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  • INDICE
  • 13 Introduzione.
    Il geografo e l'ultima spiaggia
    di Francesco Vallerani e Mauro Varotto
  • 19 Parte prima.

    Geografie smarrite

  • 21 L'ANIMA DEL PAESAGGIO VENETO
    di Eugenio Turri
  • 27 C'E' DEL MARCIO IN DANIMARCA (E DELL'INFELICITà IN VENETO)
    di Francesco Jori
  • 35 NORDEST: DAL SUCCESSO ALLA DIFFICILE RICERCA DI NUOVE METE COLLETTIVE
    di Bruno Anastasia
  • 55 LE SFIDE DELL'ALTROVE IN CASA di Graziano Rotondi
  • 69 ABITARE TRA LE ISOLE DEL VENETO CENTRALE
    di Mauro Varotto
  • 115 I LITORALI DEL VENETO ORIENTALE TRA NATURALITA', EROSIONE E URBANIZZAZIONE
    di Michele Zanetti
  • 135 NON CANTA PIU' IL SECCHIO NEL POZZO
    di Graziella Andreotti
  • 149 Parte seconda.

    Racconti del disagio

  • 151 IN MARGINE A UN VECCHIO ARTICOLO
    di Andrea Zanzotto
  • 159 LA PERDITA DELLA BELLEZZA. PAESAGGIO VENETO E RACCONTI DELL'ANGOSCIA
    di Francesco Vallerani
  • 187 CARLO SGORLON E L'ARCHETIPO DISPERSO
    di Marta Bearzotti
  • 205 SGUARDI INQUIETI SUL PAESAGGIO.
    VISIONI GEOFOTOGRAFICHE DEL VENETO CONTEMPORANEO
    di Tania Rossetto
  • 249 L'OMBRA DELLA PISOLERA
    di Francesco Ferrarese
  • 259 SORRISI NASCOSTI SU FONDO GRIGIO
    di Laura Sgambaro e Abdeljabar Diraa
  • 269 SAN PIETRO DI ROSA': IL PRESIDIO RIBELLE
    di Daniele Pasinato e Lorenzo Signori
  • 291 Postfazione.
    "We have a dream..."

    di Francesco Vallerani e Mauro Varotto


  • Oggi il Veneto e senz'altro "più grigio", per l'enorme espansione del cemento e per il disagio di un numero crescente di abitanti dinanzi al proseguire indisturbato delle dinamiche, sempre più aggressive e rapide, della rendita fondiaria che premia il tornaconto di pochi e magari solo per breve tempo. Il grigio oltre le siepi cui fa riferimento il titolo di questo libro, tuttavia, non è solo il colore degli orizzonti del Veneto contemporaneo. Richiama il rischio dell'assenza stessa di orizzonti, il colore dello spaesamento, dello smarrimento interiore che assale chi prova a guardare oltre il proprio backyard, oltre il fragile paravento che limita la proprietà privata, oltre il vantaggio effimero di un'azione.

    Siepi reali e metaforiche difendono il raggiunto traguardo del benessere individuale, ma impediscono di allungare lo sguardo verso spazi e tempi più ampi, di pensare a prospettive di senso condivise.
    Per questa terra e per queste genti.



    Francesco Vallerani (1954).

    Ha compiuto i suoi studi presso il Dipartimento di Geografia dell'Università di Padova. Ha conseguito il Dottorato di Ricerca in "Geografia Storica e Pianificazione del Territorio" all'Università di Pavia e specialità postdottorato a Padova. Dopo aver insegnato a Padova, Feltre e Milano, è ora docente di Geografia presso l'Università di Venezia Cà Foscari. La sua ricerca più recente considera non solo le relazioni tra il declino dei paesaggi e l'angoscia sociale, ma anche le strategie per il recupero ambientale.



    Mauro Varotto (1970).

    Si è formato presso il Dipartimento di Gcografia dell'Università di Padova, dove ha conseguito il Dottorato di Ricerca in "Uomo e Ambiente" e dal 2002 è ricercatore e docente di Teoria e Metodi della Geografia. Dal 2005 è docente di Geografia Culturale presso il corso di laurea in Conservazione dei Beni Cultural! a Venezia Ca' Foscari. I suoi studi considerano in gran parte l'evoluzione dell'ambiente alpino e prealpino, con particolare riguardo ai paesaggi dell'abbandono.
    Di recente si occupa di geografia dell'abitare e del declino del senso dei luoghi.



    Il Veneto centrale è divenuto negli ultimi anni l'area simbolo di quel modello economico-territoriale, nonché potente figura retorica, noto a tutti come "Nordest". Essere oggi abitanti del "centro senza centro" compreso nell'area delimitata dai poli urbani di Venezia, Treviso, Bassano del Grappa, Vicenza e Padova, significa fare i conti, anche a livello esistenziale, con un nuovo mondo: quello della "città postmoderna" incarnata dal modello planetario di Los Angeles, cui il caso Veneto e stato paragonato di recente.

Il grigio oltre le siepi

Geografie smarrite e racconti del disagio in Veneto

A Marcello Zunica

a cura di

Francesco Vallerani e Mauro Varotto

università degli studi di padova - dipartimento di geografia «g. morandini»

Ed. nuova dimensione


(POSTFAZIONE)

"WE HAVE A DREAM..."

di Francesco Vallerani e Mauro Varotto

Alla fine di questo viaggio sentimentale tra le pieghe e le piaghe di un Veneto ingrigito dallo spaesamento e diretto verso atopia, crediamo sia opportuno elaborate accorte strategie di sopravvivenza, rintracciare con la cura dell'archeologo le gocce di speranza non ancora inaridite, a cui basta davvero poco per riaccendersi, come la stentata flora nei deserti, capace di donare la bellezza improbabile di multicolori fioriture al pur minimo apporto di umidità, rugiadosa o meteorica che sia. A volte ci coglie il dubbio e l'incertezza che il lamentoso refrain sul declino del luoghi - quasi un robusto basso continuo che connota non solo le nostre comuni discussioni e analisi del paesaggio, dell'abitare, di come organizzare seminari ed escursioni, ma anche la condivisione della letizia conviviale - sia davvero eccessivo, una sorta di masochismo erudito, condito dalla retorica del pessimismo culturale, che ci allontàna dalla serena analisi scientifica.

Certamente dal nostro specifico punto di vista di geografi partono sguardi più curiosi, con l'attenzione sostenuta sia dalla considerazione fattuale degli eventi sia dalla particolare disposizione all'ascolto delle varie voci provenienu dai soggetti abitanti. Il lavoro sul campo, l'ostinato divagare al di fuori della turris eburnea accademica, tra la fitta maglia di itinerari, nel senso di concreti percorsi e di specifiche scelte di temi di ricerca, tra le Prealpi e il litorale dell'Adriatico, ci ha consentito di toccare con mano le inquietanti dinamiche che hanno prodotto le vistose trasformazioni della territorialità regionale. Duole davvero constatare che il nostro malessere non solo è ampiamente condiviso nei vari registri delle narrazioni soggettive rinvenibili in terra veneta, dal letterario al popolare, dal giornalistico allo scientifico, ma è davvero poca cosa rispetto ai ben più severi disagi che devono sopportare settori sempre più ampi di popolazione, colpiti da quella che Tim Parks definiva «costante minaccia di invasione», nella forma del dilagare dell'urbanizzazione, delle infrastrutture viarie, dell'intasamento del traffico, degli inquinanti pericolosi. Nella nostra regione infatti, come in gran parte d'ltalia, non e facile affezionarsi ai luoghi, ai panorami, al potere rasserenante del bel paesaggio, sia che si tratti delle destinazioni turistiche frequentate per anni a seguito di tradizionali inerzie sia del contesto della spazialita quotidiana. Si tratta sempre, specie in pianura, di scenari a rischio, il cui valore si lega spesso alle amate geografie della memoria, dell'infanzia, un patrimonio immenso di luoghi del cuore e della nostalgia che ogni abitante accoglie con affetto all'interno della sua specifica percezione del territorio.

Molti di noi veneti, specie se residenti in ambiti rurali, quelli che fino a pochi anni fa si potevano ancora chiamare "campagna", assistono a continue trasformazioni, con un'inquietante tensione tra fatto traumatico e adattamento, perché si tratta in gran parte di scelte incrementali che - per il carattere (dis)integrato che le caratterizza Ñ peggiorano il nostro senso dei luoghi e rispondono troppo spesso non a reali esigenze di qualità urbanistica, ma a mere operazioni di speculazione.

Ricordiamo come un'occasione sprecata l'iniziativa promossa dal Fondo per l'Ambiente Italiano (FAI) nella primavera del 2003 per censire 'I luoghi del cuore', che in Veneto ha identificato le solite eccellenze, ignorando le indicazioni di altri affetti geografici sparsi tra le maglie ampie del territorio: l'alberata rasa al suolo lungo una roggia di età veneta a Carmignano, i capannoni sui prati stabili in via Ronco a Paviola, la vasta lottizzazione ai piedi del colle di Formenìga, e così via. Prosegue l'assidua erosione di paesaggio e la cancellazione dei luoghi della nostra quotidianità esistenziale.

No, non possiamo dimenticare la straordinaria partecipazione di cittadini al convegno di Sernaglia della Battaglia.
Quell'evento e ancora adesso il segnale di una indignazione condivisa, che deve trovare il giusto ascolto, per capire, per riflettere, per avviare piu sagge e adeguate politiche territoriali. Abbiamo usato la parola "ascolto". Non a caso. Al di là delle più evolute metodologie avviate dall'urbanistica partecipata, dalle strategie per lo sviluppo locale, quello che manca e ancora la volontà e l'interesse di confrontarsi con i portatori dei disagi ambientali. Di solito alle proposte di incontro, alle civili missive di protesta, alle richieste di chiarimenti inviate agli amministratori sia dai singoli cittadini che dai comitati fa seguito la più frustrante, e al tempo stesso la più violenta delle risposte: il silenzio. Come se l'abitante non esistesse, come se rammentare che l'odore di solventi provenienti dall'azienda non ancora condonata fosse una questione irrilevante, come se il traffico pesante nella stretta viabilità comunale che conduce alla nuova cava non potesse essere almeno governato da adeguati limiti di velocità, come se la qualità visuale, cioè la bellezza, fosse un trascurabile accessorio all'esistenza, da sacrificare all'immediato tornaconto economico dei soliti pochi.

È il silenzio dei prepotenti, ovvero l'eterna arroganza di un potere poco disposto al dialogo, alimentato da instancabile riproducibilità che fiacca la resistenza di chi cerca e implora l'ascolto, anche se oggi si è sempre meno disposti a sopportare il ruolo di vittime senza voce, ben decisi invece a rompere quel "silenzio" colorato di pacifica indifferenza da parte dei più, così comodo e rassicurante per il trasversale quieto vivere delle istituzioni.

Eppure non siamo ancora alla "fine delle illusioni", ma anzi, We have a dream..., facendo nostro il famoso esordio oratorio di Martin Luther King. Un sogno sempre più ricorrente, che mai come negli anni a seguire potrebbe tramutarsi in rasserenante realtà. I tempi sono maturi, grazie soprattutto all'evoluzione allargata delle attitudini culturali, di cui i responsabili politici, anche se in Veneto sono sostenuti da granitici consensi comunque vadano le cose, dovranno tener conto. Non si tratta solo di sensibilità ambientalista verso la base naturale o di amore del proprio passato storico e artistico o del più o meno sincero bisogno di tutelare il senso di radicamento e di identità culturale, sia che si tratti della rozzezza contadina o delle antiche e sane costumanze enogastronomiche.
È un'esigenza assolutamente trasversale e vitale al tempo stesso, poiché ne va della continuità del nostro benessere futuro. Insomma è ciò che da anni, a livello dei sempre più numerosi comitati per la tutela del territorio veneto, si evoca senza essere ascoltati: la qualità della vita e la concezione olistica del benessere e della bellezza, con la consapevolezza che il degrado ambientale conseguente alla smodata e insaziabile corsa alla ricchezza per pochi conduce all'impoverimento di molti.

I motivi per nutrire il sogno sono sempre più numerosi, più condivisi, rinvenibili tra le associazioni, il volontariato, nell'interesse della stampa locale, ma anche nella incoraggiante evoluzione della sensibilità ambientale tra alcuni amministratori. In tutto questo fermento ci sembra opportuno rammentare l'iniziativa della Diocesi di Venezia avviata con la pastorale Gli stili di vita, recentemente divulgata in una manifestazione pubblica con il tema "Festa del creato". Il filo conduttore era la definizione di un altro stile di vita, basato sulla ricerca di valori più profondi per ottenere qualità sia spirituale che materiale in sintonia con il creato.

Un altro significativo spunto di sognante speranza viene da un imprenditore del Nordest, che con l'acquisto di un'intera pagina in un importante quotidiano nazionale, poco prima del Natale 2004, evidenziava l'importanza del mito della bellezza «per rilanciare l'economia italiana». Il lungo articolo è un'accurata e garbata analisi che mostra i limiti vistosi della recente evoluzione territoriale, non solo in Veneto, specialmente sul piano della qualità fisionomica, per cui il vivere in un ambiente brutto e degradato genera disagio. E questa è «una ragione in più per includere nel mito della bellezza la cultura del paesaggio, che oggi distruggiamo senza renderci conto che questo sarà il più grande capitale che potremo lasciare in dote ai nostri figli».

Sempre nel dicembre 2004, a un convegno organizzato dalla Provincia di Vicenza, anche il governatore regionale esprimeva inaspettatamente la medesima preoccupazione, così riportata sul «Corriere del Veneto» del 17 dicembre: «Basta con le file di fabbriche tutte uguali, brutte e spesso abbandonate. Bisogna trovare il coraggio di abbattere i capannoni inutili e di costruirne di nuovi solo quando sono necessari, facendo attenzione anche alla qualità estetica dell'edificio».
Ma ancor prima, nel nevoso febbraio dello stesso anno, la "Carta di Asiago" e il documento programmatico stilato dai cinque "proti" riuniti per l'occasione, manifestava con urgenza la necessità di invertire rotta, di «dare forma alla villettopoli», di capire «che la vita è fatta anche di altre cose, non solo di produzione», di «integrare i sopravvenienti, cioè le nuove generazioni e gli immigrati»; reclamava il bisogno di ricucire e integrare paesaggi infermi e informi, di regolare le spinte selvagge del mercato, di risparmiare e valorizzare territorio e ambiente intesi come bene pubblico, un territorio «troppo importante per lasciarlo solo in mano ad architetti ed urbanisti».

Noi sogniamo che queste parole possano significare un'adeguata, benché minima esigenza di contestualizzazione e rispetto per le preesistenze, e tanto altro ancora... Tutto questo vorrà forse dire che il sogno è fugace e illusorio?
Di fronte al perpetuarsi di grigi panorami per il Veneto contemporaneo, verrebbe la tentazione di porre in chiusura di questo nostro viaggio la riflessione di Yoram Kaniuk e il suo invito, in Post mortem, a innamorarsi della disperazione, di certo più energica e propositiva della depressione, unico territorio in cui potersi rifugiare, quasi un approdo, al cui interno nulla di peggio può accadere, e questo è un bene.

L'invito che invece vogliamo rivolgere, con forza, a conclusione di questo percorso, e di cui questo libro vuole essere testimonianza, è quello a tenere aperti gli occhi sulle brutture contemporanee per continuare a educare alla bellezza, a mantenere ancora la forza di indignarsi, come ci ha insegnato Marcello Zunica, con la consapevolezza che il grigio dell'indifferenza verso il bene comune prospera perché lo consentono le troppo anguste siepi del tornaconto individuale. Pensare, abitare, vivere in maniera allargata, integrata in un contesto spaziotemporale di cui siamo parte e che è parte di noi, costituisce l'obiettivo finale a cui tendere per realizzare questo sogno, per costruire «luoghi della cura» o «territori della socievolezza», seguendo l'ideale suggerito da Georg Simmel, in cui la gioia del singolo e il suo appagamento non siano ottenuti a spese di sensazioni assolutamente opposte dell'altro. Ma questo potrà avvenire soltanto attraverso una rivoluzione culturale, se, come ci ricorda Hans Jonas, ciascuno abbandona l'etica della simultaneità e dell'immediatezza in nome di un'etica della previsione e della responsabilità.
Non ci si può sentire davvero abitanti in luoghi segregati. O, se questo avviene, quel territorio non sarà più il nostro, quel Veneto non ci apparterrà più: sarà davvero, stavolta, soltanto una smarrita e lontana espressione geografica.





Le immagini appartengono agli autori dei rispettivi contributi se non diversamente indicato pagg. 6-7: gli scheletri metallici della Zincheria Valbrenta: un nuovo orizzonte verso l'altopiano di Asiago editing: francesco bergamasco impaginazione: esagramma grafica di copertina: vanessa collavino © 2005 dipartimento di geografia «g. morandini» università degli studi di padova via del santo, 26 - 35123 padova © 2005 nuova dimensione via cesare beccaria, 13/15 - 30026 portogruaro (ve) tel. 0421.74475 - fax 0421.282070 internet: www.nuova-dimensione.it e-mail: posta@nuova-dimensione.it nuova dimensione è un marchio di proprietà di ediciclo editore s.r.l. è vietata la riproduzione totale o parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia. ISBN 13: 978-88-89100-18-4 ISBN 10: 88-89100-18-4