ODDONE DEMICHIELIS

Conclusioni -

L'intenzione di riportare le interviste senza commentarle o interpretarle successivamente, deriva dalla convinzione che sia importante avere un atteggiamento di ascolto empatico nei confronti del racconto dei sopravvissuti.

Da un lato sono esperienze che vanno comprese dal punto di vista cognitivo ma anche sentite emotivamente, ma al tempo stesso possono diventare un materiale di riflessione e di studio nel percorso formativo delle professioni di aiuto nel settore dell'emergenza.

Molte altre tematiche sono state toccate dalle persone che hanno accettato di condividere la sofferenza di quella catastrofe. Come quella raccontata da una signora riguardo alla forte depressione del padre durata per anni con numerosi ricoveri. Il senso di abbandono vissuto in seguito da parte dell'uomo. Non c'erano più giornalisti, persone, soccorritori che lo ascoltavano. Si era sentito importante al processo, durante la deposizione e poi più niente. Nessuno voleva o aveva più interesse ad ascoltarlo e lui era caduto in una profonda depressione.

In un'altra testimonianza un uomo riferisce la forte ansia e la paura che provò quando, un giorno, a distanza di 38 anni, ritornò a Longarone e non riusciva più ad immaginarsi come fosse il paese prima del crollo della diga. Riporta l'angoscia quando si trovò sul posto e si accorse che quel luogo gli faceva tornare in mente i tanti ricordi. Ma anche la sensazione di estraneità, il non sentirsi più appartenente a quel luogo, la sensazione di estraneo che riceveva dalle persone che vivono attualmente a Longarone.

Un'altra signora, nel raccontare la sua testimonianza, si stupisce, si arrabbia esprimendo il rammarico perche era convinta, come tutti gli abitanti di Longarone, che la diga fosse un aiuto per la popolazione, qualcosa di buono per gli abitanti 'non potevà essere un nemico. Tutti gli abitanti avevano la convinzione che semmai qualcosa fosse successo o non avesse funzionato nella diga, i primi a saperlo sarebbero stati proprio loro. Ciò che le era rimasto era la rabbia per una convinzione di fondo che chi comandava e dirigeva i controlli della diga avesse saputo prima ciò che stava accadendo ma lo avesse taciuto proprio a loro, gli abitanti stessi.

Un altro intervistato invece si soffermò per quasi tutta l'intervista su un aspetto specifico, la musica. Era morta una cugina che suonava in chiesa, e lui aveva continuato negli anni seguenti a cantare, era stato rifatto un coro. Ricorda che addirittura un giorno venne Tortora il presentatore e aveva registrato la trasmisssione "Campanile sera', in cui tutto il coro di Longarone cantava. Volevano registrare un disco. Alcune testimonianze riportarono le conseguenze e i grossi cambiamenti nelle abitudini di vita odierna.

L'acqua che era sempre stata un elemento naturale "buono e utile" sia per i significati che per l'uso quotidiano, improvvisamente divenne malvagia e pericolosa, da cui diffidare, alcuni raccontavano che non riuscivano più a fare una doccia per la paura dell'acqua che cade dall'alto e avevano imparato a lavarsi con dei rituali specifici.

Altri non bevevano più l'acqua naturale, ma "colorata": aranciata, bitter, e così via, non volevano più vedere l'acqua trasparente.


Vorrei concludere il volume con un'esperienza personale. Quando iniziai a leggere e scrivere sul Vajont non ero consapevole di aver rimosso dalla mia memoria un episodio successomi nell'infanzia. Si trattava di un'alluvione di cui ero stato vittima a casa con la mia famiglia.Come psicologo rimasi stupito del riaffiorare in modo nitido del ricordo, sapevo di quell'evento ma non ricordavo quasi nulla. Invece mi venne in mente l'intero episodio. Provavo un'emozione di angoscia nel rivivere alcuni fatti e allo stesso tempo una specie di soddisfuzione per aver vissuto anche io un disastro naturale simile, anche se notevollmente inferiore rispetto alle conseguenze, al Vajont.

Quando avevo 14 anni nel paese dove abitavo avvenne lo straripamento di un piccolo fiume che lo attraversava. Era gia successo altre volte e mi ricordavo che spesso i nonni e alcuni parenti raccontavano quell'evento con dovizia di particolari; si ricordavano ogni cosa, tutto era registrato nella loro mente, non c'erano fotografie, nè riprese televisive che potessero aiutare a rammentare le scene e i danni subiti dalle alluvioni che precedevano ed erano allo stesso tempo la causa dello straripamento del fiume.

Forse tutto ciò che veniva raccontato non corrispondeva sempre al vero, forse alcuni fatti non erano successi esattamcnte in quel modo (come quello di un vecchio che stava rientrando a casa da una stradina e voltatosi improvvisamente da un boato si era visto una gigantesca onda alta più di 3 metri che lo stava inghiottendo), forse altri erano stati ingigantiti (come quello di una casa dove l'acqua era entrata dalla porta e dalle finestre di un lato ed era uscita dall'altro lato spazzando ogni cosa, compreso i quadri, le tende, ed i lampadari, ma lasciando solo un tavolino con sopra la fotografia dei figli), ma certamente si avvicinavano al vero e tratteggiavano con queste storie drammatiche gli innumerevoli episodi che erano sicuramente successi anche se mai raccontati per la mancanza di superstiti.

Il racconto di quei disastri mi lasciava uno sgomento, una paura ed una rabbia a volte maggiore di ciò che provavo quando le stesse persone mi riferivano di episodi di guerra da loro stessi vissuti. Tra l'altro una delle alluvioni avvenne nello stesso periodo bellico, ma gli stessi parenti (sopravvissuti sia alla guerra che all'alluvione) si soffermavano con maggiore angoscia sullo straripamento del fiume.

Veniva riportato il dolore, la sofferenza della gente, ma anche i danni permanenti alle case, gli oggetti di valore persi, le persone scomparse. Raccontavano clella ricerca di aiuto, i soccorsi che arrivavano sempre troppo tardi, la mancanza dell'acqua, della luce. I beni di prima necessità che non erano sufficienti.
Insieme a questo raccontavano della paura che potesse ripetersi, paura che, anche a distanza di 20 anni rimaneva viva e presente.
Forse per questo che quel 19 settembre del 1973 arrivò per me di sorpresa ma non inatteso, scmbrava quasi dovessi anche io, nel corso della mia vita, vivere quella drammatica esperienza quasi come un macabro rito di appartenenza alla comunità del mio paese e anche per sentirmi vicino alla storia della mia famiglia.
Mi ricordo ancora perfettamente ciò che accadde, e spesso mi sono trovato nel corso dei miei anni a raccontarlo ad altri, quasi sempre a chi non lo aveva mai vissuto, mentre ho evitato di ricordarlo con le persone che insieme a me lo vissero allora.

Abitavo al piano terreno di una casa a due piani, pioveva da molti giorni e ogni volta che ciò accadeva sentivo i discorsi allarmanti fatti in casa: "Quando smette di piovere?", "Speriamo che non accada di nuovo un'altra volta...", "Non lasciate niente per terra, le scarpe appoggiatele sopra un tavolino".
Vedevo fuori le persone che si affrettavano a rientrare in casa.
Ma quella volta non finiva mai di piovere, per strada iniziava a scorrere un rivolo d'acqua sempre più grande e rapido, le auto non viaggiavano più, la gente iniziava a spaventarsi e si formava un tam tam di notizie su quello che stava accadendo sugli argini del fiume. Improvvisamente arrivò la notizia che il fiume aveva rotto gli argini in un più punti, ed era straripato. Quasi contemporaneamente si vide tanta, troppa acqua che invadeva la strada principale, era il fiume che scorreva per le vie come se avesse trovato finalmente un posto, saliva sui marciapiedi, si avvicinava alle case, entrava dalle fessure, in alcuni casi rompeva i vetri e si intrufolava dentro.

0Mia madre, mio fratello ed io scappammo via e fummo ospitati dai vicini del piano superiore (dopo venimmo a conoscenza che l'acqua aveva raggiunto un metro e 25 centimetri di altezza nella nostra casa): Da lì vedevamo il fiume che continuava a correre, portandosi via tutto, c'erano televisioni, tronchi di albero, coggetti, vestiti, persino alcune auto che sembrava danzassero sull'acqua come leggere, venivano sbattute contro il muro delle case, pesanti elettrodomestici volteggiavano sull'onda e poi precipitavano sotto scomparendo come inghiottiti. Si sentiva un boato fortissimo che copriva le urla della gente, la pioggia offuscava la visione di quello che assomigliava a ciò che pensavo potesse essere la fine del mondo, vedevo dalle finestre dei piani alti delle case la gente che come me guardava, sbigottita ed attonita da ciò che succedeva, piangendo con le mani giunte come se pregasse, ma senza riuscire mai a staccarsi dalla finestra, nè chiudere gli occhi. Mia madre prese un ramoscello d'ulivo benedetto, strappò alcune foglie e le gettò dalla finestra nell'acqua come un rituale, una preghiera di pace o una speranza; un gesto che mi rimase, tanto che ancora oggi io stesso mi sono trovato più volte ad avvicinarmi al mio ramoscello d'ulivo che tengo in casa per toccarlo nei giorni di forti temporali.

L'alluvione era iniziata nella tarda mattinata, ed il momento più drammatico avveniva nel tardo pomeriggio. Le informazioni arrivavano a pezzi, più per un passa parola che non per notizie ufficiali. Mancavano tecnologie che diventarono importanti successivamente, come il telefono cellulare, internet. Seppi poi che mio padre, che lavorava fuori, era fermo all'ingresso del paese con molta altra gente, nell'impossibilità di accedervi: le strade erano bloccate, alcuni mezzi di intervento delle forze dell'ordine, vigili del fuoco, ambulanze provenienti dai paesi vicini erano pronti ad intervenire non appena fosse stato possibile accedervi. Altri stavano lavorando vicino agli argini nel tentativo di bloccare lo straripamento, molti volontari cercavano di apportare i primi aiuti dove era possibile.

Si sperimentava un senso di angoscia e di disperazione, sapevamo che sarebbe finito prima o poi, la natura è così: improvvisa, ciclica, ma forse equilibrata e giusta. Allo stesso tempo avevamo anche la sensazione che questa volta forse non sarebbe tornato più come prima, che non sarebbe terminato questo disastro fino a quando non avesse in qualche modo vinto, spazzandosi via tutto. L'acqua che era stato finora sempre un elemento indispensabile e buono, era diventata di colpo malvagia, distruttiva, come se avesse covato dentro una rabbia che ora finalmente poteva sfogare.

Così i discorsi tra noi vittime erano improntati a dare spiegazioni, a pensare un possibile significato, come se volessimo trovare un motivo per quanto accadeva, quasi a cercare delle ragioni in questa opera distruttrice. Si cercavano le colpe in comportamenti e atteggiamenti di vita non corretti della gente, fino a chiedere un perdono per una punizione che in qualche modo si riteneva forse giusta e un po' divina.

Contemporaneamente si provava rabbia, invidia per chi non provava le stesse disgrazia, vivendo lontano dal paese' ma soprattutto ci si domandava "il perchè". Gradatamente il corso del fiume diminuiva nella sua portata, smetteva anche la pioggia, si iniziava a vedere cio che emergeva laddove l'acqua scopriva i resti, i danni, gli edifici e gli oggetti distrutti.Incominciavano a giungere i primi soccorsi, alcuni mezzi a fatica si facevano strada tra le macerie e il fango, formando un pantano che impediva quasi il passo. Nelle settimane seguenti tutto era fermo, le scuole, i negozi, tutti lavoravano nelle proprie case per ripulire e valutare l'entità dei danni. Tutti avevamo paura che potesse ripetersi per la seconda volta lo straripamento del fiume.

Ricordo che poco tempo dopo ci trasferimmo in un'altra abitazione lontano da quel luogo.

[Presentazione][Introduzione][Autori][Conclusioni][Descrizione]

Note: NON presente sulle normali reti commerciali o librerie.

Progetto librario autofinanziato, non avendo ricevuto nulla di buono dall'amministrazione longaronese.
Un libro che andrà nelle Università e che l'Associazione mette in offerta a chi ne farà richiesta ai n. tel. 0437 - 573002 / / 339 -8195144 al prezzo di Euro 18,00 piu' spese di spedizione.

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