Il Cimitero monumentale della VERGOGNA / croci - 191

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croci

Nella storia del dopo Vajont non mancano le storie di sparizione dei soldi, miliardi dell'epoca, raccolti grazie alla solidarietà degli italiani e di donatori di tutto il mondo. A fronte di raccolte arrivate a buon fine e ampiamente e meticolosamente registrate (per esempio quelle del Corriere della Sera), ve ne sono altre di cui non si è mai saputo nulla. Nessun superstite ha mai preso una lira dei miliardi raccolti per loro dalla Rai (627 milioni di allora nella sola prima settimana, equivalenti ad oltre 14 milioni di euro di adesso). Un altro business fu per molti anche quello dei bambini rimasti orfani. Con sospetta facilità vennero spesso affidati in tutela a persone il cui unico scopo fu quello di derubarli dai risarcimenti a cui avevano diritto per la perdita dei genitori e delle case. Ci sono poi le storie dei morti mai recuperati e mai nemmeno cercati dalle diverse amministrazioni comunali che si sono succedute in questi quasi quarant'anni.

A fronte dei risarcimenti miliardari ottenuti (l'ultimo di 77 miliardi al comune di Longarone del 2000) nessuno si è mai dato da fare per esaudire il desiderio dei superstiti di provare a recuperare le 451 vittime mai trovate. Non si è mai seriamente scavato sul greto del torrente Maè dove dovrebbero trovarsi i morti di Longarone o a monte della diga dove dovrebbero essere finite le 158 vittime di Erto Casso (e dove con un cattivo gusto e un disprezzo per la memoria è stato da pochi mesi inaugurato un salumificio).

Chi ha perso parenti, amici, portati via dall'onda di morte quella notte di luna piena del 9 ottobre 1963 ancora aspetta giustizia. Ma una giustizia che arriva troppo tardi non può mai essere giusta. L'unica cosa che ora si può fare per loro è almeno ascoltare le loro storie. E lottare insieme a loro per ridare dignità ai loro morti.
Nel ristrutturare il cimitero delle vittime di Fortogna, il sindaco di Longarone ha detto ad un familiare che voleva mettere dei fiori sulle nuove tombe dei suoi parenti, cippi di marmo anonimi, mal scolpite e senza nemmeno la data in cui la tragedia avvenne:"Questi non sono più vostri morti, sono morti di Longarone".
Questo è l'ultimo atto. Rubare anche i morti ai loro familiari.

Alcuni parenti hanno smesso di frequentare il cimitero.
Qualcun altro ha cominciato un'altra sua piccola rivoluzione. Ha preso sassi bianchi in vari luoghi della zona, dove si ergeva la sua casa, sulla frana, lungo il corso del Maè o del Piave, e ha 'costruito' una croce. Chissà se qualcuno avrà il coraggio di toglierla perchè disturba l'ordine teutonico con il quale si è voluto togliere l'anima al cimitero.
Su una lapide che si incontrava visitando il vecchio cimitero si leggeva:

"Barbaramente e vilmente trucidati per leggerezza e cupidigia umana, attendono invano giustizia per l'infame colpa. Eccidio premeditato".
Chi l'aveva voluta era Luigino, marito di Giovanna e padre di Gianni, Maurizio e Roberto, sette, sei e quattro anni. Tutti morti. E lui, unico superstite, per quella lapide era stato interrogato dal magistrato che voleva fargliela togliere. Senza peli sulla lingua aveva risposto:"Chi la tocca è un uomo morto. Questa lapide deve rimanere qui per sempre".
Luigino è morto a sessant'anni di dolore e per un tumore. La sua lapide, nel nuovo cimitero, non c'è più, fa parte delle memorie scomode che si sono volute togliere.
Il sindaco dice che insieme alle altre troverà collocazione in una parte del cimitero. Ma i lavori sono finiti da un anno e delle lapidi non c'è traccia.
Forse non si è ancora riusciti a trovare un posto sufficientemente remoto per nascondere i segni di quella vergogna che è stata, che è il Vajont.