autorizzazione provinciale».
Però in questo modo mettendo nei guai (o avrebbe dovuto, 'mettere nei guai') non soltanto l'imputato Cefis come si legge, ma avrebbe messo nei guai anche l'amministrazione comunale, sembra una barzelletta in una pagina del processo, perché l'amministrazione comunale era obbligata a procedere per evitare di essere essa stessa incriminata del 328 cioè dell'omissione di atti d'ufficio. Ma noi viviamo anche in un paese dove «le leggi son, ma chi pon mano ad elle?», lo diceva qualcuno, parecchi secoli fa.
Nessuno ha proceduto a denuncia penale, del resto ora sarebbe coperta da prescrizioni, da amnistìe, non ne parliamo più, ma mi interessa che la concessione non sia stata chiesta, mi interessa perché appositamente hanno evitato di chiedere di costruire, forse non ne avrebbero avuto un 'no', però avrebbero ugualmente creato un precedente che avrebbe poi pesato su sviluppi ulteriori, e avrebbe potuto avere un suo significato se fosse successo qualche cosa.
La storia di "Giuseppe"
Nello stesso modo, come del resto Alaimo ha detto benissimo stamattina: "Costoro, che si sono comportati davanti all'ente pubblico in questo modo, non ci hanno mai detto che cosa di preciso volevano costruire". Qualcuno scherzando, almeno tra noi, ha definito questo manufatto "Giuseppe". Hanno voluto mettere al mondo "Giuseppe", ma perché "Giuseppe"? Perché non si poteva dire che era una diga, non si poteva dire che era qualche cosa di diverso, perché a qualunque normativa si fossero costoro richiamati c'era la controindicazione, c'era l'opinione diversa, c'era la possibilità cioè di subire disposizioni di legge. "Bacino di decantazione". Ecco, hanno trovato con 'Giuseppe' un escamotage lessicale: 'bacino di decantazione'. Vuol dire tutto, e non vuol dire niente, dal punto di vista tecnico è il nulla.
Diciamo noi adesso a ragion veduta che era comunque un manufatto che ha avuto un effetto diga, perché di fatto é diventato una diga, ma non sarà facile per voi, signori del collegio, vedere anche alla luce di quella che è la normativa (perché voi dovete appendere le punizioni ad una normativa) come inquadrare giuridicamente questo manufatto che non può continuare ad essere solo un bacino di decantazione perché è qualche cosa di diverso, soprattutto è qualche cosa di più definito. E' un bacino che noi abbiamo sostenuto, con sfortuna, essere stato costruito addirittura via via con la previsione della catastrofe.
Comunque (e il discorso se fossero state ritenute le altre due aggravanti sarebbe certo più semplice) io rimango della mia convinzione che tra questa colpa, così di grado avanzatissimo, che almeno certamente sfiora la colpa con previsione e quel delitto politico, così come voluto nel nostro codice per cui è politico ogni delitto che sia determinato in tutto o in parte da motivi politici, vi sia un collegamento. Delitto politico si ha quando è determinato in tutto o in parte da motivi politici in lato senso e cioè anche economici o sociali. Tutta la giurisprudenza infatti dice che questo politico vuol dire che attiene alla «polis» e che quindi attiene anche al mondo della società e dell'economia.
Io mi permetto di citare me stesso, poiché degli amici avevano voluto a suo tempo pubblicare la mia arringa per il Vajont: se uomini hanno commesso questi fatti, sono allora dei delinquenti e non solo in senso giuridico ma anche in senso morale.
Non importa assolutamente nulla che possano essere fedeli mariti, padri affezionati, osservanti in religione o in politica, assolutamente nulla. Chi si mette al servizio di interessi disumani perche contro l'umanità è complice di un genocidio, come è stato un genocidio quello del Vajont, come è stato un genocidio quello di Tésero. Già Brecht ricordava che siamo più pronti a manifestare il nostro sdegno e il nostro disprezzo per chi assassina un uomo mentre quando l'omicidio diventa un omicidio di massa, l'indignazione anziché aumentare diminuisce fino all'accettazione del fatto compiuto.
I sapienti che non sanno
Attraverso questo processo mi pare che ancora una volta si è dimostrata la necessità di sostituire il metro della piccola bontà individuale ipocrita e falsa e su modello coniato dai gestori del potere, con quello di una più alta moralità che commisuri il modo di comportarsi dell'uomo nel mondo dove opera.
Calvino non ha scritto soltanto la perizia che sappiamo, ha tenuto anche una lezione universitaria sul Vajont di cui io ho il testo. Concludeva così:
Problemi col sito? Dissensi? Un tempo, leggevi queste cose e ti trovavi su www.vajont.org. |