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libro nero n.3 PCI

Il 'libro nero n.3' del PCI - 1963

Qui, per immagini originali.

[N.B.: - le cifre qui mostrate/descritte nel documento del dicembre 1963 risentono - ovviamente - delle imprecisioni dei dati ALLORA disponibili. Ad esempio, l'onda che scavalca la diga fu di oltre 250 metri. Qui si deduce "100".]

Alle ore 22,45 del 9 ottobre dal monte Toc, seicento metri sopra la diga del Vajont, si staccava da un fronte di due chilometri e mezzo una frana di 200-400 milioni metri cubi di terra e roccia che piombava nel lago artificiale sollevando un'ondata - alta cento metri - di 23 milioni di metri cubi d'acqua e detriti che, d'un sol colpo, cancellavano dalla faccia della terra Longarone e alcuni centri minori. Poche ore dopo la radio e la televisione, dando notizia del disastro, trasmettevano anche un comunicato del ministero dei Lavori Pubblici che preannunciava che sarebbero state condotte accurate indagini per stabilire eventuali trascuratezze e responsabilità.

LE BESTIE SI', GLI UOMINI NO

Pochi giorni dopo, mentre ancora a Longarone si scavava nelle macerie e dragava ii Piave alla ricerca dei cadaveri delle vittime, della tragedia del Vajont si discuteva in Parlamento, appunto per stabilire quelle « eventuali » trascuratezze e responsabilità. Cercheremo qui, ordinatamente, di are quanto già è stato accertato, sulla base degli internti e delle documentazioni dei parlamentari e delle dichiarazioni dello stesso ministro Sullo.

La discussione, alla Camera, cominciò con l'illustrazione, da parte del deputato comunista Busetto, di una interpellanza firmata da lui ed altri colleghi del suo gruppo, interpellanza che al punto 2 chiedeva:

« Se il Governo sia a conoscenza del fatto che da più giorni vi era uno stato di allarme nei tecnici e nelle popolazioni della zona;

« che un'ora prima del disastro era stato chiesto e disposto il blocco del traffico stradale all'altezza della zona colpita, senza che nessun preavviso venisse dato alle locali autorità per promuovere lo sfollamento delle popolazioni minacciate, mentre in alcune località si provvedeva a far trasferire il bestiame;

« che, ancor meno di un'ora prima del verificarsi della catastrofe, le famiglie residenti sotto la diga e gli addetti alla sottostante cartiera erano stati avvertiti di non allarmarsi in relazione al possibile verificarsi di una leggera tracimazione della sommità della diga di poche quantità d'acqua;

« che, due giorni prima della tragedia, il sindaco di Erto-Casso aveva invitato con pubblico avviso la popolazione a sfollare una frazione del comune in relazione a franamenti già in corso e prevedibili;

« e quali misure in ordine a questi chiari avvertimenti le autorità abbiano adottato ».

Le autorità, come è noto, non avevano adottato alcuna misura.
Tutti - a Longarone, ad Erto, a Casso (e molti a Roma) - sapevano del pericolo: gli italiani hanno appreso questo dalla viva voce dei superstiti, intervistati da « TV 7 ». Eppure, le autorità non avevano provveduto.

Ma la storia della tragedia del Vajont non incomincia due ore o due giorni prima che la terribile ondata si scatenasse fuori del bacino. E' una storia molto più lunga e più complessa: è impossibile capire il perché di quanto accadde in quei pochi minuti senza risalire alla nascita stessa del bacino.

UNA "NASCITA ILLEGITTIMA"

La storia di questa diga - ha dichiarato alla Camera il ministro Sullo - rimonta al 1940; fu infatti il 22 gennaio 1940 che la SADE (Società Adriatica Di Elettricità) chiese di utilizzare per impianti idroelettrici il bacino; il primo parere favorevole del Consiglio superiore dei lavori pubblici intervenne il 25 ottobre 1943... ».

« C'è veramente da rimanere sbalorditi - dichiarava a questo proposito il sen. Scoccimarro - ci troviamo di colpo in pieno romanzo giallo: si è dimenticato quale situazione esisteva in Italia nell'ottobre 1943? Era da poco avvenuta la fuga del re e di Badoglio da Roma, e si era avuta l'aggressione e l'occupazione tedesca. Il Paese si trovava in quel mese di ottobre 1943 nel momento più grave di una catastrofe nazionale in cui insieme alla occupazione nazista si scatenava la guerra civile. In quel momento tutti eravamo dominati da una tempesta di sentimenti, passioni e preoccupazioni per i pericoli che minacciavano il nostro Paese. Ebbene, in tale situazione, che fa la SADE? Si preoccupa della concessione per la diga del Vajont. Ed approfitta del caos e della torbida situazione di quel momento per strappare quella prima autorizzazione. La cosa è talmente enorme che si stenta a crederlo.

« E poi, chi avrebbe dato quella autorizzazione? In quel tempo esisteva il governo di Salò, ma a Roma c'era il Comitato di liberazione nazionale che riusciva ad esercitare clandestinamente un certo controllo dei ministeri. Io facevo parte di quel comitato, ed a me pare assai strano e difficile che in quel momento e in quella situazione funzionasse regolarmente il Consiglio superiore dei lavori pubblici, perché di quei funzionari una parte era andata al Nord, altri erano nascosti a Roma per sfuggire ai tedeschi e ai fascisti, e dei rimanenti solo qualcuno continuava ad andare al Ministero. In tali condizioni, chi può aver dato quell'autorizzazione? ».

SULLO - « Risulta che in quella seduta vi furono da 20 a 22 argomenti all'ordine del giorno... ».

CARUSO - « E quanto è durata la seduta? ».

SULLO - « Vi è segnato anche questo: la seduta sarebbe durata dalle 9,30 alle 11,30 ... - (commenti dalla sinistra e dall'estrema sinistra).

Una seduta lampo, per tante pratiche, con un'approvazione di personaggi fantasma. Approvazione, del resto, presto diventata illegittima perché dopo la Liberazione di Roma il primo governo Bonomi invalidava tutti gli atti compiuti sotto il regime di Salò. Fortunatamente per la SADE, l'autorizzazione veniva data in regime democristiano, il 24 marzo 1948, illegittima a sua volta perché si fonda sulla precedente!

LA RAPINA DEGLI ESPROPRI

Il decreto del 15 giugno 1957 autorizzava la SADE ad iniziare i lavori. In verità, nella zona era in atto una situazione tipo quella illustrata in tanti film western, la lotta di un grosso 'ranchero' che manda spietatamente in rovina mandriani e contadini all'interno, usando di tutti i mezzi, leciti e no.
Un memoriale presentato dal « Comitato per il progresso della montagna », costituitosi a Belluno, al Presidente della Repubblica, così denunciava la attività di rapina della SADE:

« Primo: si richiama l'attenzione (riportiamo dall'intervento parlamentare del sen. Scoccimarro) dei pubblici poteri sullo sfruttamento irrazionale e incondizionato che la SADE stava compiendo nelle valli montane. Le pubbliche autorità, o per impreparazione o perché poste in soggezione dalla potenza economica del monopolio, non si sono mai sufficientemente rese conto delle grandi modificazioni, quasi tutte a carattere dannoso, che le opere del monopolio stavano portando a gran parte del territorio della provincia. Si denuncia che l'intervento dello Stato non c'è mai stato e così la potenza della SADE non ha potuto essere frenata. In verità, dico io, si potrebbe anche dire che l'intervento dello Stato c'è stato, ma soltanto come strumento della volontà del monopolio.

Longarone, prima e DOPO

Secondo: negli espropri delle terre per la creazione del lago artificiale i contadini espropriati subiscono ogni sorta di abusi, di arbìtrii, di prepotenze, di violazioni di legge; per essi non sussiste alcuna tutela della legge dello Stato. In una lettera quei contadini ai parlamentari locali, in data 5 maggio 1959 si legge questa denuncia: « Ora noi ammaestrati da precedenti amare esperienze, riteniamo indispensabile particolarmente in questa fase, il vostro interessamento e intervento nelle sedi e nei modi che SS.VV. riterranno opportuni, per moderare l'azione pesante e a volte prepotente della Società in parola, e a garanzia di una soluzione della questione che contemperi, con le esigenze della utilizzazione, gli interessi altrettanto validi dei piccoli proprietari e della loro locale economia agricola ».
In conseguenza di tale situazione il 5 maggio 1959 si costituisce il consorzio tra capi-famiglia del comune di Erto-Casso (rogito dal notaio dottor Soccal di Belluno), allo scopo di difendere la popolazione dalle azioni di sopraffazione della SADE ".

CHI PROTESTA E' PUNITO

Terzo: la SADE rifiuta il pagamento ai Comuni dei sovracanoni stabiliti dalle leggi per la utilizzazione delle acque...

Quarto: ricorso al Capo del Genio Civile di Belluno per ricondurre la SADE al rispetto delle leggi sulla sicurezza e l'incolumità della popolazione; l'intervento dell'ingegnere provoca gravi conseguenze a suo danno perché con particolare provvedimento egli viene immediatamente sospeso dalle sue mansioni e trasferito ».

«Qui tutto è capovolto, è il monopolio che dispone di mezzi tali da controllare e decidere della carriera e della sorte dei suoi controllori, cioè dei pubblici ufficiali preposti a garanzia del rispetto delle leggi. Potrei continuare, ma questi fatti bastano a confermare un altro documento che risale al 1960, e incluso nel "Libro Bianco" consegnato al Presidente della Repubblica nel quale si afferma che non è più possibile fissare una linea di demarcazione tra i poteri dello stato e i poteri del monopolio SADE, il quale si serve dei poteri dello Stato per legittimare ogni sopruso e ogni violazione di legge ».

CRESCONO GLI ALLARMI

Già prima che la diga venisse costruita, dunque, era vivo l'allarme. Ma tutto andò via via crescendo, perché la SADE aveva ottenuto una «sopraelevazione » della diga.

Lo stesso ministro dei Lavori Pubblici Sullo ha dichiarato in Parlamento (citiamo dal Resoconto sommario): « Il 22 luglio 1958 la competente sessione del Consiglio superiore del lavori pubblici si pronunciò favorevolmente sulla concessione. Sulla relazione geognostica furono espresse perplessità da parte di alcuni dirigenti del Ministero, perplessità che peraltro vennero superate dalle considerazioni provenienti da docenti universitari altamente qualificati ».

Ma ecco un fatto, che avrebbe ben dovuto aggravare quelle « perplessità »: « Nel novembre del 1960 - prosegue Sullo - si verificò il franamento, che costituisce in effetti il primo elemento di una grave polemica: dal verbale della Commissione di collaudo in corso d'opera risulta che il prof. Penta, ordinario di geologia alla Università di Roma, formulò in merito alle cause del movimento franoso, due ipotesi, una delle quali presentava elementi di indubbia gravità, circa la possibilità che si verificassero anche in futuro eventi del genere. Pur dicendosi non in grado di stabilire con certezza la causa della frana, il prof. Penta non riteneva che la stabilità dell'abitato di Erto fosse minacciato. Il verbale della commissione di collaudo concludeva prospettando l'esigenza di eseguire ulteriori indagini per approfondire I'entità del fenomeno franoso, peraltro nel rapporto presentato il 31 ottobre 1961 il prof. Penta non sciolse le riserve che aveva formulato l'anno precedente; comunque il rapporto della commissione di collaudo firmato appunto dal Prof. Penta in data 31 ottobre 1961, constatato che il movimento franoso appariva in fase di quiescenza, autorizzava il riempimento dal bacino con criteri di gradualità e tenendo sotto controllo l'opera per la possibilità che con l'invaso il versante si rimettesse in movimento".

Benigno Zaccagnini Vajont

OTTIMISMO A TUTTA FORZA

Dunque, già in fase di collaudo esistevano preoccupazioni serie. Nel corso del dibattito parlamentare l'on. Alicata - citiamo il Resoconto - « a proposito dei dubbi espressi dal prof. Penta non può che osservare con chiarezza che di fronte ad essi il Governo, e per esso il ministro dei lavori pubblici del tempo - Zaccagnini - aveva il preciso dovere di assumere come probabile l'ipotesi catastrofica: era questa una precisa scelta politica perche quando sussista anche la più remota possibilità che un'opera possa rappresentare un pericolo per tante vite umane è evidente che Ie ragioni politiche ne debbono impedire l'esecuzione. Il fatto è che la potenza della SADE era tale che si è preferito trascurare I'ipotesi più grave e minimizare ogni pericolo ».

In realtà non è che la SADE ignorasse il pericolo: intervenendo alla Camera l'on. Busetto ha ricordato « che la stessa SADE in gran segreto nell'estate del 1961 fece eseguire presso il laboratorio idraulico dell'Università di Padova uno studio su modello per valutare gli effetti di una eventuale piena del bacino e la relazione conclusiva di tale studio contiene affermazioni (di cui il deputato ha letto alcuni passi) da cui emergono responsabilità gravissime alla luce di quanto in seguito è avvenuto: quella relazione, diretta a precostituire alla società un alibi di natura tecnica costituisce invece un vero e proprio atto di accusa ».

IL MINISTRO RASSICURA

Le accuse continuavano ad essere lanciate dalle popolazioni che si sentivano in pericolo: oltre ai già citati appelli dei consigli comunali e dei comitati di Erto e Casso ecco nel febbraio 1961 il Consiglio provinciale di Belluno, si rivolse al governo perche costringesse la SADE a fare quanto era necessario per eliminare ogni pericolo:

« Il 14 agosto 1961 al ritorno da un viaggio a Roma - riferisce l'on. Busetto - il Presidente del Consiglio provinciale di Belluno, democristiano, riferì che i responsabili del dicastero dei Lavori pubblici non ritenevano vi fossero estremi di pericolo; se ciò è vero le responsabilità del Ministro del tempo on. Zaccagnini sono gravissime ».

Mentre nei novembre 1961 il gruppo comunista presentava alla Camera una proposta di legge per la sistemazione idrogeologica, proposta che non fu mai esaminata, accadeva un fatto di importanza decisiva: il 21 febbraio di quell'anno sulla base di studi compiuti da valorosi geologi, l'Unità pubblicava un articolo tecnico nel quale si leggeva:

« Una enorme massa di 50 milioni di mc. di materiale, tutta una montagna sul versante sinistro sta franando. Non si può sapere se il cedimento sarà lento o se avverrà con un terribile schianto... quando il lago fosse pieno sarebbe un immane disastro per lo stesso paese di Longarone adagiato in fondo valle.
« Ebbene, - dichiara al Senato il sen. Scoccimarro, - proprio questo si è puntualmente verificato con la sola differenza di molti milioni in più di materiali precipitati il che non muta in nulla la sostanza di quel giudizio e anzi lo rende ancor più valido. Ebbene, che cosa fa lo Stato? Invece di tener conto di quella segnalazione basata sullo studio di scienziati valorosi, si denuncia all'autorità giudiziaria la autrice dell'articolo Tina Merlin e il giornale l'Unità ».
"RIEMPITE PURE"

Quando l'autorità giudiziaria assolve l'autrice e il giornale riconoscendo esplicitamente nella sentenza la validità e la fondatezza di quella tragica previsione, gli organi statali nel 1961 autorizzano l'invaso del lago al limite massimo: proprio ciò che si scongiurava di non fare. E non basta: chi ha dato quella autorizzazione?
Si dice che sia quella commissione di collaudo che nominata nel 1958 non aveva ancora redatto il collaudo definitivo nel 1961: e questo giudizio non è poi mai stato dato, perché mancava ancora quando e avvenuta la catastrofe il 9 ottobre 1963.
Cinque anni: come si spiega tale ritardo? Si dice che vi siano state divergenze ed opinioni contrastanti tra i membri della commissione: pare che taluni di essi si rendessero conto del pericolo ma non si è avuto il coraggio di esprimere né un giudizio positivo che molti non condividevano né un giudizio negativo che non rispondeva alla volontà della SADE. Così è questa volontè che si è imposta, e si è andati avanti senza collaudo ».

Fiorentino Sullo - Vajont Al 18 marzo 1963 la quota d'invaso era di 653 metri, raggiungendo i 700 metri al 17 giugno 1963, mantenendosi fra 700 e i 709 metri fino al settembre 1963.

« La SADE è diventata l'ENEL-SADE - continua il sen. Scoccimarro - ma le cose non cambiano. Vediamo come esso si muove nelle ultime settimane che hanno preceduto la catastrofe. Io non ripeto ciò che è stato gia rivelato alla Camera dei Deputati su taluni episodi del giorno 8 ottobre: telefonate segrete, proposte di bloccare il movimento stradale, consigli di evacuare il bestiame eec.... è impressionante e significativo che nessuno si sia preoccupato della salvezza della popolazione, né l'ENEL-SADE, né le pubbliche autorità. Ma qui io voglio dire qualcosa di NUOVO: una voce di allarme non è mancata ed è venuta dal comune di Erto-Casso. Si era perciò da tempo abituati a considerare come allarmismo suscitato da facinorosi agitatori comunisti ogni voce di prudenza e di precauzione e così si è continuato a respingere ogni denuncia di pericolo. Ma c'è un fatto nuovo finora rimasto ignoto.

on. Mauro Scoccimarro - Vajont

ALLARMISMO COMUNISTA?

Io ho qui la fotocopia di quattro documenti: un verbale di deliberazione del consiglio comunale di Erto del 3 agosto; una lettera dell'amministrazione comunale di Erto all'ENEL-SADE del 2 settembre; la risposta dell'ENEL-SADE del 12 settembre; un manifesto del comune di Erto dell'8 ottobre, cioè un giorno prima della catastrofe.
Se si esaminano questi documenti si possono fare alcune osservazioni di particolare interesse. Nel verbale di deliberazione si lamenta la insufficienza delle misure protettive da parte dell'ENEL-SADE, persino in previsione di danni molto più limitati di quelli poi avvenuti. Nella lettera del comune di Erto all'ENEL-SADE, si denuncia il crescente aggravarsi del pericolo della frana e si sollecitano provvedimenti, misure di sicurezza e di precauzione. Nella risposta dell'ENEL-SADE al Comune si rimprovera di fare delle « affermazioni azzardate » e in sostanza si invita a smetterla di fare dell'allarmismo; si negano i pericoli denunciati e la loro gravità, dandone persino la spiegazione tecnica in questi termini:

« In particolare l'abitato di Erto situato a quota molto più elevata del massimo invaso e in situazione statica che in nessun caso può essere influenzata dalla presenza del serbatoio eec. eec. ».
Questo, si diceva solo due settimane prima del crollo della frana.

Che questa continuasse a muoversi il governo lo sapeva.
Secondo il Resoconto sommario della Camera il ministro Sullo ricorda che nel mese di settembre due rapporti erano stati inoltrati al servizio dighe del ministero dei lavori pubblici: « Nel primo del 18 settembre 1963 a firma dell'Ing. Biadene si rilevava un incremento di velocità nel movimento franoso nella zona del monte Toc; si giudicava peraltro non preoccupante detto movimento pur sottolineando la sua accentuazione ogni qualvolta veniva aumentato il livello dell'acqua. Il secondo rapporto (anch'esso della SADE) del 3 ottobre 1963 attestava invece un sensibile aumento del movimento nella zona del monte Toc soprattutto nei punti più bassi e sul lato ovest; giudicava perciò la velocità di detti movimenti inferiore a quella della massa franata nel 1961 e raccomandava una serie di apprestamenti tecnici di salvaguardia ».

"

"PERICOLO CONTINUATO"

La SADE dunque sosteneva che la frana non costituiva un pericolo. Di diverso avviso era I'amministrazione di Erto che I'8 ottobre cioè un giorno prima del disastro decideva di affiggere di propria iniziativa un manifestino dattilografato col titolo « Avviso di pericolo continuato » nel quale si leggeva: « Si avverte che è prudente allontanarsi dalla zona che va dal Gorc oltre Pineda fino alla diga »; si indicavano come particolarmente pericolose Ie immediate prossimità del bacino e si avvertivano in modo particolare i pescatori di non scendere sulle rive del lago perché potevano formarsi delle ondate paurose». Oggi Pineda non esiste più e così altre località, ben oltre i limiti indicati da questo manifesto, e anche Erto piange i suoi morti. Il manifestino è il solo tentativo che possano ormai fare gli amministratori comunali per convincere del pericolo la popolazione, pericolo che la SADE continua a negare: «Quei poveri amministratori comunali - dice Scoccimarro - si sentono come presi nella stretta di una morsa da cui non sanno come uscire; si lamentano con l'ENEL-SADE di non aver ricevuto risposta a loro precedenti lettere su una così grave questione, e quelli non si curano nemmeno di spiegarsi e giustificarsi, come si trattasse di sollecitatori molesti. Si rivolgono al Prefetto per sapere quali sono i limiti dei loro poteri a proposito di un'ordianza emessa, poi revocata e che si doveva riemettere sempre per le stesse questioni di misure di emergenza: qui appare lo smarrimento degli amministratori locali abbandonati a se stessi, il che rivela la carenza della Autorità prefettizia. E quando ci si domanda come mai quella povera gente, che pure era consapevole del pericolo, non abbia reagito con maggiore energia, bisogna pensare alle continue assicurazioni che venivano loro date contro ogni allarme, alla oppressione esercitata dal monopolio, e alla intimidazione di chi pretendeva di scoprire la sobillazione comunista dietro ogni giusta richiesta e rivendicazione ».

Giuseppe Volpi - Vajont
La SADE « assicurava », il Governo «assicurava»: e i| Toc franava.
Il ministro Sullo ha dichiarato che alle 17.30 del 9 ottobre l'ingegner Batini, responsabile del servizio dighe del ministero dei LL.PP., fu informato di una telefonata pervenuta dall'ing. Biadene della SADE che, dando notizia dell'accentuarsi del movimento franoso, chiedeva una visita sul luogo del capo dei servizio dighe e del professor Penta. Il giorno prima, l'8 settembre, l'assistente governativo alla diga aveva inviato per posta una lettera che giungeva al ministero l'11 nella quale « riferiva che dalla metà di agosto in poi si era verificato un abbassamento del suolo dell'ordine di 5-10 centimetri al giorno; in seguito a ciò era stato disposto l'abbassamento del livello del lago con un decremento di un metro al giorno. ...Si aggiungeva che in caso di una frana totale della zona del Toc l'onda avrebbe raggiunto un'altezza di 25 metri e si deduceva che lo sbarramento avrebbe sopportato Ie sollecitazioni conseguenti...».
(L'onda fu, in realtà, non di 25 ma di 100 metri d'altezza).

L'allarme, dunque, era stato lanciato da anni, da prima ancora che si costruisse la diga; si era fatto più vivo dopo la prima frana del '60; angoscioso col prodursi della nuova nell'agosto del '61. Il giorno prima del crollo il comune di Erto proponeva lo sgombero. A poche ore dalla tragedia gli stessi dirigenti della SADE informavano il ministero del pericolo, chiedendo « visite tecniche »: ma chi provvedeva a far sgombrare la popolazione?
Dagli interventi parlamentari, ed in particolare da quello dell'on. Busetto alla Camera è possibile ricostruire le ultime ore che precedettero la tragedia. Un'ora prima del disastro era stato chiesto e disposto il blocco del traffico stradale all'altezza della zona minacciata, « senza che nessun preavviso venisse dato alle locali autorità per promuovere lo sfollamento delle popolazioni minacciate, mentre in alcune località si provvedeva a far trasferire il bestiame ».
Ancor meno di una ora prima del verificarsi della catastrofe le famiglie residenti sotto la diga e gli addetti alla sottostante cartiera erano stati avvertiti di "non allarmarsi" se l'acqua avesse tracimato. In realtà, non fecero a tempo ad allarmarsi, ché furono spazzati via con altri duemila abitanti della zona.

I COLPEVOLI SONO "LORO"

Anche chi non è andato là sui luoghi dove la violenza dell'acqua ha seminato lutti senza fine - ha dichiarato il senatore Scoccimarro - ha potuto rendersi conto personalmente, attraverso le immagini agghiaccianti della TV, della chiarezza con cui, fin dai primissimi istanti, le popolazioni colpite hanno individuato cause e responsabilità. Si sapeva da anni che il pericolo c'era, si sapeva da anni da che cosa dipendeva. Ma loro non hanno ascoltato né allarmi né proteste, loro hanno continuato a ripetere che tutto andava bene, loro hanno lasciato i villaggi indifesi. Loro, per quei pochi montanari che si aggirano smarriti tra gli spettri delle case spazzate via, sono le autorità, il governo, gli uomini del monopolio privato e dell'ente statale... In quel contrapporsi a loro, ai responsabili che a Roma e a Venezia erano stati avvertiti e non avevano voluto provvedere, vi è già la condanna pronunciata dalle popolazioni di quella tragica valle... ».

« E' impressionante constatare il numero dei dicasteri e organismi statali che, nel corso di cinque anni, sono stati sollecitati dalle popolazioni del luogo e dai loro rappresentanti ad intervenire: Ministeri, uffici del Genio civile, prefetture. Nessuno si è mosso. In maniera palmare, lo stato si è posto al servizio delle scelte di una potente consorteria industriale e finanziaria... »

"Io mi sono trovato ad Erto il 12 ottobre, il giorno in cui si sono fatti i funerali alle 9 vittime fino allora recuperate: si calcolava che le perdite fosseo di circa 300 persone, ma erano tutte in fondo al lago e non si potevano ripescare. Io ho partecipato ai funerali: la scena alla quale ho assistito non si può facilmente dimenticare. Nel piazzale antistante all'edificio nel quale si trovavano le nove bare stava una folla silenziosa, immobile, dallo sguardo cupo e triste: in un gruppo separato stavano le "Autorità".
Quando le bare sono state portate fuori, accompagnate dal pianto e dalle grida di disperazione di conoscenti e familiari, un assessore ha rivolto la parola in dialetto alla popolazione, invitando a venire avanti chi voleva « stare più vicino ai nostri morti ». Nessuno si è mosso: nella immobilità di quella povera gente, nel loro sguardo duro e severo, si avvertiva una muta e terribile accusa. Quando le bare con i camion si sono mosse, all'improvviso la popolazione si è stretta intorno ad essi, lasciando alle spalle, senza troppi riguardi, il gruppo delle autorità. Ho avuto allora la sensazione precisa che quel distacco fra la popolazione e le "Autorità" era in realtà una frattura profonda tra il popolo e lo Stato ».

LA "IGNOBILE GAZZARRA"

Il prefetto di Belluno - ha dichiarato l'on. Busetto - ancor dopo la tragedia invitava una delegazione del comune di Longarone a rivolgersi agli « organi competenti » e a non creare « allarmismi ». In una interpellanza l'on. Lajolo, ha chiesto « quali provvedimenti saranno presi nei confronti del prefetto di Belluno e delle altre autorità civili che, mentre nella giornata di venerdì ancora mancavano il pane e il latte per la popolazione superstite ed una organizzazione centralizzata per i tempestivi soccorsi, si preoccupavano del protocollo delle visite dei membri del Governo; e mentre i consiglieri comunali superstiti di tutti i partiti chiedevano, con spiegabile emozione ed energia, pronta assistenza e l'esemplare punizione dei responsabili, appunto il prefetto di Belluno, dottor Caruso, osava dire essere quella « un'ignobile gazzarra » tanto da dover essere aspramente richiamato e fatto tacere da un membro della delegazione Parlamentare inviata dalle Presidenze delle due Camere ».

Questi i fatti, nella tragedia del Vajont. Su di essi il governo ha respinto la richiesta comunista di nominare una commissione parlamentare di inchiesta. Mentre la stampa democristiana ed affiliata ha definito « speculazioni » dei comunisti (definendoli « sciacalli ») l'elencazione di questi fatti.

Al Senato, il sen. Scoccimarro dichiarava: « Una imperiosa suggestione incatena i nostri pensieri, i nostri sentimenti, tutto l'animo nostro a quell'evento funesto che ha trasformato in una Valle della Morte una delle nostre piu' belle ed operose vallate alpine. Alla nostra coscienza ed a queila di tutto il popolo italiano si pongono oggi interrogativi che ci turbano profondamente ed a cui bisogna dare una risposta.
- Come è stato possibile che sia potuta accadere una così immane catastrofe, quando da anni quei pericolo era stato segnalato da scienziati e da tecnici, da organismi democratici e da enti locali, e dallo stesso costante allarme di quella popolazione montanara, che delle sue montagne ha pure una lunga esperienza?
- Come è stato possibile che per cinque anni siano state ignorate e trascurate le ripetute denunce e proteste, i ricorsi e le richieste ed invocazioni di interventi per sventare una così grave minaccia?
- Come è stato possibile che autorità centrali e periferiche non abbiano mai tentato di dare una seria risposta a quelle istanze che pur si facevano sempre più pressanti ed urgenti, che si è anzi addirittura perseguitato come un reato l'opera di chi, come noi comunisti, più di ogni altro si era fatto interprete di quelle istanze e di quell'allarme? ».

Oltre a chiedere la punizione dei responsabili, il senatore comunista proponeva di fermare il pagamento dell'indennizzo espropriativo da parte dell'Enel alla SADE (200 miliardi), di denegare il contributo previsto per la costruzione della diga del Vajont e di predisporre un progetto di legge che autorizzasse l'ENEL a retrocedere alle società elettriche gli impianti già avocati ma che non avessero ottenuto il collaudo, e concludeva:

« Giustizia: sono i morti ed i vivi che ce lo chiedono; sono i morti e i vivi che ce lo impongono come un imperioso dovere morale. Noi dobbiamo fare nostro dovere; dobbiamo avere il coraggio di guardare in faccia la realtà, tutta la realtà. Dobbiamo ripetere a noi stessi le parole che, sulla porta dell'inferno, il poeta ripete a sé stesso: "Ogni viltà convien che qui sia morta" ».

A cura del P.C.l. - novembre '63 - Cronograph Roma

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« VOMITO, ERGO SUM »

Fortogna:
nella foto sotto, il *Giardino delle bestemmie* attuale, un fal$o TOTALE dal 2004: un falso storico, fattuale, e ASSOLUTAMENTE IMMORALE da 3,5 mln di Euro. Un FALSO TOTALE e oggettivo - a cominciare dai FALSI cippi «in marmo di Carrara» - targato *sindaco De Cesero Pierluigi/Comune di Longarone 2004*.
Oggi questo farlocco e osceno «Monumento/sacrario» in località S. Martino di Fortogna riproduce fedelmente in pianta e in miniatura, come un parco "Italia" di Viserbella di Rimini, il campo "B" del lager nazista di Auschwitz/Birkenau. Fantastico, no? ed e' la verita' verificabile ma se solo ti azzardi a dirlo o far notare le coincidenze, sono guai. $eri. Perché... qui in Italia, e soprattutto in luoghi di metàstasi sociale e interessi inconfessabili come la Longarone 'babba' ... «la Verità si può anche dire. Ma però che non ci sia nessuno che l'ascolti (o legga!)»

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Ma tutto deve andare come da copione, in Longar-Corleone. Dal dicembre del 1964 qui è così: lo mise nero su bianco gente colle spalle ben più larghe delle mie, e in tempi non sospetti:

«E' quasi come in Sicilia, mi creda; a Longarone si configurano gli elementi tipici della mafia. Non è questione di partito 'A', o 'B'; c'è un determinato giro fatto di poche persone all'interno del quale non entra nessuno. Il potere è in mano a costoro, cinque o sei persone a Longarone, e poi qualche diramazione fuori, cioè altre persone nei posti giusti, perché un sistema del genere non può sopravvivere se non c'è corruzione».
Fonte: Giampaolo Pansa, sul Corriere della Sera del 9 ottobre 1973; sta riportato sul libro della Lucia Vastano. LIBRO CONSIGLIATISSIMO.

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