IL VAJONT DOPO IL VAJONT - 1963/2000

INDICE

17 Il Vajont dopo il Vajont, di Maurizio Reberschak

29 Il Vajont come metafora della «nazione infetta», di Daniele Ceschin

51 La «nuova città» e la sua gente: un difficile percorso dal 1963 a oggi, di Luciana Palla

91 La popolazione di Longarone, 1951-2001, di Fiorenzo Rossi

135 L'economia: dalla tragedia alla rinascita, di Giorgio Roverato

167 Identità perduta e assenza dell'urbanistica, di Pier Luigi Cervellati

185 Vicende di amministrazione locale tra centro e periferia (1963-1999), di Ferruccio Vendramini

251 I vissuti religiosi nella tragedia del Vajont, di Gianmario Dal Molin

293 Memorie e dolore a 45 anni di distanza.
Le conseguenze a lungo termine sulla salute psichica e fisica dei sopravvissuti, di Cristina Zaetta, Angela Favaro

329 Gli alfabeti della consolazione. Elementi per una «letteratura del Vajont», di Francesco Piero Franchi

341 Macabro e pietas: la rappresentazione del disastro, di Carlo Montanaro

351 Il dopo Vajont a scuola. Dalla storiografia all'insegnamento, di Ivo Mattozzi

375 Vajont. Un archivio diffuso, di Maurizio Reberschak

495 L'Archivio Vajont. Inventario, di Giovanna Lippi, Daniela Nardecchia

FRANCESCO PIERO FRANCHI

- GLI ALFABETI DELLA CONSOLAZIONE -

"ELEMENTI PER UNA «LETTERATURA DEL VAJONT»"

La terra si è difesa, sul monte Toc: sull'ampio squarcio della sua frana, sul dorso decorticato della montagna, è ricresciuta una foresta, che ingloba le macerie umane scIVolate a valle nell'ottobre del 1963, e che ospita una ricca e sorprendente fauna, oltre che alberi dal bizzarro portamento, inclinati come sono per le conseguenze dell'antica catastrofe; il cancro del Vajont è diventato un'oasi inaspettata, «una foresta storta cresciuta sulla luna»; la chiama così il giornalista-scrittore Toni Sirena, figlio di Tina Merlin: «oggi la frana del Vajont piace ripensarla non più come una luna sterile, ma come un simbolo di vita: della vita che riprende, che rinasce, di una primordiale forza vitale che nonostante tutto vince la morte e il male»1.

Rubo volentieri questa metafora all'amico, implicato come me, anche se molto più di me, nel nodo emozionale del Vajont, delle sue premesse e del suoi postumi; infatti la generosità con cui la natura ha risarcito il paesaggio, nello scorrere del tempo, mi sembra un efficace simbolo di quanto e accaduto, sul piano intellettuale ed estetico, nell'ambito culturale di questo paese, per quanto riguarda il Vajont.

Quindici anni fa, all'interno del convegno 'A trent'anni dal Vajont: disastro e ricostruzione', tenutosi a Longarone nell'ottobre del 1993, e organizzato da quel Comune, ho cercato, con i mezzi e le conoscenze che avevo, e sulla spinta di forti tensioni personali e collettive derivate dell'«evento», di delineare una possibile «storia della letteratura del Vajont»; invocavo il prodursi di qualche opera d'ingegno, di evidente bellezza, di profondità morale che potesse in qualche maniera avviare il «risarcimento estetico» e produrre una consolazione esistenziale, cercavo di evocare lo specifico elemento spirituale che potesse redimere il colossale delitto, cioè che potesse compiere la sua sublimazione in un patrimonio estetico fruibile anche al di fuori della cerchia delle vittime, osservando che dal complesso nodo del Vajont non era ancora emersa sufficientemente questa potenzialità di redenzione che, impedendo di fatto col vincolo di una coscienza chiara e a tutti partecipata, il ripetersi effettivo di simili stragi, ne tramandasse il ricordo nel senso più purificato e purificante, non per continuare a macerarsi nel dolore, ma per crescere nella consapevolezza senza limiti di tempo, generazione, spazio, cultura2.

Non che mancassero, in senso assoluto, opere d'arte ispirate al Vajont, prodotte anche poco dopo la catastrofe3. Recentemente (febbraio-aprile 2008), un'importante mostra a Milano, nelle sale viscontee del Castello Sforzesco, ha esposto circa 250 opere dell'artista svizzero di origine polacca Edmondo Dobrzanski (Zurigo 1914, Lugano 1997): il cuore dell'esposizione era il gigantesco trittico Vajont (cm 240 x 540), un'opera commissionatagli, a catastrofe appena avvenuta, per l'Expo di Losanna del 1964. E numerose opere d'arte ispirate al Vajont sono state, ovviamente, create anche di recente4.

In quel convegno del 1993, comunque, diversi specialisti analizzarono la catastrofe, nelle sue premesse e nelle sue conseguenze, secondo le angolature delle proprie competenze; un lavoro che non può avere limiti, tanto è paradigmatico il Vajont, nelle sue implicazioni tecniche, ambientali, scientifiche, politiche, economiche. E anche culturali, intendendo con questa parola non un semplice insieme di nozioni o di stilemi, ma una viva presa di posizione morale, espressa intenzionalmente con procedure d'arte.

C'era, al fondo, una indignazione di base, una delusione, poiché, subito dopo il disastro, il nostro più famoso artista, lo scrittore Dino Buzzati, privilegiato fruitore - per diritto di stirpe - della storia, del paesaggio e delle ricchezze di questa provincia, mise la sua notorietà e le sue capacità espressive al servizio della tesi industriale di una catastrofe generata dalla malvagità della natura, dalla fatalità, dal caso, occultando così l'evidenza della rapacità, dell'imprevidenza, dell incapacità tecnica di coloro che misero in moto la macchina distruttiva.

In quel contesto, con una certa solennità, ho cercato, contro questa difficoltà morale del Buzzati di riconoscere il reale contesto di responsabilità, altre testimonianze letterarie, a partire dalla Ginestra di Leopardi: da un antico aristocratico bellunese di più salda coscienza morale6; all'opera contemporanea, e molto solidale, oltre che efficace, di Andrea Zanzotto7. Ma il punto di partenza più alto lo avevo trovato nell'intervento straziato di Silvio Guarnieri, un intellettuale feltrino, cattedratico di letteratura italiana8; scritto nel 1963, a ridosso della ferita collettiva e personale, le sue pagine contenevano in nuce le tesi essenziali:

Il dolore non ha misura; gli affetti non possono essere calcolati sulla bilancia; in tal senso i confronti rischiano di essere sempre ingiusti, avventati. Ma la vita, la condizione umana può essere considerata secondo una misura; essa stessa è sottoposta ad una misura. E noi possiamo comprendere, dobbiamo comprendere quale sia la misura della vita di questa gente, e per essa arrivare a renderci conto del dolore senza compensi, della disperazione dei sopravvissuti; [...] ora si sentono soli, definitivamente soli, senza la minima, senza nessuna possibilità di un compenso, di un rifugio. [...] Davvero l'uomo ormai si sentirà in balìa di una forza estranea, del caso: sentirà intorno a sè un mondo assolutamente indifferente, incapace di accoglierlo.

E questa convinzione gli diventerà sempre più precisa, inevitabile in questi giorni, quando, dopo il primo empito straziante del dolore che toglie pure la facoltà di pensare, sarà costretto a ricercare la causa, la causa prima, diretta della sua sciagura. In questi giorni egli vedrà intorno a sè tutto un corteo di autorità, dal prefetto al questore, al presidente del Consiglio dei ministri, al presidente della Repubblica; [...] sentirà parlare di progetti per il suo avvenire, ed anche ascolterà di denuncie e di sopralluoghi e di inchieste; e dell'intervento della magistratura. E tante promesse lo frastorneranno e pure dovrà ringraziare e mostrare ficlucia e ricambiare l'aiuto con l'affidamento. [...] Ma dentro di lui, fonda, ineliminabile, resterà una prima interrogazione, una prima certezza: quella di essere stato escluso, di essere stato ingannato; e con se sentirà inevitabilmente esclusi ed ingannati tutti i suoi morti, tutti i morti dei suoi paesi, e tutti i sopravvissuti.

Egli non potrà non ricordare i timori, le preoccupazioni, l'ansia tante volte, insistentemente, continuamente ripetuti, affermati, ricorrenti; sin dall'inizio, sin da quando la grande diga era stata progettata, e per tutta la durata dei lavori, e negli ultimi tempi, su di lui, su tutti gli abitanti del suo paese era gravato come un incubo; ed a tutti era ricorso, a tutti aveva fatto appello, da tutte le autorità aveva chiesto difesa, protezione; proprio da quelle autorità che ora sono accorse e che gli offrono comprensione e conforto.
Quanto si era fatto, si era fatto senza di lui, al di fuori di lui, e addirittura contro di lui, anche se si era affermato che l'opera doveva servire a lui e gli veniva offerta per suo vantaggio, per migliorare, per favorire le sue condizioni.

Nella semplicità del tessuto discorsivo, è qui evidente l'intenzionalità poetica, la commossa ricerca della precisione espressiva connessa con l'evocazione psicologica ed emotiva; ed è tuttavia un testo politico, di impegno civile e morale; qui l'intellettuale sta facendo appunto, il suo lavoro, quello che il ben più famoso, ben più vezzeggiato (e remunerato) Buzzati non volle (o non seppe?) fare.

Ho cercato anche, in quella prima relazione al convegno del 1993, di mettere in luce le valenze «narrative» di alto valore che avevo riscontrato nei testi, al limite tra il tecnico e il letterario, di Mario Passi9, Armando Gervasoni10, e nell'orazione di Sandro Canestrini11; c'erano anche delle esperienze liriche locali, in forme diverse, compresa «l'elegìa civile» di stampo pasoliniano12.

In un campo più intenzionalmente narrativo, c'erano da segnalare, collocabili a differenti livelli di apprezzamento, Giuseppe De Vecchi13, Fiorello Zangrando14, Felice Filippin Lazzeris15 e, soprattutto, quello che allora conoscevo essere l'unico autore che avesse come posto come nucleo essenziale di un suo romanzo la catastrofe del Vajont, e avesse raggiunto livelli estetici apprezzabili, Giovanni Cibotto16.

Faccio qui ammenda di una mia pregressa ignoranza, poiché non conoscevo l'esistenza dell'opera di Giuseppe di Ragogna, che risulta ora essere stato il primo a produrre un testo di letteratura intenzionale ispirata al Vajont, e con motivazioni etiche17. E parimenti non conoscevo un romanzo di Carlo Sgorlon, di affine tematica e intento18.

Naturalmente, il pilastro portante di ogni scrittura letteraria sul Vajont rimane l'opera di Tina Merlin, nelle sue varie edizioni19: la lucidità d'indagine e la passione civile trasformano spesso l'inchiesta giornalistica in una memorabile scrittura, assai personale; della sua dimostrata efficacia e inutile dire, e comunque da lei partono poi le operazioni teatrali e cinematografiche successive.

I quindici anni che sono passati da quel convegno sono stati molto fruttuosi: l'inseminazione intellettuale operata da Tina Merlin, e dai numerosi studiosi del «caso Vajont», alcuni dei quali sono dei veri e propri specialisti, e operano tutt'ora, hanno finalmente rotto l'incrostazione di rimozione e amnesìa tipica di società distratte come la nostra (rimozione e amnesìa peraltro favorite con ogni mezzo da tecnici, imprenditori, finanzieri e politici implicati nella catastrofe).

Il corto circuito tra l'intensità emotiva e politica dell'opera di Tina Merlin e la capacità interpretativa e l'indignazione civile di Marco Paolini ha finalmente prodotto lo choc mediatico che ha restituito alla coscienza di massa degli italiani, e alla critica sociale, questa parte della loro storia20; la sera del 9 ottobre del 1997 l'attore e regista di origine bellunese inchiodò davanti al video tre milioni di telespettatori con la sua «orazione civile»21 e parte da qui la diffusione di conoscenza, la «popolarità» del tema Vaiont, la presa di coscienza: l'Italia ha cominciato finalmente ad adottare le vittime, e a rendersi conto delle tremende implicazioni del «caso Vajont», implicazioni di ordine etico, tecnico, sociale, politico, in ispecie riguardo al predominio dell'interesse privato sul bene comune, e al cinismo industriale.

I giovani, soprattutto, integrano il Vajont, della cui storia complessa forse ignorano i dettagli ma di cui hanno benissimo capito i significati generali, nel loro orizzonte immaginario; non ci sono solo le scelte di studio, che conducono a tesi universitarie sull'argomento (in attinenza sia al fatto idrogeologico o economico-sociale, sia a quello della trasformazione in spettacolo, anzi in didassi dello spettacolo)22, ma amplissima è la pubblicistica sulla rete web: il veicolo internet, connaturato alle attuali generazioni, e strumento per loro ovvio, a metà maggio del 2008 presentava 262.000 risposte dedicate al Vajont e agli argomenti connessi23; si fanno qui interessanti scoperte (che sono tali, ovviamente, soltanto per studiosi di obsoleta attrezzatura come noi siamo): oltre ai più vari elementi di memorialistica24, e temi offerti al dibattito25, anche per studiare meglio disastri analoghi26, si può avere anche il felice incontro con la musica giovanile dedicata, con serietà e lirismo, al Vajont27.

Sul web è anche esposto e presentato l'attuale EcoMuseo Vajont 'Continuità di vita' - collocato a Erto - il cui responsabile scientifico è Marco Tonon. Sempre sul web, è presente la vivace Associazione culturale «Tina Merlin», costituita dopo la morte della giornalista-scrittrice, per impulso dei suoi amici ed estimatori, e che ogni anno propone e conduce più eventi legati agli orizzonti culturali e sociali a cui si ispira, e che erano quelli difesi e condivisi da Tina28.

Ma il massimo della visibilità, anche in sede internazionale, il Vajont l'ha avuto con il film del regista Renzo Martinelli29, che (oltre agli attori professionisti) ha coinvolto come interpreti molti abitanti del comprensorio del Vajont, direttamente implicati nelle più varie maniere con l'evento trattato; il successo non è stato solo locale, e la emozione si è accompagnata alla descrizione dei fatti, quasi sempre lucida (anche se con qualche reticenza nei contenuti politici e qualche elemento retorico nella rappresentazione): la battaglia iTina Merlin si intreccia con una storia d'amore spezzata, e rimangono impresse immagini assai forti. L'efficacia di questo film è stata incomparabilmente più energica, nel risvegliare coscienze, di quanto abbia potuto fare il vecchio documentario di denuncia civile rea lizzato un mese dopo il disastro30.

Il film di Martinelli, per quanto riguarda il «risarcimento estetico», non ha corrisposto pienamente a ciò che auspicavo nel convegno del 1993 («Ci sono già testi di drammaturgia sul Vajont: ci vorrebbe un ottimo film che non insista tanto sulle questioni civili quanto sulle enigmatiche alleanze che collegano sempre la bellezza con la morte o con la nostalgia»); ma forse sbagliavo io, sottovalutando l'esigenza primaria e popolare di un «racconto» naturale, immediato e coinvolgente per identificazione: e tutti gli siamo grati per aver dato alla nostra terra martirizzata, e ai nostri cari scomparsi, luci e volti intensi, in un'operazione artistica dal chiaro intento catartico.

Oltre a questo racconto filmico, è bene segnalare anche un racconto «coreografico», che arricchisce la serie degli strumenti e degli interventi destinati al «risarcimento estetico»: e inserito nel programma Filo d'Arianna - Festival 200S, il cui significativo sottotitolo è 'Territorio di Emozioni'31; stiamo parlando di uno spettacolo di danza, così presentato: «attraverso la danza si restituisce voce alle vittime di un disastro annunciato, quello del Vajont; una donna riscatta il proprio diritto all'essere e diventa il simbolo della vita oltre la morte»".

La «storia della letteratura» del Vajont, dopo il 1993, è ovviamente e fortunamente continuata, tanto nel percorso tecnico-scientifico o economico sociale33, o urbanistico-estetico34, quanto nel percorso più propriamente letterario; entrerebbero, in questa «storia», anche i pezzi giornalistici, che spesso hanno avuto e hanno dignità e durata maggiori di cià che la semplice cronaca richiede, indipendentemente dal fatto che gli autori si siano collocati o si collochino tra i «fatalisti» o i «responsabilisti»: un buon riepilogo di quarant'anni di «cronache all'ombra della diga» lo ha composto una giovane giornalista bellunese che si è, tra l'altro, laureata a Bologna con una tesi su Tina Merlin".

Ma restando nella narrativa, o nella prosa intenzionalmente letteraria, questi quindici anni hanno prodotto opere che val la pena segnalare; non sono organizzate strumentalmente come le opere tecniche, e il loro statuto letterario e talora incerto, oscillando tra memorialistica36, prosa poetica37, racconto onirico, fiaba... Cercando di seguire approssimativamente un ordine cronologico, si incontrano resoconti sul lato umano della vicenda38, anche con temi intimistici39; composizioni guidate attuate da gruppi di ragazzi, con lo scopo dichiarato di attenuare l'impatto traumatico della vicenda mediante il racconto fiabesco («ai bambini del Vajont i cui dolcissimi sogni sono stati trafitti al primo volo e i cui nomi sono nel cuore di tutti»)40, o la drammatizzazione operata dagli scolari41; riscritture, rimeditate, di vecchi «classici» del Vajont42; nuclei narrativi nascosti in articoli apparentemente di documentazione, ma che sono in realtà allettanti canovacci per romanzi, con trame e suggestioni gotiche45; sviluppate poi, anche se in esse restano solo labili legami reali con la vicenda del Vajont (più che altro un richiamo di oscure catastrofi), addirittura in romanzi di fantascienza44.

Talvolta la produzione di testi è locale, e si rivolge principalmente a interlocutori privilegiati, che hanno ben vivo il ricordo della catastrofe e il senso di appartenenza alla comunità longaronese45.

Una menzione a parte merita Gianluca Casagrande, romano di origini bellunesi, che a ventisette anni ha pubblicato un libro impegnativo46, anche come lunghezza, un «romanzo di formazione», come si diceva un tempo, a partire da suggestioni ricevute da altri (non ha vissuto né il Vajont né la ricostruzione, essendo nato nel 1974; la sua formazione classica gli consente variazioni stilistiche, nel tono, nel ritmo e nell'invenzione; l'autore ci tiene a ribadire che ha scritto un romanzo, solo un romanzo: «questo libro non ricostruisce eventi accaduti e non può essere utilizzato in sede documentaria per la dimostrazione di asserti, teorie o ipotesi». È ovvio che sotto c'è un accurato studio dei fatti, ed è anche ovvio che l'autore, che non è inesperto degli statuti letterari, si senta obbligato (se vuol restare nel campo della letteratura) a «mostrare» una vicenda, una realtà, non a «dimostrarla».

Il pezzo forse più interessante di questa collezione, per la biografia e il carattere personale dell'autore, per il suo variegato e ampio curriculum di scultore, narratore, alpinista, personaggio locale a metà tra serietà di impegno e folclore di autorappresentazione, e un'opera recente di Mauro Corona47, in cui sei personaggi dentro un'osteria discutono, davanti ad abbondante vino, delle responsabilità del Vajont: il centro polemico principale sembra essere una certa predisposizione di taluno a farsi «superstite di professione», ma l'autore ha in mente molte altre cose, seguendo la ricchezza di idee (rubate a terzi, nota di T. Dal l'arra) che gli è abituale.

L'autore, che talvolta assomiglia molto a qualcuno dei suoi personaggi, quando scrisse questo testo era già reduce da forti polemiche con diversi e significativi protagonisti della vicenda Vajont: polemiche forti, e di sapore amaro, soprattutto per chi sa con quanta vigorìa Mauro Corona aderisca, tanto con la ragione quanto con la passione, ai valori e alle memorie della sua terra (che è poi anche la nostra, anche se non siamo così pittoreschi come lui)48; personaggio eccessivo e forse talvolta incauto, vittima ideale, dunque, delle trappole mediatiche di ben più scafati cerimonieri della stampa e della televisione (soprattutto di stampa e televisione per passione o convenienza aderenti al potere), a questo interessante autore gioverebbe forse un po' più di meditazione (e di studio su taluni delicati argomenti), anche ai fini delle sue intraprese letterarie.

A giudicare dall'uso quotidiano, il termine «Vajont» è ormai entrato nel lessico abituale della stampa o della pubblicistica per indicare qualunque evento catastrofico per sovrabbondanza e collasso di materiale, in senso figurato, con connotazioni talvolta irriguardose: l'ultimo recente esempio si trova in una intercettazione telefonica in cui, in questo maggio, un responsabile della pessima gestione della nettezza urbana in Campania dice che, se attuerà una certa procedura di stivaggi, ne conseguirà «un vajont di liquami». Detestabile l'uso del termine in quel contesto di inciviltà pubblica e privata, ma assai politicamente comprensibile: anche i colpevoli, e non solo le vittime, hanno imparato cosa significhi l'intreccio malvagio di prevaricazioni, uso privato di beni pubblici, incuria tecnica, incompetenza scientifica, ignavia politica; speriamo che sentano ben dentro, anch'essi, quel sordo rumore, quella paura senza nome, senza possibile misura, anche se, data la loro etica e i limiti della loro intelligenza, per loro non può esserci «risarcimento estetico».

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1 Toni Sirena, La foresta storta che è rinata sulla luna, «Corriere delle Alpi», 11 giugno 2008.

2 Francesco Piero Franchi, La letteratura del Vajont. Note su un trauma collettivo, un dolore privato e un debito estetico, in Disastro e ricostruzione nell'area del Vajont, a cura di Ferruccio Vendramini, Comune di Longarone, Longarone, 1994, pp. 69-75.

5 Tra le molte pregresse iniziative pubbliche, senza considerare le opere spontaneamente e individualmente prodotte, c'era stata, nel 1993, una mostra collettiva di pittura e scultura patrocinata dai Comuni di Longarone e di Mel, Vajont: 1963-1993.

4 Marco Campigotto, L'onda sulla Pietra del Vajont, «Corriere delle Alpi», 23 luglio 2005. L'articolo descrive un'opera dello scultore Roberto Longhin, 6 quintali di pietra vicentina in forma di onda che termina in un «costato di legno» reperito sul fondo del lago del Vajont, vicino a un masso anch'esso conservato a Vellai, al Museo dei sogni.

5 Dino Buzzati, Natura crudele, «Corriere della Sera», 11 ottobre 1963.

6 Giuseppe Urbano Pagani-Cesa, Il terremoto di Messina, in Poesie, n, Carlo Palese, Venezia 1782-1783, pp. 41-56.

7 Andrea Zanzotto, Filo, Edizioni del Ruzante, Venezia 1976.

8 Silvio Guarnieri, Compianto per i morti del Vajont, in Cronache feltrine, Neri Pozza, Vicenza 1969, pp. 167-175 (edizione originale 1963).

9 Mario Passi, Morire sul Vajont, storia di una tragedia italiana, Marsilio, Padova 1968; poi rioreso in Vajont senza fine, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2003.

10 Armando Gervasoni, Il Vajont e la responsabilità dei manager, Bramante, Milano 1969. Questo testo deriva dal precedente romanzo di Gervasoni, Le ombre di Erto e Casso, Giordano, Milano 1967, e pubblicato poco prima che l'autore morisse in un incidente; compaiono in questo testo, molto duro, i concetti del «secondo Vajont», cioè il disastro morale seguito alla strage, i «superstiti di professione», il «mercato» del lutto, l'impossibilità della giustizia, il pietismo.

11 Sandro Canestrini, Vajont genocidio di poveri, Cultura Editrice, Firenze 1969 (ristampato da Cierre, Verona 2003); è un testo potente per lucidità giuridica, capacità oratoria, e possesso stilistico della lingua, con forte tensione etica, come possono dimostrare pochi esempi: «la misura di tutto, della scienza, come della propria vita, sono i bisogni dei più diseredati dei fratelli umani», «ho guardato, e vi ho fatto guardare, il nemico in faccia: come è nato il monopolio elettrico, come si è sviluppato, come ha agito», «idoli consumistici senza ideali, senza speranze, senza vitalità creatrice», «ristabilire il valore primario ed insostituibile della vita di fronte a qualsiasi feticcio del profitto o del progresso tecnico».
Una più ampia recensione in Francesco Piero Franchi, Vajont, processo al potere. Un'arringa di Canestrini, atto d'accusa contro la politica, «Corriere delle Alpi», 10 settembre 2003.

12 Gianluigi Secco, Canta roversa. Cante, Belumat Editrice, Belluno 1978; e Francesco Piero Franchi, Cari compagni mandatemi del veleno, «Rivista Bellunese», III, 8, 1976, pp. 39-41.

13 Giuseppe De Vecchi, Gente viva, Tarantola Editore, Belluno 1976.

14 Fiorello Zangrando, Vajont: memoria di una distruzione, Tamari, Bologna 1973.

15 Felice Filippin Lazzeris, Vajont. Leggende, stone, cronache, Cavallotti, Milano 1983.

16 Giovanni Cibotto, Stramalora, Marsilio, Venezia 1982.

17 Giuseppe di Ragogna, Belvedere sulla diga, Fratelli Cosarini, Pordenone 1964; ristampato con il nuovo titolo Vajont. Un grande romanzo dimenticato, Biblioteca dell'Immagine, Pordenone 2001.

18 Carlo Sgorlon, L'ultima valle, Mondadori, Milano 1987: narrazione con le usuali chiavi immaginative di Sgorlon, sulla sacralità della terra, il timore del progresso, la critica alla presunzione scientifica, la vendetta della natura (attuata dall'Orcul, in forma di frana e onda), incerte conclusioni sulle colpe.

19 Tina Merlin, Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont, Cierre, Verona 1997 e 2001 (ma prima edizione presso La Pietra, Milano 1983, col titolo Sulla pelle viva. Il caso del Vajont; seconda, presso Il Cardo, Venezia 1993, col titolo Vajont 1963. La costruzione di una catastrofe, con prefazione di Giampaolo Pansa: questa edizione era stata pensata soprattutto per le scuole, e difatti era corredata da un ampio eserciziario, 'Il lavoro sul testo', a cura di Giovanna Doglioni e Francesco Piero Franchi).

20 C'erano già stati esperimenti di drammatizzazione del Vajont, per opera dell'attore bellunese Sandro Buzzatti; un dramma in due atti, ambientato nella stazione di Longarone alle ore 20 del 9 ottobre 1993, e che ha come personaggi inquietanti le vittime del disastro, rievocate in forma fantasmatica, è stato scritto da Maurizio Donadoni, Memoria di classe. Franco Di Mauro, Napoli 1994

21 Dichiaratamente tratto dall'opera di Tina Merlin, lo spettacolo è stato poi edito in testo e video: Marco Paolini, Vajont 9 ottobre '63. Un libro e un video, Torino, Einaudi, 1998: ripreso più volte, anche a fini didattici, per esempio il 2 marzo 1998, nell'aula Absidale di Santa Lucia: Marco Paolini, Quaderni su Vajont e altre storie. Conferenza-spettacolo sulla preparazione de «Il racconto del Vajont», a cura di Gerardo Guccini, facendo riferimento a Marco Paolini - Gabriele Vacis, Il racconto del Vajont, Garzanti, Milano 1997 e 2003.
La registrazione, in cassetta VHS, della diretta su Rai2 dalla diga del Vajont è stata diffusa anche come inserto giornalistico per «l'Unità», con l'accompagnamento del testo di Tina Merlin (nella terza edizione), per una produzione ElleU Multimedia nel 2000, e con il copyright dell'Associazione «Tina Merlin» di Belluno.

22 A puro titolo di esempio, e senza alcuna pretesa di completezza:
- sulla «teatralizzazione» dell'evento del Vajont: Lorenza Pozzi, Marco Paolini tra cronaca e orazione civile, tesi di laurea, Università degli Studi di Pavia, relatore Sisto Dalla Palma, a.a. 1997-1998; Cecilia Padula, Baliani, Paolini, Curino: il racconto in televisione, tesi di laurea, Università degli Studi di Roma La Sapienza, relatrice Gioia Ottaviani, a.a. 1999-2000 (sul «teatro di narrazione», «cantastorie del Duemila», «una forma espressiva detta "seconda oralità elettronica" che in qualche modo restituisce al teatro l'originaria funzione comunitaria»);
- Mauro Favaro, NarrAttori, un'orazione civile, politica e laica, tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, relatore Bruno Voglino, a.a. 2006-2007 (tra le parole chiave: Teatro Vajont Paolini).
- Sul complesso intreccio industriale e sociale, Stefano Lionetti, Conseguenze sul territorio, economia e popolazione dello sfruttamento idroelettrico del Bacino del Piave: il caso del Vajont, tesi di laurea Università degli Studi di Roma La Sapienza, relatore Giorgio Spinelli, a.a. 2001-2002 (ove si tratta di «azzardo criminale dell'uomo nei confronti della natura»).

23 Motore di ricerca Google.

24 Talvolta con significative e originali testimonianze, come per esempio una frase (a proposito della diga del Vajont ancora in costruzione) detta da Terenzio Arduini, che fu nominato sindaco immediatamente dopo la catastrofe, ai suoi congiunti romagnoli (gli Arduini venivano da Cattolica, tramite il padre di Terenzio, Cesare, che militò sul Piave nel 1915-1918 e sposò la cadorina Dosolina, fermandosi con lei a Longarone): «Ci vedrete arrivare nell'Adriatico come una morìa di pesci d'acqua dolce in acqua salata».
E in un racconto di Antonio Barbieri, Vajont, cattolichini travolti, «La Piazza della Provincia. Mensile d'informazione della Provincia di Rimini», messo in rete il 9 ottobre 2006 (www.lapiazza.rn.it/).

25 Tra i moltissimi, Alessandro Annovi, La frana del Vajont. Un fenomeno naturale trasformato dall'uomo in tragedia (che mette in esergo l'infelice e famigerata espressione di Dino Buzzati, incipit del suo articolo sul «Corriere della Sera», 11 ottobre 1963: «Un sasso è caduto in un bicchiere, e l'acqua è uscita sulla tovaglia. Tutto qua. Solo che il sasso era grande come una montagna, il bicchiere alto centinaia di metri, e giù sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi». Annovi commenta, nel suo testo: «l'assurdità della continuazione dei lavori in queste condizioni di rischio diventa spiegabile, se si tiene conto degli interessi in gioco con la costruzione della diga». Cfr. http://associazioni.monet.modena.it.

26 Per esempio, il disastro di Molare «seconda prova d'orchestra della catastrofe del 1963», avvenuto il 13 Agosto 1935, e poco noto al pubblico; cfr. http://www.molare.net/Itinerari/Vajont.
"Seconda" in quanto cronologicamente successiva alla catastrofe del Gleno (1 dicembre 1923). "Prove d'orchestra" (definizione originale di Dal l'arra Tiziano, di www.vajont.org) in quanto le stesse insipienze tecniche, logiche di profitto e omertà amministrative prefigurano in tempi e luoghi diversi la strage mafiosa/capolavoro a firma della SADE. E del (mal)governo del tempo.

27 Federico Marchioro, «Ritorno al Vajont», canzone con video: un resoconto di un suo pellegrinaggio al Vajont, riportato il 7 agosto 2007 su http://federicomarchioro.wordpress.com (c'era già stato nel 2003; l'autore afferma: «in questi ultimi anni la storia del Vajont è uscita da uno del tanti ripostigli della nostra storia nazionale», e usa la frase-emblema di Tina, «sulla pelle viva»).

28 Cfr. www.tinamerlin.it; tra le attività del 2007, l'associazione ha organizzato l'incontro del 13 gennaio tra l'attore Marco Paolini e gli studenti all'I.T.I. «Segato» di Belluno; il 9 febbraio la presentazione del libro di Bruno Pittarello, Le pietre del Vajont, Cierre, Verona 2006; 8-11 ottobre 2007, all'Università Ca' Foscari di Venezia, proiezione del film Vajont in inglese a 33 studenti di scienze ambientali di tutta Europa; il 12 ottobre 2007 organizzazione dello spettacolo teatrale 'Benedetta acqua e terra' con la Compagnia «Passinversi» diretta da Carlo Pasqualin, tratto dal libro di Mauro Corona, Vajont. Quelli del dopo, Mondadori, Milano 2006, con l'intervento dell'autore, a Belluno, Centro «Giovanni XXIII.

29 Renzo Martinelli, Vajont. La diga del disonore, anno di produzione 2001, 116' (poi anche nelle edicole, Vajont, libro e film in DVD, Valter Casini, Roma 2004)

30 Luigi Di Gianni, 2000 condanne. La tragedia del Vajont, Unitelefilm, Roma, 1963/4 sembra ormai introvabile.
Ancora una volta, www.vajont.org viene in aiuto

31 Filo d'Arianna - festival 2008 - Territorio di emozioni XIV edizione, Belluno - Auronzo di Cadore, direzione artistica di Daniela Nicosia.

32 Eppure sono... più del nulla, di e con Laura Zago.

35 A titolo di esempio, tra molti altri che pure meriterebbero di essere citati: Giulio Cesare Carloni, Il Vajont trent'anni dopo. Un geologo, Clueb, Bologna 1995; Nicola Walter Palmieri, Vajont, Stava, Agent Orange. Il costo di scelte irresponsabili, Cedam, Padova 1997 (l'autore dirigeva l'ufficio legale della Montedison, e usa qui la sua competenza per la critica delle sentenze del Vajont).

34 Martina Toffolo, Vajont: monumento e spazi espositivi. La monumentalizzazione della memoria, Studio LT2, Venezia 1998.

35 Elisa Di Benedetto, La diga di carta. Giornali e giornalisti sul Vajont, Edizioni «Civiltà dell'Acqua», Mogliano Veneto 2004.

36 Colloco intenzionalmente qui, malgrado i suoi contenuti tecnici, l'opera di Edoardo Semenza, La Storia del Vajont raccontata dal geologo che ha scoperto la frana, Tecomprojet Editore Multimediale, Ferrara 2001 (n.e. a cura di Michele, Paolo e Pietro Semenza, K-Flash, Ferrara 2005), poiché l'autore interagisce anche con opere di tipo letterario sull'argomento, e ha un'evidente volontà di «narrazione» anche intimistica.

37 Bruno Pittarello, Vajont ottobre 1963, Cierre, Verona 2004; l'autore, che aveva già dedicato all'evento Vajont parole nuove (Associazione Pro loco, Longarone 2003), si serve di una prosa poetica che diventerà usuale nelle opere successive, costituendo la sua personale cifra stilistica.

38 La notte del Vajont. Storie di solidarietà, a cura di Franco Cadore, Ediesse, 1998.

59 Elda Deon Cardin, Così lontano, così vicino [,..], Edizioni Pulchra, Belluno, Viviana Vazza, Scarpette di vernice nera, Sovera Multimedia, Roma 2002; Teresa D'Incà, Din don le canpane de Longaron... Il Vajont raccontato da una maestra ai suoi alunni di quel tempo, Comune di Longarone, Longarone 2003; Paolo Munarin, Acqua luce bum! Il Vajont che non ricordo, Munarin - Abografica, Ponte nelle Alpi 1997; Arrigo Galli, Marino Bez, L'ultima valigia, Famiglia ex-emigranti, Longarone 2003.

40 Luigi Dal Cin, La fiaba del Vajont ideata dai ragazzi di Longarone con i loro insegnanti, con illustrazioni di Arianna Papini, Fatatrac, Firenze 2003, visibile anche in http://www.ilpaesedeibambinichesorridono.it. Una lettura decisamente critica di questa "fiaba" è rintracciabile su www.vajont.info

41 Citiamo solo due attività, una di ragazzi di Bergamo e l'altra di ragazzi di Trichiana. Per la prima, si veda Michela Fregona, Il Vajont recitato dai ragazzi, «Corriere delle Alpi», 28 ottobre 2004: i ragazzi della scuola di Nese, in provincia di Bergamo hanno lavorato due anni sul caso a partire da Sulla pelle viva, hanno poi messo in scena il loro spettacolo a Erto, con la presenza anche di sopravvissuti al disastro: «non credo di avere mai pianto tanto in vita mia» ha detto l'insegnante che ha guidato i ragazzi.
L'attività di Trichiana, recentissima, era nell'ambito delle manifestazioni proposte per la XVIII edizione del premio letterario nazionale. Martedì 3 giugno 2008, alle ore 21, nella piazza di Trichiana gli alunni della 5a B hanno presentato: Vajont: noi non c'eravamo, possiamo solo immaginare e interpretare così, a modo nostro...
Il commento-presentazione sul programma dice:

«La tragedia del Vajont ha ispirato molti scrittori e riempito d'inchiostro infinite pagine, ma pochi hanno scelto di concentrare la loro attenzione sui bambini che hanno vissuto in prima persona tale esperienza, per dare voce e risalto ai loro ricordi, alle loro emozioni, ai sentimenti che si sono scatenati e susseguiti in loro prima, durante e dopo tale avvenimento. [...] Noi alunni della 5a B abbiamo voluto aprire ed esplorare alcuni cassetti dove sono stati custoditi per tutto questo tempo aspetti e vissuti troppo personali a volte per essere svelati, di quei bambini che hanno subito in prima persona la tragedia del Vajont. [...] Ricordi che alcuni di quelli che hanno proseguito il cammino hanno rivolto a coloro ai quali il cammino è stato interrotto».
42 Passi, Vajont senza fine, cit.

43 Paolo Rumiz, Lo spettro della corriera-fantasma tormenta la memoria del Vajont, La Repubblica, 17 giugno 2002: un suggestivo articolo, pieno di evocazioni com'è nello stile dell'autore, anticipato da una nota di Alessandra Longo, Vajont, «la Repubblica», 15 giugno 2002; c'è chi sostiene che nel disastro del Vajont sia stata coinvolta anche una corriera che infelicemente transitava in zona, piena di turisti tedeschi o olandesi; il veicolo sarebbe rimasto sepolto sotto le ghiaie, finché qualcuno, cercando con una scavatrice rottami di ferro, non l'avrebbe ritrovata con i suoi corpi dentro, e terrorizzato, l'avrebbe risepolta:

«Una corriera olandese, o forse tedesca, che nessuno vide [...] ma che sarebbe ancora là sotto, nel sarcofago di ghiaie. Una fatamorgana, dicono in tanti. Un'ombra immaginaria uscita da un buco nero della memoria, [...] è come se Longarone avesse deciso di farsi ancora del male. [...] I sopravvissuti - intervistati da Rumiz - hanno una luce piatta negli occhi, la luce di chi conosce la fatica della memoria; [...] tra i corpi delle vittime fu ritrovata una donna bionda con gli occhi azzurri [...] gambe depilate e le unghie con la lacca. Nel timorato Veneto anni '60 non ne hanno mai viste di donne così. [...] Di certo, deve venire da un paese libero. [...] Nessun paese straniero lamenta dispersi. [...] Sulla valle tira la stessa aria del delitto di Alleghe a 13mila giorni dalla tragedia».
44 Tullio Avoledo, La ragazza di Vajont, Einaudi, Torino 2008, in cui è questione della camera 212 di un certo «Hotel Vajont» costruito dopo la tragedia e poi abbandonato, in un deserto paese friulano, con memorie tormentate e oscure minacce, con rappresaglie islamiche con cadaveri che tornano a vivere. L'autore, friulano, è nato nel 1957, e ha già avuto felici risultati editoriali. Cfr. http://www.zam.it, sub voce.

45 Ad esempio: Viviana Capraro, Renzo Bristot, Vajont. Itinerari nel cuore della storia Tarantola, Belluno 1998; Vajont. Il respiro della memoria, a cura di Viviana Capraro, Comune di Longarone, Longarone 1998; Vajont. I volti del dolore, a cura di Viviana Capraro, Comune di Longarone, Longarone 2000. Questa autrice lavora anche producendo versi di commento-accompagnamento per i concorsi fotografici organizzati dal Circolo fotografico di Longarone che prende il suo nome in onore di Bruto Recalchi, fotografo; e evidente l'intento di un «recupero, di rilevanza documentale e storica, della memoria visiva - altrimenti perduta - di un territorio completamente cancellato dalla tragica ondata del Vajont».

46 Gianluca Casagrande, Storia di un lago e una montagna. Un racconto del Vajont, Stango, Roma 2001.

47 Corona, Vajont: quelli del dopo, cit.

48 Polemiche innescate da un'intervista di Mauro Corona, Sulla tragedia del Vajont dalla sinistra solo speculazioni politiche, «Libero» 9 ottobre 2005 e segnalata all'Avv. Peppino Zangrando da Dal l'arra Tiziano di www.vajont.org; c'erano già tracce precedenti, cfr. Toni Sirena, Lettera aperta a Mauro Corona, «Corriere delle Alpi», 7 agosto 2003.

Un riepilogo della questione, comprese le incaute affermazioni di Corona che sembrano dimostrare una sostanziale ignoranza o dimenticanza del comportamento reale del PCI e dei suoi esponenti nella vicenda del Vajont, è offerto da Marcella Corrà, Il Vajont secondo Mauro Corona, «Corriere delle Alpi», 7 maggio 2006; questo articolo richiama la serie di interventi di risposta a Corona, pubblicati sulla rivista ufficiale dell'ISBREC (Istituto storico bellunese della Resistenza e dell'età contemporanea) «Protagonisti», 89, dicembre 2005, con le repliche di Peppino Zangrando, Mario Passi («in poche righe una serie incredibile di bestialità», «dopo avere sputato fango e falsità, Mauro Corona si impanca a nuova guida morale»), Marino OlIVotto, Maurizio Reberschak («Mauro Corona ci ha abituati ormai alla provocazione. Anzi, al cinismo, come egli dice di se stesso»), e Sandro Canestrini che addirittura annuncia di aver dato fuoco a tutti i libri di Corona da lui posseduti e precisa: «una riflessione: quanto è lunga attraverso menzogne e tradimenti la strada per giungere alla verità quando la potenza del denaro impera in questo modo».


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