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Floriano Calvino, Sandro Nosengo, Giovanni Bassi, Vanni Ceola, Paolo Berti, Francesco Borasi, Rita Farinelli, Lorenza Cescatti, Sandro Gamberini, Sandro Canestrini

Un processo alla speculazione industriale

La strage di STAVA

negli interventi della parte civile alternativa
Edizione a cura del Collegio di difesa di parte civile alternativa
© Trento, 1989

Alla memoria di 269 vittime
della speculazione e dello
sfruttamento insensato del territorio
e alla memoria di Floriano Calvino
che, dalla parte delle vittime,
come sempre, si schierò,
con intelligenza e con amore.

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INDICE

Presentazione - pag. 5

Premessa - pag. 9

LA PERIZIA DI PARTE CIVILE, di Floriano Calvino 15

CONSIDERAZIONI TECNICHE DOPO IL PROCESSO DI PRIMO GRADO, di Sandro Nosengo e Giovanni Bassi - 29

LE COLPE DEGLI IMPUTATI, di Vanni Ceola - 49

LA MONTEDISON: SUPERFICIALITA' E PROFITTO, di Paolo Berti - 75

IL SONNO DELLA RAGIONE HA DISTRUTTO STAVA, di Francesco Borasi- 89

I ROTA: DAI GELATI ALLE MINIERE, di Rita Farinelli - 113

LE OMISSIONI DI CURRO' DOSSI E PERNA, di Lorenza Cescatti - 129

IL RUOLO DEL DISTRETTO MINERARIO, di Sandro Gamberini - 143

DAL VAJONT A STAVA: LA MONTEDISON NON E' CAMBIATA, di Sandro Canestrini - 161

APPENDICE I

Dalla relazione della Commissione tecnico-amministrativa di inchiesta nominata dal Consiglio dei ministri - 179

APPENDICE II

Dall'articolo: «I bacini di decantazione dei rifiuti degli impianti di trattamento dei minerali» del prof. Giovanni Rossi (Industria Mineraria, nn. 10 e 11, 1973) - 193

L'arringa di Sandro Canestrini

DAL VAJONT A STAVA: LA MONTEDISON NON E' CAMBIATA

lo mi richiamo naturalmente, signor Presidente e signori del Tribunale, alle conclusioni scritte che sono già state date in atti.
Devo anche richiamarmi immediatamente ad un altro fatto che mi ha lusingato e commosso e cioè alla prova di amicizia e di stima che i colleghi di tutto il collegio di parte civile, anche informalmente costituito, hanno voluto dare a me certamente soltanto in virtù di un 'decanato' professionale per quello che una volta secondo tradizione forense veniva considerato un privilegio riservato agli anziani, e cioè di concludere le arringhe di difesa o di parte civile. lo li ringrazio, ma li ringrazio soprattutto di un'altra cosa.
Li ringrazio di questo apporto entusiasta e cosciente che hanno dato alle ragioni delle vittime venendo da tutte le parti d'ltalia e non soltanto dal Trentino, ed illustrando una serie di argomentazioni che davvero aspettano con prova dura le controdeduzioni dei difensori degli imputati. Ma la mia riconoscenza per loro va anche al di là, molto al di là.
Quaranta avvocati hanno parlato provenendo da regioni filosofiche, religiose, politiche, ideali diverse; e anche da aree geografiche diverse e hanno portato qui la prova che al momento della lotta, al momento in cui bisogna davvero "viribus unitis» battersi per comuni ideali sono state bruciate tutte le scorie che potevano separarci e ci hanno separato nel corso dell'istruttoria scritta e di cui un collegio giudicante cosi diligentemente preparato come quello di oggi ha preso sicuramente atto tra le pieghe e anche non solo tra le pieghe della causa. Ci sono stati, è vero, a suo tempo, momenti di incontro difficili, anzi di scontro talvolta con colleghi di altre parti civili per tattiche processuali e non solo processuali: però, quando ci siamo ritrovati qui non c'è stato bisogno di dire che unitariamente dovevamo seguire una linea di condotta, ognuno è subito arrivato a dare il suo apporto alla costruzione di un edificio così grande come è l'edificio delle arringhe delle parti civili che voi avete ascoltato, addirittura realizzando questo miracolo: che senza essersi divisi i compiti io sono convinto che il Tribunale ha apprezzato la varietà dei toni e delle voci, le sfumature degli accenti, le impostazioni diverse.

Mi pare che questo bisogna sia detto qui nel momento in cui voi per tirare le fila delle argomentazioni di parte civile, quando io ho una funzione ormai solo di raccordo con quello che è già stato detto, dando per scontato tutto quello che è stato detto, allo scopo forse di tentare quello che mi è stato detto di fare e che faccio volentieri anche se mi accorgo che il compito è molto difficile: di fornire a voi un estratto, quanto meno un campionario della filosofia del processo come speranza (come diceva qualcuno, "se è un sogno, lasciatemelo sognare") di riuscire a dare anche attraverso questo intervento dei momenti di riflessione o dei momenti di motivazione per la stesura della sentenza.

Dirò anche delle cose dure ma voi ne avete già sentite molte in questo processo, delle parole di polemica, anche se sarà mia ambizione cercare di dirle nel modo più pacato e più sereno possibile.

Ma anche per un professionista come me che non ha mai creduto alia neutralità della scienza e che si oppone alla teoria delle neutralità del giudice, (per quello che riguarda la scienza abbiamo avuto la prova esemplare del Vajont, che la scienza è sempre al servizio di certi interessi) bisogna anche dire che se io fossi un magistrato mi offenderei nel sentirmi dare dell'asettico, dell'imparziale nel senso tradizionale, volgare, della parola: voi non siete in questo senso né asettici né imparziali, siete giudici della Repubblica che applicano un codice rattoppato, eredità del passato, ma comunque in parte adattato alle necessità di oggi, siete soprattutto i giudici che tengono presente che non abbiamo più uno Statuto albertino, ma una Costituzione repubblicana, che tra le altre cose impone a tutti e soprattutto alle forze economiche e politiche di rispettare alcuni diritti fondamentali del cittadino, il diritto alla vita, il diritto all'ambiente, il diritto alla salute. E in questa prospettiva di questi diritti e doveri costituzionali, che sono certo voi stenderete una sentenza quale davvero la gente di Tésero e non solo la gente di Tésero si attende.

Come si costruisce l'immagine del Trentino

Leggo oggi i giornali: io sono vivamente stato amareggiato dalla notizia che un gruppo di persone che si occupano di sport da un certo hotel di Istanbul ha espresso la "commozione" non per i morti di Stava ma commozione (lo si dice testualmente) per l'assegnazione al Trentino in genere e alla val di Fiemme in particolare dei campionati del mondo di sci nordico 1991. Io non sono un nemico dello sport anche se non mi piace lo sport agonistico. Preferisco la passeggiata con i miei ragazzi e col cane in montagna, non mi piace lo sport pagato; però appunto non ne sono un nemico, e capisco che fa parte della società di oggi. Ma c'è stato qualche cosa che strideva nel momento in cui si concludevano le arringhe di parte civile, nel momento in cui il ricordo dei morti diventava rovente, nell'attimo in cui dei magistrati tiravano le somme di quello che l'accusa privata stava dicendo, in questa comunicazione euforica e che avrebbe dovuto essere esaltante, di una manifestazione sportiva quasi che fosse freudianamente un complesso di colpa da cancellare, un sentimento di pentimento da far filtrare tra le righe, un risarcimento di danni che non viene dalla Montedison o chi per lei ma dagli organi provinciali, e dal signor Malossini in particolare, quasi che fosse un'offerta al collegio di un risarcimento indiretto di danni. Poi ho capito che non era così: non era così perché ho letto nel comunicato ufficiale che «questo è un modo di creare un'immagine del Trentino con la sua tradizione e i valori sportivi che sono parte integrante del nostro, parlo da trentino, patrimonio culturale», ahimè.
Parleremo fra un momento di questa immagine del Trentino che è stata inghiottita, sommersa, che e annegata con i morti nei fanghi di Stava.

E dire che questa immagine del Trentino dovrebbe essersi riverginata perché a Istanbul un gruppo di signori ha deciso di offrire alla val di Fiemme un campionato di sci, è volare davvero basso in un momento in cui la commozione prende tutti noi e 40 avvocati di parte civile, tutti, hanno fatto fatica a cominciare la loro arringa perché prima di esporre tesi giuridiche e discorsi a voi, hanno dovuto soffocare il nodo, di cui molti hanno parlato, che li prendeva alla gola. Un nodo maggiore ancora, se i colleghi mi permettono di dirlo, quali membri di questo insieme ormai chiamato «Collegio alternativo di parte civile». Noi come tutti sanno e dopo la commozione (mi sto riprendendo e posso anche fare una battuta), noi che siamo il collegio dei parenti poveri e intransigenti che abbiamo fin dall'origine avuto una certa funzione propulsiva, siamo stati i primi a fare l'assemblea dei superstiti a Stava, siamo stati davvero, ma non per vantare primogeniture assurde, coloro che hanno funto da pungolo, rispetto alle necessità dell'istruttoria, non risparmiando delle critiche quando delle critiche dovevano essere mosse.
Quando Ernesto Rossi scrive questa frase terribile nel suo volume sui «Padroni del vapore», «gira e rigira gli azzecca-garbugli li troverai sempre dalla parte di Don Rodrigo» io penso che il giudizio sia troppo amaro, un po' sommario, perche non tutti gli avvocati sono dalla parte di Don Rodrigo (e ci sono anche quelli che sostengono la possibilità di stare con Don Rodrigo con argomenti che non infangano la loro dignità morale).

Certo è difficile poter immaginare come una tragedia di questo tipo abbia potuto avere un impatto così clamoroso, abbia potuto svolgersi in una zona così più tradizionalmente calma, tranquilla, del Trentino. E' stata una cosa che ha meravigliato tutti noi vedere come la gente ha reagito all'atrocitàdell'ingiuria, dell'ingiuria proprio «contra ius», che le veniva portata, conoscendo come questa val di Fiemme sia la zona più tranquilla, la zona più bianca, la zona dove il rispetto all'autorità, (tutte, le autorità!) è più consolidato: mai la valle si sarebbe sognata di essere penalizzata, tant'è vero che immediatamente in suo "soccorso" sono arrivati coloro che parlando per la gente della val di Fiemme, han parlato di destino, o di terremoto, di volontà di Dio - imperscrutabile naturalmente - o di cieca furia della natura. Noi ci siamo ribellati tra i primi a questa definizione semplicistica e bestemmiatrice di quello che era accaduto e abbiamo potuto giovarci di norme di deontologia forense quali quelle che noi abbiamo (lo dico con orgoglio) noi dell'Ordine degli avvocati e procuratori di Rovereto.
All'articolo 10 delle nostre norme interne è prevista, (e io credo che sia uno dei pochissimi codici di deontologia forense che un Ordine si è dato, e che se lo sia dato con questo articolo 10), la possibilità di una difesa gratuita a condizione che ci siano apprezzabili motivi di socialità, di beneficenza, di carità, o di simpatia, purché in ciò non sia ravvisabile un aspetto emulativo e il fatto non sia pregiudizievole per i colleghi.

Ecco, questo piccolissimo minuscolo riconoscimento di poter aver esercitato questo patrocinio in modo del tutto gratuito, giovandoci di questa norma così avanzata e così civile che noi abbiamo voluto darci, mi pare possa essere interessante come notazione di costume (certo non come notazione di diritto), in un processo come questo dove il costume ha largo diritto di cittadinanza talvolta anche a scapito del diritto. Le amarezze di fronte a queste soddisfazioni non ci sono mancate, ma la delusione atroce, diciamo atroce per adoperare un termine appropriato, per la mancata costituzione di parte civile dello Stato noi non riusciamo ancora a farcela passare; non riusciamo ancora a persuadere i nostri "clienti" che lo Stato, che pure attraverso il Presidente nuovo aveva detto parole nuove rispetto a quelle che aveva detto un Presidente vecchio sui fanghi del Vajont, non abbia ritenuto di dover mettere in pratica queste belle parole e questi ottimi propositi costituendosi parte civile e facendo così crollare come un castello di carta una serie di altre possibili costituzioni e comunque una serie di altre impostazioni.

Bisognerà quindi, con tranquillità come ho detto prima anche se è chiaro che l'indignazione palpita a livello delle vene, cercare di fare un discorso che possa essere travasato in tutto o in parte in una motivazione di sentenza senza che ci sia soltanto il richiamo ad un grido di dolore, a un'invocazione di aiuto che sarebbe un po' troppo poco per una motivazione.

Io ho voluto accennare a questa sfortunata coincidenza della decisione presa nella lontana Turchia per dire che sopravviviamo in un ambiente ormai gravemente alterato per la nostra immagine. C'è stato chi ha scritto autorevolmente che occorre ora un'autonomia di cui non vergognarsi per l'umiliazione a cui l'autonomia è stata portata (e diremo in che modo) attraverso un certo atteggiamento dagli organi responsabili politici, sociali ed economici della provincia, questa umiliazione avrà delle difficoltà a consolarsi, a rialzarsi, a cancellarsi nello stesso modo come è stato facile invece per la Provincia di Trento darsi una non richiesta autoassoluzione generosamente autodispensatasi: cercando forse che le fortune da riporre nel turismo facciano dimenticare che il turismo non si nutre di sangue e non può cancellare il sangue perché la macchia di fango e di sangue ha frustrato, ha demolito l'orgoglio autonomistico.

Dice l'imputazione che ci sono delle persone che hanno, spregiando l'incolumità del prossimo, orientato ogni scelta e direttiva esclusivamente a criteri di immediata redditività dell'impianto minerario e ciò con grave rischio della collettività.

La filosofia del profitto

Ma, signori del Tribunale, questo non è nuovo, non è successo solo a Stava come è stato qui da tanti colleghi ricordato, questo fa parte di una filosofia, è la filosofia del profitto nel suo aspetto importante nel quadro delle altre filosofie del processo e non è certo un caso che su questo e su questo tipo di scelte e di direttive si sia costruita la civiltà industriale. In un antico libro, che oggi fa parte della cultura comune, «Il Manifesto» del '48 di Marx e di Engels si dà una persuasiva giustificazione di questo. Si dice che la società industriale non poteva svilupparsi che così, perché nel momento in cui la frantumazione della civiltà contadina avvenuta durante la rivoluzione francese e la proletarizzazione di piccoli ceti possidenti fornivano milioni di braccia a buon mercato, era logico che ci fosse qualcuno che avrebbe approfittato di questa massa di disgregati e di affamati per creare qualche cosa di diverso: quello che si chiama 'civiltà industriale'.

Molti credono che contro questa civiltà gli artefici del movimento che a quel libro si ispira si siano scagliati con parole di orrore o di riprovazione e sono persone che non l'hanno letto perché in quel documento è lucida |'analisi: solo così era possibile costruire le premesse di una civiltà indutriale anche se l'8 marzo e il 1° maggio che festeggiamo tutti quanti assieme ogni anno sono ricordi di giorni di persecuzione atroce, di morte di innocenti, di lavoratori.

La Montecatini è nata così, la Montedison è nata così. Si nasce come piccola ditta toscana che si occupava di miniere, si ingigantisce nel corso della storia, si approfitta di Quintino Sella e della politica industriale del secolo scorso, della politica della lésina per cui occorreva nel triangolo industriale portare avanti una certa politica, e poi infine si approfitta del regìme che è andato al potere nel 1922, avendo addirittura in Donegani, il suo padrone, uno degli esponenti prìncipi di questo tipo di società assolutamente conservatrice.

Io non dico che dall'epoca del padrone delle ferriere ad oggi i metodi sono sempre gli stessi. Dico che i metodi sono molto cambiati, e dirò anche che sono molto cambiati in meglio, ma non per disposizione spontanea di autoregolamentazione e di autodisciplina, dei ceti possidenti sul piano economico e dominanti sul piano politico. E' che la volontà di spadroneggiare è stata ampiamente ridimensionata dal movimento sindacale prima, su e su fino ai movimenti più recenti che si ispirano a criteri di costituzionali diritti: il diritto all'ambiente, il diritto alla vita, il diritto alla salute. E' interessante considerare però che i cosiddetti 'delitti dei colletti bianchi' hanno cominciato solo da pochi anni ad essere perseguiti (io non dirò con severità, ché direi troppo: né in questo processo, né in altri) però come simbolo e sintomo di un cambiamento di mentalità nell'opinione pubblica e quindi della magistratura che ne è il termometro più delicato e più sensibile.

Oggi non è più possibile pensare che questi criteri «d'immediata redditività» dopo 150 anni di lotta sindacale, dopo 30 anni di lotta ecologica e ambientalistica la facciano ancora da padroni. Oggi non è più possibile pensare che l'ente pubblico sia soltanto come è sempre stato nei secoli la cinghia di trasmissione del potere economico, del potere dominante.

Oggi è cambiato qualche cosa, il fatto stesso che siamo qui con questi imputati e con queste parti civili, con questi patroni di parte civile che hanno trovato nel fuoco della lotta e dei comuni interessi la fusione anche di diversi modi di pensare, ne è una prova, che mi pare i nostri avversari non dovrebbero sottovalutare. Quando io dico avversari penso al più grosso, a questo colosso immenso che abbiamo di fronte, la Montedison; non leggo qui perché occorrerebbe troppo tempo solo per leggere questo documento, il suo bilancio dell'anno scorso dove si elencano le branche che fanno capo a questo colosso. Le cose più impensabili dal comune cittadino; dove vi sono gli interessi, le iniziative dove questo colosso ha messo piede e ha messo la mano dello sfruttamento.

C'è un ponte di morte che tra molte di queste iniziative e i processi si è verificato. Questo ponte di morte (il dissesto idro-geologico del territorio), questo ponte di profitto che talvolta ha causato delle morti, gli scarichi di Marghera, il processo per le 'macchie blu' della Montecatini di Mori di 20 anni fa per il fluoro emesso e che ha portato quei danni gravissimi ad ogni coltura e animale. Il processo di oggi, quello alla Samin e alla Samatec, gli abrasivi, il flagello del silicio inalato, i fanghi rossi di Scarlino; ho sentito qui parlare di Seveso, della Sloi, e oggi molti qui hanno ricordato il Vajont.

Né si dica che la Montedison ha dovuto fare i conti con una situazione di impreparazione tecnica: qua e là, sta circolando e circolerà ampiamente nelle prossime arringhe questa tesi secondo cui ad ognuno di questi crimini ambientali e con morti, non vi è risposta tecnica poiché la Montedison chiunque altro, come il fabbro nella sua bottega o come il calzolaio nella sua, avrebbe potuto usare solo gli strumenti che il tempo le dava e le ha dato. Non è vero; sappiamo che non è vero per le date degli studi che sulle tematiche di oggi abbiamo appreso studiando questo processo; ma non è neppure vero per un'altra ragione perché, se c'è stato un ritardo negli studi, qualcuno ha voluto questo ritardo perché chi ha, secondo un nostro vecchio proverbio, la torta, ha delle difficoltà a dividerla con altri. Chi spadroneggia e può far il nuvolo e il sereno non ha alcun interesse a che sorgano delle correnti di studi, a finanziare istituti universitari, a sollecitare maggiore preparazione, a pubblicare più libri perché venga tradotto in modo tecnico migliore il rispetto della vita, o il rispetto del territorio.

La Montecatini ci si è adagiata con gioia, se è vero che c'è stata un'insufficienza di informazione tecnica (e sappiamo che vi è stata soltanto relativamente). Era nel suo brodo naturale, più ignoranza tecnica ci fosse stata, più avrebbe avuto la possibilità di fare quello che ha fatto, accompagnandosi con quella che è stata definita in un altro processo la "viltà accademica" (cioè con qualcuno che in sede cosiddetta scientifica le avrebbe dato sempre ragione) e la viltà burocratica (contando cioè su pubblici funzionari che in ogni caso le avrebbero dato ancora e sempre ragione).
Anche nel caso di cui oggi, dove si legge nella commissione governativa, che il crollo di Stava è stato un momento di ingegneria criminale.
E' detto molto bene: e mi ha fatto venire in mente le baracche di Auschwitz, anche queste erano un monumento di ingegneria criminale. Antonio Cederna recentemente ha valutato che il dissesto idrogeologico, ci costa circa 3mila miliardi all'anno e che tutto il lavoro dello Stato è teso a rabberciare alla peggio i danni, ma mai per prevenire e risanare.

Tra lo Stato e i privati - dice sempre Cederna - vi è una collusione: il geologo è una specie di fantasma senza un ruolo preciso nella pubblica amministrazione, quei tecnici sono ancora quelli del Servizio Geologico d'ltalia, una trentina quanti erano un secolo fa, quando Quintino Sella, ancora lui, lo fondò; meno che in un paese come il Ghana, e 10-20 volte meno che negli altri paesi civili. E per di più - poiché nelle tragedie non manca il lato comico - questo servizio geologico è ospitato in un edificio del centro di Roma che sta crollando. Ma lo scandalo maggiore è che l'Italia è ancora priva dell'indispensabile legge quadro per la difesa del suolo nonostante gli innumerevoli disegni e proposte di legge franati anche loro ad ogni franamento di legislatura.
Una legge che assicuri flussi finanziari continui, strumenti e procedure di prevenzione e risanamento: è questa la nostra barbarie per cui frane o alluvioni sono un'autentica roulette russa (è anche la frase che aveva adoperato Calvino). Anni fa Mario Rossi Doria scrisse: «Se qualche politico proponesse di stanziare qualche migliaio di miliardi per la difesa del suolo sarebbe preso per pazzo ed invece è un'esigenza disperatamente necessaria e dettata solo dalla ragione».

Il «Notiziario della protezione civile» che si ispira ad "un sovversivo" notorio come l'onorevole Zamberletti quando parla di Stava nel suo editoriale n. 5 del 1985, dice così:

«Non vogliamo unirci al più che legittimo coro sdegnato che indica nel malgoverno del nostro paese e nella mancanza di una cultura amministrativa del territorio la causa di tragedie come quella verificatasi il 19 luglio nella val di Fiemme. Tutto ciò fa parte del rito, la funzione del rito è infatti conservatrice. Ecco perché l'esecrazione, le denunce, la rabbia di rito non ci bastano.

Noi non siamo disposti a dimenticare, vogliamo ricordare ai nostri lettori che quando leggeranno questo editoriale le polemiche sulla valanga si saranno forse spente, che la responsabilità più grave per le tragedie che colpiscono ormai direi con sempre maggiore frequenza il nostro paese si trovano nel parlamento e nel governo che ci rappresentano. Un parlamento dove da diversi anni giace il progetto di legge per l'istituzione del servizio nazionale di protezione civile: oltre che al soccorso, come l'attuale, si occupi cioè di prevenzione e previsione di ciò che accade nelle catastrofi naturali e artificiali. Un parlamento che non riesce ad approvare una legge di difesa del suolo che doveva essere approvata già nel 1970.

Un parlamento che non legiferando permette la speculazione, l'incuria, il dissesto, l'imprevidenza, tutto ciò che la rapina delle risorse del territorio da parte di pochi contro l'interesse e la sicurezza collettiva permette. Un governo che non riesce ad individuare fra le tante emergenze di cui soffre il nostro paese una delle più importanti e gravi nonché dissestanti la stessa economia che tanto sembra preoccupare l'attuale primo ministro, l'emergenza protezione civile di un paese che assomma rischi di criterio geologico, vulcanico, sismico e industriale come nessun altro paese».

A ciascuno il suo

lo vorrei signori del Tribunale che dando a ciascuno il suo e con questo per nulla né esonerando, né diminuendo la responsabilità degli imputati si inizi col dire che il pesce comincia a puzzare dalla testa. Che vi è qualche cosa che non va in questo tessuto connettivo, qualche cosa che non funziona in questo nostro paese, perche se è possibile che delle leggi che dal '70 aspettano l'approvazione non siano approvate, c'è qualche cosa che chiaramente è scollato, c'è qualche cosa che sicuramente non trova modo di venire onestamente alla luce.

E lo domandava anche Bruno Zorzi su un giornale che avrò più tardi il piacere di citare ancora, «Vita Trentina»: «E mai possibile che dopo i mille disastri dal Vajont a Stava e ora questo della Valtellina, in Italia non ci sia ancora una legge sulla difesa del suolo?".
Ed è così che allora un uomo candido che io non credo di aver mai conosciuto di persona, l'ing. Antonio Buratti, sentito dal Procuratore della Repubblica il 6 agosto '85 qualificandosi come ex capo della sezione derivazione di acque e utilizzazione di acque del Genio civile di Trento dal '64 alla data in cui le competenze sono passate alla provincia, poi ufficialmente dirigente di questa sezione fino al 22 marzo '74 ma avendo in pratica retto il servizio fino al '76, può rispondere nel rituale ADR (a domanda risponde) «Io non ho neppure mai saputo dell'esistenza dei bacini di decantazione di Prestavel».

Insomma, «sul ponte sventola - si intende il ponte di Tésero - scaricabarile". Ed è uno scaricabarile cui abbiamo assistito anche qui, uno scaricabarile per cui nel Vajont ci fu un'unica condanna per un tempo reclusione pari a tre minuti di detenzione per ogni morto (il che come statistica è abbastanza poco).

Come si sono difesi gli uomini che avevano il diritto, anzi il dovere occuparsi al vertice di questa vicenda? Gli uomini che entrano comunque nel processo, quelli che si sono autoassolti perché a loro sicuramente fa capo la difesa di qualche imputato per dire: se non avete punito Bazzanèlla, perché dovete punire me? Bazzanella è pirandellianamente l'uno, il nessuno, e i centomila perché egli non fa il gioco dello scaricabarile, egli dice «io non esisto». Il mio nome è Nessuno, come Ulisse nella caverna di Polifemo!
Perché? Ma per una semplicissima ragione, diàmine, io sono un politico, non sono . Come se l'orgoglio con cui viene pronunciata questa frase avesse un minimo fondamento nel buon senso e nella legge, perché è vero che non possiamo avere il medico all'assessorato all'assistenza sociale, e non possiamo avere un geologo preposto a questi servizi, perché è vero che vi è il gioco politico per il quale la gestione dell'autonomia fa arrivare a queste altissime cariche dei politici che sono ovviamente quelli che san tutto di nulla o nulla di tutto, perché si occupano di cose professionali nella loro vita privata, che nulla hanno a che vedere con i loro assessorati: però anche qui io vorrei che voi scriveste qualche cosa.

Perché mi appresto a dire delle parole severe, se passa questa filosofia, è chiaro che voi potete giudicare degli imputati tratti a giudizio, ma dietro a loro c'è questa filosofia su cui giocheranno, giovandosene per dire che altri semmai sono i capi che la giustizia non ha incriminato. E allora dovete dire che se così questi si difenderanno è perché c'è obiettivamente una corruzione oggettiva in questo tipo di burocrazia, in tutta questa burocrazia.

E' la corruzione oggettiva di chi si adagia sulla propria carriera, di chi sa che farà carriera solo se tacerà, di chi sa che avrà onori e prebende solo se non ostacolerà l'incompetente assessore di turno, quello che si fa vanto come medaglia di 'non essere un tecnico'.

Ahimè è la nostra burocrazia, non quella vituperata di Napoli o Palermo, che si è lasciata corrompere, perché non c'è bisogno per corrompere un uomo di dargli dei quattrini, non c'è bisogno di mandargli il whisky a Natale per avere un piacere. Si può corrompere anche facendogli capire che se tace sarà promosso ed è contro questo tipo di burocrazia che c'è stato uno scatto nel Consiglio provinciale quando il Presidente della seconda Commissione legislativa Nicolò Cadonna si era dimesso dall'incarico per un esame dal punto di vista burocratico della vicenda, avendo avuto il tecnico della commissione la proibizione di visitare uffici e di interrogarne i funzionari. Cadonna si è dimesso con parole di fuoco: «La Giunta provinciale sta ostacolando le indagini».

Lo dice nel suo documento; i giornali giustamente (che approfitto dell'occasione qui per ringraziare dell'attenzione che danno scrupolosamente al processo) l'hanno riportato a 6 colonne: enorme, quella stessa Giunta che si era autoassolta con le mielate e ipocrite parole del suo presidente, oggi, secondo la denuncia del Presidente della Commissione legislativa sta ostacolando le indagini, limitandosi poi il consiglio a dare atto che sono stati evidenziati insufficienze e scollamenti che verranno sicuramente (come si scrive) "rimossi". Non si può dire che la Provincia è fuori perché è "politica". Leggo in un documento presentato da un gruppo di consiglieri provinciali: «il controllo politico sull'apparato tecnico-burocratico è in questa provincia ferreo». E' la stessa cosa, il controllo politico e il controllo tecnico-burocratico. Nessun tecnico che in qualche modo non abbia gradimento politico occupa posti di responsabilità. Non esiste praticamente un confine, tra tecnico e politico.
Il sindaco di Trento ad esempio è contemporaneamente dirigente del Servizio urbanistico della Provincia; e il direttore generale della Ragioneria è anche sindaco di Rovereto, la seconda città del Trentino.

La commistione fra politica e burocrazia

C'e questo malefico intrecciarsi di politica e di burocrazia che porta i frutti che porta. Stava ne è una delle prove: nodo che però è inestricabile, ma ci legittima quando sosteniamo che il politico non può giustificarsi scaricando le sue responsabilità sul tecnico. E' vero quello che scrive il G.I. in una intervista e cioè che quando è stato preso un certo provvedimento di proscioglimento istruttorio la giustizia non poteva essere rimproverata per questo, perché l'assoluzione tecnico-giuridica non è anche un'assoluzione morale e politica.
E' vero, però il confine tra le due cose è molto ma molto labile. La relazione prodotta dalla 11° commissione legislativa della Provincia dice così tra l'altro: «La disposizione di servizio Bazzanella a proposito della suddivisione delle competenze e il non coordinamento fra l'ufficio minerario e il distretto sembra in realtà - è un documento ufficiale acquisito alla causa - avere complicato più che razionalizzato la materia mineraria, l'assetto precario dato con atto giuridicamente inadeguato lascia delle zone grigie di competenza promiscua, fonti di possibili equivoci o conflitti di competenza».
Come si fa, a dire «io sono il politico, e queste cose non le so», quando sai di avere lasciato queste zone grigie e "pour cause" perché nelle zone grigie c'è sempre qualche cosa che marcisce e fa marcire.

    L'ordine di servizio Bazzanella - è sempre lui - lungi dall'essere ininfluente sulle cause indirette del crollo, ha creato le premesse alle omissioni di controllo dello stato di stabilità dei bacini che ha causato e continua a causare confusione anche in sede istruttoria. Ecco perché abbiamo detto che sotto i fanghi di Stava c'è anche l'autonomìa provinciale. Ma detto così, è detto male. Io ho in mano il documento sulla tragedia di Stava pubblicato da «ltalia Nostra», cioè da un Ente preposto anche a tutela del suolo. Dice meglio la stessa cosa: «La catastrofe ha dimostrato quanto carente e superficiale sia l'Amministrazione del nostro territorio. A Stava è crollato il castello provinciale dissolvendosi nella sua vera sostanza costitutiva: un mare di sangue. La logica che vi presiede è la logica della burocrazia ossequiente legata dai mille fili che abbiamo detto prima; la seconda è la logica del contributo che si fonda su un meccanismo e costruisce un sistema del caso per caso degli interessi individuali che precedono quelli collettivi. Al contributo accede spesso (Montedison: alza le orecchie!) non chi ne aveva diritto per la razionalità dell'intervento, ma il cittadino più intraprendente, l'imprenditore più ammanigliato, l'operatore più spregiudicato, il Comune più autorevole; questa logica genera un atteggiamento di attendismo operativo o di acquiescenza politica, per non dire di servilismo.
Avvelena la vita sociale ed economica perché nessuno muove un dito se non con un contributo, col risultato di far solo movimenti a comando e di andare sempre più verso la sclérosi della capacità operativa e creativa. Perché preesiste la logica dell'accentramento decisionale da parte degli assessorati della giunta provinciale.

    Ogni decisione anche squisitamente tecnica è assunta salvo rarissime eccezioni dal politico che in tal modo gestisce e distribuisce dall'alto i contributi e le incentivazioni, controlla capillarmente le autorizzazioni scardinando talvolta per i propri fini politici i piani di intervento predisposti dai propri organismi tecnici.

Dal peccato sociale al delitto politico

Così svilendo e mortificando le loro capacità e il loro desiderio di pianificare razionalmente gli interventi. Per questo meccanismo di mantenimento di potere politico ogni struttura si chiude su se stessa in una sorta di compartimento stagno in cui decide tutto l'assessore e non c'è alcuna circolazione di informazione né collegialità di giunta». Peccato che questo documento non sia stato visto meglio dal Pubblico ministero e dal Giudice istruttore. E' stato visto da altri, e molto bene da altri.

Da coloro che hanno in questi anni costruito la teoria del peccato sociale.

Parlo dell'organizzazione religiosa, della Chiesa in genere e del vescovo di Trento in particolare. Molto più acuti nell'esame della situazione politica. Evidentemente molto meno legati al mercato delle vacche e ai piccoli interessi elettorali, molto più certi nella preparazione ideale e nelle funzioni che l'ente pubblico può davvero esplicare, questi enti ecclesiastici cattolici hanno elaborato in questi ultimi anni questa teoria, la cosiddetta «teoria del peccato sociale», che mi servirà quando chiuderò spero fra un quarto d'ora la mia arringa per collegarmi con la teoria del delitto politico: per quello che per la Chiesa è il peccato sociale, per i giuristi non può essere che il delitto politico così come previsto dall'articolo 8 del codice penale.

La Chiesa, per arrivare a questo, ha dovuto partire da molto lontano, da molto lontano: due secoli fa i vescovi avevano ancora gli schiavi neri al loro servizio, oggi dopo lo scossone giovanneo a cui tutti dobbiamo buona parte di quello che siamo oggi, quota di libertà e di tolleranza che viviamo ogni giorno, vi è stato un rapido correre verso soluzioni non solo adeguate socialmente ma addirittura più avanzate per molti versi dell'ambiente laico.

E' questo che mi interessa: io laico (notoriamente laico!) mi sono accorto da molto tempo che vi sono cosiddette 'forze laiche' che hanno fatto molta meno strada anzi, che incredibilmente si oppongono a questi sviluppi del pensiero ecclesiastico. Io penso ad esempio ad una famosa circolare di Spadolini contro i vescovi veneti che erano colpevoli di avere fondato il «Movimento beati i costruttori di pace», li aveva accusati di nostalgie temporalistiche ed erano invece gli antesignani di una civiltà nuova di pace e di fraternità.
Penso all'ex Presidente del consiglio che attacca in modo selvaggio i vescovi che si sono opposti all'installazione degli F16, che hanno il diritto di criticare come egli ha il diritto, se ha il potere, di installare.

Dico che in questa teoria del peccato sociale la Chiesa oggi può davvero essere l'anello di congiunzione con la teoria del delitto politico, anticipando subito che per me Stava rientra in questa categoria e vi dirò fra un momento come può rientrare. La recente lettera pastorale di mons. Gottardi ha proprio un capitolo intitolato «peccati sociali». Di questi peccati sociali abbonda la convivenza umana non solo in generate nel mondo, ma nella nostra stessa società trentina.

Bazzanella e amici questa lettera pastorale non l'hanno letta. Non mi è possibile qui darne una totale lettura; mi basti accennare, sulla falsariga delle denunce emerse dal recente convegno promosso nella diocesi di Roma circa la responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di carità e di giustizia, come anche tra noi sia tutt'ora in atto specie nella città, a cominciare nel capoluogo ma anche nei paesi una situazione di sostanziali disumanità (udite, bene, il principe vescovo di Trento!) dovuta agli inesorabili meccanismi di sviluppo del sistema capitalistico. Checché si pensi della sua intrinseca correggibilità non se ne possono negare le false e inique conseguenze per l'individuo, la famiglia, la scuola, la città, l'economia stessa.

La «Sollecitudo rei socialis» dell'attuale pontefice è del 30 dicembre 1987. A questa analisi di ordine religioso si possono solo aggiungere considerazioni particolari. Per notare che tra le azioni e gli atteggiamenti opposti alla volontà di Dio, al bene del prossimo e alle strutture che essi inducono, i più caratteristici sembrano oggi soprattutto due, da un parte la brama esclusiva del profitto e dall'altra la sete del potere con proposito di imporre agli altri la propria volontà, aspetto socio-economico/aspetto politico.
A ciascuno di questi atteggiamenti si può aggiungere per caratterizzarli meglio l'espressione "a qualsiasi prezzo": a qualsiasi prezzo, al prezzo della vita; in altre parole siamo di fronte all'assolutizzazione degli atteggiamenti umani con tutte le possibili conseguenze».
Conclude ancora Gottardi nell'esortazione apostolica post-sinodale «Reconciliatio et Poenitentia» 2 dicembre 1984: "Che cosa significa peccato sociale"? Lo spiega, dice le stesse cose che dice il Papa, precisa: «Alcuni di questi peccati costituiscono per il loro oggetto stesso un'aggressione diretta al prossimo e più esattamente in base al linguaggio evangelico al fratello: si tratta dei personalissimi peccati di chi genera o favorisce l'iniquità di chi potendo fare qualche cosa per evitare, eliminare o almeno limitare certi mali omette di farlo per pigrizia, per paura o già per omertà. Ho già detto cosa significa mascherata complicità o indifferenza di chi cerca rifugio nella presunta impossibilità di cambiare il mondo e anche di chi pretende di estraniarsi dalla fatica e dal sacrificio accampando speciose ragioni».
Giustamente stamattina l'avv. Alaimo ha citato l'arcivescovo di Milano il quale ha detto: «Sono irato», volendo dimenticare che l'ira è uno dei sette peccati capitali.

Sono anche le parole di Gottardi a proposito di Stava nel primo anniversario della morte di quelli sventurati. Perché c'è un aggancio, tra il peccato sociale e il delitto politico. L'aggancio a mio avviso è intanto anzitutto l'atteggiamento, come è stato qui autorevolmente detto, di chi tace, di chi omette, di chi avalla.

Mi rendo conto come sia difficile ipotizzare dal punto di vista religioso la differenza tra delitto e contravvenzione. Ancora: a proposito di delitto politico, pur forse è opportuno rimeditare i presupposti di cui all'articolo 294 C.P. anche se non siamo di fronte ad una violazione prevista dalla legge di uno specifico articolo dei diritti civili del cittadino, ma dal 294 vedo qui un richiamo a questo sicuro 328 che giace sepolto pure lui nei fanghi di Stava. Qui siamo in presenza di qualche cosa che è accaduto di illecito e che non è stato punito.

Omettendo - diceva l'imputazione del prosciolto Parotto Elia, che come uomo è uscito, ma i fatti son rimasti - omettendo di controllare e sanzionare i lavori ulteriori e non autorizzati svolti dalla società concessionaria nella miniera del predetto bacino. Cosa vuol dire, 'lavori non autorizzati'? Ce lo dice la commissione d'inchiesta; la commissione d'inchiesta nazionale, io non so se pensando all'ing. Custer o ad altri, scrive:

«Ogni domanda per il rilascio della licenza deve essere accompagnata da apposito progetto. Naturalmente la costruzione effettuata senza licenza costituisce illecito urbanistico che legittima l'esercizio dei poteri sanzionatòri da parte dell'autorità comunale nello svolgimento delle sue attribuzioni di governo del territorio, salvo rimanendo le altre sanzioni previste dalla legge.

E' poi da ricordare che con la legge provinciale tutto il territorio della valle di Stava è stato sottoposto a vincolo paesaggistico con la conseguenza che qualunque costruzione nell'ambito di tale territorio doveva essere soggetta ad autorizzazione dell'assessorato competente della Provincia, precedentemente della commissione comprensoriale di Cavalese. Anche in questo caso per altro, commissione di inchiesta nazionale e burocratica, né il comune ha segnalato la questione alla provincia né gli organi provinciali deliberando in approvazione degli atti comunali di autorizzazione all'occupazione del suolo hanno ravvisato la configurabilità di una fattispecie di costruzione in aree soggette a vincolo paesistico con la conseguente necessità di autorizzazione provinciale».

Ora noi viviamo in una provincia dove la sostanziale onestà della gente e il tradizionale ossequio all'autorità fan sì che il contadino chieda la concessione della licenza anche quando costruisce il pollaio nuovo e tutti i giorni i pretori condannano il cittadino che essendosene dimenticato o avendo voluto fare il ribelle non ha chiesto la concessione per due metri per due. Qui siamo, secondo quanto si legge, in una situazione di concessione edilizia non chiesta e quindi non data, e questo vuol dire molto. Anche se il 328, l'omissione degli atti d'ufficio del comune, non copre la prepotenza di chi non ha chiesto la concessione. Siamo quindi in questa situazione, c'è il potente, sì questa volta davvero il Don Rodrigo che sta con la legge, sta senza legge, e potrebbe stare benissimo anche 'contro' la legge; sa però di poter contare su qualcuno che a Tésero e a Trento non gli rimprovererà mai di non avere chiesto la concessione edilizia: e la concessione edilizia non viene chiesta.

Però in questo modo mettendo nei guai (o avrebbe dovuto, 'mettere nei guai') non soltanto l'imputato Cefis come si legge, ma avrebbe messo nei guai anche l'amministrazione comunale, sembra una barzelletta in una pagina del processo, perché l'amministrazione comunale era obbligata a procedere per evitare di essere essa stessa incriminata del 328 cioè dell'omissione di atti d'ufficio. Ma noi viviamo anche in un paese dove «le leggi son, ma chi pon mano ad elle?», lo diceva qualcuno, parecchi secoli fa.

Nessuno ha proceduto a denuncia penale, del resto ora sarebbe coperta da prescrizioni, da amnistìe, non ne parliamo più, ma mi interessa che la concessione non sia stata chiesta, mi interessa perché appositamente hanno evitato di chiedere di costruire, forse non ne avrebbero avuto un 'no', però avrebbero ugualmente creato un precedente che avrebbe poi pesato su sviluppi ulteriori, e avrebbe potuto avere un suo significato se fosse successo qualche cosa.

La storia di "Giuseppe"

Nello stesso modo, come del resto Alaimo ha detto benissimo stamattina: "Costoro, che si sono comportati davanti all'ente pubblico in questo modo, non ci hanno mai detto che cosa di preciso volevano costruire". Qualcuno scherzando, almeno tra noi, ha definito questo manufatto "Giuseppe". Hanno voluto mettere al mondo "Giuseppe", ma perché "Giuseppe"? Perché non si poteva dire che era una diga, non si poteva dire che era qualche cosa di diverso, perché a qualunque normativa si fossero costoro richiamati c'era la controindicazione, c'era l'opinione diversa, c'era la possibilità cioè di subire disposizioni di legge. "Bacino di decantazione". Ecco, hanno trovato con 'Giuseppe' un escamotage lessicale: 'bacino di decantazione'. Vuol dire tutto, e non vuol dire niente, dal punto di vista tecnico è il nulla.

Diciamo noi adesso a ragion veduta che era comunque un manufatto che ha avuto un effetto diga, perché di fatto é diventato una diga, ma non sarà facile per voi, signori del collegio, vedere anche alla luce di quella che è la normativa (perché voi dovete appendere le punizioni ad una normativa) come inquadrare giuridicamente questo manufatto che non può continuare ad essere solo un bacino di decantazione perché è qualche cosa di diverso, soprattutto è qualche cosa di più definito. E' un bacino che noi abbiamo sostenuto, con sfortuna, essere stato costruito addirittura via via con la previsione della catastrofe.
Io non posso più parlarne, non ne parlo perché vi è un provvedimento che ce lo vieta e che ci è stato amaro, che ci è suonato così amaro come la mancata ammissione di alcune parti civili e la ritenuta 'non sussistenza' delle altre due aggravanti, da altri così ben già illustrate.

Comunque (e il discorso se fossero state ritenute le altre due aggravanti sarebbe certo più semplice) io rimango della mia convinzione che tra questa colpa, così di grado avanzatissimo, che almeno certamente sfiora la colpa con previsione e quel delitto politico, così come voluto nel nostro codice per cui è politico ogni delitto che sia determinato in tutto o in parte da motivi politici, vi sia un collegamento. Delitto politico si ha quando è determinato in tutto o in parte da motivi politici in lato senso e cioè anche economici o sociali. Tutta la giurisprudenza infatti dice che questo politico vuol dire che attiene alla «polis» e che quindi attiene anche al mondo della società e dell'economia.
Ora non vi è dubbio che costruire senza un progetto, costruire senza concessione edilizia, andare avanti nonostante i segnali che erano arrivati da più parti, rappresenti il frutto di una conduziune "politica" cioè di un interesse politico, economico, sociale, che riflette una certa struttura della società moderna per il trionfo di certi interessi. E se è così, so è così, allora non ci resta che chiudere con un richiamo agli uomini che sono qui imputati.

Io mi permetto di citare me stesso, poiché degli amici avevano voluto a suo tempo pubblicare la mia arringa per il Vajont: se uomini hanno commesso questi fatti, sono allora dei delinquenti e non solo in senso giuridico ma anche in senso morale.

Non importa assolutamente nulla che possano essere fedeli mariti, padri affezionati, osservanti in religione o in politica, assolutamente nulla. Chi si mette al servizio di interessi disumani perche contro l'umanità è complice di un genocidio, come è stato un genocidio quello del Vajont, come è stato un genocidio quello di Tésero. Già Brecht ricordava che siamo più pronti a manifestare il nostro sdegno e il nostro disprezzo per chi assassina un uomo mentre quando l'omicidio diventa un omicidio di massa, l'indignazione anziché aumentare diminuisce fino all'accettazione del fatto compiuto.
Esemplare a tale proposito è il diario di «Höss il comandante di Auschwitz» scritto in carcere prima della condanna per i suoi crimini. Egli era un uomo come tutti, ed oltre alle comuni qualità di marito e di padre aveva anche il culto della natura e quello della musica. Ciò non gli ha impedito di trasformare milioni di uomini in fumo di camino.

I sapienti che non sanno

Attraverso questo processo mi pare che ancora una volta si è dimostrata la necessità di sostituire il metro della piccola bontà individuale ipocrita e falsa e su modello coniato dai gestori del potere, con quello di una più alta moralità che commisuri il modo di comportarsi dell'uomo nel mondo dove opera.

Calvino non ha scritto soltanto la perizia che sappiamo, ha tenuto anche una lezione universitaria sul Vajont di cui io ho il testo. Concludeva così:

«La storia del Vajont non è solo una storia di controllori che non controllavano, di sapienti che non sapevano, di ingegneri svuotati di ingegno ma, anche se ci limitiamo a considerare questo mortificante aspetto della vicenda cioè il rifiuto di tanti uomini di fare uso del comune buon senso a difesa delle vite umane prima, e della giustizia dopo, anche in questo caso viene spontaneo chiedersi se quell'immane sacrificio sia almeno servito a qualche cosa. Ebbene se come sembra la tutela dell'ambiente verrà affidata allo stesso tipo di istituzione, agli stessi generi di operatori e promotori che non hanno saputo evitare la strage di Longarone, allora possiamo essere certi che i successivi slogans che oggi ci martellano in favore della salvaguardia del nostro habitat si tradurranno in concreto solo in colossali speculazioni capitalistiche e in loschi intrallazzi di potere.
Sta a tutti noi adoperarci affinché nuove strutture, nuove forze possano rovesciare questo tipo disumano di società senza cedere ad illusori compromessi».
Chiudendo, cito ancora una frase di Brecht che potrebbe iscriversi in testa alla vostra sentenza: «Quello che succede ogni giorno, non trovatelo naturale».


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Un tempo, leggevi queste cose e ti trovavi su www.vajont.org.
Poi sbucarono - e vennero avanti - i delinquenti, naturalmente quelli istituzionali ....

  


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Fortogna:
nella foto sotto, il *Giardino delle bestemmie* attuale, un fal$o TOTALE dal 2004: un falso storico, fattuale, e ASSOLUTAMENTE IMMORALE da 3,5 mln di Euro. Un FALSO TOTALE e oggettivo - a cominciare dai FALSI cippi «in marmo di Carrara» - targato *sindaco De Cesero Pierluigi/Comune di Longarone 2004*.
Oggi questo farlocco e osceno «Monumento/sacrario» in località S. Martino di Fortogna riproduce fedelmente in pianta e in miniatura, come un parco "Italia" di Viserbella di Rimini, il campo "B" del lager nazista di Auschwitz/Birkenau. Fantastico, no? ed e' la verita' verificabile ma se solo ti azzardi a dirlo o far notare le coincidenze, sono guai. $eri. Perché... qui in Italia, e soprattutto in luoghi di metàstasi sociale e interessi inconfessabili come la Longarone 'babba' ... «la Verità si può anche dire. Ma però che non ci sia nessuno che l'ascolti (o legga!)»

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Ma tutto deve andare come da copione, in Longar-Corleone. Dal dicembre del 1964 qui è così: lo mise nero su bianco gente colle spalle ben più larghe delle mie, e in tempi non sospetti:

«E' quasi come in Sicilia, mi creda; a Longarone si configurano gli elementi tipici della mafia. Non è questione di partito 'A', o 'B'; c'è un determinato giro fatto di poche persone all'interno del quale non entra nessuno. Il potere è in mano a costoro, cinque o sei persone a Longarone, e poi qualche diramazione fuori, cioè altre persone nei posti giusti, perché un sistema del genere non può sopravvivere se non c'è corruzione».
Fonte: Giampaolo Pansa, sul Corriere della Sera del 9 ottobre 1973; sta riportato sul libro della Lucia Vastano. LIBRO CONSIGLIATISSIMO.

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