Fatti di storia Vajont. 45 anni dopo. Dal racconto inedito di Alvise Gandin
L’anziana donna era riuscita a superare il cordone delle forze dell’ordine e si era inginocchiata davanti al Presidente della Repubblica Antonio Segni appena sceso dal suo elicottero. Poco più avanti il Ministro Giulio Andreotti a chiederci informazioni sulle operazioni di soccorso. Raccolti a terra sassi e fango la donna cominciò a lanciarli contro il Presidente urlando “Assassini, assassini! Ci avete ammazzato. Siete voi i colpevoli!” Segni a quel punto rientrò in elicottero e si diresse a Belluno. La sera quando ci trovammo davanti alla televisione, venne messo in onda il servizio da Longarone e il cronista disse: “Nelle immagini una donna anziana si inginocchia davanti al Presidente Segni per ringraziarlo per quanto si sta prodigando per le comunità colpite dal disastro”.


A raccontare l’episodio è Alvise Gandin all’epoca 22enne, oggi titolare dell’Albergo All’Alba a Tambruz di Tambre (BL) dove ha allestito anche un museo sulle due guerre mondiali e sulla tragedia del Vajont. (Per informazioni Albergo All’Alba tel 0437 439700).


Alvise Gandin faceva parte della VI artiglieria da montagna alla caserma “D’Angelo” di Belluno. Un episodio, quello raccontato, impossibile da dimenticare. Ma il racconto di Alvise prosegue con altri particolari poco noti alla storiografia ufficiale.



Prima del disastro del Vajont di quella tragica notte del 9 ottobre 1963 erano tre mesi che il comandante di tanto in tanto lanciava l’allarme per verificare se eravamo pronti ad intervenire. Visto che erano operazioni senza armi, volli sapere il motivo di queste brevi esercitazioni. Il tenente mi disse: “dobbiamo stare pronti per sgomberare un paese del Cadore”. Un paio di giorni prima del 9 ottobre andammo sul passo Falzarego per una dimostrazione dell’obice. Di solito, in casi come questi si stava via cinque o sei giorni. Quella volta no. Dopo quarant’otto ore fu dato l’ordine di rientrare e verso le sei di sera di quel maledetto 9 ottobre, era un mercoledì, passammo Longarone con la batteria di artiglieri. Eravamo un centinaio. Rientrammo in caserma e andammo a dormire. Verso le undici suonò l’allarme e in fretta e furia partimmo. Fummo fermati a Faè. Era buio ed iniziammo a dirigerci a piedi verso Longarone in mezzo ad un mare di fango. Io ero proprio in testa e fui uno dei primi militari a vedere quel terribile disastro. Prima del ponte le rotaie della ferrovia erano contorte in maniera innaturale. Arrivati al cimitero di Pirago c’erano delle casse con salme riesumate dalla forza del vento e dell’acqua. Uno spettacolo agghiacciante. Longarone non c’era più. Per tre giorni non mangiammo presi da una situazione orribile in un luogo annientato dall’acqua”. Alvise Gandin racconta poi uno fra gli episodi più dolorosi di questa tragedia umana. Un paio di giorni dopo arrivò un uomo da Milano, cercava la moglie e la figlia di cinque anni che aveva lasciato all’Albergo Posta. Disperato cominciò a cercare e quando misero i picchetti per riconoscere le varia zone del paese, la chiesa, le piazza, le vie, andò lì dove era l’albergo. Scavò, scavò finchè vide sorgere dalla terra i capelli biondi di una bambina. Erano proprio quelli della sua bambina, che trovò abbracciata alla madre”.

Fonte: Sito esterno in data Giovedì, 09 Ottobre 2008
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