Indice

Traccia d'esame

Introduzione

Il contesto storico

L'Italia

Il Vajont e il Piave

I protagonisti

Il contesto ambientale
Analisi geologica della valle

Fenomeni d'instabilità nella valle del Vajont

Cenni d'idrogeologia

Cronologia

I precedenti

Pontesei

Il 4 novembre

La catastrofe

La frana

La dinamica

Le conseguenze

Le cause

Bibliografia


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- Vajont - 9 ottobre 1963 -

Istituto Statale di Istruzione Secondaria "G.Verdi"
di Valdobbiadene - Liceo Scientifico
Anno scolastico: 2001/2002

Alunna: FRARE Enrica



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Traccia

La vicenda del Vajont

1. Quali sono state le cause fisiche del fenomeno?

Cause predisponenti.
1. Condizioni litologiche stratigrafiche e tettoniche del versante destro.

a. La presenza di strati poco solidi o altamente instabili in determinate condizioni; ad esempio la presenza di argille e marne che hanno un normale comportamento in condizioni normali, ma perdono drasticamente la loro stabilità in presenza d'acqua.

b. L'alternanza di strati permeabili (calcari) e impermeabili (rosso ammonitico) ha portato:
•  alla stagnazione dell'acqua in prossimità degli strati impermeabili, con conseguente diminuzione della coesione interna, aumento delle pressioni idrostatiche e aumento di peso delle masse coinvolte;
•  alla creazione di due sistemi artesiani separati dipendenti: il primo, dal livello dell'acqua nel bacino e il secondo dalla piovosità del mese precedente.
a. La stratificazione a franapoggio del versante, con inclinazione degli strati superiore a quella del versante.
b. La presenza di numerose pieghe e fratture ha favorito la permeabilità di tutto il versante, oltre ad una minore stabilità.

2. Morfologia della valle.
a. L'erosione torrentizia ha agito mettendo a nudo i piedi degli strati favorendo l'imbibizione e diminuendone nel complesso la stabilità.

3. Sismicità della regione.
a. Nonostante la zona sia considerata a "leggera sismicità", la frequente azione dei microsismi, anche se ad intensità limitata, ha ugualmente influito sull' elasticità delle rocce e sulla stabilità del pendio.

4. Attività ingegneristiche che hanno influito sull'equilibrio già precario del pendio.

a. Opere quali: strade, gallerie, canali, ecc.
b. Campagne geosismiche.
c. Normali attività legate alla costruzione della diga.

Cause provocatrici.

1. Acqua. Questo elemento, sotto diverse forme ha agito pesantemente sulla massa causando:
•  aumento del peso interno per imbibizione delle rocce permeabili;
•  diminuzione della coesione interna, specialmente in materiali quali l'argilla e le marne;
•  diminuzione dell'attrito su gli strati più rigidi (calcari oolitici) dovuto a galleggiamento, azione erosiva ed effetto lubrificante.

a. Pioggia.
Il periodo tra settembre e novembre è stato, nel suo insieme, caratterizzato da un'alta piovosità che grazie alla natura stessa del terreno (altamente fratturato), ha permesso all'acqua di penetrare e imbibire anche quegli strati di terreno non lambiti direttamente dall'acqua del bacino. Questo, unito alla presenza di strati impermeabili che hanno impedito il normale flusso dell'acqua in profondità, ha comportato un notevole aumento del peso del materiale oltre ad una già citata diminuzione della coesione interna ai materiali ed una drastica diminuzione del coefficiente d'attrito.

b. Acqua del bacino.
Aiutata dalla stessa morfologia della valle, l'acqua del bacino è penetrata in profondità nel pendio, andando ad imbibire gli strati permeabili e lambendo quelli impermeabili, causando anche un aumento della pressione idrostatica.

c. Invasi e svasi.
Queste operazioni, oltre alle già esposte azioni dell'acqua, hanno comportato un ulteriore azione di allentamento e galleggiamento dell'acqua del bacino sulle rocce bagnate e una conseguente sottopressione all'interno del materiale permeabile in occasione degli svasi. d. Forte inclinazione della falda freatica (17%) con conseguente aumento della spinta idrodinamica dell'acqua nel corpo della frana.

1. In che modo l'uomo può essere ritenuto responsabile del fenomeno?

Dal punto di vista ingegneristico.
L'opera di per sé risulta perfetta in quanto è riuscita a resistere a forze di eccezionale entità e assolutamente imprevedibili

Dal punto di vista geologico.

Il disastro rappresenta un drammatico esempio di basilari carenze di valutazione e di giudizio;

a. mancanza di una scuola adeguata in Italia, per quanto riguarda le indagini geologiche e in particolare lo studio di fenomeni franosi.
b. carenza di dati geognostici
c. errata interpretazione dei dati in possesso

Dal punto di vista civile.

L'intero progetto è stato caratterizzato da una marcata assenza di notizie in tutti quei settori della vita civile che non erano direttamente coinvolti nel progetto. L'assenza di dati dovuta all'impreparazione cronica degli addetti ai lavori, si è infatti unita a uno stato generale di disinformazione degli organi competenti (che avrebbero dovuto esercitare un controllo) e della società stessa; ciò può essere imputato, sia ad una mancanza di interesse da parte della comunità, sia all'assenza di "stimoli" per una corretta informazione da parte degli organi di informazione.

1. Il disastro poteva essere evitato?

Dal punto di vista geologico.

Studi successivi hanno dimostrato come un provvedimento già individuato all'epoca (15° Rapporto Müller, 3 febbraio 1961), ma non portato a termine, avrebbe potuto evitare la catastrofe e probabilmente rendere utilizzabile il bacino. In particolare gli studi effettuati da Hendron e Patton, hanno permesso in primo luogo l'identificazione delle cause del fenomeno e di conseguenza la progettazione di un provvedimento che avrebbe potuto risolvere la situazione. Da questi studi risulta che la principale responsabile del franamento è stata la formazione di due acquiferi distinti dovuti alle particolari condizioni litologiche e stratigrafiche e all'elevata piovosità del mese precedente al disastro. L'acqua piovana penetrando a monte della frana è lentamente andata a imbibire completamente lo strato di calcare del Vajont (leggermente permeabile) che si trova al di sotto del piano di scivolamento ed al di sopra di uno strato impermeabile costituito dalla formazione di Igne (impermeabile, non ha permesso lo scolo dell'acqua raccolta nell'"Acquifero inferiore" cioè Calcare del Vajont). L'elevata quantità d'acqua presente nel calcare del Vajont è andata ad intaccare progressivamente la stabilità delle argille contenute negli strati inferiori della formazione di Fonzaso (superiore al calcare del Vajont), inoltre, sottoposta al peso della massa di frana soprastante e appesantita dall'acqua del bacino che aveva facile accesso nella massa di frana fortemente fratturata (Acquifero superiore) e costituita da rocce prevalentemente permeabili, ha consentito la nascita di sottopressioni che hanno comportato la definitiva rottura dell'equilibrio. Pertanto si è stabilito che la realizzazione di alcune gallerie in grado di raggiungere l'acquifero inferiore e quindi di operare un'azione di drenaggio avrebbe impedito la formazione di quelle sottopressioni che stanno alla base della rottura di equilibrio. La validità di questa soluzione è stata accertata in seguito alla sua applicazione pratica nel corso della realizzazione della diga del Downie (sul Columbia River, nei pressi di Revelstoke, in territorio Canadese) che veniva a trovarsi in un contesto geologico simile, per alcuni aspetti, a quello del Vajont. L'applicazione dei provvedimenti precedentemente citati ne ha permesso la realizzazione e il funzionamento in piena sicurezza.*

    (* dallo studio effettuato da Hendron e Patton, pubblicato nel 1985)

Dal punto di vista ingegneristico.

L'attuazione di programmi di valutazione e misurazione dei movimenti del pendio e delle conseguenze sulla stabilità dell'ammasso roccioso, avrebbero potuto fornire un valido aiuto per la comprensione del fenomeno. La valutazione dell'elevato ammontare di energia potenziale immagazzinato nell'ammasso roccioso, anche in relazione ai processi di deformazione subiti, avrebbe dovuto far pensare alla possibilità di un rilascio più o meno improvviso dell'energia sotto forma di movimento.

Dal punto di vista civile.

LO STATO.

Durante tutto il periodo di realizzazione (dal 1958 al disastro) furono fatte varie interrogazioni parlamentari che costrinsero il parlamento Italiano ad occuparsi del Vajont; tuttavia non riuscirono a suscitare più di tanto interesse.
In seguito la commissione parlamentare composta successivamente al disastro decretò che: "Vi sono responsabilità politiche, morali, penali, civili; occorre cominciare dagli organi politici ai quali in definitiva è affidato il potere delle scelte e delle decisioni per i quali i criteri di sicurezza delle popolazioni, le ragioni del pubblico interesse devono essere sempre e assolutamente preminenti rispetto a qualsiasi altro criterio." Il parlamento era l'organo più qualificato per indicare queste responsabilità e doveva farlo. Si era di fronte alla più grande diga Italiana, alla seconda d'Europa. Ciò creava per gli organi politici e tecnici dello stato, a tutti i livelli, obblighi di controllo e di responsabile vigilanza accentuati proprio dall'eccezionalità dell'opera, dalle sue dimensioni. Questa vigilanza particolarmente attenta e responsabile si imponeva nella fase istruttoria di concessione della derivazione e di approvazione del progetto e delle sue varianti; si imponeva di fronte ai problemi che, terminata la costruzione della diga, erano sorti nel corso dei successivi invasi del bacino con i movimenti franosi verificatesi in sponda sinistra.

Tuttavia, in un secolo caratterizzato da intensi ritmi di sviluppo e da fenomeni sociali come la massificazione, lo Stato, di fronte all'incapacità di svolgere il suo ruolo in una società in continua evoluzione, ha preferito sottomettersi ad essa. In questa situazione di incertezza l'opinione pubblica, per sua natura priva di basi forti e legata al momento, ha occupato una posizione di potere nei confronti dello stato, fino a guidarne le decisioni.

L'IMPRESA PRIVATA.

La maggior parte dei provvedimenti individuati da Müller nel suo 15° rapporto, non furono realizzati anche a causa di una questione economica. Gli elevati costi di realizzazione ne consigliarono l'abbandono ed a questi si aggiunsero le difficoltà tecniche ipotizzate in sede di costruzione. Inoltre assumono una fondamentale importanza le pressioni esercitate dagli organi di governo e dall'opinione pubblica stessa che aveva incentivato, in sede di progettazione tra le due guerre, ed in seguito nel secondo dopoguerra, la realizzazione di nuovi impianti idroelettrici per l'attuazione di un piano governativo finalizzato al raggiungimento del massimo sfruttamento delle risorse idriche nazionali. Il tutto all'interno di un piano di sviluppo che coinvolgesse l'intero paese, ma che richiedeva una notevole disponibilità di energia elettrica fino ad allora fornita dalle centrali termiche (più semplici e meno costose) alimentate però da combustibili di importazione. Dal punto di vista politico l'influenza esercitata dai grandi gruppi economici è progressivamente andata diminuendo in seguito alla nascita di nuovi centri di potere (opinione pubblica, determinati strati sociali ecc.); inoltre il passaggio dal capitalismo fatto da grandi imprenditori a quello gestito da azionisti e burocrazia aziendale, ha comportato un'ulteriore riduzione del potere esercitato da essi nella gestione dello stato.

L'OPINIONE PUBBLICA e I MEZZI DI COMUNICAZIONE.

In ultimo, da ricordare la quasi totale assenza di notizie prima del disastro da parte degli organi di informazione (stampa, radio, televisione...) e la conseguente mancanza di un'opinione pubblica fondata su solide basi e non sulle necessità-ideologie del momento, capace di esercitare una qualche influenza su gli organi statali imperfetti.
Nella fase di progettazione e di costruzione della diga, una giornalista bellunese, Tina Merlin, corrispondente per l'Unità, si interessò alla vicenda pubblicando alcuni articoli che denunciavano il pericolo derivante dalla costruzione del bacino, per gli abitanti della valle. Gli articoli riscossero un modesto successo, ma ebbero il merito di porre la questione sotto gli occhi dell'opinione pubblica. Non si può però dire che la Merlin avesse previsto il disastro né tantomeno che le sue accuse fossero tutte fondate, poiché, come la maggioranza delle persone interessate, puntò l'attenzione su dei fenomeni che risulteranno poi innocui. Inaccettabile appare invece l'atteggiamento di molti giornali che per questioni di interesse ignorarono completamente la vicenda (ad esempio il Gazzettino). Diversa fu la reazione successivamente alla catastrofe. Il Vajont fece cronaca: per più giorni occupò le pagine dei quotidiani con articoli che cercavano di cogliere l'emotività del momento. A chi si riproponeva di rimandare i giudizi al raggiungimento di una certa tranquillità si opponevano coloro che non esitavano a lanciare accuse, individuando subito le responsabilità. In questo stato di confusione si sentì l'esigenza di riuscire a comprendere con esattezza, precisione e chiarezza ciò che era avvenuto. Per rispondere a quest'esigenza, verrà successivamente istituita una commissione di inchiesta parlamentare che porterà un po' di chiarezza nella vicenda.

Dal punto di vista della gestione del potere, l'opinione pubblica si è dunque distinta per l'inadeguatezza a ricoprirne il ruolo. Generalmente volta ad ottenere il miglioramento delle proprie condizioni, ha indotto (insieme con i gruppi industriali guidati da interessi economici) gli organi di potere ad agire con troppa leggerezza nel tentativo di soddisfarla. Inoltre, l'opposizione operata da una ristretta minoranza ha avuto basi spiccatamente locali (questioni economiche, sentimentali e ideologiche marginali invece che basate su solide ragioni di carattere scientifico) che non hanno catturato l'attenzione dell'opinione pubblica generale decretando quindi la fine del movimento.

Le ragioni sociali del disastro possono dunque essere ricondotte all'inadeguatezza dello Stato di fronte alla società. In questo contesto, le decisioni prese furono dettate dall'enorme influenza esercitata dai diversi centri di potere uniti con un unico scopo, sebbene con ragioni diverse. Analogamente, la mancanza di una valida opposizione fu il risultato del mancato coinvolgimento di altri settori della società da parte dei diretti interessati. L'ampliamento dell'opposizione avrebbe certamente accresciuto l'influenza di questa parte della società sulle decisioni del governo. Il potere educativo dei mezzi di comunicazione è stato ampiamente dimostrato dalla storia che ha provato come questi siano in grado di manipolare, a loro piacimento, l'opinione pubblica ed il governo. Tuttavia, ancor'oggi pochi sono disposti a riconoscere ai mezzi di comunicazione una funzione pedagogica. In generale la cultura laica rifiuta l'idea che, ad esempio, la televisione possa e debba educare. Questo rifiuto si basa su un insieme di esperienze drammatiche che riguardano il passato, la realtà presente, ma anche il futuro. Le esperienze del passato sono rappresentate dall'uso propagandistico che venne fatto dei mezzi di comunicazione da parte dei regimi totalitari (comunismo, fascismo, nazismo ecc.); ai nostri giorni la questione è stata portata alla ribalta da trasmissioni come "Il Grande Fratello" oppure dall'approvazione della legge sulla privacy che risponde all'esigenza, sempre crescente, di tutelare i propri dati, la propria identità, l'individuo. Per quanto riguarda il futuro, l'ansia per una società governata dai media è stata ben rappresentata da Orwell in "1984". L'uso perverso che è stato fatto dei mezzi di comunicazione non può essere negato, né è da condannare l'ansia per un futuro che sembra volerci privare della nostra umanità, ma è necessario che ci rendiamo conto di come essi siano destinati a supplire alla mancanza o inadeguatezza delle istituzioni pedagogiche tradizionali.

Sulle pubblicazioni successive...

Molti libri sono oggi a disposizione di chi vuole conoscere la vicenda, portata alla ribalta anche dal film Vajont di Renzo Martinelli (1° visione 8 ottobre 2001).
In seguito alla lettura e alla comparazione dei diversi testi, ho osservato come in molti testi siano presenti informazioni imprecise o errate che portano il lettore a trarre delle conclusioni e ad emettere dei giudizi molto spesso sbagliati. Questi libri presentano dunque una narrazione dei fatti non molto fedele alla realtà, ma di facile lettura e di sicuro effetto e sono per questo utili ad avvicinare il lettore alla vicenda, tuttavia, se si vuole giungere ad una conoscenza più valida, è necessario cimentarsi nella lettura di alcuni testi di più difficile lettura, ma dai ricchi contenuti. Solo in seguito al completamento di questo percorso è possibile giungere anche alla formulazione di un opinione personale supportata da prove e quindi sostenibile. Tra i libri adatti solo alla fase di avvicinamento alla vicenda troviamo:
•  Il racconto del Vajont di Marco Paolini e Gabriele Vacis (ed. Garzanti).
Questo testo pur essendo molto coinvolgente per il lettore, presenta numerosi errori di tipo geografico (riportando riferimenti geografici errati che fanno pensare ad una scarsa conoscenza della zona interessata) e di tipo geologico (campo che evidentemente gli autori non conoscono sufficientemente). Molti altri errori e imprecisioni sono dovuti probabilmente ad una marginale conoscenza dei documenti che li ha portati a dare un interpretazione dei fatti estrema e alla ripresa dei fatti narrati da altre pubblicazioni (es. Tina Merlin, Vajont 1963, Il Cardo) piuttosto che da documenti originali. La visione politica degli autori è molto marcata.

•  Vajont 1963 o Sulla pelle viva di Tina Merlin, ed. il Cardo o Cierre.
Come il precedente libro di Paolini e Vacis, presenta molti errori di carattere geografico, geologico e storico (per lo più coincidono) e se la sua visione politica è limitata all'espressione di alcuni commenti, la citazione incompleta e/o imprecisa delle fonti induce il lettore a costruirsi un'opinione in linea con quella della scrittrice.

Tra i libri adatti ad un approfondimento troviamo:

•  Il grande Vajont, di Maurizio Reberschak, del Comune di Longarone.
Ricco di documenti presenta una narrazione precisa e dettagliata degli eventi prestando attenzione anche al contesto storico e a quanto stabilito dai vari organi di giudizio coinvolti in seguito al disastro. Unico neo, la parte geologica che non è molto approfondita, ma comunque sufficiente ad inquadrare la vicenda. Notevole e ben riuscito lo sforzo per mantenere la narrazione il più possibile impersonale e oggettiva; il compito di emettere giudizi è lasciato al lettore.

•  La storia del Vajont, di Edoardo Semenza, ed. Tecomproject Editore Multimediale, Ferrara.
Presenta una narrazione non ricchissima, ma precisa che lascia poco spazio ad insinuazioni personali. Molto ricca di documentazioni di carattere geologico, il testo è strutturato su un sistema problema-tesi-argomentazioni che rende la narrazione organica e chiara. In appendice sono presenti le osservazioni dell'autore ad alcuni libri sulla vicenda (ai testi della Merlin, al libro/spettacolo televisivo di Paolini e Vacis e al film di Martinelli); le osservazioni consistono per la maggior parte nella confutazione, ben argomentata, di giudizi espressi o fatti narrati dagli autori.
Da sapere: l'autore, geologo, è il figlio dell'ing. Carlo Semenza ideatore e costruttore della diga ed ha lui stesso collaborato al progetto in qualità di geologo essendo anche l'autore della scoperta della frana. Questo tuttavia, non influenza in modo rilevante la narrazione: le poche considerazioni determinate dal suo diretto coinvolgimento nella vicenda sono talmente evidenti da non poter essere fraintese.

Raccolte di documenti:

•  Superstiti e testimoni raccontano il Vajont e Solidarietà e ricostruzione nel Vajont, a cura di Ferruccio Vendramini, Comune di Longarone.
Raccolgono, il primo testimonianze di persone che hanno assistito al disastro o che sono intervenute nelle operazioni di soccorso e il secondo documenti relativi agli stanziamenti per la ricostruzione e i rapporti sui danni subiti dai vari organi territoriali.

•  Longarone di Giuseppe Capraro, ed. Istituto Bellunese di ricerche sociali e culturali.
Esamina le conseguenze sul piano psicologico dell'individuo e sulle dinamiche sociali della popolazione coinvolta.

Documentazione di carattere geologico (tecnica):

•  Carta geologica del versante settentrionale del M. Toc e zone limitrofe (prima e dopo il fenomeno di scivolamento del 9 ottobre 1963) di Daniele Rossi e Edoardo Semenza. Originali, si basano sui rilevamenti fatti nel corso delle indagini geologiche e nel 1963, con modifiche del 1965. Molto utili per considerazioni di tipo geologico, necessitano di un minimo di abilità nella rilevazione e interpretazione dei dati in esse contenuti.

•  Sintesi degli studi geologici sulla frana del Vajont dal 1959 al 1964, di Edoardo Semenza. Raccoglie le osservazioni fatte in sito nel corso delle indagini geologiche.

•  Stratigrafia delle formazioni prequaternarie affioranti nella valle del Vajont e nei gruppi montuosi adiacenti, di D. Masetti.

•  Il bacino del M. Toc e la frana del Vajont. Antonio De Nardi. Narrazione geologica della vicenda.

•  Cenni idrogeologici sul M. Toc e dintorni, di M. Besio.

•  Analisi geomorfologica della valle del Vajont prima della grande frana del 1963, di A. Guerricchio e G. Melidoro.

•  Fenomeni Franosi e opere di stabilizzazione, di Maurizio Tanzini, ed. Dario Flacco Editore.
Il capitolo introduttivo del libro, presenta una sintesi di tutti gli sudi effettuati sul Vajont, ponendo particolare attenzione a quanto scoperto da Hendron e Patton nel corso delle loro ricerche e alle conseguenze (a livello mondiale) che il caso Vajont ha avuto.



Prima
Dopo

Veduta dell'abitato di Longarone, situato sulla riva destra del Piave allo sbocco della valle del Vajont, prima e dopo il passaggio dell'onda dovuta al distacco della frana del 9 ottobre 1963.


Introduzione

9 ottobre 1963
"... Ad un certo punto si sentì un grosso tremolio, come qualcosa che rotolava ed un frastuono terribile. Mia moglie mi gridò: "Questa è una tempesta, un colpo di vento, va su a chiudere". Salito in camera per chiudere la finestra, rimasi paralizzato dalla scena che intravidi. L'acqua del Vajont doveva aver raggiunto i fili dell'alta tensione, perché ci fu una breve serie di lampi che illuminarono per qualche istante il paesaggio. Vidi l'acqua uscire dalla valle, come quando la si versa in un catino, allargarsi e spingersi verso Codissago e Longarone. Poi fui avvolto da una nebbiolina, un vapore, una specie di pioggerellina. Poi buio, buio impenetrabile mentre un frastuono assordante continuava a giungermi da ogni dove, moltiplicato da infiniti echi. Infine il silenzio, un silenzio irreale. Subito dopo le prime voci ed i primi superstiti che accolsi in casa chiesi loro dove erano gli altri; mi risposero che non c'era più nessuno."

Contesto storico

L'Italia.

L'inizio del '900.
Il nuovo secolo, caratterizzato dagli intensi ritmi che la rivoluzione industriale aveva portato, assieme alla crisi dell'agricoltura, vide la fondazione della SADE (1905). Una piccola società legata alla produzione dell'energia elettrica che in seguito sarebbe divenuta un impero finanziario. L'introduzione di nuove innovazioni tecnologiche e il perfezionamento di quelle già esistenti influì in modo decisivo sullo sviluppo industriale e sociale, grazie ad un aumento della produzione con una conseguente diminuzione dei costi di produzione. La diminuzione dei prezzi permise la diffusione delle merci a gran parte degli strati sociali, inoltre, la crescente richiesta di merci incentivo la produzione a prezzi contenuti, su larga scala, favorendo lo sviluppo di grossi centri industriali. La centralizzazione delle industrie pose il problema della sistemazione delle masse operaie che provenienti dalle campagne (crisi dell'agricoltura e emigrazione) si trasferivano nei pressi dei centri industriali per essere impiegati come operai. Questo fenomeno portò al progressivo inurbamento delle città e alla crescente richiesta di servizi.

Nel complesso l'alto ritmo di crescita e sviluppo dell'economia imponeva alla società l'acquisizione di ritmi di vita sempre più frenetici, permessi anche dal progressivo miglioramento dei trasporti (rendeva gli spostamenti di uomini e merci più veloci) e dei mezzi di comunicazione. Lo sviluppo delle città comportò anche la modificazione degli stili di vita, con la progressiva scomparsa delle distinzioni tra classi sociali e la massificazione. Questo fenomeno porterà alle lotte per i diritti fondamentali (diritto di voto) e all'emancipazione femminile. È inoltre in questo periodo che la politica inizia a prestare attenzione a larga parte della popolazione grazie all'estensione del diritto di voto: Questo comportò la necessità di organizzare i votanti nei "partiti" per poter operare la consultazione e selezione dei candidati.

Il primo dopoguerra.

La prima grande guerra aveva lasciato l'Europa in uno stato di depressione e crisi.
1. Drastica riduzione della produttività interna dovuta ai danni subiti dalle industrie durante la guerra, alla necessità di riconvertire le industrie belliche e alla mancanza di materie prime.
2. Mancanza-disorganizzazione dei trasporti e dei mezzi di scambio, con conseguente incapacità di spostare anche le merci interne a vantaggio di quelle zone dove il bisogno era maggiore.
3. Lo scarso potere d'acquisto delle monete Europee con la conseguente incapacità di importare le merci necessarie da oltre oceano.
4. Necessità di investimenti per consentire il risollevamento dell'economia e gli interventi di ricostruzione postbellica.
5. Indebitamento con gli USA.
In Italia la crisi economica unita alla crisi del liberalismo (incapace di rispondere ai bisogni della società) fece sentire sempre di più la necessità di una guida forte che portasse un po' di ordine nel paese. Questo desiderio diffuso portò alla conquista del potere da parte di Benito Mussolini e all'instaurazione di un partito unico. Sotto il governo dello stato fascista vennero attuati i seguenti provvedimenti in campo economico:
a. cancellazione dei vincoli imposti alle imprese durante la guerra;
b. mantenimento dei salari entro bassi livelli;
c. interventi statali nell'industria in particolare siderurgica ed elettrica;
d. introduzione si un sistema di detassazioni per le imprese.
e. Lavori pubblici per combattere la disoccupazione;
f. Interventi di previdenza sociale.
Questi interventi statali nell'economia del paese contribuirono in modo rilevante allo sviluppo del paese. Da ricordare sono anche alcuni provvedimenti presi dall'allora ministro delle finanze Giuseppe Volpi Conte di Misurata volti al raggiungimento e consolidamento della stabilità economica e finanziaria del paese quali, "La Battaglia per quota 90" e "La Battaglia del Grano".

Il secondo dopoguerra.

La seconda guerra mondiale, come del resto anche la prima, aveva lasciato l'Italia in uno stato di crisi. Alla crescente disoccupazione e all'arretratezza degli apparati produttivi e dei trasporti, si erano aggiunte anche le pessime condizioni ambientali che avevano operato una drastica riduzione della produzione agricola con conseguente aumento dei prezzi. In soccorso dell'Europa giunsero una serie di aiuti economici e politici americani (piano Marshall) che avviarono il processo di risollevamento dell'economia e di stabilizzazione della politica e che condurranno alla terza rivoluzione industriale (anni '50-'70). L'introduzione di nuovi sistemi produttivi e il miglioramento dei processi industriali già utilizzati contribuì in modo rilevante al raggiungimento della piena occupazione con un conseguente benessere per la popolazione. Tuttavia, gli squilibri esistenti già ad inizio secolo tra aree deboli e aree forti era stato ulteriormente aggravato dalla seconda guerra mondiale che aveva colpito in modo diverso distinte fette di popolazione. Nel pieno della terza rivoluzione industriale l'Italia presentava ancora questi squilibri che, invece di essere appianati dal ritrovato benessere, si facevano sempre più evidenti. In conseguenza di ciò ebbero inizio fenomeni di emigrazione sia interni che esterni al paese, verso zone in cui le condizioni erano migliori. I governi centristi cercarono di porre rimedio a questa situazione con un insieme di interventi statali nelle zone depresse.

Il Vajont e il Piave

Il Vajont.

La valle del Vajont, al suo sbocco nel Piave si presentava (fino al 1954 circa) come una stretta ed angusta gola, scavata dalle acque nella viva roccia nel corso dei secoli. A circa un chilometro dall'imbocco la gola andava aprendosi nella parte alta, fino a delineare i versani dell'ampia valle di origine Wurmiana. In tutta la vallata vivevano a quel tempo 2099 persone raccolte nel comune di Erto-Casso.
Il versante destro, ospitava ed ospita tutt'oggi, i due principali centri, Erto e Casso, costruiti in epoche diverse a ridosso o sopra antiche frane. Erto, 906 abitanti, sede del municipio, della scuola, della posta e dei carabinieri, sorge a quota 776m slm ed è la comunità più antica. Fu fondato probabilmente dai Cimbri e mantiene nel dialetto (un misto tra Friulano e Ladino) una testimonianza del suo antico passato. Inoltre proprio per la sua posizione geografica era legato alla Val Cellina e quindi al Friuli. Casso invece, 406 abitanti, è posto più vicino all'imbocco della valle, a quota 961m. Questa comunità di più recente fondazione manteneva rapporti commerciali e personali con Longarone, e parlava un dialetto molto simile al Bellunese essendo maggiormente legata alla Val Belluna. Il versante sinistro era invece occupato da coltivazioni, stalle e case disperse per il pendio, che costituivano la principale fonte di sostentamento per le due comunità.

Il Piave.

Lo sfruttamento delle acque del Piave e dei suoi affluenti a fini "industriali" risale a tempi antichi, quando le acque del fiume e dei torrenti venivano utilizzate per l'attività di piccoli impianti a ruote idrauliche destinate ad alimentare mulini, battiferri e piccole industrie. Nonostante le antiche tradizioni, il Veneto (rispetto al resto dell'Italia) si era trovato in ritardo, nello sfruttamento delle acque per la produzione di energia.
Ciò era dovuto in parte alla natura stessa dei bacini (come ad esempio il Piave), che nonostante le dimensioni non avevano una portata costante; questo avrebbe comportato per gli impianti idroelettrici la presenza di periodi di siccità in cui il loro funzionamento non sarebbe stato possibile. Il ritardo nello sviluppo ebbe tuttavia un effetto positivo sul territorio, che venne sottoposto solo in tempi più moderni ad un intenso e pianificato sfruttamento delle risorse idriche sia a fini industriali che irrigui. Questa operazione cambiò profondamente le caratteristiche naturali del bacino, portando il Piave a diventare un corso d'acqua con regolazione totalmente artificiale, con conseguenze sull'economia, sulla società, ma anche sull'ambiente naturale.
Fondamentale promotrice di questo grande progetto di modernizzazione fu la SADE.

I Protagonisti

SADE.

Società Adriatica Dell'Elettricità, fondata nel 1905, da Giuseppe Volpi, con un capitale iniziale di 300.000 lire. Nel 1960 questo capitale saliva a 72 miliardi e la società comprendeva oltre alla già citata Società Adriatica Dell'Elettricità, altre 18 società elettriche e non, e 10 società controllate attraverso una società finanziaria di cui deteneva la maggioranza. Questo impero fu gestito dal fondatore fino al '47, anno della sua morte e in seguito da Vittorio Cini.

Giuseppe VOLPI
Giuseppe Volpi, nato nel 1878, ancora ventisettenne fondò la SADE. Scaltro ed abile uomo d'affari, nel corso della sua vita, intuì per tempo i cambiamenti politici ed economici, riuscendo in questo modo ad uscire vincente da ogni "battaglia".
Nel 22 s'iscrisse al PNF (Partito Nazionalista Fascista), poco dopo fu nominato senatore del Regno. Governò la Tripolitania fino al 1925 e per il lavoro svolto fu nominato dal re Vittorio Emanuele III "Conte di Misurata". Dal 1925 al 1928 fu ministro delle Finanze nel governo Mussolini, ed è proprio a questo periodo che risale il "Testo unico delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici" (approvato con decreto regio nel '33) che prevedeva ingenti finanziamenti alle società (es. SADE), per la costruzione d'impianti idroelettrici.
Nello stesso periodo occuperà diverse cariche, soprattutto nel campo industriale e finanziario (Porto Marghera, nato nel 1917, è una sua creazione), arrivando nel 1939 ad essere proprietario del "Gazzettino" (FIAT, 1291 azioni; SADE 1000; Volpi 800; Cini 854).
Dopo i fatti del 08.09.1943, "annusati" i cambiamenti politici, assunse una politica antifascista. Scappato in Svizzera nel '44, allacciò rapporti con la resistenza fornendo protezione ai partigiani e finanziandone le attività; proprio grazie a queste collaborazioni una commissione d'inchiesta lo assolverà, dopo la guerra, dalle imputazioni, donandogli una nuova "verginità politica".

Vittorio CINI
La carriera di Cini è nel suo insieme molto simile a quella del suo illustre socio, Giuseppe Volpi. Iniziò la sua attività a Ferrara, sua città natale, nell'impresa edile del padre, costruendo strade, ferrovie e vie d'acqua. Fondò o controllò società di navigazione, commerciali e finanziarie fino ad entrare in affari con il "Gruppo Veneziano" costituito da Volpi.
Dal 1919 al 1925 fu praticamente presente in tutti i settori economici del paese.
Con queste sue straordinarie capacità industriali non poteva che aderire al partito fascista e lo fece nel 1926. Ricoprì varie cariche all'interno del governo ed ottenne per i meriti, il titolo di Conte di Monselice. Nel 1943 gli venne affidato il Ministero delle Comunicazione, ma a causa della situazione disperata del periodo si dimise pochi mesi dopo. Questo suo atto venne considerato di tradimento da Mussolini che in seguito alla sua liberazione dal Gran Sasso lo fece arrestare e deportare a Dachau. Qui rimase ben poco perché riuscì ben presto a fuggire in Svizzera dall'amico e socio Volpi. Dopo la fine della guerra fu riconosciuto come "un raro esempio di laboriosità, capacità creativa, rettitudine politica e spirito di patriottismo".
Vittorio Cini morì a Venezia il 18 settembre 1977.

Carlo SEMENZACarlo SEMENZA.
Ingegnere, direttore del Servizio costruzioni idrauliche della SADE, ideatore di molti impianti idroelettrici tuttora funzionanti, era ormai giunto alla fine della sua carriera quando intraprese la costruzione della diga del Vajont, ultimo suo grandioso progetto. Morì il 30 ottobre 1961.

Giorgio DAL PIAZGiorgio DAL PIAZ
Geologo, nato a Feltre il 28 marzo 1872, fu professore all'Università di Padova dal 1906 e direttore dell'Istituto di Geologia dal 1908, fu dipendente del Magistrato alle acque (direttore della sezione geologica del servizio idrografico del Magistrato). Collaborò alla progettazione e alla realizzazione della diga, essendo anche autore di molte perizie e rapporti geologici sulla zona interessata.

Alberico Nino BIADENEAlberico Nino BIADENE
Succederà nella direzione del Servizio costruzioni idrauliche della SADE alla morte di Carlo Semenza, e vicedirettore generale dell'ENEL-SADE, non esiterà un solo istante, anche dopo la nazionalizzazione, a curare gli interessi della SADE. Per questo suo atteggiamento è stato considerato uno dei maggiori responsabili del disastro.

Pietro CALOI
Geosismologo, consulente SADE.

Francesco PENTA
Geologo, professore di Geologia applicata alla Facoltà di Ingegneria dell'Università di Roma, componente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e della Commissione di Collaudo.

Franco GIUDICI
Geologo che da giovane neolaureato all'Università di Padova, collaborò con E. Semenza nelle indagini sulla stabilità del bacino.

Leopold MULLERLeopold MÜLLER
(1908-1988) Ingegnere minerario austriaco, specialista di geomeccanica econ grande esperienza di geologia applicata, diede indicazioni per uno studio geologico sul Vajont e fece parte del gruppo di esperti che esaminò la situazione geofisica della valle.
Fondatore dell'ISRM (International Society for Rock Mechanics) e direttore dal 1963 della rivista "Felsmechanik und Ingenieurgeologie - Rock Mechanics and Engineering Geology"

Mario PANCINI (foto a destra)Mario PANCINI
Direttore dell'Ufficio lavori del cantiere del Vajont.

Augusto GHETTI
Titolare dell'Istituto d'Idraulica dell'Università di Padova, diresse la costruzione e gli esperimenti sul modellino realizzato nel centro modelli idraulici di Nove, per lo studio degli effetti di una frana sul bacino.

James HUG.
Geologo, stilò la 1° relazione sul Vajont per la costruzione di una diga, suggerendo come luogo d'imposta la stretta di Ponte Casso.

Edoardo SEMENZAEdoardo SEMENZA
Nato nel 1927 a Vittorio Veneto, ha trascorso la sua gioventù a Venezia. Laureatosi a Padova (in scienze Geologiche) ha insegnato per più di quarant'anni all'Università di Ferrara, varie materie geologiche.
Scopritore della frana del Vajont, ha compiuto molti studi sul bacino, che lo hanno portato ad essere uno dei maggiori esperti di frane.

 

 

 

Contesto ambientale

Analisi geologica della valle

La stratigrafia.
Nella valle del Vajont e nei gruppi adiacenti affiorano formazioni rocciose di età comprese tra il Giurassico Inferiore (204-130 milioni di anni circa) e l'Eocene (53-34 milioni di anni circa).

La tettonica.
Nella zona del Vajont si possono riconoscere due pieghe principali, entrambe ad asse circa Est-Ovest:

1. Anticlinale Pelf-Frugna. L'asse di questa piega corre lungo la Val Gallina attraverso l'alta Val Mesazzo e l'alta Valle del Vajont. Il nucleo è costituito dalla Dolomia Principale.
2. Sinclinale di Erto (per l'asse Vedi SE, figura 1). Questa piega, con asse Est-Ovest, è riconoscibile nella conca di Erto e si immerge verso Est. Il fianco meridionale della sinclinale, costituisce il versante Nord del M. Toc, e proseguendo verso l'alto, verso la sommità del monte, tende a passare ad un fianco di anticlinale. L'inclinazione degli strati su questo fianco, va da 10° circa a fondovalle, ed aumenta fino a 40° risalendo il versante, mantenendo comunque una struttura a franapoggio.

Inoltre sono presenti anche diverse faglie, tra cui le più importanti sono:
1. Linea della Val Ferròn. Una faglia inversa, immersa verso sud, che corre lungo il fianco meridionale dell'Anticlinale del Pelf-Frugna.
2. Linea del Col delle Tosatte. Faglia di direzione Nord-Sud, che corre lungo le pareti presso lo sbocco del Vajont nel Piave (Vedi CTo, figura 1).
3. Linea della Coste delle Ortiche. Faglia di direzione Nord-Sud, fiancheggia le pareti orientali del M. Toc e taglia il fondovalle del Vajont al margine Est della frana del '63 (Vedi CB, figura 1).
4. Linea del Carten, fiancheggia le pareti laterali del M.Carten (Vedi Ce, figura 1).

Figura 1

Fenomeni d'instabilità nella valle del Vajont

1. Lembo di scorrimento del M. Borgà (che copre il nucleo della sinclinale di Erto) e che probabilmente è scivolato qui da NNE (Vedi Sa, figura 1). Questo lembo è costituito da terreni risalenti al Giurassico, quali e parzialmente anche al Cretaceo. Da questo lembo si è successivamente staccata una massa di calcari, che scivolando verso SE, è andata a formare La Pineda.

2. "La Pineda" (Vedi 1, figura 1). Probabilmente in seguito al ritiro dell'antico ghiacciaio Wurmiano, una massa di Calcare del Vajont (di circa 1 kmq per un volume di circa 120.000.000mc, poi eroso), è scivolata fino a raggiungere l'attuale posizione dal fianco sud-orientale del M.Borgà. La massa poggia su di uno strato composto da Flysch e nel complesso come era stato previsto, non comporta che un pericolo minimo di franamento.

3. Paleofrana del monte Toc (Vedi 3, figura 1 e figura 2, profilo 5).
Quest'immensa paleofrana, scoperta da E. Semenza nell'agosto del '60, è scivolata lungo il versante settentrionale del M. Toc ed è andata ad ostruire la valle formata in precedenza dal torrente Vajont. In seguito il torrente si è scavato un passaggio nella massa costituente la frana, dando origine all'attuale valle. La massa è stata quindi divisa in due parti di cui la parte settentrionale è rimasta appoggiata al versante destro della valle mentre la parte meridionale si è rimessa in movimento fino a cadere definitivamente nel bacino.

Figura 2

Cenni d'idrogeologia

Climatologia
1. Le temperature rilevate nella valle del Vajont (nei pressi della diga a quota 727m) indicano una temperatura media annua di circa 7,9°C, con gennaio come mese più freddo, e luglio quale periodo più caldo.

2. Le rilevazioni effettuate nei pressi della diga e ad Erto, (dal 1950 al '63 per Erto e al '85 per la diga) mostrano che il territorio, nel suo complesso, è soggetto ad abbondanti precipitazioni, concentrate specialmente nel periodo estivo, con picco in giugno, e nei mesi autunnali, con picco in novembre. La causa di ciò è riconducibile alle masse d'aria provenienti dall'Adriatico che spirando da SE, toccano prima le Alpi Giulie e quindi le montagne Friulane dove il vapore acqueo, condensandosi, da origine ad abbondanti precipitazioni.
Nel complesso si assiste, durante l'inverno a precipitazioni nevose sull'ordine di qualche metro, ed in estate ad un clima temperato.

Permeabilità delle stratificazioni.
fig1Gola.jpgPartendo dalle formazioni più recenti è possibile identificare l'alto grado di permeabilità che caratterizza i depositi morenici e alluvionali quaternari. Successivamente abbiamo la presenza di formazioni permeabili, in conseguenza di un abbondante fessurazione come ad esempio la Dolomia Principale, la Dolomia dello Schiara, il Calcare del Vajont (in cui vi si osserva anche una discreta presenza di fenomeni carsici), il Rosso Ammonitico ed il Calcare di Soccher, mentre sono presenti strati impermeabili o scarsamente impermeabili come la Formazione di Igne, la Formazione di Fonzaso (resa impermeabile dalla presenza di strati argillosi), della Scaglia Rossa, delle Marne di Erto (scarsamente impermeabili) e dal Flysch.

Cronologia

L'idea di costruire una diga nella valle del Vajont, nacque nella mente dell'ingegner Carlo Semenza negli anni venti, anche se l'ingegnere Carlo Semenza ed il geologo Giorgio Dal Piaz fecero il loro primo sopralluogo nella valle solo nel 1926.
I due rimasero impressionati da quella valle angusta, tanto da descriverla, nella presentazione al progetto della diga, nel modo più attraente come un "esempio classico e suggestivo di profondissima gola che s'interna nei monti a guisa di gigantesca spaccatura... ...In questo punto (dove sorgerà la diga) la gola è così angusta e profonda da richiamare alla mente i classici canyon degli Stati Uniti. Anche qui come nei canyon dell'America settentrionale, il fiume scorre in una profondissima fessura a forma di tortuoso corridoio, i cui fianchi si ergono a pareti verticali per considerevoli altezze."

Per la scelta del punto dove sarebbe dovuta sorgere la diga, venne commissionato un primo studio al geologo professor J. Hug, che ne consigliò la realizzazione all'altezza del ponte di Casso, dove le formazioni affioranti (Formazione di Fonzaso e Scaglia Rossa) erano, a suo parere, più adatte alla realizzazione di una tale opera. Nello stesso rapporto sconsigliava la costruzione della diga all'altezza del ponte Colomber, poiché riteneva la roccia affiorante (calcare del Vajont) troppo permeabile. Nel 1928 invece, una relazione del professor Dal Piaz, consigliava la realizzazione dell'opera all'altezza del ponte Colomber proprio per l'uniformità e la compattezza della roccia dei versanti in quel punto, invece, nella zona del ponte Casso, la roccia appariva in buono stato solo nelle sezioni inferiori della formazione di Soccher, mentre la parte superiore non dava sufficienti sicurezze, quindi la diga avrebbe potuto avere un'altezza di soli 50m fino al livello del ponte. Per quanto riguardava la permeabilità della roccia al ponte Colomber, le moderne tecniche d'impermeabilizzazione avrebbero permesso di risolvere agevolmente questo problema.

fig2SezValVajont.jpg

Inizialmente venne scelto come luogo di fondazione della diga il ponte Casso così venne presentata domanda di concessione per la realizzazione del progetto (di C. Semenza del 1926) accompagnato dalla relazione di Hug del 1929. Il secondo progetto (1937), realizzato da Carlo Semenza, prevedeva invece la realizzazione della diga all'altezza del ponte Colomber (massimo invaso a 660m) ed era accompagnato dalla relazione geologica dell'allora illustre geologo Giorgio Dal Piaz. La relazione del geologo, non era che una copia di una precedente relazione del 1930, in cui riprendeva le osservazioni fatte nel 1928 e le estendeva a tutta la valle escludendo inoltre la possibilità di franamenti importanti sui versanti in corrispondenza di "La Pineda". Il 22 giugno 1940, fu presentato dalla SADE al Ministero dei Lavori Pubblici tramite l'ufficio del Genio Civile di Belluno, un progetto che prevedeva la fusione e il coordinamento delle precedenti domande per la derivazione dei fiumi: Boite, Piave e Vajont.

L'acqua del Boite raccolta presso Vodo di Cadore sarebbe stata sfruttata nella centrale di Sottocastello e da qui convogliata nel serbatoio del Piave, formato dallo sbarramento dello stesso a valle del ponte Ranza presso Pieve di Cadore. Dal serbatoio del Piave le acque sarebbero giunte nel bacino del Vajont (con un conseguente innalzamento del massimo invaso da 660 a 667m), per essere poi sfruttate nella centrale di Soverzene. Nel grande bacino del Vajont inoltre sarebbero state immesse anche le acque di affluenti minori del Piave, oltre a quelle del piccolo torrente Vajont non sufficienti ad alimentare un bacino di così grandi dimensioni.
La capacità totale dei serbatoi sarebbe stata di circa 108 milioni di metri cubi di acqua così suddivisi: 49 milioni ca. del Piave e 59 milioni ca. del Vajont.

La centrale di Sottocastello avrebbe avuto una portata media di circa 6,90 mc/s, con un salto medio di 173,5 m per una produzione elettrica media di circa 15.692 HP; la centrale di Soverzene invece avrebbe avuto una portata media di 36,10 mc/s, con un salto di 255,65 m e una produzione totale di 123.053 HP. Dopo che una commissione ebbe compiuto i sopralluoghi e valutato "attentamente" le condizioni della valle dove sarebbe dovuto nascere il bacino del Vajont, il progetto fu presentato alla IV Sezione del Consiglio Superiore dei lavori pubblici. Nel 1943, mentre il re Vittorio Emanuele III fuggiva con il Capo del governo Badoglio, Volpi riuscì ad organizzare una riunione della IV Sezione che, con il voto favorevole dei 12 votanti sui 34 aventi diritto concesse alla SADE l'autorizzazione per lo sfruttamento del bacino, previa autorizzazione del Servizio dighe del Ministero (il servizio dighe naturalmente approvò il progetto). La concessione del 1943 sarà poi convalidata dal Presidente della Repubblica Luigi Einaudi con decreto Presidenziale il 24 marzo 1948*.

Infine, il progetto esecutivo (del 15.05.1948) comprendente la variante con innalzamento del massimo invaso da 667 a 679m corrispondente circa all'altezza del livello superiore del Calcare del Vajont, (poiché la Formazione di Fonzaso posta sopra era considerata meno stabile), fu presentato, al Genio Civile di Belluno, il 18 maggio del 1948 e prevedeva:

a. la realizzazione dei bacini già citati
b. lo spostamento della presa sul Boite da Vodo a Valle di Cadore (con conseguente modifica della portata e del salto della centrale di Sottocastello)
c. l'aumento dell'invaso per il bacino del Piave da 677 a 683.50m slm
d. la creazione di un nuovo bacino in Val Gallina.
Risalgono al 1948 anche numerose relazioni geologiche riguardanti le rocce direttamente interessate dalla costruzione della diga, l'antica frana di "La Pineda" e nuovi studi da compiersi sul versante destro della valle (es. relazione di Dal Piaz per il progetto esecutivo del 15 marzo 1948). In questo periodo, il governo chiese alle imprese idroelettriche l'impegno alla costruzione di nuovi impianti per arrivare a coprire il fabbisogno nazionale fino al 1960; per permettere lo sviluppo del paese era necessario disporre di una quantità di energia quantificabile in 16 miliardi kwh di cui ben 150 milioni sarebbero stati forniti dal bacino del Vajont (l'intero impianto avrebbe fornito ben 750milioni di kwh).

Nel 1948 iniziano gli espropri dei terreni di Erto e Casso: per primi vengono venduti i terreni di proprietà del comune, utilizzati dagli abitanti come terre comuni, quindi viene costituito un comitato (capeggiato dal medico del paese) con l'intento di difendere le proprietà, ma che condurrà comunque alla cessione dei terreni in questione alla SADE.

Nel 1956 la SADE arriva in misura massiccia nella valle e dà ben presto inizio ai lavori di costruzione. L'anno successivo (31 gennaio 1957), viene presentato il progetto di una variante della diga (il "Grande Vajont") con allegata la relazione geologica scritta dallo stesso ingegner Semenza, e sottoscritta dal prof. Dal Piaz.
L'appendice alla relazione del 25 marzo 1948 (datata 31 gennaio), sulle condizioni geologiche della valle, tenendo conto dei nuovi studi effettuati, osservava:
1. Stabilità del versante destro risultata da sondaggi e cunicoli scavati nella zona di Erto.
2. Zona ghiaiosa di origine alluvionale fino a 750m nella zona di S.Osvaldo.

La nuova diga vedeva la sua altezza massima aumentata fino a 722.5m per una capacità totale del bacino triplicata; nello stesso mese iniziarono i lavori per la costruzione delle fondazioni e delle imposte.

DatiDigaVajont.jpg
(clicca l'immagine x altri dati)

Nel giugno del 1957, in un rapporto sulla tettonica della zona, il prof. Dal Piaz non parlava di particolari fenomeni di instabilità; è comunque opportuno sapere che fino alla primavera del 1959 l'interesse era rivolto quasi esclusivamente alla stabilità e alla tenuta delle imposte delle dighe, mentre veniva quasi ignorata la stabilità di interi versanti.

Il 15 giugno 1957 la commissione incaricata di esaminare il progetto e di farne relazione al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, ritenendo insufficiente la relazione geologica (relativa alla sola zona d'imposta) comunicò alla SADE "la necessità di completare le indagini geologiche nei riguardi della sicurezza degli abitati e delle opere pubbliche che verranno a trovarsi in prossimità del massimo invaso". Il 6 luglio 1957 Il Consiglio Superiore dei Lavori pubblici, sentita la commissione incaricata di esaminare il progetto e presa diretta conoscenza dei nuovi dati geologici relativi ai versanti (tramite l'ingegner Carlo Semenza, con relazione geologica del prof. Giorgio Dal Piaz del 9 giugno 1957 e ricevuta ufficialmente il 25 settembre 1957), ritenne il progetto meritevole di approvazione. Nell'agosto in un primo rapporto, l'ing. Müller parlava anche di alcune masse poco stabili sul versante sinistro della valle, nella zona di "Pian del Toc" (la più grande di circa 1 milione di mc), che sarebbero potute essere asportate facilmente (2° Rapporto Müller, 16 agosto 1957).

Il 1 aprile 1958 Il Ministro ai Lavori Pubblici Togni, nominò la commissione di collaudo che avrebbe dovuto sorvegliare per conto del ministero l'avanzamento dei lavori e la tenuta del bacino.
Verso la metà del 1959, l'ingegner Carlo Semenza ritenne opportuno eseguire una verifica generale circa la stabilità dei fianchi ed interpellò a tale proposito il noto ingegnere austriaco, Leopold Müller. Nello stesso anno fu incaricato anche il prof. Pietro Caloi di condurre delle indagini geosismiche per determinare la natura della massa rocciosa costituente il M. Toc.

Ottobre 1958, ennesima relazione di Dal Piaz, questa volta sul versante sinistro, in cui affermava che eventuali franamenti su questo versante sarebbero stati di scarsa importanza.
Il 22 marzo 1959, precipitò la Frana di Pontesei (frana Pontesei-Fagaré), in conseguenza della quale nacque la necessità di studi più approfonditi per prevedere eventuali franamenti anche nel bacino del Vajont.

PianPozza.jpg

Nel luglio E. Semenza ricevette istruzioni da parte di Müller per l'attuazione di un programma di indagini di tipo geologico sull'area intera dell'invaso e subito ebbe inizio lo studio, nel quale fu affiancato (a partire da settembre) da Franco Giudici.

A fine agosto E. Semenza scoprì la paleofrana e comunicò i primi risultati sulla stabilità del versante, in modo informale, a colleghi e progettisti evidenziando che:

A. Tra le tante frane l'unica che poteva risultare pericolosa era quella che comprendeva il "Pian del Toc" e il "Pian della Pozza".
B. La stessa zona e quella ad est del Massalezza appartenevano ad un'antica paleofrana scivolata dal versante sinistro.
C. La massa era fortemente fratturata e ripiegata.
D. La parte settentrionale aveva un andamento lineare, con strati non ripiegati e inclinati verso est.
E. Gli strati avevano un andamento a sedile, che corrispondeva con il fianco meridionale della sinclinale di Erto.
F. Il franamento era avvenuto su di una superficie che andava dalla zona milonitica nella gola (a quota 600m) alla depressione del "Pian della Pozza".
G. L'erosione da parte del torrente Vajont aveva tagliato la massa della frana lasciandone una parte (il "Colle isolato") sul versante destro.

CONCLUSIONE: La massa avrebbe potuto rimettersi in movimento.

Nel novembre 1959 Caloi comunicò i risultati sulle indagini geosismiche da lui compiute: secondo lui si trattava di una massa di elevata solidità e ciò appariva in netto contrasto con i risultati espressi da E. Semenza.

1° INVASO (febbraio-novembre 1960).

Il 28 ottobre 1959, venne presentata domanda di parziale invaso del bacino, fino a quota 650m, alla IV Sezione; le operazioni d'invaso ebbero inizio il 2 febbraio del 1960 senza l'autorizzazione richiesta che pervenne solo il 9 febbraio e autorizzava l'invaso solo fino a quota 595m (autorizzazione firmata il 6.02.1960). Il livello dell'acqua crebbe costantemente alla velocità media di 1.5m/gg fino al 13 marzo 1960.
Nel marzo si manifestarono piccoli movimenti franosi sul fronte nord del versante sinistro che indicavano una probabile rimobilizzazione della frana e nella primavera del 1960, vennero posizionati dei capisaldi nella parte inferiore della presunta paleofrana. Le misure effettuate mostrarono fin dal maggio 1960 movimenti della massa con velocità via via crescenti. In seguito alle nuove scoperte, nonostante le tranquillizzanti rassicurazioni di Dal Piaz, C. Semenza chiese a Caloi di condurre un'altra campagna di studi tenendo in considerazione quanto già espresso da Müller ed E. Semenza.

PianPozza.jpg

Il 10.05.1960 venne presentata la richiesta di autorizzazione a raggiungere la quota 660 e a giugno (7 e 8.06.60) una commissione diretta dall'ispettore Sensidoni ed incaricata di effettuare un sopralluogo per il rilascio dell'autorizzazione, autorizzò in modo del tutto arbitrario, l'invaso che ebbe inizio il giorno 8 giugno. L'autorizzazione, ufficiale, giungerà alla SADE solo il 22 giugno del 1960 quando il livello stava già crescendo.

Massalezza.jpgNel luglio vennero effettuati nuovi sondaggi per trovare il presunto piano di scivolamento della paleofrana che tuttavia non ebbero successo. Una nuova relazione di Dal Piaz, a proposito della stabilità del bacino negò l'esistenza della paleofrana giustificando la struttura fratturata della zona del "Pian della Pozza" con fenomeni carsici. Per quanto riguarda "La Pineda" confermava e dettagliava quanto detto in precedenza e a riguardo del versante destro, escluse pericoli per l'abitato di Erto.

Successivamente E. Semenza e Giudici, arrivarono ad identificare il margine superiore della paleofrana nei due solchi meridionali dei rami del Massalezza. Nell'ottobre del 1960, fece la sua comparsa la fessura perimetrale che si estendeva per circa 1800/2000m con una larghezza iniziale variabile tra i 30 e i 50 cm. La fessura iniziava più o meno all'altezza della diga, risaliva il pendio fino a 1100/1200m per poi scendere a 900m nella valle del torrente Massalezza; da qui risaliva nuovamente fino a quota 1300m per poi ridiscendere definitivamente verso est fino a quota 1100m ca. Apparve chiaro che ci si trovava di fronte ad una grande massa in lento movimento.

Nel novembre venne toccata la quota 650m, che tuttavia non fu superata a causa della frana del 4 novembre. Infatti, il 4 novembre 1960 alle ore 12.30, nella zona sotto Piano di Pozza, si staccò una frana con un volume di circa 700 mila mc precipitò nel bacino andando a depositarsi sul fondo del lago e provocando un'onda di 2m. In seguito a questo evento furono effettuati dei sopralluoghi da Semenza padre e figlio, Müller, Dal Piaz ed altri ingegneri:Fessura.jpg

1. Vennero potenziati i capisaldi posti lungo tutta la frana per controllarne il movimento.

2. Fu istituita una stazione munita di sismografi (per la registrazione delle scosse telluriche originatesi nella zona).

3. Su suggerimento di C. Semenza venne richiesta la costruzione di un modellino idraulico per lo studio degli effetti di una frana i cui modi e dimensioni fossero le peggiori ipotizzate fino ad allora, e di una galleria di sorpasso sul versante destro la quale, in caso di ulteriori frane che fossero andate a dividere il lago in due tronconi, collegasse i due bacini in modo da consentire il funzionamento dell'impianto. Tale costruzione fu autorizzata, o per meglio dire, caldamente consigliata dallo stesso Ministero dei Lavori Pubblici.

1° SVASO (novembre 1960-gennaio 1961).

Per consentire la sua realizzazione il livello del lago fu abbassato fino a 600m, tra novembre 1960 e gennaio 1961 e ivi mantenuto fino ad ottobre. Lo studio sul modellino fu invece commissionato all'Istituto d'idraulica dell'Università di Padova, diretto dal professor Augusto Ghetti. Il modellino fu costruito a Nove di Vittorio Veneto e qui vennero svolti gli esperimenti. Inizialmente furono fatte prove con la superficie di scivolamento piana ed in seguito con inclinazione 30° e 42°, riproducendo il materiale di frana con ghiaia. Nel modellino non venivano presi in esame gli effetti di un'onda che superata la diga, percorresse la gola fino alla Valle del Piave. In occasione di una visita del padre al modellino, nell'agosto 1961, Edoardo Semenza ebbe modo di suggerire che sarebbe stato opportuno modificare il piano di scivolamento della frana in modo da renderlo più simile all'andamento degli strati. A questo proposito preparò una serie di profili dai quali emergesse l'andamento del piano di scivolamento. Questo materiale venne utilizzato per la costruzione di un nuovo piano di scivolamento su cui venne svolta un'altra serie di esperimenti. Inoltre consigliò l'uso di mattoni al posto della ghiaia, come materiale di frana, poiché, a suo parere, ciò rispondeva meglio alla natura del fenomeno che si prevedeva, tuttavia questo secondo suggerimento venne ignorato.

Nel febbraio 1961 Caloi consegnò i risultati della sua seconda campagna geosismica in cui annunciava la mutata condizione della roccia che appariva ora intensamente fratturata, ma appoggiava in profondità su roccia compatta. Anche Müller, dopo aver esaminato attentamente le caratteristiche della massa, stilò una nuova relazione in cui dava, tra l'altro, alcuni suggerimenti sul comportamento da osservare in tali circostanze. I suggerimenti consistevano in:

A. Abbassare il livello dell'acqua (provvedimento già in atto che aveva dimostrato precedentemente la sua efficacia).
B. Limitare le infiltrazioni d'acqua e il disgelo (irrealizzabile).
C. Alleggerire la massa di diversi milioni di mc (irrealizzabile).
D. Drenare l'acqua dalla valle del Massalezza (a quota 900m) fino a raggiungere il calcare del Vajont (Provvedimento iniziato ma non completato).
E. Installare piezometri sulla massa della frana per conoscere il comportamento dell'acqua all'interno del versante (installati ma con scarsi risultati).
F. Cementare la frana (miglioramento possibile ma con costi elevatissimi).
G. Creare un contropiede alla frana utilizzando le parti frontali della stessa o pezzi del versante opposto, facendoli saltare con la dinamite (troppo pericoloso).

Durante l'inverno, in seguito allo svaso del lago, e non l'azione del gelo (che non può bloccare lo scivolamento di una frana con una superficie di scivolamento a 200m di profondità), i movimenti andarono diminuendo fino a raggiungere un apparente assestamento.

2° INVASO (ottobre1961-novembre1962).

La richiesta di un nuovo invaso fu firmata da Semenza ed inoltrata il 5 ottobre 1961 e prevedeva il raggiungimento della quota 680m. Il programma prevedeva una velocità di invaso di 0.70m/g fino a 650m, 0.30m/g da 650m a 680m. Il 16 ottobre venne firmata l'autorizzazione anche se fu comunicata solo il 25 novembre e per una quota di soli 640m. Il 17 ottobre la Commissione di Collaudo visitò la diga e l'invaso ebbe inizio il 19 ottobre.

Il 30 ottobre 1961 morì l'ingegner Carlo Semenza e a lui succedette nella direzione Alberico Biadene.

Gli esperimenti al modellino continuavano e in occasione della visita di alcune autorità al centro di ricerca, venne effettuata una prova, per constatare gli effetti di una frana sul bacino. Naturalmente fu usata meno ghiaia di quanta era stata prevista in caso di frana e il livello dell'acqua fu fatto scendere di venti metri sotto la quota di massimo invaso. I risultati furono confortanti: solo piccole increspature sulla superficie. Tutti tornarono a casa soddisfatti. Quando i visitatori se ne furono andati, venne ripetuto l'esperimento e questa volta seriamente: la frana venne fatta cadere in due tempi ma sollevò comunque onde di 20m. Il volume venne valutato in circa 50 milioni di metri cubi quindi di misura parecchio inferiore a quanto sembrava ormai certo (200 milioni).

La nuova richiesta per il raggiungimento dei 680m che venne presentata il 5 dicembre 1961, prevedeva una velocità d'invaso di 0.30m/g, in modo tale da raggiungere i 680m solo per fine aprile (1962).

L'autorizzazione fu concessa il 23 dicembre solo per una quota di 655m e con una velocità d'invaso non superiore a 0.50m/g e comunicata il 13 gennaio 1962: a questo data l'invaso aveva già raggiunto la quota 649.10m e crebbe fino a 655.20m.

Il 31 gennaio 1962 fu richiesta una nuova autorizzazione, ancora per la quota 680m, proponendo un incremento di 0.50m/g a partire dal 4 febbraio ed anche questa volta venne concessa una quota inferiore (675m) con autorizzazione del 6 febbraio, comunicata il 10 febbraio.

Il 20 aprile 1962, morì anche l'anziano geologo Giorgio Dal Piaz.

Il 3 maggio la SADE chiedeva l'invaso fino a 700m, rassicurando nel frattempo la commissione sulla stabilità della frana. L'autorizzazione fu finalmente concessa l'8 giugno 1962 e comunicata il 18 giugno dello stesso anno.

Il 3 luglio 1962 Ghetti consegnò ufficialmente i risultati delle prove effettuate sul modellino in cui stimava possibile, come conseguenza del movimento, il prodursi di un onda di circa 30m e in conseguenza di ciò, affermava che: "la quota 700m può considerarsi di assoluta sicurezza nei riguardi anche del più catastrofico evento di frana".
Ghetti, inoltre, chiese di poter ampliare gli esperimenti al fondovalle (Longarone), ma la richiesta fu respinta e gli esperimenti furono sospesi.

2° SVASO (novembre 1962- marzo 1963).

Il 17 novembre fu raggiunta la quota 700m e mantenuta fino al 2 dicembre 1962, quando iniziarono le operazioni di svaso; operazioni, che ebbero termine il 10 aprile con il raggiungimento dei 647.30m.

Nel dicembre del 1962 fu pubblicata la legge con la quale veniva istituito l'Ente Nazionale Energia Elettrica (ENEL). Le società elettriche furono dichiarate responsabili, fino all'emanazione dei decreti di trasferimento dei manufatti allo stato, "della conservazione e manutenzione degli impianti, nonché della buona gestione delle imprese stesse, ivi compresa l'attuazione dei programmi in corso di ampliamento, di trasformazione e di nuova costruzione".

Nel marzo del 1963 (il 14.03.1963) la SADE passò di proprietà dell'ENEL (impianti e dipendenti): a capo dei lavori sul Vajont fu riconfermato l'ingegner Biadene.

3° INVASO (marzo 1963- ottobre 1963).

Il 23 marzo, fu richiesta l'autorizzazione ad un nuovo invaso, questa volta fino a 715m e l'autorizzazione fu concessa il 4 maggio 1963.

Dall'11 aprile all'11 luglio si procedette al nuovo ed ultimo invaso che raggiunse prima 705m e poi 710m. Nel giugno 1963 vennero raggiunti i 700m e successivamente, vedendo che le velocità di spostamento della massa andavano aumentando, fu deciso di mantenere il livello stabile per circa 25gg e quando il rischio di frana apparve ormai certo, di procedere allo svaso per raggiungere la "quota di sicurezza". Dal 27 settembre, l'acqua iniziò a scendere con una velocità media di 0.3/0.1m il giorno, di conseguenza, le velocità di spostamento aumentarono.

Infine il 9 ottobre 1963, alle ore 22.39 con il livello dell'acqua a 700.42m, avvenne il distacco di una frana di circa 280 milioni di metri cubi che con una straordinaria compattezza e sorprendente velocità piombò nel lago provocando onde alte 150-250m; in circa 4 minuti un'enorme onda percorse la stretta gola e piombò su Longarone. Il disastro era ormai compiuto.

I precedenti

Pontesei.jpgPontesei

Il 22 marzo 1959 in località Fagaré, nella Val Zoldana, si staccò, precipitando nel lago artificiale ai suoi piedi, una frana di circa 3 milioni di metri cubi di materiale. La massa precipitando nel lago, il cui livello si trovava 13m sotto il massimo invaso, alzò un'onda di circa venti metri che risalì il versante opposto.
I fenomeni d'instabilità di questo versante non avevano mai destato particolari preoccupazioni e non erano considerati molto importanti, ma in seguito alla velocità, compattezza e volume della frana, gli studiosi furono portati a tenere in maggior considerazione eventi di questo tipo. Circa due anni prima il franamento, si era, anche in questo caso, assistito alla comparsa di una fessura perimetrale con andamento arcuato. Inoltre il movimento della massa aveva subito un'impennata in occasione di uno svaso repentino del serbatoio; il movimento era poi andato diminuendo fino ad un apparente assestamento nel '58, che aveva tranquillizzato gli animi. Questo aveva portato al termine delle misurazioni sulla massa finché, con la scomparsa della neve (marzo '59), si era potuta osservare la presenza di notevoli fratture trasversali sulla strada che tagliava il versante e che indicavano con tutta probabilità i margini laterali della frana. I movimenti della massa, ripresero con velocità anche importanti, ma l'attenzione di progettisti e geologi era ora rivolta ad un altro movimento franoso nella parte superiore all'imposta della diga sul versante sinistro. Questa massa, muovendosi seguendo le stratificazioni della Dolomia verso nord-ovest, era attiva da anni e in seguito a poderosi studi si era tentato di arginarne il movimento con contrafforti, che però si erano dimostrati inutili. In conseguenza di ciò era stato deciso l'abbassamento del livello del lago fino a 13m sotto il massimo invaso.
La frana che sarebbe precipitata nel lago dal versante sinistro, non destava invece preoccupazioni, in virtù dei lenti movimenti che la caratterizzavano e della superficie di scivolamento, ritenuta poco profonda, che avrebbe consentito la messa in movimento di una quantità di detrito superficiale alquanto esigua.
Le ipotesi fatte si rivelarono ben presto errate, poiché la superficie di scivolamento della frana "Pontesei-Fagaré" era situata ad una profondità di qualche decina di metri fino ad un massimo di 75m nella parte bassa.

La frana del 4 novembre

Frana4nov60.jpgIl 4 novembre alle 12.30 si stacco dal fronte della massa in movimento già da tempo e definitivamente delimitata, con la comparsa della fessura perimetrale nel mese di ottobre, una fetta di terreno larga 350m ca. che precipitò nel lago scivolando su una superficie leggermente concava. La massa sbriciolatasi e precipitando nel lago, sollevò un'onda di circa 2m che infrangendosi contro la diga raggiunse l'altezza di una decina di m. Questo franamento sommato alla fessura perimetrale, dava un quadro abbastanza chiaro del tipo di movimento a cui ci si trovava di fronte, anche se inspiegabilmente, anche di fronte a ciò, ci fu chi (Penta) continuò a sostenere si trattasse semplicemente di un movimento superficiale.

La catastrofe

La frana.
La frana presenta un fronte di 1.8km ed un'altezza massima al fondovalle di circa 400m, tanto da superare nei punti più elevati la diga di 140m.
La larghezza da nord a sud varia da 800 a 1000m.
Il volume si aggira sui 280 milioni di mc.
Questo fenomeno non ha paragoni tra le frane in epoca storica, per dimensioni, dinamica del movimento e compattezza straordinaria che ha mantenuto, come si può osservare dalle carte geologiche della zona prima e dopo l'evento. Il distacco della massa è avvenuto quasi esattamente lungo la fessura perimetrale apparsa nell'ottobre 1960. Il piano di scivolamento, interno alla formazione di Fonzaso, ha andamento concorde alle stratificazioni della roccia (a franapoggio con inclinazione maggiore/uguale a quella del versante) ed è, anche attualmente, visibile in parte solo nella zona superiore.
Probabilmente verso la base della frana, dal piano di scivolamento principale sono derivate altre superfici, via via meno profonde che raccordandosi verso monte con il piano principale, hanno scomposto la frana in varie zolle. Queste zolle, scorrendo le une sulle altre, hanno determinato il completo riempimento della valle e la risalita sul versante opposto per oltre 100m.
Nel complesso la frana ha mantenuto una struttura compatta conservando in gran parte i rapporti stratigrafici originari. Il cumulo comprende rocce appartenenti a: Formazione di Fonzaso, Rosso Ammonitico, Calcare di Soccher e Scaglia Rossa.
In posto sono invece rimasti i calcari oolitici del Vajont e le formazioni più antiche.

La dinamica. I lenti movimenti che interessavano la massa, il giorno 9, subirono una straordinaria impennata arrivando a raggiungere punte di 3m/g per poi toccare nel giro di pochissimi minuti, durante lo scivolamento, velocità di 50-60km/h. La massa, rotti i legami che ancora la tenevano ancorata al terreno si staccò e con una straordinaria velocità precipitò a valle. Per quanto concerne le ragioni dell'elevata velocità registrata durante il movimento esistono tutt'oggi soltanto delle ipotesi. E' possibile che durante il movimento, gli strati basali della frana e quelli superiori appartenenti alle strutture tuttora in posto, ridotti in scaglie e poi praticamente sminuzzati, siano stati trascinati in avanti fino a riempire la gola.
Questo materiale immerso nell'acqua ha probabilmente fornito un'ottima superficie di scivolamento per la restante massa che ha, in questo modo, potuto risalire il versante opposto per poi avere un moto di ritorno (qualche decina di metri) fino a raggiungere l'attuale posizione di equilibrio. L'intero movimento sarebbe durato circa due minuti, mentre l'onda avrebbe impiegato altri 4 minuti circa per percorrere la valle, prima di gettarsi sugli abitati di Longarone.

Le conseguenze.

Primi effetti.

•  Acqua. La massa precipitando nel bacino ha formato una gigantesca onda, di circa 50 milioni di metri cubi d'acqua con materiale solido in sospensione, che espandendosi a ventaglio si è divisa:
•  Un ramo (15 milioni di mc) ha risalito il versante destro per oltre 250m ricadendo poi violentemente sulla stessa frana.
•  Un secondo ramo (7-8 milioni di mc) si è riversato verso est nel lago di Erto.
•  L'ultimo si è gettato verso ovest, oltre la diga. Quest'onda, con 25 milioni di mc, oltrepassata la diga (ben 100m sopra il suo coronamento) e percorsa la valle in circa 4 minuti è piombato su Longarone. In seguito allo schianto si è diviso ulteriormente in due parti: la prima ha risalito il Piave fino a Codissago per poi ripercorrerlo nuovamente verso valle, la seconda, invece, è discesa lungo il letto del fiume, verso Villanova.

•  Terra. Il movimento è stato accompagnato da una forte attività sismica (conseguenza del distacco e non causa) registrata anche in diverse località distanti dal luogo del disastro, quali Tolmezzo, Trieste, Pieve di Cadore, Roma e Messina.

•  Aria. Una massa di così grandi dimensioni in veloce movimento ha provocato, oltre al sollevamento dell'acqua del bacino, anche la messa in movimento di una grossa massa d'aria: infatti, l'arrivo dell'onda fu preannunciato (specialmente a Longarone) da raffiche violente di vento umido proveniente dalla gola che contribuirono alla distruzione del luogo.

Effetti morfologici permanenti.
La conseguenza morfologica principale di tale evento è stata la scomparsa della valle del Vajont, occupata ora dalla massa costituente la frana. Dove precedentemente sorgeva il lago, nei pressi della diga, si è ora creato uno sbarramento naturale con altezza (riferite al letto del Vajont) anche di 400m. Si è quindi venuto a formare nella zona di Erto un lago naturale, ultima traccia del grande bacino.
Inoltre, per la lieve differenza di quota (solo 2 m) tra il passo S.Osvaldo (827m verso la Val Cellina) e il Vajont, si è corso il rischio di determinare l'inversione del deflusso del torrente Vajont verso la Val Cellina, (portando il Vajont a far parte del bacino idrografico del Livenza).

Le cause. precipitazioniVajont.jpgNel tentativo di comprendere le "ragioni geologiche" di questo disastro, bisogna in primo luogo conoscere dal punto di vista teorico perché una frana ha origine.

Tenendosi sul generico, si può affermare che: "I movimenti del terreno sono dovuti ad una variazione del sistema di forze attive (carichi e spinte dell'acqua), restando invariate le resistenze (resistenza di struttura, valori dell'attrito e della coesione); o ad una variazione del sistema di forze resistenti, restando, invece, costanti le altre; oppure ad una variazione di entrambi i sistemi" come avvenuto in questo caso.
In base a ciò si possono dividere le cause in due categorie, le cause prime, o predisponenti e le cause provocatrici.

Cause predisponenti:

1. Condizioni litologiche stratigrafiche e tettoniche del versante destro.

a. La presenza di strati poco solidi o altamente instabili in determinate condizioni; ad esempio la presenza di argille e marne che hanno un normale comportamento in condizioni normali, ma perdono drasticamente la loro stabilità in presenza d'acqua.

b. L'alternanza di strati permeabili (calcari) e impermeabili (rosso ammonitico) ha portato:

•  alla stagnazione dell'acqua in prossimità degli strati impermeabili, con conseguente diminuzione della coesione interna, aumento delle pressioni idrostatiche e aumento di peso delle masse coinvolte;

•  alla creazione di due sistemi artesiani separati dipendenti: il primo, dal livello dell'acqua nel bacino e il secondo dalla piovosità del mese precedente.

a. La stratificazione a franapoggio del versante, con inclinazione degli strati superiore a quella del versante.

d. La presenza di numerose pieghe e fratture ha favorito la permeabilità di tutto il versante, oltre ad una minore stabilità.

2. Morfologia della valle.

a. L'erosione torrentizia ha agito mettendo a nudo i piedi degli strati favorendo l'imbibizione e diminuendone nel complesso la stabilità.

3. Sismicità della regione.

a. Nonostante la zona sia considerata a "leggera sismicità", la frequente azione dei microsismi, anche se ad intensità limitata, ha ugualmente influito sull' elasticità delle rocce e sulla stabilità del pendio.

4. Attività ingegneristiche che hanno influito sull'equilibrio già precario del pendio.

a. Opere quali: strade, gallerie, canali ecc.

b. Campagne geosismiche.

c. Normali attività legate alla costruzione della diga.

Cause provocatrici.

1. Acqua. Questo elemento, sotto diverse forme ha agito pesantemente sulla massa causando:

•  aumento del peso interno per imbibizione delle rocce permeabili;

•  diminuzione della coesione interna, specialmente in materiali quali l'argilla e le marne;

•  diminuzione dell'attrito su gli strati più rigidi (calcari oolitici) dovuto a galleggiamento, azione erosiva ed effetto lubrificante.

a. Pioggia. Il periodo tra settembre e novembre è stato, nel suo insieme, caratterizzato da un'alta piovosità che grazie alla natura stessa del terreno (altamente fratturato), ha permesso all'acqua di penetrare e imbibire anche quegli strati di terreno non lambiti direttamente dall'acqua del bacino. Questo, unito alla presenza di strati impermeabili che hanno impedito il normale flusso dell'acqua in profondità, ha comportato un notevole aumento del peso del materiale oltre ad una già citata diminuzione della coesione interna ai materiali ed una drastica diminuzione del coefficiente d'attrito.

b. Acqua del bacino. Aiutata dalla stessa morfologia della valle, l'acqua del bacino è penetrata in profondità nel pendio, andando ad imbibire gli strati permeabili e lambendo quelli impermeabili, causando anche un aumento della pressione idrostatica.

c. Invasi e svasi. Queste operazioni, oltre alle già esposte azioni dell'acqua, hanno comportato un ulteriore azione di allentamento e galleggiamento dell'acqua del bacino sulle rocce bagnate e una conseguente sottopressione all'interno del materiale permeabile in occasione degli svasi.

d. Forte inclinazione della falda freatica (17%) con conseguente aumento della spinta idrodinamica dell'acqua nel corpo della frana.


Figura 2a e 2b. Profili geologici della valle prima e dopo la frana del 9 ottobre 1963.
Profilo 2 e 5 riferiti alla parte occidentale, e profilo 10a riferito alla parte orientale. Per l'esatta posizione, vedere cartina geologica di Rossi e Semenza.

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Bibliografia

•  Edoardo Semenza La storia del Vajont Tecomproject Editore Multimediale; Padova novembre 2001

•  Daniele Rossi ed Edoardo Semenza Carta geologica del versante settentrionale del M. Toc e zone limitrofe (prima del fenomeno di scivolamento del 9 ottobre 1963), Ist. Geol. Università di Ferrara (1965)

•  Daniele Rossi ed Edoardo Semenza Carta geologica del versante settentrionale del M. Toc e zone limitrofe (dopo il fenomeno di scivolamento del 9 ottobre 1963); Ist. Geol. Università di Ferrara (1965)

•  Edoardo Semenza Sintesi degli studi geologici sulla frana del Vajont dal 1959 al 1964, Mem. Museo Tridentino Sc. Nat., Vol. 16 (1965)

•  D. Masetti Stratigrafia delle formazioni prequaternarie affioranti nella valle del Vajont e nei gruppi montuosi adiacenti (1992)

•  Antonio De Nardi Il bacino del Vajont e la frana del M. Toc (ed. 1965)

•  M. Besio Cenni idrogeologici sul M. Toc e dintorni (ed. 1992)

•  A. Guerricchio, G. Melidoro Analisi geomorfologica della valle del Vajont prima della grande frana del 1963

•  Maurizio Tanzini Fenomeni franosi ed opere di stabilizzazione Dario Flaccovio Editore

•  Comune di Longarone Superstiti e testimoni raccontano il Vajont a cura di Ferruccio Vendramini (1998)

•  Comune di Longarone Solidarietà e ricostruzione nel Vajont a cura di Ferruccio Vendramini (1998)

•  H. P. Laubscher Evoluzione e struttura delle Alpi, Le Scienze n. 72 (agosto 1974)

•  Enciclopedia Italiana 1949-60 appendice III vedi: Veneto

•  Giuseppe Capraro Longarone Istituto Bellunese di ricerche sociali e culturali, serie sociologia (1975)

•  Il Piave Cierre edizioni (2001)

•  Marco Paolini Vajont 9 ottobre '63, orazione civile Einaudi (settembre 2001)

•  Maurizio Reberschak Il grande Vajont Comune di Longarone (1983)

•  Tina Merlin Sulla pelle viva - Come si costruisce una catastrofe. Il caso Vajont CIERRE Edizioni (1997, prima ed. 1983)

•  Tina Merlin Vajont 1963 Il cardo (1993)

•  Luca Baldissera e Stefano Battilossi La formazione storica (Volume III, Il Novecento) Sansoni per la scuola

•  Lamberto Lamberti, Laura Mereu, Augusta Nanni, Nuovo Matematica due, Etas libri.

•  P. Brandolin, A. Carnielli, Elementi di Fisica, Arnoldo Mondadori Editore.

•  Enciclopedia Microsoft Encarta 1998.



Ringraziamenti.

Desidero innanzitutto ringraziare il Dott. Gianni Galatà per la grande disponibilità nel fornirmi materiale e spiegazioni durante tutta la stesura di questa tesina.

Ringrazio inoltre la prof. Maria Marzi per avermi trasmesso la passione per la geologia e le scienze in generale; inutile dire che senza le solide basi acquisite in questi anni (grazie anche alla sua severità) questo lavoro non sarebbe stato possibile.

Infine debbo ringraziare il prof. Claudio Dalla Riva, per avermi fatto capire ed apprezzare l'importanza del metodo scientifico, l'unica e vera essenza di ogni ricerca.

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