INDICE

*= Pagina online
* 7 Istruzioni per l'uso
di Marco Paolini

0 13 Dopo quarant'anni

* 19 9 ottobre 1963

* 27 Chi sono gli sciacalli?


- 34 Il caso Rizzato

- 41 Il gioiello della SADE

- 49 Al limite estremo

- 58 Segni premonitori

- 64 Chi controlla chi?

- 72 Nasce l'ENEL, ma è sempre SADE

- 83 Il nuovo inganno

- 93 Il voltafaccia dell'Ente di Stato

102 L'ultimo tradimento

110 Il mercato del dolore

118 La giustizia presenta il conto

126 Il legittimo sospetto

132 Il suicidio di Pancini

140 Colpi di scena

150 «Che Dio ce la mandi buona»

171 Senza epilogo

_ Alla memoria di TINA MERLIN _

Dopo quarant'anni

Il 9 ottobre 2003 cade il quarantesimo anniversario della strage del Vajont.
Venne definita allora la maggior catastrofe mai accaduta in Italia in tempo di pace, dopo il terremoto di Messina. Ma, a differenza del terremoto, non si trattò di un'aggressione improvvisa della natura. Fu una tragedia a lungo preparata dagli uomini, il frutto di un sistema.
Questo libro ne ripercorre la genesi. E la conclusione. L'impianto, almeno in parte, rimane lo stesso del mio Morire sul Vajont - Storia di una tragedia italiana, uscito trentacinque anni fa. Ma se allora avevo voluto scrivere seguendo soprattutto i documenti, oggi parlano anche i miei ricordi di cronista, di testimone che ha seguito e vissuto l'intera vicenda del Vajont, e ne ha riportato segni che non si cancellano. Quel mio lontano lavoro era costruito essenzialmente sugli atti istruttori del processo che si sarebbe aperto all'Aquila il 25 novembre dello stesso anno, il 1968.

Gli imputati di disastro colposo di frana, di inondazione, di omicidi colposi plurimi, compiuti nella provincia di Belluno e ai confini di quella di Udine, si giudicavano nel remoto capoluogo dell'Abruzzo: per «legittima suspicione». Come accadrà qualche anno dopo per l'attentato di piazza Fontana a Milano, rinviato nella lontanissima Catanzaro. E per molti processi di mafia. Una prassi assurda, che sembrava caduta in disuso e resa difficilmente praticabile dall'ammodernamento del nostro codice penale. E ora ripristinata, e facilitata per gli imputati con maggior disponibilità di denaro e meno propensione a rispondere dei propri atti.

Quando accadde, il disastro del Vajont suscitò commozione e dolore intensissimi in tutta Italia. Ma rapidamente, come capita sovente in questo Paese che non sopporta a lungo le emozioni forti, il nome e la tragedia del Vajont finirono nella nebbia dei ricordi e, per molti, negli stagni dell'oblio. Certe vicende però incidono così nel profondo della coscienza collettiva da non risultare mai cancellate per sempre.

Nel 1997 Marco Paolini (un singolare artista veneto che ha trovato nel monologo una forza evocativa e scenica senza uguali) ebbe il coraggio di far rivivere in Tv, unicamente con la magia delle parole, la storia del Vajont. Gli riuscì di inchiodare davanti ai teleschermi alcuni milioni di persone.

Quello fu il momento in cui probabilmente qualcosa ebbe a scattare nel nostro sentire collettivo, e di Vajont si ricominciò a parlare, anche fra i più giovani che nulla ne sapevano. E fu la scoperta che ben poco era cambiato in circa mezzo secolo. Come ai tempi del progetto e della costruzione della diga, si preferisce tener lontani i cittadini dalle decisioni che li riguardano, lasciarli all'oscuro dei pericoli che li minacciano, far pagare alla collettività il prezzo enorme di vite e di beni distrutti anzichè impegnarsi in scelte in cui al primo posto ci siano valori comuni invece di oscure collusioni con interessi privati.

Quel che sicuramente i decenni trascorsi hanno visto crescere è la consapevolezza sempre più vasta di quanto indispensabile sia la difesa ambientale, la resistenza più decisa contro tutto ciò che viene stabilito sopra la testa e a danno dei cittadini. Dopo i duemila morti di Longarone, abbiamo avuto la diossina di Seveso, le vittime per tumore delle fabbriche chimiche della Liguria e di Porto Marghera, il crollo del terrapieno di Stava, nel Trentino, che ha ucciso 268 persone.
I sepolti vivi dalla colata di fango a Sarno...

Per questo ritengo non inutile, a quarant'anni da quella catastrofe, tornare a scrivere del Vajont. Raccontarne, dopo la tragedia, la farsa del processo che ne è seguito. E lasciar parlare le voci che avevo custodito dentro di me per tutto questo tempo.

Mario Passi. Lago di Garda, febbraio 2003.


Ringrazio per l'affettuosa collaborazione Marcella Andreoli, Mauro Baioni, Vincenzo Cottinelli, mio figlio Lucio.
E Roberta, mia moglie, per i consigli e le critiche.


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