Dall'Avvocato bellunese

Peppino Zangrando*

riceviamo e volentieri pubblichiamo:


« Dopo la copiosa messe di letteratura pornostorica (Pisanò, Serena, Pirina) e la successiva alluvione di antologie necrofile (Pansa, Pittalis e, buon ultimo, Vespa Bruno), tocca ora a Mauro Corona (si parva licet) inaugurare una nuova fonte di falsificazione della storia e ciò a proposito del dramma del Vajont.

La strategia che accomuna le iniziative libresche dei revisionisti di destra e di sinistra(?) è sempre la stessa: da un lato convincere il lettore che la Resistenza fu buona cosa finché non venne monopolizzata dai cattivi comunisti che volevano instaurare la dittatura dei Soviet e dall'altro lato - ed è questo il versante che riguarda il Corona - che i cattivi comunisti della nostra provincia bellunese hanno speculato sull'immane tragedia al solo scopo di ''colpire la DC'' e di ''strumentalizzare il nostro dolore" per i loro fini di bassa macelleria politica. E ancor più, disinteressandosi della "ricostruzione e dei risarcimenti ai superstiti" li hanno "incoraggiati ad accettare una somma vergognosa dall'ENEL" con la transazione.

0«Calumniari est falsa crimina intendere», dicevano i nostri antenati e solo calunniose vanno definite le proposizioni che Mauro Corona ha versato, in concomitanza con il 42esimo anniversario della catastrofe su di un quotidiano di destra che le ha prontamente raccolte.
Credo che, al proposito, torni giustificato il ben conosciuto aforisma di Giulio Andreotti a proposito del malvezzo della maldicenza e gli amici che mi hanno scritto hanno rilevato la motivazione che può aver indotto lo scrittore ertano a pronunciare simili nequizie.

Intendiamoci. Non è che la taccia ai comunisti bellunesi di "sciacalli del Vajont" sia cosa nuova: tale accusa venne lanciata, nell'immediatezza dell'immane catastrofe, da scrittori di ben altra vaglia che non il Corona ed esternata sulle colonne del più paludato quotidiano italiano da giornalisti che avevano di nome Indro Montanelli e Dino Buzzati. Se Corona nella sua invettiva giunge quindi in ritardo di 43 anni, costui non esita ad esporre ben articolati addebiti che ci costringono a rispondere fuori dai denti.

Dice l'intervistato Corona, «Tutti sapevano che il Toc sarebbe franato ma nessuno fece nulla. L'unica voce fuori dal coro fu quella della giornalista Tina Merlin che aveva intuito il rischio e lo denunciava a piena voce su "L'Unità" senza essere ascoltata neanche dal PCI»

Senza essere ascoltata dal PCI?

L'onorevole Francesco Giorgio Bettiol, deputato del PCI, intervenne ripetutamente a denunciare (i verbali lo attestano) sia nelle sedute del Consiglio provinciale, sia alla Camera dei deputati la situazione di pericolo che Tina aveva evidenziato su l'Unità, quotidiano del partito, anche ricordando che l'ingegnere capo del Genio Civile di Belluno, reo di mancata acquiescenza ai voleri della SADE, era stato trasferito d'autorità, di punto in bianco, ad altra sede.

E il comunista onorevole Bettiol, fuori del coro, aveva promosso il consorzio degli espropriandi di Erto contro le prepotenze degli elettrici; e fuori del coro era anche lo scrivente, incaricato dalla Federazione del PCI di Belluno, di assistere la giornalista comunista rinviata a giudizio avanti il Tribunale di Milano per aver preannunciato i pericoli della frana del Toc.

Fuori del coro quindi i comunisti bellunesi, ancorché la loro iniziativa di forza politica minoritaria in provincia non fosse riuscita a bloccare i disegni dei potentati economico-politici.
Alla conferenza stampa svoltasi presso l'Albergo delle Alpi pochi giorni dopo il 9 ottobre '63 per la presentazione del «Libro Bianco sul Vajont», uno dei giornalisti presenti - non ricordo se Pansa o Bocca - osservò, a fronte delle copiose informazioni raccolte, che con ogni evidenza Corona non conosce o non vuol conoscere, che "i comunisti avrebbero dovuto fare la rivoluzione". Noi comunisti bellunesi non facemmo la rivoluzione ma cercammo di riunire, nel "Comitato per la rinascita della valle ertana" i più avvertiti dell'incombente pericolo e quel pericolo indicammo nelle sedi istituzionali che avrebbero - e NON lo fecero - dovuto intervenire in tempo.

Ma il vaniloquio di Corona non termina qui: «Il PCI iniziò un'invasione politica, ergendosi a difensore delle vittime, e strumentalizzando il nostro dolore per colpire il governo DC».

Non esiste alcun atto a dimostrazione dell'assioma. La notte del 9 ottobre '63 chi scrive, assieme ai compianti Toni Berna e Gianni Lanzarini, inviò a Botteghe Oscure un telegramma ad avvisare che a Longarone era avvenuta una «strage annunziata». L'azione del partito si sviluppò quindi nella solidarietà ai superstiti, nella denuncia delle responsabilità penali e nella rivendicazione di ricostruire i paesi dov'erano prima della catastrofe, a fronte di ipotesi di trasferimento in altre zone. Certamente la solidarietà fu anche quella degli ex partigiani che avevano operato sul Mesazzo e a Provagna, giunti da Bologna col loro sindaco, Giuseppe Bozza, a dare una mano.
E Giovanni Bortot, comunista, allora vicesindaco di Ponte nelle Alpi, si prodigò a recuperare dalle acque del Piave 250 salme, e così Giovanni Melanco sulle grave di Limana, e tanti altri compagni. Non voglio ripetere quanto testimonia l'onorevole Bortot.
Ciò che mi preme sottolineare è il fatto che la nostra accusa fu sempre e solamente contro chi aveva costruito e riempito l'invaso del Vajont e contro chi non aveva dato ascolto ai segnali che provenivano dal Toc, per evitare il disastro. Altro che "strumentalizzazioni" contro la DC (ma forse il Corona dimentica il fatto che alcuni autorevoli dirigenti di quel partito e delle ACLI furono allontanati e fatti tacere per avere anch'essi denunciato le responsabilità dei manager e dei politici nella causazione della catastrofe).

L'ultima vergognosa offesa riguarda la posizione del PCI in vista dell'offerta transazionale dell'ENEL-SADE con l'avallo governativo (e, per quanto è a mia conoscenza, della massima autorità istituzionale). Non c'è dubbio che la proposta transazionale originò un problema di enorme valenza, che ci costrinse a accorate ed estenuanti discussioni in sede politica (ma sul punto altri potranno testimoniare).

Per noi del collegio delle parti civili la situazione fu drammatica.
Da un lato dovevamo tener conto, per retta deontologia professionale, dell'orientamento della maggioranza dei nostri tutelati favorevoli all'accettazione della transazione, così evitando l'alea e l'onere di interminabili azioni giudiziarie e ciò alla luce del detto popolare "pochi, maledetti e subito.
Al tempo stesso però, come ben ricorda Bortot, e come è documentato nella pubblicazione "La notte del Vajont" edito di recente dalla CGIL di Belluno, il Comitato di Solidarietà, presieduto da Ferruccio Parri (vicepresidente l'avvocato comunista di Belluno Antonio Bertolissi) avvisò i superstiti che l'offerta transazionale avrebbe indebolito il fronte delle parti civili nel processo che si stava profilando per merito di un coraggioso e infaticabile Giudice Istruttore presso il tribunale di Belluno.
E ciò fece in pubbliche assemblee, anche se il Comune di Longarone, con amministrazione di centro-destra eletta nel '64 (e che, come primo atto aveva revocato il mandato a difesa ai legali nominati dalla precedente giunta Arduini) rifiutò all'ex presidente del Consiglio, Parri, la sala del municipio ove avrebbe voluto incontrare i superstiti. E così il nostro Maurizio ebbe accoglienza nell'ospitale cooperativa dell'allora «rossa» Provagna.

Teatro Comunale di Belluno
Teatro Comunale, Belluno (foto d'epoca)
- Voglio qui ricordare che la ferma presa di posizione contro l'ipotesi transattiva del Comitato di Solidarietà, della CGIL, dell'INCA e del PCI ebbe riflessi dolorosi anche all'interno dell'altro partito della sinistra bellunese, il PSIUP, tanto che l'avvocato Manlio Losso, allora iscritto, ne fu allontanato per aver sottoscritto l'accordo.

- Ed ancora, il Corona dimentica di ricordare la "Marcia della sicurezza" promossa dal Comitato; e la grande assemblea al Teatro Comunale a Belluno, promossa dai tre comuni di Longarone, Erto-Casso e Castellavazzo, quale protesta per l'inconsulta decisione di spostamento del processo a L'Aquila (forse perchè ivi prese la parola uno dei padri della nostra Costituzione, il comunista Umberto Terracini).

- Ed infine, chi scrive questa nota, assieme al collega Giorgio Tosi, ottenne da Alessandro Natta - incaricato dal segretario generale Luigi Longo di seguire la vicenda giudiziaria - la più ampia solidarietà: ci fu affiancato un grande proceduralista e cattedratico, Giuseppe Sotgiu e a L'Aquila, il valoroso avvocato Giovanni Carloni.
Ogni azione fu quindi esperita per assicurare degna e tenace permanenza delle parti civili avanti il Giudice penale: gli "irriducibili" (ricordo Arduini, Franchini, Dalla Putta, Teza ed altri) poterono così proclamare la loro domanda di giustizia nelle conclusioni dei loro difensori (e l'avvocato Sandro Canestrini è stato di recente nominato Cittadino Onorario di Erto-Casso).

Non posso soffermarmi sulle iniziative dei gruppi del PCI in ambo i rami del Parlamento e mi limito a ricordare la costante opera dei Busetto, Bortot, Bettoli, Gianquinto, Lizzero e Scoccimarro nella formazione delle normative della ricostruzione. Altri lo potrà fare meglio di me.

Concludendo.
Mauro Corona potrà anche ritenere che i cattivi comunisti bellunesi abbiano compiuto orrendi misfatti (l'anticomunismo rende ciechi, disse un giorno Enrico Berlinguer, buonanima). Ciò che è inammissibile è che il predetto si sia dimenticato di ricordare che i responsabili, con nome e cognome, dell'immane delitto furono identificati nei manager e nei padroni della SADE

*zangrando firma

(* Peppino Zangrando, avvocato e Cassazionista bellunese. Fu avvocato di parte civile e segretario nel "Processo Vajont"; e legale di Tina Merlin nel suo processo milanese del 1959)

Riferimenti: intervista a Mauro Corona su "Libero" in occasione dell'anniversario 2005, e una relativa lettera dell'Avv. Zangrando.

Tiziano Dal Farra, Udine.