1960

4 febbraio - Caloi consegna la sua relazione, che parla di «un potente supporto roccioso autoctono» (SGI 162), dunque di una roccia solida e compatta, dall'elevatissimo modulo elastico, con uno spessore del detrito superficiale di 10-12 metri. La relazione viene consegnata agli organi di controllo.

9 febbraio - il Servizio Dighe (ingegner Frosini) concede alla SADE l'autorizzazione per un invaso sperimentale fino a quota 595 (comunicazione da parte del Genio Civile di Belluno del 16.2.1960): la SADE aveva già iniziato ad immettere acqua il 2 (SGI 98).

marzo - in concomitanza con il primo invaso si verifica una frana che si stacca dalla parete del Monte Toc, immediatamente sovrastante il fondovalle e poco a monte dello sbocco del rio Massalezza.

maggio - vengono installati i primi capisaldi destinati ad identificare eventuali moto franosi del Toc.

10 maggio - la SADE, dati i risultati positivi del primo invaso sperimentale, chiede di poter elevare direttamente il livello dell'acqua fino a quota 660, senza prima aver 'svasato'.

giugno - relazione geologica di Franco Giudici e Edoardo Semenza, figlio di Carlo (commissionata dalla SADE su indicazione di Leopold Müller): dopo avere elencato una serie di rischi minori, la relazione afferma che «più grave sarebbe il fenomeno che potrebbe verificarsi qualora il piano d'appoggio della intera massa e della sua parte più vicina al lago fosse inclinato (anche debolmente) o presentasse un'apprezzabile componente di inclinazione verso il lago stesso. In questo caso il movimento potrebbe essere riattivato dalla presenza dell'acqua, con conseguenze difficilmente valutabili, attualmente, e variabili tra l'altro a secondo dell'andamento complessivo del piano d'appoggio» (ASC 38-9).
La relazione Giudici-Semenza non verrà mai inviata agli organi di controllo.
Viceversa, prima che la relazione venga consegnata ufficialmente alla SADE, viene visionata da Carlo Semenza, che scrive al figlio: «Carissimo Edo, riteniamo indispensabile che tu mostri preventivamente la relazione al Prof. Dal Piaz, al quale preannuncio la cosa con la lettera che ti allego in copia. Se anche dovrai a seguito del colloquio attenuare qualche tua affermazione, non cascherà il mondo» (lettera di Carlo Semenza a Edoardo del 24.5.1960, ASC 38).
E a Dal Piaz: «Egregio Professore ho piacere che lei la veda [la relazione]. Anche se ci saranno eventuali sfumature di opinioni, poco male: resterebbero sempre sotto la responsabilità di mio figlio, se Ella riterrà opportuno che egli firmi la relazione» (ibidem).

11 giugno - il Servizio Dighe concede l'autorizzazione a proseguire l'invaso fino a quota 660 (comunicazione del 22.6.1960).

9 luglio - relazione Dal Piaz sugli smottamenti: «non può escludersi che questi smantellamenti dell'orlo esterno del ripiano non possano concorrere a dare alla superficie valliva sottostante un andamento sempre meno ripido, raggiungendo gradualmente [...] il profilo di equilibrio.» (CM 68) Ciononostante, anche Dal Piaz consiglia una «sistematica sorveglianza» (ibidem).

4 novembre - una frana di 700.000 metri cubi di roccia si stacca dalla parete del Toc e cade nel bacino. In contemporanea alla frana, compare, sul Toc, sul versante sinistro della valle, una fessura lunga 2500 metri, a forma di M: è il profilo della frana del 9 ottobre 1963. Dopo la frana, Edoardo Semenza continua le sue indagini. Al Giudice Istruttore Fabbri dirà: «In conclusione ritenevo che la massa instabile avesse una fronte di circa due chilometri di lunghezza, un volume di circa 250.000.000 di metri cubi e spessori variabili da 100 a 250 metri in media. Queste mie conclusioni le comunicai a voce sul posto (Vajont) al Prof. Müller che le prese per buone, facendo poi approfondire studi di dettagli sulle fessure e sui movimenti manifestatisi. Ciò avveniva in una o due riunioni del novembre 1960» (ASC 39-40).

15-16 novembre - riunione di tutti i tecnici SADE presso il cantiere del Vajont: Leopold Müller, Semenza, Pancini (capocantiere), Linari, Ruol, Biadene; si decide lo svaso e la costruzione di una galleria di sorpasso (by-pass) che colleghi, in caso di caduta della frana, i due bacini risultanti. Spesa prevista: un miliardo di lire.

17 novembre - inizia lo svaso, fino a 600 metri, raggiunti il 31 dicembre.

28 novembre - terzo sopralluogo della Commissione di Collaudo

30 novembre - a Milano si apre il processo contro Tina Merlin e il direttore de "l'Unità", Pizzigoni Orazio: tre testimoni di Erto e le fotografie della frana del 4 novembre fanno desistere la parte denunciante a deporre. Il processo si chiude con l'assoluzione piena della Merlin e de "l'Unità" perchè, recita la sentenza, nell'articolo incriminato «nulla in esso vi è di falso, di esagerato o di tendenzioso» (MERL 75-6). Manca però un provvedimento a questo punto logico e conseguente, ossia il blocco immediato dei lavori per le necessarie indagini di approfondimento da parte della magistratura...

dicembre - inizia la seconda campagna geosismica di Caloi. Caloi e Müller non vengono mai fatti incontrare tra di loro, nè sono a conoscenza dei rispettivi studi (ASC 72).

1 dicembre - promemoria del professor Penta: «una tra le numerose fenditure, lunga circa 2.500 metri, ha fatto sorgere i maggiori timori, in quanto può essere interpretata come l'intersezione con il terreno di una superficie di rottura profonda e che arriverebbe praticamente fino al fondo valle, separando dalla montagna una enorme massa di materiale. [...]
Prima di accedere a tale interpretazione catastrofica»
, Penta osserva che i dati a disposizione «sono relativi a manifestazioni di superficie, ma non si hanno elementi per giudicare se il fenomeno si estenda in profondità e se sia veramente in atto un movimento di massa. [...]
Il movimento potrebbe essere limitato al massimo ad una coltre dello spessore di 10-20 metri, con velocità molto basse, e comunque, non coinvolgerebbe masse di materiali tali da decidere non solo della vita del serbatoio, ma anche del pericolo di sollecitazioni anormali sulla diga. [...]
Nell'altro caso, si dovrebbe ammettere la possibilità di un improvviso distacco di una massa enorme di terreno (suolo e sottosuolo)
» (CP A1 13)

 

1961

1 gennaio - inizio della costruzione della galleria di sorpasso, tra quota 624 e 614.

7 gennaio - il Genio Civile di Belluno, su incarico del Servizio Dighe, richiede ufficialmente alla SADE indagini sulla fenditura al fine di stabilire se si tratti di una rottura profonda o superficiale.

10 gennaio - il Genio Civile di Belluno incarica l'assistente governativo di informare settimanalmente sul movimento franoso e sul comportamento della diga

31 gennaio - la SADE commissiona al CIM, Centro Modelli Idraulici di Nove di Fadalto (Vittorio Veneto) un modello del bacino di Vajont e della diga in scala 1:200, al fine di valutare l'entità di onde provocate da frane che si verifichino dentro il bacino. Il CIM è un centro studi SADE affidato all'Istituto di Idraulica dell'Università di Padova.
Secondo statuto, il CIM deve costruire e sperimentare «grandi modelli idraulici di impianti in esercizio o in costruzione da parte della SADE». Nel Comitato direttivo del Centro Modelli Idraulici di Nove, accanto ai professori Augusto Ghetti e Francesco Marzolo, dell'Istituto di Idraulica, vi sono quattro rappresentanti della SADE: il responsabile dell'Ufficio studi, ingegner Tonini, e gli ingegneri Indri, Sestini ed il fratello dello stesso Ghetti (PAS 36).

2 febbraio - al Consiglio provinciale di Belluno, i gruppi comunista e socialista presentano una interpellanza sulle misure da richiedersi per scongiurare il pericolo che sovrasta la popolazione di Erto, Longarone e paesi limitrofi». Viene accolta la proposta di incaricare un geologo di fiducia dell'Amministrazione di provvedere a nuove indagini.
Il Presidente della Provincia, Alessandro Da Borso, chiede la collaborazione del suo collega di Udine, essendo il comune di Erto in provincia del capoluogo friulano. La risposta, che egli riferisce nel Consiglio provinciale del 13 febbraio è: «La provincia di Udine si disinteressa completamente di quella questione, che non la riguarda» (MERL 73-4).

3 febbraio - quindicesimo rapporto geologico di Müller sulla frana del Toc.
Müller parla di due differenti frane, una a est ed una ad ovest del torrente Massalezza. Diverse le interpretazioni di questa doppia frana: per Edoardo Semenza si tratta di una frana unica che Müller divide «in porzioni tipografiche unicamente per comodità d'esposizione» (ASC 40); per gli ingegneri della SADE si tratta di due distinte frane.
Le conclusioni cui giunge Müller sono senza speranze per l'intero impianto: «A mio parere non possono esistere dubbi su questa profonda giacitura del piano di slittamento o della zona limite. Il volume della massa di frana deve essere quindi considerato di circa 200 milioni di metri cubi» (CP A1 12). Secondo Müller le contromisure sono ormai irrealizzabili sul piano pratico, umano ed economico. La sola misura di sicurezza possibile e percorribile è l'abbandono del progetto: «Alla domanda se questi franamenti possono venire arrestati mediante misure artificiali, deve essere risposto negativamente in linea generale; anche se, in linea teorica, si dovesse rinunciare all'esercizio del serbatoio, una frana talmente grande, dopo essersi mossa una volta, non tornerebbe tanto presto all'arresto assoluto» (CP A1 13).
La relazione Müller non verrà mai inviata agli organi di controllo.

13 febbraio - nella seduta del Consiglio provinciale di Belluno, viene votato all'unanimità un ordine del giorno in cui si dà mandato alla Giunta di prendere contatti con i Ministri competenti per predisporre tempestivamente tutte le misure di sicurezza per garantire l'incolumità delle popolazioni nella zona del bacino del Vajont.

21 febbraio - nuovo articolo di Tina Merlin su "l'Unità" dal titolo "Mentre si lascia alla SADE la possibilità di sottrarsi agli obblighi di legge, una enorme massa di 50 milioni di metri cubi minaccia la vita e gli averi degli abitanti di Erto".

10 aprile - relazione Caloi: rispetto alla precedente relazione del 1959-60, secondo Caloi la roccia si è frantumata, con un enorme decadimento delle proprietà elastiche della roccia del versante sinistro, che da solido e compatto, nel giro di un solo anno, sarebbe divenuto minutamente fratturato: un fenomeno senza precedenti nella letteratura tecnica, a detta dello stesso Caloi. Tale relazione non viene mai fatta leggere al professor Müller, che viceversa era stato informato della precedente e rassicurante relazione di Caloi.
I due studiosi non vengono mai fatti incontrare (ASC 72).

10 aprile - quarta visita della Commissione di Collaudo, in base alla quale Penta e Sensidoni dichiarano che gli spostamenti sul fianco sinistro sono andati attenuandosi fino ad annullarsi e che non è da temere un serio aggravamento della situazione per un aumento del livello del lago (CM 104).

15 aprile - visita di Penta al bacino, mentre l'acqua è sotto quota 600 e si sta procedendo alla costruzione del by-pass. La situazione è tranquilla: «È da ritenere pertanto che nelle condizioni attuali e sempre che il livello del lago si mantenga attorno alle quote attuali non sussistano immediati pericoli» (ASC 49).

20 aprile - lettera di Carlo Semenza all'ingegner Vincenzo Ferniani: «Ella può immaginare il mio stato d'animo in questa situazione. [...] Dopo l'abbassamento del livello del serbatoio, probabilmente anche a causa del freddo sopravvenuto, i movimenti sul fianco sinistro si sono praticamente arrestati e credo che fino a che il livello sarà tenuto basso non sarà il caso di avere nuove preoccupazioni. Ma cosa succederà col nuovo invaso? [...] Non le nascondo che il problema di queste frane mi sta preoccupando da mesi: le cose sono probabilmente più grandi di noi e non ci sono provvedimenti pratici adeguati. [...] I professori Dal Piaz e Penta sono piuttosto ottimisti: tendono a non credere che avvenga uno scivolamento in grande massa e sperano (anch'io lo spero!) che la parte mossa si sieda su se stessa. Sono entrambi d'accordo su ogni provvedimento di sicurezza. [...] Dopo tanti lavori fortunati e tante costruzioni anche imponenti, mi trovo veramente di fronte ad una cosa che per le sue dimensioni mi sembra sfuggire dalle nostre mani» (CP A1 14-5).

5 maggio - alle interrogazioni del Presidente del Consiglio provinciale di Belluno, avvocato Da Borso, risponde Benigno Zaccagnini, ministro dei Lavori Pubblici, che parlando della frana del 4.11.1960 sostiene che si tratti di «roccia continua, omogenea e di sicura stabilità» (CP A1 17). Il Ministro rassicura Da Borso scrivendogli che «in linea generale mi pare che quel terreno stia fermo e possa dar luogo solo a frane superficiali del materiale di riporto» (CP 77). Tutt'altro che rassicurato, Da Borso decide di andare personalmente a Roma per ottenere maggior chiarezza. Al ritorno a Belluno «è costretto a confessare che a Roma è come battere la testa contro un muro, perchè "la SADE è uno stato nello Stato"» (MERL 80 e 87).

10 maggio - La galleria di sorpasso è ultimata. La SADE domanda l'autorizzazione a riprendere l'invaso sperimentale e proseguire fino a quota 660.

19 luglio - lettera dell'ingegnere SADE professor Indri al professor Augusto Ghetti dell'Istituto di Idraulica dell'Università di Padova e responsabile della ricerca commissionata dalla SADE al CIM di Nove. Nella lettera vengono specificati i criteri con cui devono essere condotte le prove sul modello. La SADE vuole difatti conoscere l'entità dell'onda creata dal crollo di una frana, dell'ordine di 20-40 milioni di metri cubi, con invaso a quote comprese tra i 680 ed i 720 m. s.l.m. Le prove prevedono che, secondo l'interpretazione degli ingegneri SADE degli studi di Müller, si tratti di due frane distinte e che si stacchino prima l'una e poi, di conseguenza, l'altra. Come materiale di frana impiegato nell'esperimento viene scelta prima la sabbia, poi - una volta verificato che la sabbia bagnata non è adatta allo scivolamento - ghiaia, in ciottoli arrotondati. In un primo momento, per tener ferma la ghiaia sul tavolato che simula il piano inclinato del Toc, vengono incernierate delle tavole di legno: al momento di effettuare le prove, le tavole di legno provocano onde più alte della ghiaia stessa. Viene deciso di eliminare le tavole e trattenere la ghiaia con reti di canapa, prima in caduta libera per gravità, quindi accelerata dalla spinta di un trattore. (PAS 37-38)
Per simulare i tempi di caduta, viene usato come riferimento la frana di Pontesei: «...il Comitato ha proposto l'esecuzione di altre esperienze di caduta di frana prolungando i tempi fino a 5 minuti, dato che si ritiene che i tempi di caduta dell'ordine di un minuto o due siano troppo brevi in relazione all'andamento che questi fenomeni hanno normalmente: ad esempio la frana di Pontesei, che ha avuto un tempo di caduta prossimo ai dieci minuti». Diversa la testimonianza dell'ingegnere Linari, presente alla frana di Pontesei, che, interrogato se avesse riferito le modalità di caduta a Biadene e Semenza, dichiarerà al Giudice Istruttore: «Ciò ebbe la durata approssimativa di 30 secondi e a questo punto, per mia fortuna, cercai di scappare.» (ASC 29).
Gli studi si protrarranno per più di un anno.

25 luglio - tre deputati DC bellunesi interpellano il ministro dei Lavori Pubblici sui rischi del bacino, rischi resi evidenti dalla costruzione della galleria di sorpasso: il Ministro chiede al presidente della IV° Sezione una risposta e questi chiede una relazione a Pancini, ingegnere alle dipendenze SADE. Significativa la risposta offerta dalla società: «la galleria di sorpasso serve perchè la frana del 4 novembre ha riempito un tratto della gola, dividendo così il serbatoio in due parti» (PAS 29).

agosto-settembre - vengono ultimati i quattro piezometri sulla sponda sinistra del Toc: si tratta di tubi di acciaio infissi nel terreno attraverso fori/sonda, raggiungendo profondità comprese tra 167 e 221 metri. I piezometri assolvevano a due funzioni: controllare il livello dell'acqua dentro la roccia e verificare se la frana era superficiale o profonda: nel primo caso lo spostamento di uno strato superficiale di terreno avrebbe rotto i tubi, incastonati a grande profondità; nel secondo caso, i tubi avrebbero continuato a funzionare, a conferma che la frana toccava uno strato molto profondo di terreno e roccia, superiore alla profondità raggiunta dai piezometri stessi. Uno dei quattro tubi va subito fuori uso, mentre gli altri tre, fino al giorno della frana, non si rompono nè subiscono deformazioni.

1 agosto - Frosini, presidente della IV° sezione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, va in pensione ed è sostituito dall'ingegnere Curzio Batini, capo del Servizio Dighe, responsabile ultimo delle autorizzazioni per gli invasi.

19 settembre - al CIM giungono in visita il professor Giovanni Padoan, che ha sostituito Greco alla presidenza del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, e l'ingegner Curzio Batini. Insieme a loro, il vicedirettore generale della SADE, ingegner Marin e lo staff della diga: Semenza, Biadene, Tonini, Pancini, Dal Piaz. Ad essi viene mostrato un esperimento addomesticato, una simulazione con meno ghiaia, «per non mostrare onde eccessive» (PAS 38-9).

5 ottobre - la SADE domanda di poter raggiungere quota 680.

16 ottobre - con decreto del prefetto di Udine, la SADE è autorizzata ad occupare permanentemente tutti gli immobili che le servono per completare la strada di circonvallazione sul versante sinistro del bacino (MERL 83), espropriando di fatto tutti i proprietari dei terreni.

17 ottobre - quinta ed ultima visita della Commissione di Collaudo e parere positivo alla ripresa dell'invaso, per quanto nel verbale si legge «Non si può escludere che con l'aumento dell'invaso la frana si rimetta in movimento» (ASC 51).

19 ottobre - senza attendere l'autorizzazione, la SADE riprende l'invaso (SGI 154-5).

31 ottobre - muore Carlo Semenza. Lo sostituisce l'ingegnere Alberico Biadene.

  - Relazione di Penta, relativa ai sopralluoghi del 10.4.1961 e del 17.10.1961: egli sostiene che è impossibile sciogliere l'alternativa tra moto superficiale e moto profondo per la frana. Secondo Penta non ci sono elementi sufficienti per una interpretazione catastrofica come quella di Müller, anche se non la si può escludere; egli propende però per una "lama", ovvero per un semplice moto di detrito superficiale (CM 110).

16 novembre - autorizzazione alla ripresa dell'invaso, ma solo fino a quota 640, con incrementi non superiori al metro al giorno e con l'obbligo di rapporti quindicinali sullo stato della diga e delle sponde. La SADE ha già iniziato l'invaso il 19 ottobre.

5 dicembre - la SADE rinnova la richiesta per raggiungere quota 680.

23 dicembre - il Servizio Dighe autorizza quota 655.

 

1962

31 gennaio - la SADE rinnova la richiesta per raggiungere quota 680.

6 febbraio - il Servizio Dighe autorizza quota 675.

marzo - Biadene cancella dai rapporti quindicinali al Ministero le scosse sismiche registrate dalle sofisticate apparecchiature montate alla diga (SGI 180-1).

30 marzo - il Comitato direttivo del Centro Modelli Idraulici di Nove è del parere che «almeno per il momento non siano da compiere ricerche relative al prorogarsi di una onda di piena a valle della diga». Nella stessa sede, Indri rileva viceversa che sarebbe necessario conoscere la ripartizione dell'onda proveniente dal Vajont, in corrispondenza dell'abitato di Longarone (CM 139).

20 aprile - muore Giorgio Dal Piaz, a causa delle ferite riportate in un incidente automobilistico che gli era occorso insieme ai membri della Commissione di Collaudo di ritorno dal sopralluogo del 17.10.1961 (CM 122).

27 aprile - scossa sismica.

3 maggio - la SADE chiede l'autorizzazione di raggiungere quota 700.

13 maggio - scossa sismica.

8 giugno - viene concessa l'autorizzazione a raggiungere quota 700.

22 giugno - ordinanza del Comune di Erto-Casso per proibire l'accesso ai terreni perimetrali sotto quota 730 nonchè di andare in barca sul bacino.

3 luglio - relazione Ghetti relativa alle prove con il modello di Nove: «Già la quota 700 m. s.m. può considerarsi di assoluta sicurezza nei riguardi anche del più catastrofico prevedibile evento di frana. Sarà comunque opportuno, nel previsto prosieguo della ricerca, esaminare sul modello convenientemente prolungato gli effetti nell'alveo del Vajont ed alla confluenza nel Piave del passaggio di onde di piena di entità pari a quella sopra indicata per i possibili sfiori sulla diga» (SGI 201). La relazione Ghetti non viene trasmessa agli organi di controllo.

8 luglio - relazione dell'assistente governativo, Bertolissi: «Oltre alle fessure verificatesi dopo la frana del 1960, si sono verificate altre fessure, alcune superficiali, altre più profonde [...]. L'indagine di un geologo sulla natura delle fessure e sui movimenti darebbe un'idea più esatta della situazione» (CM 121). Non risulta che dopo 16.10.1961 siano state redatte relazioni geologiche da parte della SADE nè dell'ENEL.

3 agosto - lettera dell'ingegnere capo del Genio Civile di Belluno al Servizio Dighe, nel trasmettere il rapporto dell'assistente governativo dell'8.7.1962: «L'ufficio scrivente conviene [...] sulla opportunità di tempestivo controllo da parte di un geologo». Il Servizio Dighe non risponderà mai (CM 140).

17 novembre - l'acqua raggiunge quota 700 e vi resta fino al 2 dicembre; quindi inizia uno svaso fino a m. 647,5, raggiunti il 10.4.1963

1 dicembre - l'ingegner Almo Violin diventa il nuovo titolare del Genio Civile di Belluno, subentrando all'ingegner Desidera. Violin sostituisce l'ingegner Beghelli, il preposto al ramo dighe, con un geometra che si dichiara essere all'oscuro della materia e di non aver mai visto la diga del Vajont. Violin ammetterà «che non conosceva le dighe se non attraverso le reminiscenze universitarie; di non aver mai visto l'assistente governativo Bertolissi; di aver visitato la diga una sola volta "per gusto personale"» (CM 152-3).

10 dicembre - relazione dell'assistente governativo, Bertolissi: «I diagrammi relativi agli spostamenti dei punti sotto osservazione nella zona del Toc, indicano che la velocità di abbassamento è aumentata sensibilmente» (ASC 78).

12 dicembre - nasce l'Ente Nazionale Elettricità, ENEL: in forza della legge 6 dicembre 1962 numero 1643, l'attività della SADE per quanto riguarda produzione importazione, esportazione, trasporto, trasformazione, distribuzione e vendita dell'energia elettrica, passa al nuovo Ente.

 

1963

10 gennaio - relazione dell'assistente governativo, Bertolissi: «i diagrammi relativi agli spostamenti dei punti sotto osservazione nella zona del Toc indicano che la velocità di abbassamento è aumentata nettamente, rispetto ai mesi di ottobre e precedenti: secondo il sottoscritto, i movimenti si stanno avvicinando alla criticità» (CP A1 20).

14 marzo - decreto Presidente della Repubblica per il trasferimento della SADE all'ENEL.

16 marzo - viene nominato Amministratore provvisorio della ENEL-SADE il professor Feliciano Benvenuti, di professione consulente economico del gruppo degli Industriali Veneziani, di cui è presidente Valeri Manera, consigliere della SADE. Viene deciso di mantenere la struttura organica del personale precedente fino a quando non ne fosse sopravvenuta una nuova. Ai vertici, due direttori, ingegneri Vittore Antonelli e Roberto Marin; vicedirettore generale per il ramo tecnico amministrativo Alberico Biadene, che è anche direttore dell'azienda di produzione e del servizio costruzioni idrauliche.

16 marzo - il Consiglio Comunale di Erto-Casso delibera l'acquisizione della scuola elementare di Pineda, costruita dalla SADE e donata al Comune.

20 marzo - l'ENEL-SADE fa richiesta di un ulteriore invaso fino a quota 715, 15 metri oltre la quota di sicurezza indicata da Ghetti. La Commissione Ministeriale commenta: «È di questo periodo la decisione di non proseguire nella lodevole attività esplicata con esperimenti su modello idraulico al Centro di Nove, nonostante che il prof. Ghetti, nel concludere la sua relazione, sottolineasse l'opportunità di estendere le prove a valle della diga per avere certe indicazioni sulla possibilità di consentire anche maggiori invasi del serbatoio [...] senza pericolo di danni. La grande messe di dati raccolti con encomiabile diligenza e capacità dal personale della SADE sul bacino, non risulta essere stata oggetto di ulteriori esami ed elaborazioni» (CM 146-7).

30 marzo - il Servizio Dighe autorizza quota 715 senza un parere scritto della Commissione di Collaudo, che non si è più riunita.

11 aprile - inizia il terzo ed ultimo invaso.

1 luglio - il Sindaco di Erto-Casso, rassicurato dalla donazione della scuola, revoca l'ordinanza del 22.6.1962, ripristinando il libero accesso al bacino. La SADE e l'ENEL avvisano la Prefettura di Udine dello «stato di pericolo nella zona del Vajont» e «richiamano la responsabilità» del Sindaco di Erto. In realtà, la strada di circonvallazione, posta sullo stesso lato della scuola, è già fuori asse di mezzo metro, a due anni dall'inizio dei lavori di costruzione. Il Sindaco ripristina la vecchia ordinanza ed il divieto di accesso.

22 luglio - il Sindaco di Erto telegrafa alla Prefettura di Udine ed all'ENEL di Venezia, richiedendo provvedimenti urgenti e segnalando i pericoli per «inspiegabili acque torbide lago, continui boati et tremiti terreno comunale» (MERL 94). Non ottiene risposta.

27 luglio - verbale relativo alla presa in consegna dell'impresa elettrica SADE da parte dell'ENEL. Per quanto riguarda il bacino di Vajont, nell'allegato A, foglio 9, sta scritto che il bacino è «in esercizio, alimentatore della centrale del Colombèr, anch'essa in esercizio» (SGI 221 e 421).

1 settembre - la quota dell'acqua raggiunge m. 709,40. A questo livello, con piccole oscillazioni fino a m. 710, l'acqua resterà fino al 26 settembre, quando inizierà l'ultimo svaso.

2 settembre - scossa tellurica. Da questa data, ed ininterrottamente fino al 9 ottobre, tutti i capisaldi sul versante sinistro subiscono un continuo aumenti di velocità: il 2 6,5 mm, il 15 settembre 12 mm, il 26 22 mm, il 2 ed il 3 ottobre 40 mm, fino ai 200 mm del 9 ottobre (CP A1 22).

                                Lettera del Sindaco di Erto-Casso all'ENEL-SADE:
«Richiamato il mio precedente telegramma del luglio u.s., rimasto, tra l'altro, senza risposta [...]; constatato che le popolazioni di Erto e Casso stanno vivendo in continua apprensione ed in continuo allarme; considerato anche che altri queste cose minimizzano, ma che per la gente di Erto comportano, la sicurezza, la vita e gli averi, questa amministrazione fa nuovamente presente le proprie preoccupazioni per la sicurezza della popolazione e del paese e i propri dubbi sulla stabilità delle sponde del lago di Erto, e, pertanto, esige da codesto spettabile Ente la sicurezza e la certezza che il paese non vivrà nell'incubo» (CM 166-7) e diffida pertanto la ENEL-SADE a «togliere dal Comune la causa dello stato di pericolo pubblico, a mettere la popolazione di Erto in stato di tranquillità e di sicurezza e solo dopo rimettere in attività il bacino» (CP A1 22).
La lettera viene inviata per conoscenza anche al Ministero dei Lavori Pubblici, al Genio Civile ed alla Prefettura di Udine. Negli archivi del Ministero di tale lettera non c'è alcuna traccia.

 4 settembre - l'acqua raggiunge quota 710: non salirà più oltre questa soglia.

12 settembre - Biadene risponde alla lettera del Sindaco di Erto, parlando di «affermazioni piuttosto azzardate», richiamandosi - per tranquillizzare gli Ertani - agli studi geologici «eseguiti a suo tempo dal compianto Prof. G. Dal Piaz» (MERL 96).

15 settembre - sul Toc si apre una nuova fessura; si notano inclinazioni degli alberi, avvallamenti della strada di circonvallazione e l'accentuarsi della lunga fessurazione a forma di M che attraversa la montagna.

18 settembre - riunione alla diga tra Biadene, Mario Pancini, altri tecnici ENEL-SADE ed i consulenti Caloi ed Oberti: Biadene rinuncia a raggiungere i 715 metri e si riserva di decidere lo svaso, qualora la situazione peggiori.

26 settembre - Biadene decide di iniziare l'opera di svaso.

27 settembre - inizia lo svaso.

30 ottobre - Mario Pancini, direttore del cantiere, in partenza per le ferie, informa personalmente la sede di Roma della ENEL-SADE della situazione e dell'inizio dello svaso. Prega l'ingegner Baroncini, direttore centrale delle costruzioni idrauliche ENEL, di convincere il professor Penta di fare un nuovo urgente sopralluogo.

1 ottobre - Pancini parte per l'America. Al cantiere lo sostituisce l'ingegner Beniamino Caruso, direttore dei lavori del medio Piave. Caruso non riceve nessuna consegna da Pancini. Contemporaneamente, il geometra Rittmeyer, dipendente SADE presso la diga ma con trasferimento accordato a Venezia, si vede revocare detto trasferimento e riceve disposizione di rimanere sul posto.

2 ottobre - Biadene si reca personalmente a Roma alla sede ENEL-SADE e discute della frana con l'ingegner Baroncini: lo prega di insistere presso Penta perchè si rechi alla diga.

                                Caruso si reca sulla diga e, accertati nuovi movimenti dei capisaldi e altre recenti fenditure, si rivolge al Genio Civile. Lo fa due giorni dopo e senza rivolgersi al responsabile, Violin, nè a nessun altro in modo formale.

5 ottobre - relazione di Caloi, in cui si parla di una frana avvenuta il 10 agosto 1963 alle ore 4 e 45. Non se ne conosce l'entità nè l'ubicazione.

6 ottobre - la strada di sinistra è quasi intransitabile per le continue crepe che si aprono nel manto stradale.

7 ottobre - Caruso torna alla diga ed avverte Biadene del peggioramento della situazione; il Genio Civile dispone un sopralluogo dell'Assistente governativo.

                                Degli operai trovano in una zona boscosa del lato sinistro del Monte Toc due fessure larghe un metro e lunghe circa dieci; durante la giornata se ne aprono altre; rotolano sassi, si sentono crepitii provenienti dalle viscere del monte.

7 ottobre, sera: viene dato ordine di far sgomberare il Toc, con esclusione delle frazioni Pineda, Liron, Prada.

8 ottobre, ore 10,30: Biadene e Caruso si recano alla diga e verificano l'ulteriore peggioramento della situazione.

                                Caruso si reca da Violin al Genio Civile di Belluno, che a sua volta invita l'assistente governativo, Bertolissi, a recarsi presso la diga. Caruso lo prega di non «spargere voci allarmistiche». Violin gli chiede una relazione scritta (CM 177).

8 ottobre, ore 12 Biadene telefona alla sede di Venezia della ENEL-SADE, perchè si invii un telegramma al Sindaco di Erto-Casso, affinchè emetta ordinanza di sgombero della zona del Toc e stabilisca il divieto d'accesso alle sponde del bacino, nonchè il transito delle strade nella sponda sinistra del Vajont. L'ordinanza viene emessa.

ore 15,30 Bertolissi si reca alla diga e redige un rapporto che sottolinea «la gravità della situazione per cui si attendono istruzioni da codesto Servizio Dighe». Consegnato all'ingegnere capo del Genio Civile, Almo Violin, la mattina del 9, il rapporto viene spedito a Roma nel pomeriggio per posta ordinaria (PAS 57).

                                Biadene telefona anche alla sede di Roma della ENEL-SADE, pregando Baroncini di convincere Penta e la Commissione di collaudo di fare un nuovo sopralluogo. Penta accetta di inviare un proprio assistente, professor Esu, venerdì 11.

                                I Carabinieri fanno sgomberare alcuni abitati sotto quota 730.

9 ottobre, mattina: i movimenti della frana fanno sì che il canale di scarico dell'invaso sia ostruito. Biadene scrive a Pancini, chiedendogli di rientrare dalle ferie: «...in questi giorni le velocità di traslazione della frana sono decisamente aumentate [...]. Le fessure del terreno, gli avvallamenti sulla strada, l'evidente inclinazione degli alberi sulla costa che sovrasta La Pozza, l'aprirsi della grande fessura che delimita la zona franosa, il muoversi dei punti anche verso la "Pineda" che finora erano rimasti fermi, fanno pensare al peggio. Ieri abbiamo telegrafato al Sindaco di Erto e alla Prefettura di Udine, chiedendo che sia ripristinata l'ordinanza di divieto di transito sulla strada; intanto il serbatoio sta calando 1 metro al giorno e questa mattina dovrebbe essere a quota 700. Penso di raggiungere quota 695 sempre allo scopo di creare una fascia di sicurezza per le ondate [...]. Mi spiace darle tante cattive notizie e di doverLa far rientrare anzitempo. [...] Che Iddio ce la mandi buona» (SGI 244-5)

ore 12 durante la pausa pranzo alcuni operai ENEL fermi sul coronamento della diga vedono ad occhio nudo il movimento della montagna.

ore 13 dietro le baracche degli operai in sponda sinistra, si apre una crepa larga 50 centimetri e lunga 5 metri. Dopo tre ore la crepa ha progredito di 40-50 centimetri.

ore 15-16 un operaio attraversando la zona del Massalezza ad una quota superiore alla strada, vede alberi cadere e sollevare con le radici grandi zolle di terra.

ore 17 Caruso riceve da Venezia le direttive di avvertire il Comando dei Carabinieri per far disporre il blocco del traffico stradale nella zona di pericolo (CP A1 24).

ore 17,50 Biadene telefona a Penta, che lo rincuora: «Mi raccomando la calma e di "non medicarci la testa prima di essercela rotta"» (SGI 250). È in quella telefonata che Biadene, per la prima volta, informa Penta degli esperimenti su modello del CIM e sulla presunta quota 700 come quota di sicurezza (ASC 20). Subito dopo Batini telefona a Biadene, che gli conferma il procedere dello svaso, «compatibilmente all'esercizio di Soverzene», messo abusivamente in funzione per produrre energia elettrica con l'acqua dello svaso (SGI 251).

ore 20 i camion non sono più in grado di transitare sulla strada in sponda sinistra. La strada per il Toc viene sbarrata dalla SADE.

         Caruso incontra al caffè Deon di Belluno il comandante dei Carabinieri e gli spiega la necessità del provvedimento di chiusura della statale di Alemagna, prima e dopo Longarone. Il comandante telefona da un bar alla Caserma di Cortina d'Ampezzo e dà l'ordine, che viene ritrasmesso al maresciallo di Longarone (CM 184).

ore 22 Rittmeyer telefona a Biadene, a Venezia, per comunicare la sua estrema preoccupazione, dato che la montagna ha cominciato a cedere visibilmente. È preoccupato altresì per la frazione di Erto delle Spesse, a quota 729. Una telefonista di Longarone sente il tenore del colloquio, e si intromette per chiedere se non ci sia pericolo anche per Longarone. Biadene la tranquillizza ma consiglia a Rittmeyer di «dormire con un occhio solo» (CP A1 24).

Ore 22,39: la frana si stacca.
Non in due tempi, bensì come corpo unico, compatto: 260 milioni di metri cubi di roccia.
In quel momento il livello dell'acqua è a quota 700,42 m. s.l.m. L'onda, di 50 milioni di metri cubi, provocata dalla frana, si divide in due direzioni. Investe da una parte i villaggi di Frasein, San Martino, Col di Spesse, Patata, Il Cristo. Quindi arriva ai bordi di Casso e Pineda. Dall'altra parte, superando la diga, raggiunge Longarone, Codissago, Castellavazzo, e infine Villanova, Pirago, Faè, Rivalta, per poi defluire lungo il Piave. L'onda provoca 1917 morti: 1450 a Longarone, 109 a Castellavazzo, 158 a Erto e Casso e 200 persone originarie di altri comuni, di cui la maggior parte lavoratori e tecnici della diga con le rispettive famiglie. Pochissimi i feriti.
In tutta la zona, l'unica opera umana che resiste pressochè senza danni, all'onda, è la diga di Carlo Semenza sul torrente Vajont.

011 ottobre - viene nominata la Commissione di inchiesta sulla sciagura del Vajont, per espressa volontà del Ministro ai Lavori Pubblici, di comune accordo con il Presidente del Consiglio. Insediata il 14 ottobre, alla Commissione vengono concessi due mesi di tempo per presentare la relazione. Il suo compito è quello di «accertare [...] le cause, prossime e remote, determinanti la catastrofe». La Commissione consegnerà la relazione in 90 giorni.

7 novembre - ultima relazione della Commissione di collaudo, che dichiara concluso il suo mandato ed impossibile «la prosecuzione delle operazioni di collaudo» della diga (CP A1 9).

1968

20 febbraio - il Giudice istruttore Mario Fabbri deposita la sentenza del procedimento penale contro Alberico Biadene, Mario Pancini, Pietro Frosini, Francesco Sensidoni, Curzio Batini, Francesco Penta, Luigi Greco, Almo Violin, Dino Tonini, Roberto Marin, Augusto Ghetti. Penta e Greco sono nel frattempo deceduti.

28 novembre - L'Ingegnere Mario Pancini si suicida col gas nel suo appartamento di Venezia alla vigilia del processo.

29 novembre - inizia a L'Aquila il processo di primo grado

 

1969

17 dicembre - si conclude il processo di primo grado. L'accusa chiede 21 anni per tutti gli imputati per disastro colposo di frana e disastra colposo d'inondazione, aggravati dalla previsione dell'evento e omicidi colposi plurimi aggravati. Vengono condannati a sei anni di reclusione Biadene, Batini e Violin, per omicidio colposo, colpevoli di non aver avvertito e di non avere messo in moto lo sgombero; assolti tutti gli altri. Non viene riconosciuta la prevedibilità della frana.

 

1970

26 luglio - inizia a L'Aquila il Processo d'Appello, con lo stralcio della posizione di Batini, gravemente ammalato.

3 ottobre - la sentenza riconosce la totale colpevolezza di Biadene e Sensidoni: il primo viene condannato a 3 anni di reclusione, il secondo ad un anno e mezzo; Violin e tutti gli altri vengono assolti.

 

1971

15-25 marzo - Processo di Cassazione a Roma: viene confermato il verdetto del processo di secondo grado, ma vengono ridotte le pene a Biadene e a Sensidoni: il primo è condannato a due anni di reclusione, il secondo a dieci mesi.

 

1982

3 dicembre - la Corte d'Appello di Firenze, cassando una precedente sentenza della Corte di Appello de L'Aquila del 16 dicembre 1975 - 23 gennaio 1976, condanna in solido l'ENEL e la Montedison (in cui è confluita la SADE) al risarcimento dei danni sofferti dallo Stato e la sola Montedison per i danni subiti dal Comune di Longarone, riservandosi di quantificare in altra sede l'ammontare dei danni stessi e la loro ripartizione fra i responsabili civili.

In questo stesso anno, la Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso dell'ENEL nei confronti del comune di Erto-Casso e del neonato comune di Vajont, obbligando così l'ENEL al risarcimento dei danni subiti, che verranno quantificati dal Tribunale Civile e Penale di Belluno in lire 480.990.500 per beni patrimoniali e demaniali perduti; lire 500.000.000 per danno patrimoniale conseguente alla perdita parziale della popolazione e conseguenti attività; lire 500.000.000 per danno ambientale ed ecologico; le cifre non sono state ancora corrisposte e, rivalutate, hanno raggiunto il valore di 22 miliardi di lire circa.

 

 1986

17 dicembre - la Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso intentato dalla Montedison alla sentenza del 1982.

 

 1997

15 febbraio - il Tribunale Civile e Penale di Belluno condanna la Montedison a risarcire i danni subiti dal Comune di Longarone per un ammontare di lire 55.645.758.500, comprensive dei danni patrimoniali, extra-patrimoniali e morali, oltre a lire 526.546.800 per spese di lite ed onorari e lire 160.325.530 per altre spese.
La sentenza ha carattere immediatamente esecutivo.


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VOMITO, ERGO SUM. Fortogna: nella foto sotto, il *Giardino delle bestemmie* attuale, un fal$o TOTALE dal 2004: falso storico, fattuale, e IMMORALE da 3,5 mln di Euro. Un FALSO TOTALE - a cominciare dai FALSI cippi «in marmo di Carrara» - targato *sindaco De Cesero Pierluigi/Comune di Longarone 2004*.
Oggi questo «Monumento/sacrario» riproduce fedelmente in pianta e in miniatura, come il parco "Italia" di Rimini, il campo "B" di Auschwitz/Birkenau. Fantastico, no?
Ma se ti azzardi a dirlo, sono guai.

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