l'ombradelbastone

"Và in mona, brutta troia"

(Alla 'strega Melissa') nel "libro" «L'ombra del bastone», 2005.
Con qualche considerazione su un "artista" senz'arte né parte, né dignità, che sta tagliandosi i ponti coi suoi paesani, e colla realtà, per fare $oldi. Sognando di essere il prossimo Rowling, sceneggia già da anni come un Harry Potter.
Minkia, signor tenente (nel senso che "tiene famiglia"...)


( ...)

Epilogo

Come [ho deciso che] raccontava mio nonno, Zino fu trovato dal fattore,per caso, due giorni dopo, impiccato ai tralci di una vigna,poco distante dalla grande casa di campagna dove era stato ospite gradito. Raggio aveva mantenuto la sua fosca promessa; avevaucciso il rivale con quel bastone perché, anche se ci avevapensato a suo tempo, fu dopo averlo visto appeso al murodell'osteria che Zino decise di farla finita.

Una volta terminata con grande emozione la lettura diquesto terribile e commovente manoscritto [immaginario], ho intrapresouna ricerca in quel di Erto per conoscere il destino dei personaggi citati nel quaderno.

La donna, moglie di Raggio, morì dodici anni dopo ilsuo internamento nel manicomio di Pergine Valsugana [proprio lì attorno nasce Corona nel '50, scrisse qualche libro fa] elì fu sepolta. Aveva quarant'anni.

Per buona condotta il fratello di Zino, Bastianin Corona,uscì di prigione nell'estate del 1936, a quarantanove anni,dopo sedici anni di reclusione. Gliene condonarono quattro.Riprese il suo lavoro di fabbro fino alla morte che avvennenel 1966 a settantanove anni, in novembre, durante le violente alluvioni che devastarono l'Italia. La sua fucina fuspazzata via con lui dentro anche se, dopo l'avvento delladiga del Vajont, l'aveva spostata più in alto, sul rio Moliesa.

Zino fu sepolto per sua precisa volontà nel cimitero di Erto. Lo trasportarono quassù con un carro, a spese della famiglia che lo aveva ospitato.

Di Neve, la bambina che non sentiva il freddo, si tramandano fatti incredibili che, credo, meritino un libro tutto per lei e che, se ne avrò il tempo, vorrei portare a termine giacché molto ha già preso forma in qualche taccuinod'appunti. La ragazza morì giovane, in odor di santità.

Ma non è ancora finita.
Dopo aver letto l'inquietante manoscritto [immaginario], d'improvviso ricordai un fatto che, a distanza di anni, mi mette ancora addosso i brividi perché le pagine del mio paesano Zino ne svelano il mistero, annodando quel filo sconosciuto e perduto da più di ottantacinque anni.

Il 27 luglio del 1974, alla cava di marmo del monte Buscada, ero di turno al filo elicoidale che tagliava la pietra assieme al vecchio Garlio. Quella fu un'estate calda, di fuoco come poche che avevano scaldato le rocce di Buscada. Lavorare alla cava era una tortura. Così, a turno, badavamo al filo d'acciaio che tagliava il marmo, in modo da poterci riposare un poco all'ombra di un telo.

Verso le quattordici, sotto un sole implacabile che rovesciava braci roventi sulla testa, Cice Caprin e l'altro Carle vennero a scalzarci dall'ombra del telo per il loro turno al filo. Allora il capo Argante Gattiri comandò a me e Garlio di andare a prendere due casse di birra nella forra dellaPalazza. È una foiba inquietante che i falciatori antichi chiamavano Porta dell'Inferno e dove anche loro, come noi, usavano deporre il cibo al fresco.

Laggiù, a cento metri di profondità, sul fondo che pareva vetro vivo, tra pareti scintillanti di cristalli trasparenti e ghiaccio perenne, anche noi cavatori mettevamo i viveri deteriorabili al fresco. Era il nostro congelatore naturale.

Quel giorno, 27 luglio 1974, Garlio e io ci recammo nella foiba per prendere le casse di birra [congelate naturalmente?]. Tenendoci ai pioliinfissi nella roccia dagli antichi falciatori e a quelli nuovisostituiti da noi, illuminato il budello verticale con le pile,toccammo il fondo ghiacciato [addio birre...]. Puntai la pila verso la parete dove stavano impilate le casse di birra, e per un pelonon diventai di ghiaccio anch'io.

Con voce incerta chiamai Garlio che puntasse anche luila pila su ciò che avevo visto. Garlio orientò il fascio di luce dove gli avevo detto e gridò: «Madonna!». Per il caldoanomalo di quell'estate, il giorno prima dalla parete dighiaccio s'era staccato un blocco dell'altezza di una porta.All'interno della buca venutasi a creare stava, come seduta su un trono, una vecchia tutta vestita di nero, completamente congelata, con ancora gli occhi aperti. Uno strato di ghiaccio spesso una spanna la ricopriva, ma era ghiacciotrasparente come se la vecchia fosse sigillata in un sarcofago di vetro. Dentro la sua tomba di cristallo si distinguevano benissimo i minimi particolari. Non dimenticherò fin che vivo quelle mani fuse nel ghiaccio, scure e nodosecome radici di carpino. E anche i piedi erano nudi, lunghi e storti come due roncole. Ma furono gli occhi, più di tutto, a mettermi paura, terrore. Era uno sguardo diretto, fermo, cattivo, duro. Uno sguardo feroce, insostenibile. La vecchia ci guardava e pareva che li muovesse quegli occhi, e che dicesse: "Venite qua, che vi metto a posto io".

BALLE SPAZIALI0

MINKIA: ma non scriveva qualche libro fa di essere nato su un carretto (un po' come Cristo, insomma), su una strada a Pergine di Trento???

Per non dire che, in OGNI CASO, Erto - dalla Serenissima fino al 1968 - trovavasi in PROVINCIA di UDINE...
Complimenti. E le puttanate Mondadori continuano. Occorrerà davvero, "fare i conti a fondo" con questo «artista» cacciaballe. Poveri i lettori di queste baggianate; e poveri anche i maestri, Magris e Murer, che riposero qualche speranza in questo ciarlatano.

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(clicca sulle foto per saperne di più...)

coronaMauroStronzo2

Garlio disse che forse si trattava di un'anziana falciatrice degli anni Venti, caduta per tragica fatalità dentro la forra e mai più trovata, perché coperta dalle prime nevi di settembre.

Secondo me, dopo quella inquietante scoperta bisognava avvertire i carabinieri. Poi mi avvicinai di più con la pila per vedere meglio e mi sembrò di sentire l'alito freddo della morte uscire da quella bocca raggrinzita dentro il ghiaccio. Notai che attorno al collo la vecchia aveva una corona del rosario e, sopra la corona, una cordicella che le entrava mezzo centimetro nella carne.

Non credo che Garlio avesse notato quel particolare. Se lo notò, di certo non ebbe tempo di ragionarci sopra perché, quando sentì che volevo chiamare i carabinieri, avviò una discussione piuttosto animata. Lui diceva no, niente carabinieri. Sosteneva che se li avessimo avvertiti poi avremmo avuto solo rogne, interrogatori, e c'era pure il rischio che chiudessero il nostro frigorifero. Io invece insistevo per chiamarli [si chiama "dovere civico" e "fiducia nelle Istituzioni"]. In fondo, si trattava pur sempre di una povera morta e aveva diritto a cristiana sepoltura. Intanto che si discuteva, la vecchia impassibile ci guardava con sarcasmo, come se non gliene fregasse niente di noi né di nessuno.

Forse, più della mia scelta di chiamare i carabinieri furono proprio quegli occhi di sfida a far spazientire l'amico. Garlio s'avvicinò alla vecchia e, bofonchiando un «Và in mona, brutta troia», con un calcio la fece precipitarenella fessura che, per il caldo, s'era venuta a creare tra il ghiaccio e la roccia e che sprofondava all'infinito in forma di foiba. Udimmo i tonfi di quel corpo congelato picchiare per un bel po' e spaccarsi tintinnando come vetri rotti prima che i rumori si spegnessero per sempre negli abissi del budello infernale.

Garlio e io ci guardammo negli occhi alla luce delle pile poi, senza parlare, prendemmo una cassa di birra a testa, risalimmo la Porta dell'Inferno e ci avviammo verso la cava. Mentre camminavo davanti a lui, Garlio mi fermò conun richiamo. Mi voltai con la cassa sulle spalle. L'amico guardò fisso i miei occhi e disse: «Neanche una parola sulla vecchia. Chiaro?».
«Chiaro» risposi, e la storia finì lì.

Ma oggi, a distanza di anni, dopo aver letto il manoscritto di Zino, conosco con certezza l'identità di quel corpo rattrappito nel ghiaccio e scoperto per caso in virtù di un caldo anomalo. Era la vecchia strega Melissa, strangolata conuna corda dai falciatori e sepolta laggiù, dentro il ghiaccio eterno e spettrale, nel cuore della Porta dell'Inferno. Ma lei si era vendicata. Aveva punito i suoi assassini facendo morire di morte violenta e in poco tempo gli esecutori materiali, e riservando una morte terribile, lenta e inesorabileagli ideatori del misfatto che furono Raggio Martinelli e Zino Corona.

Ma anche i malvagi dopo morti possono cambiare. E così, come a voler riparare tutto il male provocato nel villaggio, penso, come Zino, che la vecchia sia poi tornata tra la mia gente nella figura della piccola Neve o, quantomeno,l'anima della vecchia era entrata in quella bambina che faceva miracoli, guariva le persone e non sentiva il freddo. Neve non sentiva il freddo perché la sua crisalide antica stava laggiù, nel fondo della Porta dell'Inferno, ibernata nel ghigno della vendetta, avvolta e protetta dal gelo perenne, nel buio e nella solitudine del mondo. Ma la sua anima di ghiaccio, un'anima ormai redenta per volontà di Dio, era scappata da quel luogo di morte. Era uscita da quella carcassa congelata, era tornata in paese nel corpo della piccola Neve e si era messa a far del bene, perché del male ne aveva fatto abbastanza. [speriamo che Corona la imiti, un giorno...]Ecco perché la bambina non sentiva il freddo: aveva dentro un'anima congelata, un'anima che si era messa in testa di far del bene, un pezzo di ghiaccio che diventava fiamma, la fiamma dell'amore. [il concetto di "ghiaccio bollente", un ossimoro già titolo di un film]

[Bianca]Neve morì nel 1948, a ventinove anni, per una malattia misteriosa che, nel giro di mezza giornata, sciolse il suo corpo proprio come se fosse stato di ghiaccio. Non poterono nemmeno seppellirla [povera] perché di lei era rimasta per terra soltanto una larga macchia d'acqua. [e siamo al delirio...]

Maria Corona Menin, sua mamma, raccolse un po' di quell'acqua, riempì una bottiglia, la chiuse ermeticamente con un tappo e la conservò sulla mensola del camino dove si trova tutt'oggi. È un'acqua che non evapora, non si muove, pare che stia lì, ferma come il ghiaccio, ad aspettare qualcosa, a guardare la casa vuota, silenziosa, senza più nessuno che vi abita tranne i fantasmi del passato. Ma questa è un'altra storia che, come ho detto, spero un giorno di raccontare.

Il gesto del vecchio amico cavatore Garlio, che spinse con un calcio la strega Melissa nelle profondità della terra, gli costò caro.
Un paio d'anni dopo morì alla disperata, solo, in pieno inverno per un'emorragia interna [Minkia, che culo, per Corona. Muore l'unico testimone di questa immane cazzata, nota mia. Fuori tiro come il nonno.]. Lo trovarono dopo giorni di silenzio, in casa, inginocchiato dietro la porta, la mano sulla maniglia, nell'estremo tentativo di aprirla per chiedere aiuto. Tutti pensarono a una fatalità, ma io, che oggi conosco la storia, sono certo che era stata la vendetta della strega Melissa [E come no, nota mia]. Il corpo del povero Garlio, infatti, era congelato dal freddo, duro come un blocco di marmo, e il fatto di esser morto nel tempo gelido dell'inverno non era certo casuale. La vecchia lo aveva punito col suo alito di morte, quella morte implacabile che ibernava le persone col terrore negli occhi.

Confesso che adesso anch'io, ogni tanto, sono visitato dalla paura della strega perché, anche se involontario, fui complice del gesto di Garlio. Mi dà coraggio il pensiero che, se fosse stato per me, avrei chiamato i carabinieri [Grande balla, nota mia, e Melissa lo sa.] per recuperare e dare degna sepoltura a quella donna misteriosa, uscita d'improvviso dal ventre gelato della terra. E questo la vecchia me lo deve e, forse, me lo ha già dato. Per ben tre volte, infatti, nella mia ormai abbastanza lunga vita, sono stato salvato in extremis da sicuro assideramento. La pietosa mano del destino è intervenuta a proteggermi o, se vogliamo, una dannata fortuna.

Che quella fortuna sia opera della strega Melissa perché io avrei voluto seppellirla? Non ho certezze ma credo di sì, e per ringraziarla, e soprattutto ingraziarmela, ho battezzato col suo nome una delle mie figlie, l'ultima, Melissa appunto. [Minkia, e come no. Oppure l'inverso, mah.]

Il bastone di Raggio, invece, accuratamente protetto da una teca di vetro appesa al muro, si trova ancora là, nell'osteria di Camino al Tagliamento, che si chiama "Al vólt di séde", in via Roma al numero 35. Ognuno può ammirarlo [marpione] quando vuole, tranne il lunedì, giorno di chiusura.

[Metti anche gli orari e il telefono, già che ci sei. Nota mia: falso in scrittura pubblica, a 16 euro e mezzo a copia, iva inclusa.
Il "bastone di Raggio" che c'è appeso fu ordinato dal barista, sconcertato perchè dopo la pubblicazione del libro gli stava cominciando la processione dei babbei morbosi. Il Nostro magnanimemente glie ne scolpì lestamente uno che venne consegnato dall'artista in persona il giorno 7 ottobre 2005, alle ore 14.30. L'artista uscì dal locale il pomeriggio del giorno dopo e - trasportato a casa - subì i postumi di 24 ore di sbronza e di bagordi, fallendo inoltre la spergiurata presenza in diga per la prima Veglia dell'8/9 ottobre: «Porterò anche gli Alpini»... In una parola, l'ennesima presa per il culo ai suoi fans, moltiplicata per due.
Speriamo che l'oste di Camino gli passi almeno una percentuale sugli incassi, per la «sinergia». Come fa per contratto la casa Mondadori.]
Chissà se il mio benefattore, quel tipo che il 27 novembre 2003 mi portò il manoscritto di Zino, leggerà mai questo libro [io scommetterei di no]. Nel caso gli dovesse succedere, scoprirebbe, forse con un certo piacere, o forse con disappunto, che si ritrova sangue ertano nelle vene. E adesso capisco anche perché, quando lui e io si beveva al bar Stella di Sabina, ogni tanto guardava le montagne e continuava a ripetere che il posto gli piaceva, e che si sarebbe fermato volentieri. Era la sua parte ertana che parlava per lui, una parte selvatica e ribelle che ama spazi liberi, cieli aperti e acque correnti [spazi liberi, cieli aperti? quelli sono in Canada. Vorrei ricordare all'artista che da Erto paese, il cielo si vede come dal fondo di un imbuto].

Ulteriore testimonio era quell'anellino con la croce donatogli dalla madre, che tempo addietro lo aveva ricevuto dalla sua, l'amante di Zino.
Spero di rivederlo, un giorno, e parlare ancora di questa triste vicenda [Nota mia: ed ecco qua un prossimo "libro"...]. Farmi raccontare la vita della figlia di Zino, sua mamma; sapere se gli aveva mai rivelato qualcosa, in fondo Zino era suo nonno. Credo che, se avesse avuto la pazienza e la voglia di leggere il manoscritto, di certo non lo avrebbe consegnato a me. Ma così ha voluto il destino [Mondadori]: questa storia doveva diventare pubblica. Adesso lo è.

Erto, 18 marzo 2005

Ringraziamenti

Un sentito grazie va alla giovane Paolina Parutto di Claut che ha battuto il testo al computer logorandosi testa e occhi sulla mia microscopica e quasi indecifrabile scrittura a mano.
[Minkia. Come quella di «Zino»?? nota mia. Da non credere .... ma tu pensa ...]



Dalla parte dei consumatori: specchietto riassuntivo del TREND Corona (ghost writer):

Come base di partenza, e dato il valore "100" a Aspro e dolce (genere: deiezioni, ciocche e cazzate autografe, settembre 2004)
pagine dichiarate: 397 (394 senza contare gli spazi bianchi, cioè 'effettive'), media= 37 righe/pagina
Prezzo Euro 16,50
Tasso di riciclaggio*:38%
(* = per riciclaggio si intende che il Fenomeno ripropone racconti già pubblicati presso altro editore, e quindi «presa per il culo» per i propri lettori della «prima ora». Per rilevarla, occorre aver letto i suoi libri precedenti, come ha fatto a suo tempo il sottoscritto)
- e posto (matematicamente) il costo unitario di 1 riga a Euro = 0,16

ABBIAMO:0
- L'ombra del bastone (gen. porno-fantasy/splatterfoibe, ottobre 2005)
pagine dichiarate: 272 (197 effettive)) Media= 31 righe/pagina
Prezzo Euro 16,50
Tasso di riciclaggio*: 86%
costo unitario di 1 riga a Euro = 0,19

0
- Vajont, quelli del dopo (gen. fantasy-trash-Vajont-fiction, 2006)
pagine dichiarate: 78 (63 effettive) Media= 25 righe/pagina.
Prezzo Euro 8,00
Tasso di riciclaggio*: 99%
costo unitario di 1 riga, Euro = 0,50

Qui il materiale riciclato occupa tutto il "volumetto", essendo solamente la ripetizione di innumerevoli concetti già espressi dal nostro in anni di interviste, incontri e articoli di giornale. Manca solo il personaggio che propone "l'ascensore sulla diga" (2000). Concordo, così ha voluto il destino: questa presa per il culo del marketing Corona/Mondadori «dovevadiventare pubblica. E adesso lo è.»

Morale, in soldoni: in tre anni, con lo sponsor Berlusconi, aumentano gli spazi bianchi e le ripetizioni (rifritture), ma il costo unitario sale (per rigo, per cazzata) in maniera preoccupante con un'incremento di oltre il 300% in termini di prezzo al pubblico nel caso di "Vajont, quelli del dopo", in cui tra l'altro gli 'spazi bianchi' raggiungono il 20% del libro.
Inversamente proporzionali invece la qualità e la vena dello 'scrittore' (sic!), avviatosi da tempo e volontariamente, per manifesti limiti culturali, verso la china dello scriba a richiesta "un tanto al chilo". E delle invenzioni provocatorie, bolse o semplicemente miserabili sul piano umano e insostenibili sul piano STORICO.

Ma non tutto il guano vien per nuocere: i figli mantenuti dallo «scrittore trash-analfabeta» ringraziano e abbastanza giustamente, dal loro punto di vista, gongolano. Le interviste "marchetta" sulla stampa o gli "incontri" pseudoculturali sponsorizzati servono al brand "Corona" per promuovere le prossime "perle" di saggezza dello sciamannato 'sciamano', reinventore indiscutibile del nuovo genere "Vajont-Trash", specializzazione 'fiction/parassita'.

Applausi, dissolvenza.

Tiziano Dal Farra

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