Questa è una pagina tratta da un documento straordinario che cerca di fare il punto "Vajont-Memoria" dal monologo di Paolini ai nostri giorni (sfratto escluso).
Un'impegno davvero notevole, tanto piu' che l'estensore Claudio Leoni fino a poco tempo prima NON conosceva nemmeno la vicenda "Vajont". La sua ottima e equilibrata tesi si puo' leggere a capitoli online QUI.
Chi preferisce il file intero (1,1 MB PDF), deve scaricarlo QUI. Ancora un grazie a Claudio Leoni.
Merita LUI, di fare "l'Informatore della Memoria", non certi squallidi parvenu attuali. La Memoria dei morti del Vajont come ce la interpretano oggi a Longarone, qualifica sufficientemente questa giunta.
A mio parere per la Memoria ha fatto di piu' e di meglio questo studente in meno di un anno che danielis, deceseri (e migotti) in tutta la loro vita.

Buona lettura.



"L'organizzazione" della memoria unisce o divide?
0Per decenni, il principale scopo dell'unico comitato organizzato esistente, il Comitato Superstiti Vajont, presieduto attualmente da Guglielmo Cornaviera, era stato la lotta per la giustizia e per l'ottenimento dei risarcimenti "dovuti" alla popolazione sinistrata.
Nel corso degli anni si sono conclusi i dispendiosi procedimenti giudiziari intentati dai pochi sinistrati che decisero di non firmare le transazioni proposte dall'E.N.E.L. inseguendo il riconoscimento dei propri diritti di risarcimento.
Infine, dopo la condanna della Montedison - Enel al risarcimento dei danni patrimoniali e morali arrecati al Comune di Longarone nel 1997, un decreto firmato nel Luglio 2000 dal Presidente del Consiglio Giuliano Amato ha chiuso definitivamente la spinosa questione con un versamento di 77 miliardi di lire al comune sinistrato.
Una volta ricostruiti i paesi distrutti dalla furia dell'acqua ed ottenuti i risarcimenti da parte dei colpevoli, il tema del "risarcimento" ha potuto scemare dietro a quello ben più importante della "memoria" di quanto accaduto.
Paolini per primo ha "investito" su questo tema "nuovo", quello della "memoria" diffusa. Per un tessuto sociale "variegato" come quello Longaronese, composto da superstiti e non, l'arrivo di queste quantità di denaro (inserito nel clima di "risveglio" della comunità sinistrata) hanno stimolato ulteriormente idee circa le possibilità del suo impiego in vari progetti per il benessere della popolazione, e naturalmente verso la valorizzazione della memoria dell'evento per cui erano stati devoluti.
Questa situazione ha purtroppo generato ulteriori novità, conflitti e divisioni: i sopravvissuti, così come le amministrazioni comunali, hanno creato nuove organizzazioni per tutelare interessi divenuti per loro importanti in maniera "diversa", primo tra tutti la valorizzazione della memoria.
Perchè una memoria che dovrebbe accomunare i superstiti, e che li ha da sempre fatti sentire "diversi" da coloro che non hanno provato quell'esperienza, ora invece finisce, in un certo senso, col "dividerli"?

Giovanni Danielis si esprime in questo modo circa la "divisione" creata dalla memoria:

"La Memoria del Vajont per qualcuno rappresenta un marchio distintivo, un modo di sentirsi diversi dagli altri, forse migliori, per aver sofferto più degli altri ed aver subito uno shock indiscutibile, che a distanza di quarant'anni non accenna a rimarginarsi. È questo il caso di quelle (poche) persone di cui le accennavo in passato, che non riesco a condividere perchè forse non vogliono li si condivida.
Ma la Memoria del Vajont è anche un collante, che avvicina tutte le persone sensibili che si trovano a contatto per svariate motivazioni con questa realtà, ed il cui fine è 'non dimenticare'. Sono perfettamente d'accordo che non tutti i 'nuovi' longaronesi condividono l'interesse alla storia del proprio paese, non ne sarebbero interessati neanche altrove, presi da altri impegni o passioni. Ma per vivere in un paese bisogna vivere il paese, la sua storia e qui in special modo, perchè Longarone ha bisogno di ricostruire le sue radici e non è qualcosa che si può fare in qualche anno".
Lo stesso Danielis è un esempio di questo modo di "sentire" il Vajont anche non essendo uno scampato alla tragedia. La sua è la storia di un "bambino non sopravvissuto", ma esponente di una "categoria" di persone che, sebbene non direttamente toccate dalla tragedia, hanno finito con il venirne fortemente sensibilizzati e resi partecipi, sentendosi spesso "testimoni" di essa quasi al pari dei veri superstiti.
La storia che segue è quella di Giovanni Danielis, consigliere comunale e responsabile del servizio Informatori del Vajont:
"Pur non essendo un superstite nel senso stretto della parola, Le posso raccontare la mia esperienza: nato nel '64 ed in pratica vissuta tutta l'infanzia ed adolescenza tra Castellavazzo e soprattutto Longarone, mi sono sempre sentito uno 'straniero' , probabilmente qualcuno mi faceva sentire così. I miei genitori non erano di qua e, come qualcuno Le ha riferito meglio di me, nei primi anni Longarone viveva il Vajont e la sua tragedia solo a livello ufficiale (politica e giustizia) ed in maniera intima per quanto riguardava i superstiti.
Come altri ragazzi della mia generazione, appena ho potuto ho cercato lavoro altrove, nel mio caso ad Udine dove sono nato e dove ho parenti, fuggendo da un paese che ero arrivato quasi a detestare: ricordo che i primi anni facevo fatica a tornare a trovare i miei. Solo dopo dieci anni ho sentito il cosiddetto 'richiamo della forestà ed ho preso armi e bagagli per tornare ad abitare a Longarone: per coincidenza era la primavera '97 (ho avuto la fortuna di esserci, ad ottobre '97 presso la diga, a vedere Paolini).
Qualcosa dentro mi stava maturando dentro al punto da lasciarmi coinvolgere nella vita pubblica e politico-amministrativa del paese fino al punto di occuparmi della Memoria del Vajont: passo passo ho scoperto che anche i miei, anche se non lo andavano sbandierando in giro, potevano collocarsi in qualche modo tra i "superstiti". Questo perchè avevano abitato fino a pochi mesi prima della tragedia in quella casa di fronte al municipio di Longarone che si vede tagliata a metà nelle prime foto. Si erano trasferiti poi a Forno di Zoldo perchè mio padre, capocantiere della Italdecos di Udine, stava ricostruendo la strada tra Longarone e Zoldo. Quella tragica notte mio padre fu uno dei primi ad essere svegliati perchè c'era l'idea che fosse crollata proprio quella strada: partito con escavatori e camion alla volta di Longarone, non era rientrato a casa che la sera dopo, preso con i suoi collaboratori all'opera di ripristino delle vie di comunicazione e di recupero delle salme. E solo lo scorso anno, per una coincidenza dato che come consigliere comunale ho accesso a qualche archivio, ho trovato forse l'unica foto in cui mio padre appare tra i soccorritori: non l'aveva mai vista nemmeno lui!
Da quanto ho scritto può capire perchè ho tanto a cuore la Memoria, e perchè non la considero una cosa elitaria. Chi va in giro a declamare la differenza fra sopravvissuti e superstiti (che dovrebbero essere sinonimi) vuole egoisticamente affermare la propria unicità, ma i giovani alpini di leva o gli scout che si sono ritrovati per la prima volta di fronte ad una realtà cruda e tragica della vita, subendone shock inguaribili, non sono meno superstiti di quanti abitavano qui".
Nel 2000 è sorta la nuova "Associazione dei Superstiti del Vajont", affiancatasi al meno recente Comitato Superstiti. Essa "[...]nasce da un sentimento di dolorosa comunanza fra i superstiti di una delle più gravi catastrofi dell'età contemporanea, ne esprime e rappresenta la vocazione di solidarietà e memoria.[...]"."Costituiscono finalità dell'Associazione:
a) Lo svolgimento di attività volte a:
- mantenere viva la memoria del Vajont, attraverso iniziative che esaltino i valori morali, civili, sociali e ambientali che la tragedia richiama, con particolare attenzione verso studi, ricerche, testimonianze, divulgazioni e proposte progettuali, di ricociuto valore morale e simbolico;
- rappresentare le finalità e le istanze dell'Associazione dei superstiti nelle comunità e presso le istituzioni competenti, in particolare esprimere pareri e proposte, nonchè formulare programmi e progetti, di propria iniziativa o su richiesta, ai Comuni o ad altri Enti, in ordine ad argomenti o problemi relativi al disastro del Vajont;
- promuovere rapporti di collaborazione e di solidarietà tra i superstiti, anche attraverso il sostegno a situazioni e problematiche legate alla tragedia;
- intrattenere rapporti di scambio e di collaborazione con Enti ed Associazioni aventi analoghe finalità;

b) La formulazione dell'elenco dei superstiti del Vajont".

La memoria però rievoca un'esperienza individuale, non più portatrice di interessi unitariamente "comuni". I problemi che questo "risveglio" del tessuto sociale comporta sono legati anche all'elaborazione della tragedia, avvenuta ed interpretata in modi differenti.
La risoluzione dei bisogni non può più giustificare una presa di decisione "comune", accordata sulla base di necessità materialmente impellenti. Il contesto è ora ben differente da quello che aveva caratterizzato l'unità dei superstiti in seguito alla catastrofe. Allora ogni decisione era importantissima e doveva essere presa subito. Non tutti naturalmente erano totalmente d'accordo, ma il desiderio di rinascita era sufficientemente forte per accomunare gli scampati ed abbattere le divergenze in nome di una rapida ripresa.
Sono passati 40 anni ed il paese è stato ricostruito nelle case e nella popolazione. Non c'è più quell'urgenza, nè questa comunanza tesa verso la "rinascita": la situazione è tornata tendenzialmente "normale". Quello che non è cambiato è naturalmente il passato, il ricordo, la memoria appunto.
In un paese ove i superstiti sono sempre meno, ma continuano ad essere quelli più legati e più sensibili, come è ovvio, alla memoria della tragedia, le differenti esperienze vissute sono strettamente legate a quelli che sono considerati i bisogni presenti e futuri e sono sentiti in modo diverso da alcuni superstiti rispetto ad altri. Ognuno ha una sua visione, derivante anche dall'esperienza vissuta sulla propria pelle.
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La bustina graffata al foglio (che perlomeno la rende visibile) è una "zolla" (zolletta?) di terra del Don.

Clicca sulla foto per saperne di + sulla "interpretazione della Memoria"...

Anche questo ha contribuito alla nascita di due associazioni dei superstiti, le quali non sono in "lotta" tra di loro, ma semplicemente rispecchiano modi differenti di voler raccontare il proprio passato, la propria esperienza e di considerare il futuro del paese secondo le proprie esigenze.
La memoria del Vajont diventa così un terreno di polemica anche "morale" sul modo di essere interpretata, valorizzata e finanziata, così come i problemi che da essa derivano sono differenti e richiedono soluzioni differenti. Sulla scia di questa motivazione, nel 2001 è nato un nuovo comitato: il «'Comitato per i sopravvissuti del Vajont', con lo scopo di solidarietà e sostegno morale e psicologico alle persone sopravvissute alla tragedia del Vajont, nonchè il fine di diffondere la conoscenza e conservare la memoria dei fatti accaduti[...]».
Da molti è ritenuto un comitato "troppo polemico" verso l'amministrazione comunale, da altri invece il comitato più "passionale e viscerale".

Nello statuto del Comitato è riportato, all'articolo 3, il seguente testo:

"a) Il Comitato non persegue fini di lucro.
b) Esso persegue il fine della solidarietà e del sostegno morale e psicologico alle persone sopravvissute alla tragedia del Vajont, nonchè il fine di diffondere la conoscenza e conservare la memoria dei fatti accaduti.
A mero titolo esemplificativo, il Comitato potrà organizzare manifestazioni, mostre, convegni, dibattiti, incontri, anche presso le scuole; promuovere studi, ricerche, iniziative editoriali; farsi promotore di iniziative presso gli enti pubblici".
Micaela Coletti, presidentessa del Comitato Sopravvissuti per il Vajont, in una mail inviatami spiega:
"[...] il primo comitato in assoluto è il comitato per i superstiti, che aveva come motivazione la commorienza di 600 vittime, quelle totalmente sparite, ma non è sortito nessun effetto ed oggi, anche se esiste ancora, in realtà non lavora più. La motivazione della nascita del nostro comitato è che ci siamo resi conto che nessuna amministrazione, nessun politico, ha mai lavorato o favorito nessuna delle nostre problematiche per cui, se volevamo che qualcuno si accollasse la nostra situazione e portasse a termine le nostre speranze di una giustizia, non potevamo che essere noi stessi.
Sicuramente l' 'effetto Paolini' tra le varie cose, ha anche risvegliato un'anima ed una coscienza addormentata ma, e parlo almeno per noi, niente c'entra il risarcimento dalla Montedison anche perchè i 'famosi' 77 miliardi erano esclusivamente per il Comune come 'perdita delle 2000 vittime'! Questi soldi sono stati e continuano ad essere gestiti soltanto dal sindaco e dalla amministrazione comunale di Longarone".
Le due associazioni nate hanno dato vita a quella che è la "distinzione" tra i "superstiti" (Associazione Superstiti) ed i "sopravvissuti" (Comitato Sopravvissuti), da molti considerati "alla pari", ma da alcuni intesi in modo differente per motivi che sono di seguito enunciati:
"[...]È una cosa che è fondamentale. Sembra che sia una cosa di poco conto, mentre... generalmente uno dice ok superstiti e sopravvissuti sì sì è la stessa cosa... è una differenza che è fondamentale. Allora: il superstite è quello che comunque era al di fuori della cittadina, del posto, è ritornato e non ha ritrovato più niente. Poteva essere fuori per 1000 motivi, per lavoro, per non lavoro, insomma: non ha nessuna importanza. Quello che comunque si è trovato senza un paese, che però fisicamente in quel momento non c'era. Il sopravvissuto, come noi, invece era nel posto in quel momento ed è stato tolto proprio dalle macerie, da sotto terra, per cui sopravvissuto vuol dire 'sopravvivere', vivere 'al di fuori', nonostante tutto.
Per cui la distinzione penso proprio sia determinante[...]L'opinione comune è quella che 'son tutti uguali'. Allora siamo tutti superstiti, perchè comunque siamo 'sopravvissuti' a un 'qualcosa'.
Poi ci sono i superstiti che sono superstiti ed i superstiti che sono 'anche' sopravvissuti, perchè anche noi 'abbiamo perso tutto'."
La "memoria" quindi, tornata a galla, ha creato una condizione apparentemente "assurda": proprio quell'elemento sulla base del quale una "non comunità" come quella longaronese aveva tentato, in precedenza, di fondare una identità collettiva comune, ora è divenuta un terreno di "scontro" o almeno di "difficile" incontro per gli stessi membri dell'ormai ridottissima "comunità superstite".
Soprattutto per chi non è partecipe diretto della realtà longaronese, l'impressione immediata che può darsi ai due "schieramenti" è quella di due opposte fazioni delle quali una (Associazione Superstiti) a favore del "governo" ed una (Comitato Sopravvissuti) contraria, nel senso che una collabora regolarmente con l'amministrazione comunale, l'altra è spesso in polemica ed opposizione, ognuna con i suoi buoni motivi.

Nelle presentazioni del libro di Lucia Vastano intitolato "Vajont. L'onda lunga" i presidenti di queste due associazioni esprimono il loro pensiero. Ecco che cosa pensa Renato Migotti, presidente dell'Associazione Superstiti del Vajont:

"[...]A volte però è difficile far capire a chi viene da fuori che la tragedia non si è consumata in una notte soltanto, ma ha esteso i suoi effetti nel tempo. La tragedia del Vajont deve diventare una grande lezione per tutti. Dal Vajont si potrebbe imparare molti, in diversi campi[...]Il disastro del Vajont non riguarda solo l'esiguo gruppo di superstiti che hanno vissuto in prima persona quelle dolorose vicende, ma fa parte di una storia collettiva che racconta di gravi errori dell'uomo perpetuati negli anni, del sacrificio di migliaia di innocenti, di sofferenze indicibili. È quindi doveroso investire nella memoria, affinchè l'uomo rispetti la natura anzichè sfruttarla per meschini interessi materiali.
Che il Vajont sia un monito anche per le future generazioni".
La presidentessa del Comitato per i Superstiti del Vajont, Micaela Coletti, a sua volta dà la sua impressione:
"Per la gente che non ha vissuto il dramma di quella frana, il 9 ottobre è un giorno qualsiasi che viene tutti gli anni. Noi che abbiamo ferite non ancora rimarginate, il Vajont lo riviviamo tutti i giorni.
Qualcuno ha detto che molti di noi fanno di professione i superstiti. Ma essere superstiti non è una scelta, non è neanche qualcosa che ti puoi lasciare alle spalle[...]Per decenni molti di noi sono stati zitti, ci sono ancora superstiti che non hanno mai parlato di quello che è successo a loro e alle loro famiglie, nemmeno con i loro figli. Nessuno ha mai sentito come un dovere civico andare a farsi raccontare la loro storia, per aiutarli a buttar fuori quello che hanno dentro, ricordi marciti che fanno solo male se tenuti inespressi, ma anche per raccogliere pagine importanti della storia del nostro Paese.[...]Longarone è un luogo speciale, con problemi speciali, gente speciale.
Molti di noi superstiti non sono persone facili da trattare.
Di questo me ne rendo conto perfettamente. Ma siamo noi il Vajont.
Ci sono silenzi che fanno molto comodo.
Io vorrei che prima che tutti noi morissimo si raccogliessero le testimonianze anche di chi non ha mai parlato perchè anche il loro dolore, è Vajont. E poi, e poi c'è davvero il "dopo Vajont" da raccontare. Una seconda strage perchè per vari motivi, di Vajont si muore ancora. Un po' alla volta, per un tumore o un infarto, a causa dell'inquinamento ambientale, per una crisi depressiva, o per solitudine.
Che cosa significa essere superstite di una tragedia voluta dall'uomo? Proprio questo: essere soli, prima, durante e dopo. Purtroppo questa pena non è toccata soltanto a noi, vittime della diga".
La spaccatura tra "superstiti" e "sopravissuti" di cui si parla, analizzata più approfonditamente recandosi sul luogo, porta ad una comprensione più precisa del modo di considerare la "memoria" da parte dei superstiti la quale, nonostante le polemiche, continua ad accomunare le opposte "fazioni" ed i suoi rappresentanti.
Distaccatisi per un solo attimo dalla congiunzione tra la memoria e le problematiche locali interne, essi si reputano tutti "tasselli di uno stesso grande mosaico che è la vicenda del Vajont, con tutte le sue differenti sfaccettature umane".

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