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Il family day. Padre Toschi rievoca le missioni degli anni '50: è bene che i preti escano di nuovo dalle chiese e manifèstino

"Io, frate volante, così duellavo in piazza con il Pci"

di JENNER MELETTI

BOLOGNA - Ovviamente è d'accordo con la Cei. «Per difendere la famiglia, è bene che i cattolici escano dalle chiese e vadano in piazza. È giusto che assieme a loro ci siano i parroci, almeno stavolta». Padre Tommaso Toschi, francescano, è l'ultimo dei Frati volanti del cardinal Lercaro. «Ai miei tempi, nel 1954, non è che i preti uscissero molto dalle chiese. Predicavano contro i comunisti, ma restando sul pulpito. In piazza c'eravamo noi, a sostenere lo scontro. Però, che bei tempi. I comunisti non ci hanno mai sparato addosso, non ci hanno mai tirato un sasso. Pensi, non sparavano nemmeno alle gomme delle nostre Fiat 1100»

Ha 85 anni, l'ex capo dei Frati volanti. «Eravamo 21, con sede a Bologna. Ci chiamavano «volanti» perché arrivavamo subito, ovunque. Avevamo dieci Fiat 1100, con l'altoparlante. E anche una sede molto bella, Villa Pallavicini alla periferia di Bologna. Se necessario, partivamo con la «chiesa volante» che era un bel pullman, tutto attrezzato con l'altare e le candele. A decidere di mandarci allo sbaraglio è stato il cardinal Lercaro. Appena arrivato a Bologna, vestito da prete e non da cardinale, si era fermato due ore in piazza Maggiore, ad ascoltare le discussioni fra i cittadini. Mi chiamò e mi disse: «I comunisti parlano male di noi. Dicono che la Chiesa ha benedetto il fascismo e la guerra, che sta con i padroni e contro gli operai. E nessuno ci difende». Si era rivolto a me perché già dal 1948 io leggevo l'Unità tutti i giorni e mi presentavo ai dibattiti in sezione, come un frate vestito da frate».

I Frati volanti vanno nelle periferie della città, dove ancora non ci sono le chiese, a celebrare Messe. In campagna elettorale, vanno nelle campagne e soprattutto si presentano nelle piazze. «I comizi, allora, erano una cosa viva. C'era tutto il paese, ad ascoltare gli oratori. E quando facevamo sapere che c'eravamo anche noi frati, in piazza c'erano pure i democristiani. Io lasciavo parlare l'oratore poi, alla fine, alzavo la mano: "Posso dire la mia?". Quasi sempre, mi invitavano a salire sul palco. Io ero preparato, avevo studiato Marx, Lenin e Stalin. Raccontavo cosa pensavano della Chiesa e soprattutto cosa succedeva in Russia, tanto amata in questa Bologna che era l'architrave del comunismo. Di nascosto, in borghese, ero stato anche in Unione Sovietica, in un paio di viaggi organizzati dall'industriale di Carpi, Renato Grotti, che portava gli operai comunisti a vedere il paradiso oltrecortina. Così qualcuno poi cambiava idea».

Ore di dibattito in piazza. «Seguivo in particolare un oratore comunista, Dante Stefani. A Medicina finimmo il confronto alle 2 della notte e la piazza era ancora piena. C'era scontro, fra noi, ma non odio. «Hai mangiato?» «Non ancora». E ci trovammo all'osteria di Canaletti, a mangiare le tagliatelle».
Il «Family day» a Roma gli fa brillare gli occhi. «I parroci hanno deciso di uscire dalle sagrestie. Finalmente».

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