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XXXVII - I NATI PRIMA E I NATI DOPO IL TERREMOTO


Nelle favole dei bambini friulani, in quelle che fanno più paura, c'è il Mostro della Terra, il terremoto. Dicono: "e venne l'Orcolàt". E l'Orcolàt arriva una sera di maggio calda come se fosse estate piena, si impadronisce dell'anima della montagna di San Simeone. Una cima brulla ma che appartiene alle favole perché raccontano che attorno volano nugoli di farfalline che nascono e muoiono soltanto attorno al San Simeone. Da queste parti i monti si aprono per far scorrere il Tagliamento che sulla strada di Gemona fa una curva, proprio attorno al monte delle farfalline. Sotto le viscere della terra l'Orcolàt spacca la roccia e la fa tremare.

La sera del 6 maggio 1976 la gente è a casa, mancano pochi minuti alle 21 quando arriva la prima scossa, rapidissima. Sembra un avvertimento o forse un addio. Per venti secondi tutto si placa e poi la Catastrofe, la terra trema e non smette per un minuto, lungo come l'eternità, corto come la vita che se ne va. Il sismografo non si ferma, sale i gradi della scala Mercalli sino alla catastrofe.
La stessa notte a Cortina d'Ampezzo l'albergo Posta è avvolto dalle fiamme, muoiono quattro persone, due soffocate dal fumo, due gettatesi nel vuoto per la disperazione.

Trema tutto in Friuli, i monti, le case che vengono giù a pezzi o intere. Tremano gli uomini che nella fuga non ritrovano più la strada che conoscono e se alzano gli occhi non vedono più i campanili e le torri. La notte è riempita dalle urla, dalla paura e dai boati della terra.

È soltanto la prima notte dell'Orcolàt, per molte altre notti d'estate il mostro arriverà per scuotere la terra sotto il San Simeone e più lontano ancora.

Adesso è la morte e non si sa sino a dove e quanta.
Ci sono già 982 morti tra i quali 150 bambini e ci sono 2500 feriti. Il "piccolo popolo", come lo chiama padre David Maria Turoldo, assiste al crollo di case, storia e certezze. L'Italia non sa, la televisione ha genericamente parlato di un terremoto che ha colpito la Valle Padana, con epicentro in Trentino, avvertito anche in Piemonte. Un radioamatore di Buia chiede aiuto, grida disperato che sono morti tutti. C'è sempre chi nega la verità o forse spera che la notizia non sia vera, che la smentita alla "radio pirata" arrivi secca e ufficiale.

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Esperimento

Cliccando qui --->> questo link o sull'immagine qui sopra si accede alle pagine di un supporto magneto-ottico distribuito ai Corpi/Enti (es. Croce Rossa, Protezione Civile) nel 2002 in FVG allestito e distribuito nel 30° anniversario. Dato l'interesse dei materiali, ritengo opportuno dare la possibilità di visionarlo.
Qui su YT uno dei molti video

Sul sito della Prot.Civ FVG le immagini online dell'archivio in questione.

Il Friuli è pieno di militari di ogni regione, alloggiati in quella che resta sempre la frontiera sull'Est europeo, una specie di grande caserma con 57 mila soldati. Ce ne sono trentamila in Veneto, in Lombardia appena 15 mila, in Sicilia poco più di settemila. Le "servitù militari" occupano 15.345 ettari friulani e 11.147 in Veneto, insieme potrebbero coprire il territorio di una provincia. I militari sono i primi a muoversi tra Udine e Pordenone, con ruspe e elicotteri. Alpini, fanti, genieri scavano insieme ai civili: già nella notte, a mani nude cercano sotto le pietre segni di vita.

L'alba del 7 maggio illumina livida il disastro: paesi interi rasi al suolo, cittadine ricche di storia come Gemona e Venzone fatte a pezzi. Tutto sparito a Maiano, Artegna, Moggio, Osoppo, Trasaghis e anche più lontano, 117 paesi distrutti. Le case che non sono crollate vengono abbattute perché pericolanti. Ci sono 800 chilometri quadrati di Friuli terremotato, altri tremila chilometri seriamente colpiti, mezzo milione di persone nella bufera, 137 mila si agitano come impazzite dal dolore nella zona più danneggiata, centomila non hanno più un tetto. I genieri montano tende, cucinano, soccorrono. Arrivano volontari da tutta Italia e ovunque si raccolgono fondi per i terremotati. Come sempre, la solidarietà degli uomini unisce l'Italia più che le leggi dei politici. Un'industria in crescita viene smontata dalla natura: 6500 imprese danneggiate, 18 mila posti di lavoro a rischio. Distrutte diecimila aziende agricole, altre 30 mila danneggiate, quattromila stalle e migliaia di capi di bestiame perduti. A Osoppo si scava tra le macerie del ristorante 'da Gardo' dove un gruppo di anziani festeggiava l'anniversario della visita di leva. Trovano vivi il proprietario e la nuora, i 35 della festa sono morti tutti. A Osoppo, dopo ventuno ore estraggono vivo dalle macerie un bambino di nove anni, Paolo Fabris. Colloredo di Montalbano è al centro della piana del Tagliamento, diecimila abitanti, qui è crollato tutto. Il castello dove Ippolito Nievo ha scritto "Le confessioni di un italiano" è ridotto a un cumulo di rovine. A Forgaria allineano le bare nel cortile della scuola materna, ogni due ore un operaio spruzza disinfettante. Gemona, 16 mila abitanti, era un gioiello antico, nata lungo il tracciato romano, gelosa della sua struttura medievale. Trovano sotto le macerie una bimba abbracciata alla sua bambola. La calano sotto terra così, abbracciata al suo giocattolo. Quelli delle oltre cento vittime di Majano sono i primi funerali celebrati. Dice il sacerdote: "Il Friuli, famoso nel mondo per l'operosità della sua gente, saprà risorgere".

Si era appena smesso di emigrare, adesso in molti devono ripartire. Eppure c'è qualcosa di non previsto nel "piccolo popolo" che abita oltre quella che Piovene chiama "l'antica muraglia" dai monti al mare tra il Tagliamento e il Livenza. Un popolo chiuso, anche diffidente, ma tenace, abituato a fare da solo. Quello che accade dopo è patrimonio umano e sociale del Friuli, ma anche patrimonio nazionale. Lo sforzo di solidarietà del Paese, infatti, è grande. Lo Stato per una volta risponde in maniera adeguata, l'intervento del ministro dell'Interno Cossiga è tempestivo: affida le risorse alla Regione, concede un'ampia delega alle amministrazioni locali, nomina commissario straordinario del governo un lombardo che fa nascere il nuovo modello di protezione civile italiana. A distanza di anni si chiama ancora "modello Friuli". Prima di restituire i poteri ai prefetti, Giuseppe Zamberletti elabora un piano di prefabbricati per assicurare l'alloggio entro l'anno ad almeno 40 mila senzatetto e lo affida alla Regione.

Per tutta l'estate la terra non ha mai smesso di tremare: per 200 volte si è scossa, ha sussultato. Poi l'11 settembre, di sera, in venti secondi fa crollare il lavoro di mesi corne un castello di carte. A Majano gli alpini sono schierati sull'attenti, hanno appena consegnato le case prefabbricate, quando arriva il terremoto. È una scossa ancora più pericolosa, conferma le paure, demolisce soprattutto le speranze. Zamberletti ritorna in Friuli e riapre l'emergenza.

Il 15 l'incubo si ripete all'alba, altre frane scendono dai monti e sei ore dopo in pieno giorno il Friuli è scosso in ogni punto: la gente alla luce vede tutto, l'asfalto che si apre, la strada che ondeggia, scopre un'altra volta l'orrore che non se n'è mai andato. Di 214 scosse questa è la più terribile. Senza più speranze, la popolazione è presa dalla rabbia. Il presidente del Consiglio Giulio Andreotti è costretto a ritirarsi dietro i cancelli di una caserma per sfuggire alla protesta. Il vescovo di Udine, monsignor Alfredo Battisti, cerca inutilmente di convincerlo a incontrare una delegazione. Chi può scappa verso gli alberghi della laguna, a Grado, a Lignano, giù sino a Bibione e Caorle. Per molti è come andare in esilio. Per tanti l'inverno è sopravvenuto mentre erano in tenda, in roulotte, nel fango e nella neve. Vogliono ricostruire i paesi dove sono stati distrutti, vogliono salvare il lavoro.

Il freddo non gela la rabbia contro lo Stato e la Regione assenti o troppo lenti. Zamberletti capisce che si deve cambiare, attiva i sindaci e delega le responsabilità sul territorio. In dieci anni il Friuli viene ricostruito pezzo per pezzo, in qualche caso vecchio mattone per vecchio mattone come per il duomo di Gemona. E senza scandali: quando nel 1986 il Presidente della Repubblica Sandro Pertini visiterà il Friuli già quasi interamente ricostruito non troverà tracce del disastro, soprattutto nella gente. La ricostruzione è esemplare, la cultura friulana ha sempre individuato nella casa il rifugio contro ogni sventura. Le vecchie abitazioni erano costruite con pietre di fiume e anche i muretti erano fatti di pietre raccolte nel letto dei torrenti. Erano fragili e sono crollati subito. Per le nuove case si utilizzano mattoni e cemento e sistemi antisismici. I friulani si legano a quello che il terremoto ha quasi cancellato: non soltanto le case, ma la civiltà contadina, la lingua stessa. Certo il terremoto ha accelerato una tendenza al consumismo.

Con le macerie la regione spazza via anche le miserie del passato, le paure, le angosce. La spinta della ricostruzione è tale che il Friuli schizza in alto nelle classifiche dei consumi e del benessere. Lo slogan della ricostruzione è "prima le fabbriche, poi le case". Le migliaia di miliardi messi a disposizione dallo Stato funzionano da volano dell'economia. Sono soldi spesi bene, senza gli inganni dell'Irpinia dove nel 1980 il terremoto porterà più fondi e meno opere per l'avidità degli uomini e del potere politico.

Il terremoto diventa per i friulani uno spartiacque: quelli nati prima, quelli venuti dopo, quelli che c'erano e quelli che hanno solamente sentito raccontare. Spiega lo scrittore Carlo Sgorlon: "Il terremoto ha prodotto una mentalità più moderna, ma in senso egoistico e chiuso... Qui c'è una vocazione a far funzionare le cose. Non c'è la retorica della socialità, ma c'è la socialità".

L'arcivescovo Battisti, un padovano di Masi, pone con vigore la "questione morale" del dopoterremoto. Parla di "ricostruzione delle coscienze", quella che la società civile ha più difficoltà a individuare, la meno visibile. Battisti invita i friulani a non lasciarsi "omologare", a reagire alla modernizzazione forzata. In anni in cui la politica friulana è tormentata da uomini e storie di profilo non alto, l'arcivescovo organizza la "fede porta a porta" nelle vie di Udine.

C'è un dopoterremoto anche nel terrorismo, lo si scoprirà quando un contadino troverà in un frigorifero semisepolto sul greto del Tagliamento i volantini delle Brigate rosse con una loro strategia nel Friuli della ricostruzione.



L'altra Italia cammina con i ritmi di sempre.
La Rai ha 12 milioni di abbonati, ha il colore e lo sceneggiato vive il suo successo più clamoroso: va in onda "Sandokan" ispirato ai romanzi di Emilio Salgari, con l'attore indiano Kabir Bedi e una musichetta che regge per mesi in testa alla hit-parade. "Sandokan, Sandokan/ giallo il sole la forza mi dà/ Sandokan, Sandokan/ dammi forza ogni giorno ogni notte coraggio verrà...". Per la tigre della Malesia restano incollati davanti al televisore oltre 27 milioni di italiani a puntata.

Al cinema ha successo un veneziano che si era fatto notare giovanissimo in un ruolo nel "Gattopardo" di Luchino Visconti. Si chiama Mario Girotti, è nato nel 1935, diventa popolare col nome di Terence Hill, interpreta Trinità nella fortunata serie con Bud Spencer, il napoletano Carlo Pedersoli ex campione italiano di nuoto.

Alle Olimpiadi di Montreal gli unici ori dell'Italia vengono dal Triveneto. Per il solito Klaus Di Biasi è l'ultimo tuffo dalla piattaforma perché poi lascerà lo sport. Il veneziano Fabio Dal Zotto, 25 anni, dà all'Italia la medaglia del fioretto che manca dal 1936. Viene dalla scuola mestrina del maestro Livio Di Rosa, passa per un rompiballe, sulla pedana è da antologia.

Livio Di Rosa nella sua palestra del Coni insegna un modo di tirare di fioretto che diventa leggenda. Nato nel 1912 a Livorno, discreto sciabolatore in gioventù, anche se il vero campione della famiglia era il fratello Manlio che ha vinto due ori olimpici e cinque titoli mondiali. Nel '36 diventa maestro, si trasferisce per un decennio a Praga, va in Egitto dove è insegnante privato di re Farouk, corpulento e gaudente. Nel '62 approda a Mestre e su quelle pedane di legno costruisce la sua scuola. Per lui la scherma è la strada per la semplicità e per la felicità: "È il ritorno alla natura", dice. E spiega il suo segreto: "Essere semplici, trovare la strada più corta anche se è la più vecchia. Meglio fare benissimo una cosa facile che benino una difficile". Se la ride di gusto di francesi e russi che filmano gli incontri dei suoi ragazzi: "Grulli che non sono altro! La mia scherma non si capisce in tv, si comprende parlando".

Alleva i più grandi talenti della scherma azzurra, ma spesso ha tutti contro: "Sino ad ora siamo riusciti a coltivare pomodori sul cemento. Ma quanto durerà?". Per lui che viveva di sport e per lo sport, crescere come veri uomini veniva prima di tutto, anche prima dello sport. Quando morirà nel 1992 la sua sarà la scuola più titolata del mondo, vent'anni di trionfi italiani sono soprattutto suoi trionfi.

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Un tempo, leggevi queste cose e ti trovavi su www.vajont.org.
Poi sbucarono - e vennero avanti - i delinquenti, naturalmente quelli istituzionali ....

  


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Fortogna:
nella foto sotto, il *Giardino delle bestemmie* attuale, un fal$o TOTALE dal 2004: un falso storico, fattuale, e ASSOLUTAMENTE IMMORALE da 3,5 mln di Euro. Un FALSO TOTALE e oggettivo - a cominciare dai FALSI cippi «in marmo di Carrara» - targato *sindaco De Cesero Pierluigi/Comune di Longarone 2004*.
Oggi questo farlocco e osceno «Monumento/sacrario» in località S. Martino di Fortogna riproduce fedelmente in pianta e in miniatura, come un parco "Italia" di Viserbella di Rimini, il campo "B" del lager nazista di Auschwitz/Birkenau. Fantastico, no? ed e' la verita' verificabile ma se solo ti azzardi a dirlo o far notare le coincidenze, sono guai. $eri. Perché... qui in Italia, e soprattutto in luoghi di metàstasi sociale e interessi inconfessabili come la Longarone 'babba' ... «la Verità si può anche dire. Ma però che non ci sia nessuno che l'ascolti (o legga!)»

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Ma tutto deve andare come da copione, in Longar-Corleone. Dal dicembre del 1964 qui è così: lo mise nero su bianco gente colle spalle ben più larghe delle mie, e in tempi non sospetti:

«E' quasi come in Sicilia, mi creda; a Longarone si configurano gli elementi tipici della mafia. Non è questione di partito 'A', o 'B'; c'è un determinato giro fatto di poche persone all'interno del quale non entra nessuno. Il potere è in mano a costoro, cinque o sei persone a Longarone, e poi qualche diramazione fuori, cioè altre persone nei posti giusti, perché un sistema del genere non può sopravvivere se non c'è corruzione».
Fonte: Giampaolo Pansa, sul Corriere della Sera del 9 ottobre 1973; sta riportato sul libro della Lucia Vastano. LIBRO CONSIGLIATISSIMO.

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