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Pip 49

I ribelli di San Pietro

di Andrea Segre*

L'idea

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* Regia in collaborazione con Francesco Cressati.


** Non si tratta di illazioni o di accuse pregiudiziali, ma di riferimenti precisi a casi ampiamente documentati da processi e condanne della magistratura, da inchieste giomalistiche e accademiche: si legga a proposito "Il grigio oltre le siepi" di F. Vallerani, o "Ecomafie" di A.Cianciullo e E. Fontana. Inoltre si consiglia anche la lettura ben diversa, ma altrettanto chiara, di "Nordest" di Massimo Carlotto e Marco Videtta.


APPROFONDIMENTI:
www.pattomutuosoccorso.org

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Staffetta Udine-Erto-Roma 2007

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San Pietro, paese con poco più di mille abitanti diviso tra i comuni di Tezze sul Brenta e di Rosà Vicentino, poco a sud di Bassano del Grappa e nel cuore di quell'arcipelago imploso che costituisce il non-luogo metropolitano più industrializzato e più ricco d'ltalla: il centro del Nordest, il triangolo di pianura padana compreso tra le province di Padova, Treviso e Vicenza.
Chilometri di strade provinciali lungo le quali si snocciolano senza soluzione di continuità capannoni, villette, magazzini, gru, cisterne, betoniere e ancora villette. Dietro le loro mura si nascondono mentalità contadine private della bellezza della fatica e abbrutite dall'arroganza di campanilismi ed egoismi, immortalati dalla solida e perfetta alleanza tra l'arrivismo berlusconiano e la grettezza bossiana.
Alleanza che a San Pietro di Rosà detiene il controllo di tutti i diversi tipi e gradi di potere: dal parroco all'imprenditore, dall'assessore al deputato, dal giornalista al consigliere provinciale, dall'artigiano al dirigente regionale. Un tessuto di potere che nella certezza della sua inattaccabilità ha costruito un sistema nascosto di connivenza tra organizzazioni mafiose** e la parte più spregiudicata dell'imprenditoria padana.
Un intreccio rinfrancato e rassicurato dalla nuova stagione dei condoni fiscali ed edilizi, voluti dalla centrale alleanza Bossi-Tremonti-Berlusconi, la triade che negli ultimi dieci anni ha saputo far trionfare l'idea di politica come gestione pubblica di interessi privati. Pip 49 è la storia di come tutto cio' possa ancora essere rifiutato e forse addirittura cambiato.

Pip 49 è la storia di un'inattesa, ma profonda ribellione da parte dei cittadini di San Pietro contro la costruzione della "Val Brenta", la più grande zincheria d'Europa. Cittadini - non militanti di movimenti ecologisti o di minoranze di sinistra - semplicemente cittadini, residenti nelle case offese dalla zincheria, ex elettori leghisti o illusi berlusconiani, risvegliatisi orfani di una cultura contadina totalmente svenduta ad interessi privati di clan imprenditoriali e dei loro club politici.

La zincheria, denunciano i "ribelli" di San Pietro, è uno dei piu' grossi e ben celati affari di ecomafia gestito sulla loro pelle dal connubio tra sei attori: i potenti fratelli Didoné (ingegneri locali diventati negli ultimi dieci anni assessori, sindaci e deputati leghisti), solide strutture camorristiche probabilmente riconducibili al clan Algiza di Napoli, coperture di poteri politici locali e nazionali, silenzi ecclesiastici, ricche strutture finanziarie create 'ad hoc' e connivenze di alcuni settori della magistratura e delle forze dell'ordine. Il presidio San Pietro cerca da oltre tre anni di bloccare la costruzione della zincheria, denunciandone tutte le violazioni edilizie, ecologiche e urbanistiche, nonche smascherandone le finalità di copertura di un grande deposito di rifiuti tossici; collocato, come nella peggiore tradizione ecomafiosa, nelle fondamenta dell'enorme edificio industriale.

Pip 49 racconta, con il linguaggio immediato, ironico e tagliente del cinema-documentario, tre mesi cruciali nella lotta dei cittadini di San Pietro, quelli tra febbraio e aprile 2006, quando, a cavallo delle elezioni in cui Lega e Forza Italla temono per la prima volta una caduta anche in quelle province, il presidio cercherà di bloccare l'apertura della fabbrica, di ottenere nuovi carotaggi (prelievi e analisi di sostanze dal sottosuolo) nel terreno edificato e di far crescere la voce vibrante della propria protesta.

Gli antefatti
Negli anni novanta l'ingegnere Beniamino Didoné, assessore all'urbanistica della giunta leghista di Rosà, prepara il terreno per la conversione in zona industriale di un'area verde nella frazione di San Pietro; area per altro protetta dalla Sovrintendenza come sito di interesse archeologico per alcuni resti di un insediamento paleoveneto. Il progetto viene poi portato a termine nella seconda metà degli anni novanta dal fratello di Beniamino, Giovanni Didoné, divenuto sindaco di Rosà nel 1997: nasce così il Pip 49 (Piano per insediamenti produttivi numero 49), che prevede, grazie a un enorme investimento del gruppo finanziario MedioCredito del Friuli, la costruzione di una gigantesca zincheria proprio in mezzo alle case di San Pietro.

Gli abitanti di quelle case e tutto il paese si organizzano immediatamente in un comitato di protesta, che dà vita al presidio San Pietro, un tendone costruito a pochi metri dal cantiere, per provare a bloccare o almeno rallentare i lavori. Il piano però precede, protetto a tutti i livelli politico-economici (il sindaco Didoné diviene nel 2001 deputato leghista e il fratello, ex assessore, assume il ruolo di ingegnere capo del cantiere per la zincheria): i cittadini del presidio raccolgono prove su prove e denunciano sia l'abuso edilizio (per legge una zincheria non può essere costruita a meno di 500 metri dalle case), sia il traffico di rifiuti tossici legato allo scavo delle fondamenta (confermato dai risultati di un carotaggio, peraltro volutamente mal eseguito dalla Procura di Bassano del Grappa), sia la violazione del sito archeologico.

Le denunce in alcuni casi ottengono anche sentenze positive (come quella del Consiglio di stato sull'abuso edilizio), ma i lavori non si fermano mai: la tensione cresce e si fa molto pesante nell'autunno 2003. Il 21 novembre il comitato ottiene il sequestro del cantiere. Ma due giorni più tardi Stefano Zulian, il presidente del comitato, viene sprangato da ignoti in pieno giorno nel centro di Rosà, proprio mentre si appresta a consegnare i risultati di un referendum cittadino per la separazione di San Pietro dal comune di Rosà. Stefano rimane dieci giorni in coma, ma sull'aggressione i carabinieri aprono un'inchiesta sul mondo dei «bikers» (i motociclisti con Harley-Davidson) che Stefano frequenta per hobby, evitando volutamente di collegarla alla questione del Pip 49. Informalmente l'azione viene invece rivendicata dal potere politico locale: è il padre del sindaco pochi giorni dopo a far sapere in un bar a un altro animatore del comitato che "questa volta è stato colpito il pastore, la prossima volta tocca alle pecorelle".
Pochi giorni dopo, il sequestro del cantiere viene revocato.

La tensione è altissima, e il silenzio mediatico assordante: i ribelli del presidio si sentono ancora più uniti da questa situazione e continuano a lottare, nonostante le minacce si facciano sempre più pesanti e il deserto della paura cresca inesorabile attorno alla loro tenda: alcuni di loro, tra cui anche Stefano, sono costretti a chiudere le proprie attività economiche, altri vengono tamponati in auto da sconosciuti, qualsiasi giornalista cerchi di parlare di loro viene bloccato e infine parte anche una denuncia-beffa da parte del Comune per "abusivismo edilizio" contro il proprietario del piccolo terreno su cui è stato innalzato il tendone del presidio.

Il film
Luogo e personaggi

Una tenda di 20 metri, come quelle dei campi di bocce, questo è "fisicamente" il presidio. All'interno, un nylon lo divide in due. Articoli di giornale appesi alle pareti. Una stufa a legna, per scaldarsi e cucinare. Un frigo. Un tavolo dove si organizzano le cene per autofinanziarsi: soppressa, polenta, grappa, costicine, pasta & fasioi, vino, baccalà, battute, scherzi, serietà, ironia, il tutto amalgamato dalla sapienza culinaria e matronale di Donna Clelia (la più anziana delle donne del presidio). Fuori, al di là della strada, l'immensa zincheria: gialla, spropositata nella sua altezza, minacciosa nel suo roboante silenzio, un'enorme balena di metallo brutalmente incollata alla campagna nebbiosa della devastata pianura vicentina.

Gente di tutte le età gira dentro al presidio: chi si occupa del cibo, chi della legna, chi della pulizia e chi semplicemente di sollevare il morale con battute e simpatia. Anziani, pensionati, ma anche ragazzi. Il presidio è diventato ormai una scelta di vita per chi, come Stefano, Lorenzo e Daniele ha deciso di non accettare l'inaccettabile:

Lorenzo Signori, 50 anni passati, capelli corti, occhi furbi, intelligenza analitica e una sottile vena sarcastica. Lavora al S.e.r.t. di Bassano del Grappa da dove passano circa duemila tossicodipendenti all'anno: "Sono loro i figli dell'angoscia che abbiamo costruito in quindici anni di sviluppo," racconta senza nascondere amarezza. è lui l'anima politica del presidio: Lorenzo è stato sindaco democristiano di Rosà alla fine degli anni ottanta e subito dopo anche consigliere della provincia di Vicenza nelle fila di Forza Italla.
Quando ha iniziato a occuparsi della questione della zincheria, Lorenzo è stato convocato dal collegio dei probiviri di Forza Italla a Padova. Gli hanno chiesto di lasciar perdere la faccenda: lui non ha accettato, ha lasciato il partito e abbandonato la politica, tornando al suo lavoro al S.e.r.t. e mettendo la sua esperienza al servizio del presidio. In pratica si ritrova a lottare contro i suoi ex colleghi di partito. Conosce benissimo i meccanismi del potere e cerca di scardinarli dall'esterno.

Daniele Pasinato, 30 anni, gli occhi colmi di collera. Operaio metalmeccanico. Vicepresidente del comitato. Ha rabbia da vendere. Si sente sbeffeggiato dalle istituzioni che, a detta sua, sono colluse con interessi mafiosi. è molto attivo nel cercare di coordinare la lotta del presidio con quella di altri comitati cittadini veneti e nazionali. Per la fine di febbraio sta organizzando una grande manifestazione nazionale a San Pietro. Per dedicarsi completamente al presidio Daniele ha messo in stand-by la propria vita: "Volevo sposarmi, ma poi ho preferito aspettare".

Stefano Zulian, presidente del presidio e suo malgrado protagonista dell'aggressione nel novembre 2003. 38 anni, un gigante di un metro e 90 per oltre 100 chili; capelli lunghi, pizzetto: sembra un antico guerriero sassone, uscito con disinvoltura dal cast di Braveheart. Panettiere di professione, archeologo per passione: esperto di cultura "paleoveneta", è il custode della chiesetta di San Pietro, sito archeologico simbolo della civiltà celtica nel Veneto paleocristiano. "Questo nostro patrimonio archeologico," spiega mentre illustra gli scavi della "sua" chiesetta, "dovrebbe essere caro al potere leghista e invece lo cancellano per seguire la loro unica anima, quella affarista."
Stefano ha modificato completamente la sua vita per il presidio: dopo l'aggressione ha chiuso il suo negozio di alimentari, si è separato dalla moglie e ora vive solo, sopra il forno di famiglia in cui lavora tutte le notti.

"La nostra lotta è contro gente come i Didoné o il giovane architetto Mirko Campagnolo, delegato dal comune di Rosà alla supervisione del lavori per la zincheria, nonché assessore all'edilizia di un comune limitrofo, nonché spregiudicato immobiliarista i cui affari casualmente stanno crescendo a dismisura in questi anni", racconta Lorenzo. E insiste: "Avete capito con chi abbiamo a che fare?... Noi continuiamo a provocarli, a lanciargli sfide, ma loro sono dalla parte del potere". Non s'incontrano spesso, ma quando lo fanno è una vera lotta: una lotta fratricida, di gente che ha lavorato insieme, che è cresciuta insieme.

Lorenzo, Stefano e Daniele sono convinti di una cosa: la lotta del presidio ormai non è solo contro lo scempio ecomafioso della zincheria, ma è contro un'idea di sviluppo che ha devastato, distrutto e ora anche abbandonato il territorio, le vite e la socialità della regione in cui da sempre le loro famiglie vivono e lavorano. Tutti e tre hanno votato per Lega o Forza Italla nel passato, credendo nella centralità di una crescita economica autonoma, spregiudicata e protetta: ma ora, grazie alla vicenda del Pip 49 hanno capito che tutto cio' porta solo alla distruzione di cio' che nella vita non ha prezzo: salute e serenità.

Eventi
La prima parte della zincheria è stata completata ed è pronta per la messa in funzione. Ma il presidio non si arrende. I loro scopi sono principalmente tre: dimostrare una volta per tutte la presenza di sostanze tossiche sotto la fabbrica; convincere gli operai a non lavorare e far crescere l'attenzione a ridosso della campagna elettorale.
Per febbraio 2006 sono riusciti a ottenere un nuovo carotaggio da parte dell'Asl e dell'Arpav (il tempo dell'attesa dei risultati è di per sè un tempo narrative notevole).
Ma non solo. A febbraio ci sarà una grande manifestazione organizzata insieme ad altri presidi veneti e ai comitati No-Tav della Val di Susa. A marzo la zincheria dovrebbe diventare operativa, gli operai inizieranno a lavorarci e i ribelli di San Pietro hanno già annunciato sit-in permanenti per bloccare gli ingressi. Alla Provincia di Vicenza due consigliere dell'opposizione hanno inoltrato un'interrogazione sulla vicenda alla presidentessa leghista Dal Lago (probabile candidata a sostituire Didoné al seggio parlamentare leghista). Saranno tre mesi di tensione, di speranza, di rabbia, ma anche di convinzione, ironia e sarcasmo. Tre mesi in cui forse qualcosa finalmente cambierà o in cui ancora una volta sembrerà tutto inesorabilmente inutile: "Tutti ci dicono che abbiamo ragione, ma che è inutile," raccontano gli occhi arrabbiati e convinti di Daniele, "ma noi non ci fermiamo, semplicemente perché non possiamo accettare di invecchiare sapendo di esser stati zitti di fronte a tanta ingiustizia".
Nota finale
Quando siamo andati a trovare i ribelli di San Pietro, abbiamo raccontato loro con chiarezza per quale progetto eravamo interessati alla loro storia: loro si sono dimostrati entusiasti, spiegandoci con lucidita e amarezza che cio di cui hanno disperato bisogno e di trovare spazi extraregionali per raccontare e far sapere quanto sta succedendo sulle loro terre. Tramite internet (www.presidiosanpietro.org) stanno cercando di diffondere quanto più possibile le notizie legate alla zincheria, ma la censura che li circonda e molto fitta e ben controllata. "Se fossimo in Sicilia," ci ha raccontato con triste ironia Lorenzo, "potremmo almeno definire tutto cio' mafia, qui non possiamo fare nemmeno questo."

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Sulla zona archeologica Pip 49

Cio' che manca alla lotta del presidio e proprio una voce capace di far conoscere questa storia fuori dai confini protetti di Rosà, per mettere in difficolta chi vorrebbe semplicemente mantenere tutto nascosto tra le nebbie, i capannoni e le sicure villette del ricco Nordest. E d'altronde cio' che manca, a molta parte d'ltalla, è proprio il coraggio e la genuinità con cui il presidio sta facendo della sua lotta un esempio nuovo di azione squisitamente politica che il Paese avrebbe bisogno di (ri)scoprire, per reagire a quello stesso torbido connubio di interessi che ha dato vita al Pip 49 e che controlla troppa parte della politica nazionale.


di Stefano Zulian

La zona archeologica di Brega Pip 49, ora perduta alla visione, consisteva in un insieme di edifici (le loro fondazioni) che testimoniavano due fasi abitative entrambe di estrema importanza per comprendere la storia di Bassano nel periodo che precede la costruzione del medioevale castello in riva alla Brenta. La prima è legata all'edificio n. 1, il più antico. è da questo edificio e dalle vicine fosse riempite dallo spoglio dello stesso in età antica, che proviene l'altare con la pietra per bruciare le offerte e, caso unico al momento nel Veneto, centinaia di pietre (porfidi) con incisioni in buona parte enigmatiche o di figure di uomini. Dopo lo scavo la Sovrintendenza si è ben guardata dal permettere di studiarle ed ha lasciato che finissero in discarica, un patrimonio culturale del Veneto ai suoi primi legami con lo sviluppo del territorio gestito da Roma che andrà perso per sempre.

Seguì un abbandono verso il III° secolo d.C. e un successivo ritorno questa volta come centro di lavorazione di metalli, corna, eccetera, proseguito fino al pieno alto Medioevo, legato al fatto che la zona è all'incrocio tra le più importanti vie di comunicazione antiche (vedi la via di Fontaniva-Bassano, conservatasi fino ai nostri giorni e cancellata per il metanodotto del Pip 49 dai Didoné, sindaco e direttore dei lavori). Di questo periodo sono tre edifici, la tomba rituale di un cavallo e una cisterna perfettamente conservata: questa conteneva oggetti che avrebbero permesso di comprendere anche questa seconda fase, ma la Sovrintendenza alla nostra offerta di finanziamento ha vietato lo studio dei manufatti metallici trovati. L'area, vera occasione di studio della storia di Bassano e di valore assoluto, era di proprietà comunale nel momento in cui illegalmente venne venduta, con l'occhio benevolo e colpevole della Sovrintendenza, ai privati.

Vi è tuttora infatti la volontà di ridefinire il sito solo come una delle molteplici "fattorie" della centuriazione. L'altare e le pietre (offerte votive) delle incisioni non possono invece non rimandare anche alla codificata tradizione e leggenda di Bassano che voleva in San Pietro un tempio-luogo sacro di Diana, mentre la successiva zona artigianale altomedioevale è (era) tra le pochissime scavate nel Veneto.


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