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Nuova Erto di Ponte Nelle Alpi (BL) - 09/10/2004

Intervento del prof. Francesco Piero Franchi
dell'Istituto Storico della Resistenza e Storia Contemporanea di Belluno

Cerimonia in Memoria del disastro del Vajont (9/10/1963) coll'inaugurazione di un cippo della Memoria in Nuova Erto di Ponte nelle Alpi (BL).

Trascrizione di Tiziano Dal Farra, da video girato e gentilmente messo a disposizione da A. Suppa, di Lentiai (BL), che ringrazio particolarmente.


Cippo di Nuova Erto, posto il 09/10/2004"Sono ... 40 anni che vivo con quella pietra sul cuore.
E come me, quelli della mia generazione e delle generazioni precedenti, sempre con quella pietra sul cuore. E, i primi anni dopo quella catastrofe, l'unico desiderio era di LIBERARSI, di questo peso.
Poi crescendo, e vivendo la storia del processo, per i morti del Vajont, contro i responsabili di quei morti, e celebrando da quarant'anni tutti gli anni quello che era accaduto ho scoperto, come hanno scoperto anche tutti gli altri, che quella pietra non soltanto non me la volevo togliere dal cuore, ma che mi teneva in piedi per quello che poi avrei voluto e dovuto fare perchè non accadesse piu' un altro Vajont. Il terremoto di Messina, dopo 40 anni non lo si celebra piu'. Un evento naturale, imprevedibile, ai piedi di un vulcano. 40 anni dopo la scossa tellurica che distrusse città in Asia o in Europa, non si ricorda, il fatto. Nemmeno si ricordano i bombardamenti, le battaglie, i conflitti. Se ricordiamo dopo 40 anni la battaglia di Vittorio Veneto, è una cerimonia di affratellamento col nemico, sostanzialmente. Insomma, non tutte le sciagure sono uguali, e non hanno tutte lo stesso senso. Nel caso del Vajont, questo monumento, che è un semplice pezzo della pietra di Erto - e va detto che lo scultore Fiabane, dalla pietra di Erto, ricava bellissime figure gioiose, ricava allegorie della vita, simboli religiosi, eccetera - questo pezzo della pietra di Erto, nella sua semplicità, serve a pegno, è una specie di "blocco di Giuramento", perchè noi siamo in presenza di un dovere.

Non si può, essere "superstiti" e basta, di una sciagura di questa specie. Perchè molti, sono i superstiti di tante, innumerevoli sciagure. Bisogna essere superstiti, testimoni, e "costruttori di difese". Perchè il Vajont nel suo modello sostanziale, è una PERFETTA descrizione di che cosa accade quando l'arroganza tecnica, l'avidità di ricchezza, il mancato rispetto delle tradizioni, costumi e spiriti delle popolazioni del posto si mescolano insieme con la forzatura politica. La concessione dello sfruttamento del bacino del Vajont è stato uno degli ultimi atti della repubblica di Salò. Dato affrettatamente mentre si sbaraccava il regime tirannico nella speranza che quegli stessi - che di quel regime tirannico avevano approfittato - nella Nuova Italia continuassero a godere dei privilegi e dei frutti di quello sfruttamento.
Che era connesso con Porto Marghera e con il progetto di dominio dell'altra parte dell'Adriatico.
E la provincia di Belluno era destinata a fornire l'energia elettrica, così come aveva fornito l'energia umana delle truppe alpine per la conquista dell'altra parte dell'Adriatico, così come aveva fornito l'energia di lavoro per l'emigrazione, per l'accumulo delle ricchezze [le rimesse dall'estero degli emigrati, n.d.r.] che sarebbero servite poi, anzichè a salvare la montagna, a costruire armi.

Nel centro del problema del Vajont, la finanza, la politica, l'arroganza e la stupidità scientifica, che non tiene conto delle conseguenze dei suoi test: modello di crimine 'perfetto'. Ora, c'è solo un modo, per onorare le vittime del Vajont: quello di fare un percorso, assieme ai viventi, perchè quelle morti non siano inutili. E siccome alla morte non c'è nessun rimedio se non nel ricordo dei viventi, è bene sapere che una comunità che viene colpita in maniera così grave continua a vivere, con una parte di memoria, fuori di sè, come se quelli che sono scomparsi ... sentissero, vedessero, giudicassero. Io non so, se è così nella realtà, è che così, si 'sente'.
E dunque, abbiamo un obbligo, un dovere: testimoniare dovunque, tutte le volte che è possibile, nelle sedi in cui è possibile, che l'unica guerra che l'Uomo può fare giustamente, è contro la violenza della Natura e il destino mortale dei mali che affliggono l'Uomo senza sua colpa.
Che però ci sono guerre secondarie, o processi, o difese secondarie contro le catastrofi che vengono provocate dall'Uomo stesso. Che agisce 'contro' gli altri esseri umani. Io, questo peso l'ho sentito assieme a migliaia, di Bellunesi. Non solo ai superstiti del Vajont, solo agli Ertani, i Longaronesi, e altri: tutti, i Bellunesi, erano presenti in quel momento. E le centinaia di migliaia che erano fuori per emigrazione, sono stati colpiti.

Il Prof. Franchi, durante l'intervento il 09/10/2004Non so per quale motivo siamo stati scelti dal destino a dover rappresentare sempre le virtù del dovere alpino, della solidità delle truppe di montagna, dell'onestà del lavoratore emigrato, della sagacità e capacità di lavoro dei nostri carpentieri, dei minatori, muratori, e altro; sempre citati come modello, per altri, e poi ricompensarci in questo modo. Tuttavia, prendiamo per buone, quelle lodi: forse siamo proprio così, assomigliamo ai nostri monumenti di pietra, da cui possono nascere bellissime figure, sculture. Ma che sono pesanti, e faticosi, da maneggiare. Ma che restano.
E dunque, una comunità dislocata, come quella degli Ertani, sicuramente non soffre perchè è stata spostata di alcuni chilometri dal suo centro naturale. Visto che gli Ertani, come i pontalpini, come i Bellunesi, e i Friulani in genere, sono abituati a migrare a migliaia, di chilometri. E stare in esilio per decenni, senza dimenticare mai la loro terra, la loro gente, la loro Storia.
Di certo, non è questo piccolo spostamento, che provoca il problema.
Il problema è che la "comunità" è là dove sono i suoi uomini, non dove sono le sue case.

Per fare degli esempi storici, famosi: quando gli Arabi di Spagna nel 1492, quindi più di 500 anni fa, furono costretti ad andarsene dalla Spagna, e trasferirsi in Marocco o in Tunisia, si portarono appresso le chiavi di casa, le pergamene con gli atti di acquisto di quelle case, la mappa della loro case, come se dovessero tornare il giorno dopo. La stessa cosa hanno fatto i Veneto-Dalmati, quando furono cacciati via da Istria e Dalmazia. È la cosa che fanno tutte le 'comunità native' che amano la terra su cui stanno e da cui sono obbligati ad andare via.
Questi movimenti di popoli sono orrendamente frequenti, non c'è guerra che non provochi questi spostamenti. Per sapere dove è 'quella patria', bisogna cercare 'quegli' uomini, non 'quella terra'. Perchè le terre cambiano di padrone anche troppo velocemente, in certe situazioni storiche. Quindi è l'Uomo, che 'fà il Paese, anche se è vero naturalmente che la conformazione di 'quel' Paese dà a 'quell'uomo' determinate caratteristiche.

E Longarone è 'dentro' a ciascuno di noi. La Longarone che esiste ora, esiste, grazie a dio, felicemente. C'è un'altra Longarone che esiste DENTRO ai longaronesi superstiti e dentro tutti noi, dentro ai bellunesi. Che è fatta di tante cose, di ricordi, di Memorie, di sentito dire, di racconti, e che deve essere difesa. Però non può più essere, una situazione funeraria. Perchè bisogna che diventi, invece, un impulso di protezione. Cioè, questa Storia non può finire con un fiore su una tomba: deve anche finire con una parola chiara di fronte a un tribunale di Storia, di fronte a una èquipe di tecnici, di fronte a un progetto economico, che è quello che ha, naturalmente in senso positivo, una ricetta fredda come questa: noi abbiamo questo dovere. Gli Ertani non l'hanno cercato, ma hanno questo dovere. Ce l'hanno in prima persona. È evidente che sarebbero stati accolti come fratelli dai pontalpini.

Perchè non c'era un solo cittadino di Ponte nelle Alpi, perchè non ce n'era uno dal monte Peralba giù fino a Quero che non si sentisse fratello di questa gente. Ed è un puro caso, che l'acqua della diga abbia attraversato il fiume in quel punto e colpito quella comunità. Poteva colpire altrove. E può, tuttora, colpire altrove questa forza. Molti punti d'Italia, e d'Europa, e attualmente dell'Africa e dell'Asia. Ci sono progetti giganteschi di sfruttamento della natura ignorando chi vive, in quella natura. Noi dovremmo diventare una scuola, alta, e già in parte lo siamo; e ci sono i collegamenti internazionali, e localmente hanno lavorato su questa cosa, eccetera. Per significare che non tutte le catastrofi naturali sono 'imprevedibili'. E che scientificamente il Vajont, è stato dimostrato, era una macchina assassina. Che non era un elemento come un asteroide che cade sulla Terra.

Il prmo cittadino di Longarone, in Nuova Erto di P.n.A.,  09/10/2004
09/10/2004. Nella foto, il primo cittadino di Longarone nella presentazione della cerimonia.
Dieci giorni dopo, invierà ai Suoi Sopravvissuti questa stringata dimostrazione di cordoglio.
Chiara la data, per nulla i motivi. Che dire?? Questo.
Ora siccome sono 40 anni che viviamo con questo macigno nel cuore, metterlo fuori e renderlo visibile, e sperare di vederci i bambini che ci giocano attorno, e che ignorano quel peso, è una buona cosa. Proprio perchè è ambientato in uno spazio di umana convivenza, che non dimentica: non il dolore privato, ma la colpa pubblica. Che non dimentica: non un familiare scomparso, non dimentica quel processo attraverso il quale fu possibile far scomparire, quel familiare. Cioè, sostanzialmente, chi ha subìto il Vajont è stato toccato. Nei suoi affetti familiari più profondi, e spesso ne è stato anche schiantato dal dolore. Deve sapere che ha un dovere in più, cioè: deve ricordare agli altri, colle parole più semplici possibili, attraverso per l'appunto la scuola, la poesia, il teatro, l'arte; i monumenti, i colloqui, l'opposizione amministrativa e politica. Deve ricordare continuamente che cosa "è stato", perchè non avvenga più. È lo stesso dovere che in qualche modo hanno i superstiti dei campi di concentramento. Il dovere che hanno i superstiti di guerre ingiuste, i doveri che hanno coloro che sono riusciti a salvarsi dalle 'pulizie etniche'.

Ponte nelle Alpi ha anche un destino singolare, perchè l'esempio più duro di cosa possa essere la follia e la ferocia in questo campo è accaduto a Mostar, in Bosnia, dall'altra parte del mar Adriatico. Mostar vuol dire 'ponte'. E lì era stato costruito quel meraviglioso ponte in pietra sulla Neretva, sulla 'Neretta' insomma, un ponte rinascimentale del 1500. Un'opera, un capolavoro dell'ingegno, dell'architettura islamica. Abbattuto a cannonate proprio perchè era un 'pontÈ ed era un ponte stretto, un ponte atipico, non era una camionabile per i carri armati, eccetera; proprio per 'spezzarÈ i vincoli tra le due rive. E naturalmente, è chiaro che gli abitanti di quella sfortunata città vogliono tornare ad essere quello che furono per secoli, cioè esattamente il ponte di passaggio tra civiltà diverse. Tra popoli, economie, lingue e religioni diverse. In piccolo, come è stato detto prima, Ponte nelle Alpi è stato anche questo: prende il nome dal varcare un fiume che a noi sembra importantissimo e che è un piccolo fiume del sistema alpino - ma che per noi è significativo.

E ha fatto anche i gesti, conseguenti: accogliendo i fratelli che si sono trovati spossessati della loro terra e della loro comunità. È nata, una nuova comunità, che non porta i titoli del comune attuale di Vajont o di Nuova erto, o della Longarone attuale, o di Erto e Casso, o di Castellavazzo, di Codissago eccetera. La loro comunità è quella di coloro che hanno 'capito', quello che è successo, hanno assorbito il dolore, lo hanno metabolizzato in una ragione politica, amministrativa, umana e sociale, in un messaggio di ripresa e liberazione anche per gli altri: "Bisogna essere più generosi della nostra stessa Storia, perchè così la possiamo modificare anche a vantaggio di altri".
Da questo punto di vista, noi celebriamo oggi giustamente la Memoria del Vajont: la celebriamo in una situazione fortemente simbolica, perchè siamo nel cuore di una piccola comunità "dislocata", che ha mantenuto la sua Memoria senza erigere nessuno steccato o barriera, che è stata accolta nella Memoria comune degli altri, e che chiede la difesa non di se stessa, chè non ne ha alcun bisogno: chiede la difesa di tutti coloro che non ci son più, perchè la loro sparizione non sia inutile.Questo è, entrare nella Storia. Altrimenti la Storia la si subisce. È entrare nelle scelte politiche economiche e generali, altrimenti si subiscono e basta. E questo è amare la propria terra, che è una terra difficile, aspra, che appare da sempre. Andavano via da Erto, a cercare il loro pane. Ma a Erto però, volevano tornare: come i bellunesi, come i feltrini, come i cadorini.

Video CD di Antimo Suppa,  Lentiai (BL)Noi viviamo in una situazione che è "il privilegio di una natura bellissima, che ci costringe però ad avere sempre nostalgia di lei". E abbiamo ovviamente la nostalgia della Longarone di 41 anni fa, ma non basta. Deve diventare, ovviamente, patrimonio degli altri e difesa, del futuro degli altri. Ci sono molte altre macchine, come il Vajont, in funzione.
Bisogna umanizzarle, razionalizzarle, far arrivare loro "il messaggio". La solidarietà la vogliamo, questa volta, PREVENTIVA, non "DOPO" il disastro. Vogliamo essere fratelli di coloro che sono minacciati ADESSO, per non dover poi di nuovo raccogliere morti, mandare aiuti, e portar soccorso. Una comunità è dove sono i cittadini. Questa comunità ha subìto una grave ferita. Potremmo dire che questa ferita la lega in cittadinanza ad altre comunità; e questo fa una condizione di orizzonte mentale molto umano, e molto serio, molto diverso.
Per il resto, siccome è gente molto matura, che ha anche prima, del Vajont, ha esperimentato la serietà della vita, è in grado di reggere anche questa ulteriore fatica.
Noi siamo un messaggio vivente.
La semplicità di quella pietra è esemplare: sui luoghi dei grandi accadimenti, l'oggetto che ricorda i grandi accadimenti è di solito semplicissimo. È una disadorna Memoria, perchè si sa che l'energia di quella memoria è dentro tutti coloro che hanno costruito il monumento, o lo hanno identificato.

Da questo punto di vista, siamo fratelli di tutto il Mondo."

Francesco Piero Franchi *, a Nuova Erto di Ponte nelle Alpi (BL) - il 09/10/2004, ore 16.00 circa.

[* Presidente dell'Istituto Storico della Resistenza e Storia Contemporanea di Belluno, che fa parte della Rete di istituti Storici italiana.
Lungo, intenso intervento 'a braccio' nella cerimonia di inaugurazione del cippo memoriale posto nel quartiere pontalpino di Nuova Erto.]

Francesco Piero Franchi.
Nato a Belluno nel 1943, dal 1980 vive a Bologna, dove insegna lettere latine e greche.
Si è occupato di problemi scolastici, anche dal punto di vista sindacale, ed è stato consigliere comunale a Belluno e presidente del comitato direttivo della Civica Biblioteca. Ha conseguito il Dottorato in Italianistica, ed è socio di diverse associazioni culturali, con spiccati interessi nel campo della storiografia e della letteratura veneta; ha pubblicato uno studio specialistico sulla didattica delle lingue classiche e numerosi articoli di critica letteraria e artistica, di sociologia culturale e di storia contemporanea.
Per la narrativa ha pubblicato un romanzo, "Storia della strega povera", Belluno (Belumat Editrice, 1993), giunto finalista al "Premio Calvino".
È attualmente presidente dell'ISBREC, Istituto Storico Bellunese della Resistenza e dell'Età Contemporanea.



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