Cap.4

IL RISVEGLIO DEL CASO VAJONT NELLA MEMORIA COLLETTIVA ED IL TENTATIVO DI INSEGNAR UNA "LEZIONE"

Il destino della travagliata memoria del caso Vajont non fu quello di rimanere definitivamente nell'oblio. Dopo un lungo silenzio durato per ben 34 anni, un evento mediatico ne mutò le sorti ed i futuri sviluppi.
Il 9 ottobre 1997 venne programmato in prima serata su Rai 2 un "racconto teatrale" ad opera di un attore bellunese di nome Marco Paolini. Egli "recitò" in modo passionale e coinvolgente la "reale storia" del Vajont, i suoi retroscena, i suoi protagonisti, le sue "verità" che per tanto tempo erano state nascoste. Il "racconto" fu ambientato in un suggestivo "teatro" appositamente allestito su una spianata ricavata sulla frana del Monte Toc, proprio alle spalle della diga del Vajont.
Questo "spettacolo" intrattenne "dal vivo" una platea di 1000 persone, tra le quali molti abitanti dei comuni sinistrati. Essi, per primi, restarono colpiti dal racconto di Paolini, da quella storia che li riguardava così da vicino e che faceva riemergere il doloroso destino toccato ai loro cari e le cause che lo avevano determinato. I sopravvissuti ed i loro parenti, furono in tal modo "risvegliati" dal silenzio ed acquistarono la consapevolezza dell'importanza del loro passato e dell'attualità di questo anche nel presente, e con essa la voglia di lottare per far conoscere la loro drammatica storia.
Lo spettacolo di Paolini riuscì ad intrattenere circa 4 milioni di telespettatori in tutta Italia, quelli che si sintonizzarono su Rai 2. Il risultato fu sorprendente, per un'esperienza teatrale portata in tv. Questi utenti furono incuriositi e sensibilizzati dal crudo ed emozionante racconto dell'attore bellunese verso la comprensione di una storia che, sebbene da alcuni già conosciuta, risultava comunque "nuova" sotto molteplici aspetti precedentemente oscuri. La tragedia di 2000 italiani, per la prima volta, venne proposta al pubblico di massa e lo sensibilizzò verso problemi ancora attuali ed una verità che meritava un riconoscimento più giusto.
L'evento Paolini risultò come una "scossa" che mise in moto un complicato meccanismo che riportò il Vajont all'attenzione del pubblico e delle istituzioni.
Nel 2001 la memoria del Vajont conquistò un nuovo palcoscenico importante grazie al racconto trasformato in pellicola cinematografica da Renzo Martinelli. Il film "Vajont", la cui anteprima fu proiettata nuovamente nella zona della diga, consacrò la memoria del Vajont ad un pubblico ancora più vasto.
Questo riproporsi mediatico della vicenda coincise anche con la fine dei diverbi giuridici tra E.N.E.L. - Stato e Comuni sinistrati e portò così sia l'ente statale che lo Stato stesso ad interessarsi "diversamente" di quella memoria fino ad allora "ignorata". Da quel momento le iniziative delle istituzioni si sono proiettate verso una maggior valorizzazione ed importanza della tematica.

1 - NUOVA ELABORAZIONE DELLA MEMORIA PER LA COMUNITà "RISVEGLIATA"

La "memoria" individuale cammina verso quella "comune"
Gioacchino Bratti, ex-sindaco di Longarone sostiene: "Il primo e fondamentale impegno della comunità superstite e delle amministrazioni comunali fu quello di ricostruire i paesi: dare una casa a chi l'aveva perduta, dare lavoro, creare prospettive per un futuro, realizzare insomma i presupposti Ð materiali e morali Ð perchè Longarone rinascesse, anche come dovere nei confronti degli scomparsi; così venne intesa la memoria: memoria, allora, non fu soltanto guardare indietro per ricordare, compiangere, recriminare. Ciò sarebbe stato sterile. D'altronde la memoria, se è solo ricordo e non diventa feconda e produttiva di valori, vale poco. Successivamente, soprattutto a partire dagli anni '90 si cominciò a fare 'Memorià come ricordo e commemorazione della comunità scomparsa (non dimenticando peraltro che già parecchio si era fatto in precedenza)[...]".
Nel corso degli anni la "memoria" del Vajont fu infatti continuamente coltivata a livello locale: non mancarono le iniziative delle amministrazioni comunali volte alla sua valorizzazione e sensibilizzazione diretta alla "lezione" che questa porta con sè. Eppure nessuna di queste iniziative riuscì a scuotere nè la comunità superstite, nè il resto della popolazione, verso una chiara consapevolezza dell'importanza del messaggio portato dalla "memoria" della tragedia, ottenuto anche grazie alla loro testimonianza "attiva".
I superstiti vissero questo ricordo principalmente in modo individuale, talvolta scegliendo di non parlarne neppure coi propri familiari e spesso tentando addirittura di dimenticare per riuscire a sopravvivere. Ogni "scampato" alla tragedia, infatti, portava con sè un proprio bagaglio di esperienze e di ricordi: del prima, della catastrofe e del dopo. Il proprio dolore era incommensurabile, non accomunabile a quello "differente" di ogni altro e, soprattutto, troppo straziante per essere rivissuto e messo a disposizione del "pubblico", un pubblico che per lungo tempo lo aveva "calunniato" e "offeso", scambiandolo per "ricchezza economica".
Un sopravvissuto racconta: "[...] la moralità di gente abituata a vivere del poco che la natura dava, la terra o comunque il piccolo lavoro[...], questo trovarsi dalla sera alla mattina in balia del giudizio dell'opinione pubblica, quando che i giornali ci dicevano 'e lassù si piange bene con le tasche piene di denaro' e questa era umiliazione oltre a quello che si era subito[...]e chi ha ricevuto sovvenzioni è stato in silenzio[...]ho taciuto per anni, mi vergognavo di essere un superstite[...]".
La derivante "consapevolezza" di quello che realmente una simile memoria portasse con sè rimase per anni "distante" da una vera apertura al "pubblico" da parte di chi ne era diretto testimone, e non solo per colpa dei mass-media nazionali che "evitarono" di parlarne. Molti i dati raccolti, molte le operazioni di riconoscimento di meriti per chi si prodigò nei soccorsi, ma nessuna elaborazione collettiva comune da parte dei sinistrati, i quali, per molto tempo , furono ancor principalmente occupati a chiedere giustizia e ad elaborare appunto "da soli con sè stessi" quella tragedia.
Finalmente nel 1997 ci fu la "svolta" che fece riaccendere il desiderio di comunicare una "storia" ed una lezione così importanti da parte dei superstiti prima, e di gran parte della popolazione dopo. Il 1997 fu l'anno in cui, in occasione del 34° anniversario della tragedia, ad un attore veneto di nome Marco Paolini venne concesso di "raccontare" la storia del Vajont proprio nel luogo e nel momento in cui la catastrofe si verificò anni prima, e lo fece in diretta televisiva, dinanzi ad un pubblico costituito anche da superstiti, che ascoltarono il racconto della loro esperienza, e lo fecero tutti "insieme", rivivendolo in modo comune.

Un attore rompe il silenzio e stimola la condivisione
In realtà la "prima volta" in cui Paolini raccontò "Vajont" nei paesi della tragedia risale al 1995, quando l'attore propose il suo monologo sia a Longarone che ad Erto in coincidenza con le cerimonie commemorative. Il primo impatto dell'attore con questa gente di montagna fu quello di uno "straniero" che racconta una storia che li riguarda da vicino, ma di cui non ci si può fidare: "La prima volta che abbiamo fatto 'Vajont' ad Erto, questa diffidenza era tangibile: era proprio un muro. Di Erto erano in pochi, pochissimi. Ma poi quei pochi hanno detto agli altri: 'Ok, lui è dei nostri' ".
L'importanza di Paolini fu di raccontare una storia difficilmente comprensibile nella sua interezza e che il più degli abitanti della stessa Longarone non conoscevano nel dettaglio e per i pochi superstiti che invece l'avevano vissuta, fu un modo di ripercorrere un cammino triste e doloroso e di elaborare un lutto, fino ad ora individuale e silenzioso, in modo comune.
Questo merito venne riconosciuto all'attore veneto dallo stesso sindaco di Longarone: "Il sindaco di Longarone, che non conoscevo, all'inizio dello spettacolo si è alzato e ha detto ai cittadini «Dobbiamo ringraziare questo signore che viene a raccontarci la nostra storia, chè noi non l'abbiamo mai sentita raccontare così»".
I superstiti, attraverso questo "racconto", si resero conto dell'importanza della loro storia, del loro passato, della loro "innocenza morale" di fronte alle accuse ingiustamente ricevute dall'opinione pubblica, e di come tutto questo fosse un tragico "esempio" di quello che era necessario evitare nel futuro.

"[...] dopo Paolini son sbroccato fuori
[...]Prima di Paolini veramente eravamo relegati a un silenzio, veramente...".
Renato Migotti, presidente dell'Associazione Superstiti del Vajont, nella presentazione del libro "Vajont. L'onda lunga" di Lucia Vastano, parla in questo modo di Paolini e del suo spettacolo: "Dopo 35 anni di assoluto silenzio da parte dei superstiti e dei sopravvissuti, Marco Paolini, con la sua Orazione Civile nel 1997 è riuscito a rompere il ghiaccio e ci ha fatto rivivere in modo collettivo la nostra tragedia.[...]I superstiti non avevano mai parlato delle loro esperienze personali, neanche tra di loro".

Giovanni Danielis, consigliere comunale e responsabile del servizio "Informatori del Vajont" dice: "[...]Paolini [...] rappresenta lo spartiacque tra un periodo di mutismo da parte dei superstiti e la nascita di una nuova voglia di raccontare il proprio Vajont da parte dei superstiti. Paolini è stato dirompente, ma con estremo rispetto e sensibilità, pazienza e compassione nel senso di soffrire insieme a noi[...]."
L'importanza del ruolo avuto da Paolini per il risveglio della memoria anche nei superstiti è evidenziato anche in un altro saggio:

"Il Presidente, Renato Migotti, ricorda appunto che il gruppo di superstiti di cui fa parte ha avvertito l'esigenza di costituirsi soprattutto dopo l''orazione civilÈ di Marco Paolini. C'erano state prima altre iniziative, anche di carattere teatrale.[...]Esso Ð insiste Migotti - ha accelerato un ripensamento collettivo sul disastro, dopo tanti anni di 'quasi silenzio'. I superstiti, oltre a non parlare del Vajont perchè ancora troppo angosciante, erano intenti a rivendicare i propri diritti, a rifarsi una famiglia, a costruirsi una casa. Poi è scattato 'qualcosa', non solo a Longarone, ma in tutti i comuni legati al disastro, compresi dunque Castellavazzo, Erto e Casso, Vajont".
Anche un importante artista e scrittore molto famoso nel Friuli come Mauro Corona, nomina Marco Paolini per il suo importante contributo dato al risveglio della memoria del Vajont. Lo scrittore parla così dell'attore veneto: "La sua orazione civile 'Vajont', trasmessa, udite udite, dalla televisione di stato, entrò nelle case degli italiani come un colpo di vento che spalanca le finestre e fa volare tende e oggetti. Da solo, in piedi sul teatro naturale della frana, assistito da una lavagna e da un pezzetto di gesso, Paolini provocò nel pubblico l'effetto di un fulmine che cade in mezzo ad una mandria di cavalli addormentati".
Sempre Corona sottolinea l'importanza di Paolini e del suo racconto. In un intenso articolo apparso su "La Stampa" dice: "Marco Paolini[...] e dopo di lui Renzo Martinelli con il film Vajont, hanno tolto le bende a ferite non ancora chiuse, ma altresì hanno fatto sapere all'Italia dei grandi fratelli la nostra pena, per troppi anni volutamente sepolta nell'oblio da coloro che non avevano la coscienza a posto. [...]ha svegliato un poco anche noi, gli avanzati, quelli che la morte non aveva voluto il nove ottobre. Così abbiamo iniziato ad osservare i fatti con animo diverso. Da molto tempo ci eravamo dimenticati del vecchio paese. Forse per non vederlo in agonia. Il «caso» Vajont, da poco riemerso, ha riaperto gli occhi a tutti. Anche a noi superstiti. Abbiamo visto cose che fino ad oggi avevamo trascurato per seguire il brulichio del mondo".

Le nuove generazioni entrano in "nuovo" contatto col Vajont
Gli "anni bui" per i morti del Vajont, così come descrive Samantha Cornaviera gli anni '80, svanirono anche per chi, come gli eredi dei superstiti, grazie a Paolini ebbero molto più chiara in mente la sorte dei loro parenti ed il dolore dei loro genitori.È In un articolo apparso sul "Corriere della Sera" il 9 ottobre 2003, un ragazzo di 19 anni di Longarone di nome Matteo D'Incà racconta il suo approccio al Vajont: «'La prima a parlarmi del Vajont è stata nonna Vittoria. Avevo sette anni, la mia famiglia era tornata a vivere a Longarone.[...] Fino ad allora, nessuno mi aveva mai raccontato che nonno Attilio era morto sotto la frana, mentre stava rientrando dalla fabbrica. Gli altri si erano salvati perchè abitavano a Fortogna, la frazione di Longarone risparmiata dalla tragedia[...]Già, adesso so bene che cosa fu la tragedia del Vajont. Ho ascoltato, discusso, ne ho scritto più volte nei temi scolastici.[...]'.». Il padre di Matteo, Donato D'Incà, sta nell'Associazione superstiti. «'Anche con lui ho parlato a lungo del Vajont. Devo ammettere, però, che le mie idee sono diventate più chiare quando vidi in tv il teatro dal vivo, sulla diga, di Marco Paolini. Un grande'».
Il monologo dell'attore veneto provocò un "effetto Paolini" che andò ad influire su quella parte del tessuto sociale che non aveva ancora elaborato in modo approfondito il significato della memoria di quell'evento. Una e-mail di un ragazzo longaronese, figlio di un sopravvissuto, recita: "Il caso M. Paolini e la sua rappresentazione televisiva è stata per noi un toccasana, l'Italia tutta ha saputo cose che anche gli abitanti attuali di Longarone non sapevano e ha risvegliato nei superstiti di quei momenti le vergognose attenzioni a cui sono stati sottoposti allora, e ancora oggi dopo tanto tempo stanno aspettando una giusta soluzione morale e materiale da troppi anni negata con sfacciata arroganza".

Quello che Paolini impresse nelle menti dei giovani, forse per la prima volta, fu la reale evoluzione della vicenda del Vajont che portò alla tragedia annunciata, ma non evitata. I giovani nati dopo la tragedia ascoltarono la storia delle lotte che precedettero la costruzione della diga, le ingiustizie subite dai loro parenti, il disinteresse manifestato da parte dei potenti per le sorti dei più deboli in nome del profitto. Ad un tratto il Vajont, agli occhi dei giovani, non fu più soltanto il lontano dolore dei propri genitori o nonni, non fu solo il ricordo, presente tutti i giorni, di una diga che resistette ad una gigantesca onda: esso, grazie a Paolini, divenne molto di più, divenne una "lezione" che dovevano immagazzinare e rielaborare.
Un passato lontano, per le loro giovani vite ed esperienze, un passato che non poteva ricordare loro alcuna memoria del "prima", ma una storia che, per gli abitanti di paesi "particolari" come quelli del Vajont, non poteva esser tralasciato per comprendere il significato del presente, e soprattutto del futuro.

I "bambini sopravvissuti" recuperano consapevolezza della loro storia
Lo spettacolo di Paolini "scosse" non solo i giovani, ma anche naturalmente i superstiti, e tra loro quelli che all'epoca della catastrofe erano poco più che bambini. La loro elaborazione del trauma dipese da vari fattori relativi al nuovo contesto nel quale furono inseriti. Alcuni ebbero la fortuna di conservare parte della famiglia, altri nemmeno quella. Tra coloro che persero i genitori nella tragedia, molti furono presi nelle case di altri parenti, mentre per alcuni che rimasero del tutto soli si scatenò una vera e propria gara di solidarietà per accoglierli. Purtroppo questa gara di solidarietà non portò a buoni esiti per tutti: furono numerosi i casi di adozione mirata alla speculazione economica sui piccoli eredi.
Le storie vissute in seguito da questi bambini furono molto diverse le une dalle altre, così come il loro modo di crescere affrontando il ricordo di una simile esperienza.
Un ragazzo di 16 anni all'epoca della catastrofe, Renato Migotti, così spiega la sua esperienza del dopo-Vajont «Per diversi anni, dopo il Vajont, non ho temuto la morte. Avevo in mente che morendo avrei rivisto i miei cari, mia madre, mio padre e Mario. Per me morire sarebbe stata quasi una liberazione. Ci ho messo del tempo a riacquistare il senso della vita. Ma immaginatevi che possa significare per un ragazzino andare a letto una sera, dopo una normale giornata di lavoro o di studio, ed essere risvegliati durante la notte da un grande frastuono, capire che è successo qualcosa di catastrofico, ma non riuscire nemmeno ad immaginare quanto la distruzione della propria vita possa essere così totale[...]Non è facile accettare che si sia fatta tabula rasa del proprio passato e della propria storia».
Anche un altro bambino sopravvissuto, Germano Rimini, 5 anni all'epoca della tragedia, racconta il suo impatto col Vajont e la sua ritrovata consapevolezza: «[...]sono passate due ore da quando i soccorritori mi hanno trovato. Con loro c'era anche mio papà che era arrivato di corsa dalla Faesite.[...]Sono rimasto ricoverato per tre mesi[...]Sono sempre stato un bambino allegro e gioioso. Con altri piccoli ricoverati mi sono divertito. Ma poi la notte per mesi non sono riuscito ad addormentarmi. Credo però che fu molto più difficile il dopo per chi era più grande di me, i ragazzi e gli adulti che si resero conto molto più di noi bambini quello che era successo.[...]Forse per me il peggio è stato dopo, quando ho cominciato a capire che cosa significasse non avere più una mamma. Mio padre era taciturno e parlava poco, mai di quella notte. A scuola le maestre mi chiamavano a raccontare la mia storia. Io dicevo quello che avevo vissuto quella notte. Ma tutto il resto nessuno lo ha mai voluto sapere. Per anni è stato messo tutto a tacere. Per me è stato sicuramente più drammatico vivere le ingiustizie del dopo Vajont, patire la sofferenza di mio padre che è morto di crepacuore a sessant'anni. Il monologo di Paolini mi è piaciuto molto perchè è stato lui a farmi capire davvero tante cose».
Una storia molto travagliata è quella di Micaela Coletti, bambina di soli 12 anni all'epoca della catastrofe: «Ma non sempre le intenzioni di chi ci adottò erano buone[...]Le persone a cui il tribunale dei minori affidò la mia tutela e quella dei miei fratelli, ci videro soltanto come una fonte di rendita e di guadagno. Potevano mettere le mani sui risarcimenti per i nostri morti, sulle donazioni.[...]Io non ho avuto mai una carezza, un gesto affettuoso. Ero abbastanza grande per ricordarmi della mia vita passata, ma troppo piccola per poter fare a meno di un abbraccio, una parola di conforto.[...]A noi bambini[...]privarono del diritto di sentirci amati e protetti, di recuperare un po' di serenità dopo quello che già ci era capitato.[...]Di quella notte ho cominciato a parlarne da poco. Mia sorella Matelda non ne ha mai parlato[...].Per due mesi io e Giancarlo siamo stati ad abitare da una zia che non conoscevamo. Ma lo zio era alcolista. A volte prendeva il coltello in mano e diceva che ci voleva ammazzare tutti. Non avevamo altri parenti. Quando il viareggino Renzo Musetti si è presentato al giudice tutelare è bastato che dicesse di essere un amico di mio padre[...]si è preso tutto, soprattutto la nostra adolescenza[...]Ma io di quegli anni non ricordo assolutamente nulla. Neanche di aver sofferto. Per me era come vivere in un sogno[...].Mi sono sposata a diciotto anni[...]Un mese dopo ero incinta. Tutto per me era ancora un sogno, anche il mio sposo e la mia gravidanza. Ma il 9 ottobre del 1969, sei anni dopo l'inizio del mio incubo, sono dovuta correre al pronto soccorso. Ho perso la mia bambina di sei mesi. Questo choc mi ha risvegliato anche dall'atro. Solo allora ho capito non solo che avevo perso una figlia, ma che non avrei più sentito la voce dei miei genitori[...]Era la realtà. Sei anni erano passati senza emozioni e senza dolore[...]».
Un'ultima storia di una bambina orfana per colpa della tragedia del Vajont, che non ha vissuto però personalmente, è quella di Viviana Vazza, autrice del libro "Le scarpette di vernice nera". Viviana aveva 16 anni all'epoca della tragedia e si trovava a Belluno in collegio per motivi di studio. Anche la sua esperienza fu traumatica, andò personalmente sulla spianata bianca in cerca dei suoi familiari e dovette realizzare che era rimasta sola. Dopo quel trauma terribile, però, ebbe la fortuna di essere ospitata in casa di parenti che furono affettuosi con lei, e cercarono di infonderle serenità. Il suo percorso fu altrettanto difficile: «' Viviana cerca di essere allegra e tranquilla, vedrai che andrà tutto bene!'. Cercavo con quelle parole d'allontanare il turbamento che spesso mi prendeva. Quante volte l'avevo dovuto combattere! Ogni partenza, ogni abbandono mi faceva star male. 'E se dovesse succedere loro qualcosa?'. Quest'idea m'accompagnava spesso e quasi in tutti i viaggi che facevo: paura di rimanere ancora una volta sola, terrore di perdere tutto quello che mi era di più caro.[...]Mi proiettavo nel passato. Ero sempre alla ricerca di qualche cosa. Qualche cosa che mi aiutasse a trovare l'identità che in quel momento mi mancava. Cercavo di pensare alla mia famiglia, alle sue tradizioni ed usanze, ma l'impatto con questi ricordi era molto doloroso, così li fuggivo, cercando altre strade. Facevo del male a me stessa sovrapponendo altre sensazioni negative.[...] 'Sai, sono morti', mi disse la mia psicoterapeuta[...]Questa terapia mi diede l'opportunità di rivivere tutto quel tragitto, di portare a galla anche quei ricordi che volevo per sempre cancellare».
Questi sono solo alcuni esempi di come la tragedia, nelle "giovani" generazioni dell'epoca, ebbe modo di essere vissuta e differentemente elaborata. Fattori come il contesto familiare, il tipo di vita precedente e conseguente la catastrofe, le possibilità economiche, i torti o ingiustizie subite e molti altri fattori diedero origine ad un diverso modo di intendere il Vajont per questi "bambini" oramai grandi.
Paolini, col suo "racconto", diede la possibilità a questa generazione (che forse più di ogni altra era restata fino ad allora in silenzio, vedendo spegnersi anche gli adulti, in alcuni casi maggiormente provati dalla tragedia), di "sfogarsi" finalmente, di essere ascoltati con interesse da chi li aveva ignorati ed abbandonati fino a quel momento: un Paese che aveva dimenticato quei 2000 morti, la lezione che essi portavano con sè e la dignità che meritavano attraverso la ricerca di una giustizia e di una esatta memoria di quello che avevano subito.

Una dignità da recuperare agli occhi del Paese
La "verità" raccontata dall' "Orazione Civile", ed anche il meccanismo mediatico che ha rigenerato dell'interesse per la vicenda, hanno permesso ad alcuni risvolti della tragedia di essere rispolverati e messi a disposizione, sotto una nuova luce, alla conoscenza dei longaronesi, ma anche della popolazione del Paese, dando la possibilità a chi visse quella terribile esperienza di riscattare la propria dignità.
Come una miccia accesa da anni che ad un tratto fa esplodere una bomba, il racconto di Paolini e l'interesse che suscitò negli ascoltatori diedero ai superstiti la forza e soprattutto una ritrovata "voglia e speranza" di essere ascoltati, compresi e giudicati diversamente da come lo erano stati molti anni prima: ingiustamente accusati di essere stati ricoperti da una pioggia di denaro. Finalmente fu offerta loro la possibilità di far conoscere la loro "vera" storia, i risvolti oscuri di questa, le ingiustizie subite, le verità "mancate", ma soprattutto la possibilità di essere ascoltati dal Paese, e non messi a tacere come molti anni prima.
Grazie a questo "risveglio" dell'interesse, l'impegno per il mantenimento della memoria a livello nazionale, e non più solo locale, ha ritrovato un senso di essere. L'eco raggiunta dal proprio messaggio ha un raggio ora molto più ampio e necessita anche di una organizzazione maggiore per cercare di diffondere il proprio messaggio quanto più lontano possibile.
Il principale momento per il "ricordo" della tragedia, e per l'invio di un messaggio riguardante questa, che fino a non molto tempo fa era costituito dalle cerimonie commemorative, ora si espande all'organizzazione di convegni, di manifestazioni, di incontri, tutti diretti verso la diffusione di una memoria, ma una memoria che non voglia solo ricordare in modo sterile una tragedia avvenuta, bensì che tenda verso una lezione da imparare. Solo in questo modo, così come molti sopravvissuti lo intendono, grazie ad una giustizia anche "morale" oltre che penale, sarà recuperata la dignità di quei 2000 morti, che hanno dato la loro vita per colpa del disinteresse altrui e dell'interesse economico.
L'importanza di questa memoria va coltivata e non solo in occasione degli anniversari, soprattutto alla luce del fatto che: "È vero che si sa qualcosa di più rispetto a prima di Paolini però c'è ancora tanta ignoranza Ð nel senso di ignorare Ð basti pensare che anche fior fiore di giornalisti della tele, in occasione di programmi dedicati al 40° ed anche prima, hanno detto che la diga si era rotta![...]".

"L'organizzazione" della memoria unisce o divide?
Per decenni, il principale scopo dell'unico comitato organizzato esistente, il Comitato Superstiti Vajont, presieduto attualmente da Guglielmo Cornaviera, era stato la lotta per la giustizia e per l'ottenimento dei risarcimenti "dovuti" alla popolazione sinistrata.
Nel corso degli anni si sono conclusi i dispendiosi procedimenti giudiziari intentati dai pochi sinistrati che decisero di non firmare le transazioni proposte dall'E.N.E.L. inseguendo il riconoscimento dei propri diritti di risarcimento.
Infine, dopo la condanna della Montedison - Enel al risarcimento dei danni patrimoniali e morali arrecati al Comune di Longarone nel 1997, un decreto firmato nel Luglio 2000 dal Presidente del Consiglio Giuliano Amato ha chiuso definitivamente la spinosa questione con un versamento di 77 miliardi di lire al comune sinistrato.
Una volta ricostruiti i paesi distrutti dalla furia dell'acqua ed ottenuti i risarcimenti da parte dei colpevoli, il tema del "risarcimento" ha potuto scemare dietro a quello ben più importante della "memoria" di quanto accaduto.
Paolini per primo ha "investito" su questo tema "nuovo", quello della "memoria" diffusa. Per un tessuto sociale "variegato" come quello Longaronese, composto da superstiti e non, l'arrivo di queste quantità di denaro (inserito nel clima di "risveglio" della comunità sinistrata) hanno stimolato ulteriormente idee circa le possibilità del suo impiego in vari progetti per il benessere della popolazione, e naturalmente verso la valorizzazione della memoria dell'evento per cui erano stati devoluti.
Questa situazione ha purtroppo generato ulteriori novità, conflitti e divisioni: i sopravvissuti, così come le amministrazioni comunali, hanno creato nuove organizzazioni per tutelare interessi divenuti per loro importanti in maniera "diversa", primo tra tutti la valorizzazione della memoria.
Perchè una memoria che dovrebbe accomunare i superstiti, e che li ha da sempre fatti sentire "diversi" da coloro che non hanno provato quell'esperienza, ora invece finisce, in un certo senso, col "dividerli"?

Giovanni Danielis si esprime in questo modo circa la "divisione" creata dalla memoria:

"La Memoria del Vajont per qualcuno rappresenta un marchio distintivo, un modo di sentirsi diversi dagli altri, forse migliori, per aver sofferto più degli altri ed aver subito uno shock indiscutibile, che a distanza di quarant'anni non accenna a rimarginarsi. È questo il caso di quelle (poche) persone di cui le accennavo in passato, che non riesco a condividere perchè forse non vogliono li si condivida.
Ma la Memoria del Vajont è anche un collante, che avvicina tutte le persone sensibili che si trovano a contatto per svariate motivazioni con questa realtà, ed il cui fine è 'non dimenticarÈ . Sono perfettamente d'accordo che non tutti i 'nuovi' longaronesi condividono l'interesse alla storia del proprio paese, non ne sarebbero interessati neanche altrove, presi da altri impegni o passioni. Ma per vivere in un paese bisogna vivere il paese, la sua storia e qui in special modo, perchè Longarone ha bisogno di ricostruire le sue radici e non è qualcosa che si può fare in qualche anno".
Lo stesso Danielis è un esempio di questo modo di "sentire" il Vajont anche non essendo uno scampato alla tragedia. La sua è la storia di un "bambino non sopravvissuto", ma esponente di una "categoria" di persone che, sebbene non direttamente toccate dalla tragedia, hanno finito con il venirne fortemente sensibilizzati e resi partecipi, sentendosi spesso "testimoni" di essa quasi al pari dei veri superstiti.
La storia che segue è quella di Giovanni Danielis, consigliere comunale e responsabile del servizio Informatori del Vajont:
"Pur non essendo un superstite nel senso stretto della parola, Le posso raccontare la mia esperienza: nato nel '64 ed in pratica vissuta tutta l'infanzia ed adolescenza tra Castellavazzo e soprattutto Longarone, mi sono sempre sentito uno 'straniero' , probabilmente qualcuno mi faceva sentire così. I miei genitori non erano di qua e, come qualcuno Le ha riferito meglio di me, nei primi anni Longarone viveva il Vajont e la sua tragedia solo a livello ufficiale (politica e giustizia) ed in maniera intima per quanto riguardava i superstiti.
Come altri ragazzi della mia generazione, appena ho potuto ho cercato lavoro altrove, nel mio caso ad Udine dove sono nato e dove ho parenti, fuggendo da un paese che ero arrivato quasi a detestare: ricordo che i primi anni facevo fatica a tornare a trovare i miei. Solo dopo dieci anni ho sentito il cosiddetto 'richiamo della forestà ed ho preso armi e bagagli per tornare ad abitare a Longarone: per coincidenza era la primavera '97 (ho avuto la fortuna di esserci, ad ottobre '97 presso la diga, a vedere Paolini).
Qualcosa dentro mi stava maturando dentro al punto da lasciarmi coinvolgere nella vita pubblica e politico-amministrativa del paese fino al punto di occuparmi della Memoria del Vajont: passo passo ho scoperto che anche i miei, anche se non lo andavano sbandierando in giro, potevano collocarsi in qualche modo tra i "superstiti". Questo perchè avevano abitato fino a pochi mesi prima della tragedia in quella casa di fronte al municipio di Longarone che si vede tagliata a metà nelle prime foto. Si erano trasferiti poi a Forno di Zoldo perchè mio padre, capocantiere della Italdecos di Udine, stava ricostruendo la strada tra Longarone e Zoldo. Quella tragica notte mio padre fu uno dei primi ad essere svegliati perchè c'era l'idea che fosse crollata proprio quella strada: partito con escavatori e camion alla volta di Longarone, non era rientrato a casa che la sera dopo, preso con i suoi collaboratori all'opera di ripristino delle vie di comunicazione e di recupero delle salme. E solo lo scorso anno, per una coincidenza dato che come consigliere comunale ho accesso a qualche archivio, ho trovato forse l'unica foto in cui mio padre appare tra i soccorritori: non l'aveva mai vista nemmeno lui!
Da quanto ho scritto può capire perchè ho tanto a cuore la Memoria, e perchè non la considero una cosa elitaria. Chi va in giro a declamare la differenza fra sopravvissuti e superstiti (che dovrebbero essere sinonimi) vuole egoisticamente affermare la propria unicità, ma i giovani alpini di leva o gli scout che si sono ritrovati per la prima volta di fronte ad una realtà cruda e tragica della vita, subendone shock inguaribili, non sono meno superstiti di quanti abitavano qui".
Nel 2000 è sorta la nuova "Associazione dei Superstiti del Vajont", affiancatasi al meno recente Comitato Superstiti. Essa "[...]nasce da un sentimento di dolorosa comunanza fra i superstiti di una delle più gravi catastrofi dell'età contemporanea, ne esprime e rappresenta la vocazione di solidarietà e memoria.[...]"."Costituiscono finalità dell'Associazione:
a) Lo svolgimento di attività volte a:
- mantenere viva la memoria del Vajont, attraverso iniziative che esaltino i valori morali, civili, sociali e ambientali che la tragedia richiama, con particolare attenzione verso studi, ricerche, testimonianze, divulgazioni e proposte progettuali, di ricociuto valore morale e simbolico;
- rappresentare le finalità e le istanze dell'Associazione dei superstiti nelle comunità e presso le istituzioni competenti, in particolare esprimere pareri e proposte, nonchè formulare programmi e progetti, di propria iniziativa o su richiesta, ai Comuni o ad altri Enti, in ordine ad argomenti o problemi relativi al disastro del Vajont;
- promuovere rapporti di collaborazione e di solidarietà tra i superstiti, anche attraverso il sostegno a situazioni e problematiche legate alla tragedia;
- intrattenere rapporti di scambio e di collaborazione con Enti ed Associazioni aventi analoghe finalità;

b) La formulazione dell'elenco dei superstiti del Vajont".

La memoria però rievoca un'esperienza individuale, non più portatrice di interessi unitariamente "comuni". I problemi che questo "risveglio" del tessuto sociale comporta sono legati anche all'elaborazione della tragedia, avvenuta ed interpretata in modi differenti.
La risoluzione dei bisogni non può più giustificare una presa di decisione "comune", accordata sulla base di necessità materialmente impellenti. Il contesto è ora ben differente da quello che aveva caratterizzato l'unità dei superstiti in seguito alla catastrofe. Allora ogni decisione era importantissima e doveva essere presa subito. Non tutti naturalmente erano totalmente d'accordo, ma il desiderio di rinascita era sufficientemente forte per accomunare gli scampati ed abbattere le divergenze in nome di una rapida ripresa.
Sono passati 40 anni ed il paese è stato ricostruito nelle case e nella popolazione. Non c'è più quell'urgenza, nè questa comunanza tesa verso la "rinascita": la situazione è tornata tendenzialmente "normale". Quello che non è cambiato è naturalmente il passato, il ricordo, la memoria appunto.
In un paese ove i superstiti sono sempre meno, ma continuano ad essere quelli più legati e più sensibili, come è ovvio, alla memoria della tragedia, le differenti esperienze vissute sono strettamente legate a quelli che sono considerati i bisogni presenti e futuri e sono sentiti in modo diverso da alcuni superstiti rispetto ad altri. Ognuno ha una sua visione, derivante anche dall'esperienza vissuta sulla propria pelle.
Anche questo ha contribuito alla nascita di due associazioni dei superstiti, le quali non sono in "lotta" tra di loro, ma semplicemente rispecchiano modi differenti di voler raccontare il proprio passato, la propria esperienza e di considerare il futuro del paese secondo le proprie esigenze.
La memoria del Vajont diventa così un terreno di polemica anche "morale" sul modo di essere interpretata, valorizzata e finanziata, così come i problemi che da essa derivano sono differenti e richiedono soluzioni differenti. Sulla scia di questa motivazione, nel 2001 è nato un nuovo comitato: il «'Comitato per i sopravvissuti del Vajont', con lo scopo di solidarietà e sostegno morale e psicologico alle persone sopravvissute alla tragedia del Vajont, nonchè il fine di diffondere la conoscenza e conservare la memoria dei fatti accaduti[...]».
Da molti è ritenuto un comitato "troppo polemico" verso l'amministrazione comunale, da altri invece il comitato più "vivo, passionale e viscerale".

Nello statuto del Comitato è riportato, all'articolo 3, il seguente testo:

"a) Il Comitato non persegue fini di lucro.
 b) Esso persegue il fine della solidarietà e del sostegno morale e psicologico alle persone sopravvissute alla tragedia del Vajont, nonchè il fine di diffondere la conoscenza e conservare la memoria dei fatti accaduti.
A mero titolo esemplificativo, il Comitato potrà organizzare manifestazioni, mostre, convegni, dibattiti, incontri, anche presso le scuole; promuovere studi, ricerche, iniziative editoriali; farsi promotore di iniziative presso gli enti pubblici".
Micaela Coletti, presidentessa del Comitato Sopravvissuti per il Vajont, in una mail inviatami spiega:
"[...] il primo comitato in assoluto è il comitato per i superstiti, che aveva come motivazione la commorienza di 600 vittime, quelle totalmente sparite, ma non è sortito nessun effetto ed oggi, anche se esiste ancora, in realtà non lavora più. La motivazione della nascita del nostro comitato è che ci siamo resi conto che nessuna amministrazione, nessun politico, ha mai lavorato o favorito nessuna delle nostre problematiche per cui, se volevamo che qualcuno si accollasse la nostra situazione e portasse a termine le nostre speranze di una giustizia, non potevamo che essere noi stessi.
Sicuramente l' 'effetto Paolini' tra le varie cose, ha anche risvegliato un'anima ed una coscienza addormentata ma, e parlo almeno per noi, niente c'entra il risarcimento dalla Montedison anche perchè i 'famosi' 77 miliardi erano esclusivamente per il Comune come 'perdita delle 2000 vittime'! Questi soldi sono stati e continuano ad essere gestiti soltanto dal sindaco e dalla amministrazione comunale di Longarone".
Le due associazioni nate hanno dato vita a quella che è la "distinzione" tra i "superstiti" (Associazione Superstiti) ed i "sopravvissuti" (Comitato Sopravvissuti), da molti considerati "alla pari", ma da alcuni intesi in modo differente per motivi che sono di seguito enunciati:
"[...]È una cosa che è fondamentale.
Sembra che sia una cosa di poco conto, mentre... generalmente uno dice ok superstiti e sopravvissuti sì sì è la stessa cosa... è una differenza che è fondamentale. Allora: il 'superstite' è quello che comunque era al di fuori della cittadina, del posto, è ritornato e non ha ritrovato più niente. Poteva essere fuori per 1000 motivi, per lavoro, per non lavoro, insomma: non ha nessuna importanza. Quello che comunque si è trovato senza un paese, che però 'fisicamente' in quel momento non c'era.

Il sopravvissuto, come noi, invece era nel posto in quel momento ed è stato estratto proprio dalle macerie, da sotto terra, per cui 'sopravvissuto' vuol dire 'sopravvivere', vivere 'al di fuori', nonostante tutto. Per cui la distinzione penso proprio che sia determinante[...] L'opinione comune è quella che 'sono tutti uguali'. Allora siamo tutti superstiti, perchè comunque siamo 'sopravvissuti' a un 'qualcosa'.
Poi, ci sono i superstiti che sono superstiti ed i 'superstiti che sono anche sopravvissuti', perchè anche noi abbiamo 'perso tutto'."

La "memoria" quindi, tornata a galla, ha creato una condizione apparentemente "assurda": proprio quell'elemento sulla base del quale una "non comunità" come quella longaronese aveva tentato, in precedenza, di fondare una identità collettiva comune, ora è divenuta un terreno di "scontro" o almeno di "difficile" incontro per gli stessi membri dell'ormai ridottissima "comunità superstite".
Soprattutto per chi non è partecipe diretto della realtà longaronese, l'impressione immediata che può darsi ai due "schieramenti" è quella di due opposte fazioni delle quali una (Associazione Superstiti) a favore del "governo" ed una (Comitato Sopravvissuti) contraria, nel senso che una collabora regolarmente con l'amministrazione comunale, l'altra è spesso in polemica ed opposizione, ognuna con i suoi buoni motivi.

Nelle presentazioni del libro di Lucia Vastano intitolato "Vajont. L'onda lunga" i presidenti di queste due associazioni esprimono il loro pensiero. Ecco che cosa pensa Renato Migotti, presidente dell'Associazione Superstiti del Vajont:

"[...]A volte però è difficile far capire a chi viene da fuori che la tragedia non si è consumata in una notte soltanto, ma ha esteso i suoi effetti nel tempo. La tragedia del Vajont deve diventare una grande lezione per tutti. Dal Vajont si potrebbe imparare molti, in diversi campi[...]Il disastro del Vajont non riguarda solo l'esiguo gruppo di superstiti che hanno vissuto in prima persona quelle dolorose vicende, ma fa parte di una storia collettiva che racconta di gravi errori dell'uomo perpetuati negli anni, del sacrificio di migliaia di innocenti, di sofferenze indicibili. È quindi doveroso investire nella memoria, affinchè l'uomo rispetti la natura anzichè sfruttarla per meschini interessi materiali.
Che il Vajont sia un monito anche per le future generazioni".
La presidentessa del Comitato per i Superstiti del Vajont, Micaela Coletti, a sua volta dà la sua impressione:
"Per la gente che non ha vissuto il dramma di quella frana, il 9 ottobre è un giorno qualsiasi che viene tutti gli anni. Noi che abbiamo ferite non ancora rimarginate, il Vajont lo riviviamo tutti i giorni.
Qualcuno ha detto che molti di noi fanno di professione i superstiti. Ma essere superstiti non è una scelta, non è neanche qualcosa che ti puoi lasciare alle spalle[...]Per decenni molti di noi sono stati zitti, ci sono ancora superstiti che non hanno mai parlato di quello che è successo a loro e alle loro famiglie, nemmeno con i loro figli. Nessuno ha mai sentito come un dovere civico andare a farsi raccontare la loro storia, per aiutarli a buttare fuori quello che hanno dentro, ricordi marciti che fanno solo male se tenuti inespressi, ma anche per raccogliere pagine importanti della storia del nostro Paese.[...]Longarone è un luogo speciale, con problemi speciali, gente speciale.
Molti di noi superstiti non sono persone facili da trattare.
Di questo me ne rendo conto perfettamente. Ma siamo noi il Vajont.
Ci sono silenzi che fanno molto comodo.
Io vorrei che prima che tutti noi morissimo si raccogliessero le testimonianze anche di chi non ha mai parlato perchè anche il loro dolore, è Vajont. E poi, e poi c'è davvero il "dopo Vajont" da raccontare. Una seconda strage perchè per vari motivi, di Vajont si muore ancora. Un po' alla volta, per un tumore o un infarto, a causa dell'inquinamento ambientale, per una crisi depressiva, o per solitudine.
Che cosa significa essere superstite di una tragedia voluta dall'uomo? Proprio questo: essere soli, prima, durante e dopo. Purtroppo questa pena non è toccata soltanto a noi, vittime della diga".
La spaccatura tra "superstiti" e "sopravissuti" di cui si parla, analizzata più approfonditamente recandosi sul luogo, porta ad una comprensione più precisa del modo di considerare la "memoria" da parte dei superstiti la quale, nonostante le polemiche, continua ad accomunare le opposte "fazioni" ed i suoi rappresentanti.
Distaccatisi per un solo attimo dalla congiunzione tra la memoria e le problematiche locali interne, essi si reputano tutti "tasselli di uno stesso grande mosaico che è la vicenda del Vajont, con tutte le sue differenti sfaccettature umane".

Opinioni contrastanti: casi di speculazione "mediatica"?
La memoria del Vajont è l'obiettivo principale delle associazioni dei superstiti, che la promuovono e ne progettano l'evoluzione in svariati modi. Così come l'esperienza è del tutto individuale, altrettanto anche il modo di elaborarla e di progettarne ora la diffusione nel modo ritenuto migliore.
Eppure, dopo anni di silenzio e di buio totale sulla vicenda, oggi si verifica un paradosso: coloro che ripetutamente compaiono in video e raccontano del Vajont in qualità di superstiti vengono accusati di "speculazione mediatica".
La "rinascita dell'interesse" nei riguardi del Vajont ha naturalmente spinto verso una mobilitazione mediatica molto più massiccia verso questo tema: sono stati molteplici i servizi e le programmazioni dedicate alla vicenda ed andate in onda su tutti i canali nazionali.
Ma come formulare un'accusa di speculazione mediatica?

Il "problema" deriva dal fatto che alcuni superstiti sono stati principalmente attivi nel partecipare a queste trasmissioni tv, finendo con l'esser etichettati da molti quali "mostri" televisivi, o anche "superstiti di professione", i quali sfruttano la loro immagine nel teleschermo per fare polemica e alimentare la tensione su alcune divergenze di opinione e modi di azione riguardanti una realtà difficile come quella della Valle del Vajont.
A parlare di questo fenomeno è un superstite stesso, Mauro Corona, in un articolo apparso sul quotidiano locale "Corriere delle Alpi" in data 10 aprile 2003:

"Sono molto intristito dall'atteggiamento con cui al giorno d'oggi molti ricordano questo episodio. Si sta perdendo l'abilità di rievocare il dolore attraverso una memoria pacata e serena, mentre qualcuno vuole invece inventarsi la professione di superstite. Dopo lo spettacolo di Marco Paolini abbiamo capito che siamo al centro dell'attenzione, ma stiamo cavalcando la notorietà in una maniera non bella. [...]L'anniversario è solo una data, dobbiamo smetterla di andare per i salotti televisivi a parlarne, perchè il mondo sa già cosa è successo: non mi sembra dignitoso inscenare dei casi personali affinchè la gente abbia qualcosa su cui piangere. I quarant'anni del disastro non sono un traguardo, bensì solo un'occasione per ricordare un quadro di cattiva gestione statale ed amministrativa. Disastri come quello del Vajont avvengono ogni giorno in tutto il mondo, basta stare ad ascoltare quello che dicono i telegiornali".
Sempre Corona incalza con questa teoria su "La Stampa" di Torino affermando:
"Pare che dopo questo interesse nazionale per il Vajont, dalle nostre parti sia nata una nuova professione, quella di superstite. Professione gratuita, sia chiaro, niente soldi, solo pietà. Vi sono personaggi che vanno ogni domenica alla diga, quando c'è folla, a dire che loro hanno perso tutto, che sono rimasti soli, che di qua, che di là. E non hanno perduto nemmeno un cerino. Vendono il loro dolore a recita per cogliere l'obolo della pietà. Hanno bisogno di essere pietati. Ma non basta. Ho visto forme di formaggio prodotto nella bassa friulana marchiate «Vajont», con tanto di diga stampigliata. E dalle pagine di un giornale la pubblicità di un purgante recita: «Rompi la diga del tuo intestino e liberati». é il prezzo della notorietà, che fa quasi sempre rima con imbecillità. La storia, che altro non è se non ciò che di bene e di male è successo nel tempo, va avanti senza insegnare nè ricordare, ripetendosi continuamente".
Non è il solo a pensarla in questo modo, anche Giovanni Danielis è dello stesso avviso:
"[...]ci sono persone che sfruttano il Vajont per fini personali, e mi dispiace notare che poi sono i primi a 'raggiungere' l'opinione pubblica e creano così degli 'scoop' su veleni e falsità".
In un'altra mail, sempre Danielis, richiamato dalle mie domande sull'argomento, prosegue dicendo che :
"[...]qualcuno sta 'usando' il Vajont a proprio tornaconto. Per tornaconto non intendo strettamente quello economico, ma i media hanno creato in qualche caso dei 'mostri', o come qualcuno ha detto in passato dei 'superstiti di professione' ".
Tra le persone considerate parte degli "speculatori mediatici" la presidentessa del "Comitato dei Sopravvissuti del Vajont", Micaela Coletti, accusata di presenziare 'in tutti i programmi televisivi' e di "speculare" di eccessiva apparizione sul video per fare una "battaglia" riguardante i "problemi" di Longarone, al fine di ottenere sostegno per quelle che sono le sue tesi.
Dal canto suo la Coletti sente questo desiderio di raccontare il "suo" Vajont, soprattutto quei risvolti che non sono stati affrontati. Il desiderio di render partecipi gli altri di esperienze traumatiche che hanno afflitto lei, ed altri come lei non appare ampiamente biasimabile. Come la memoria va analizzata secondo il soggettivo modo di viverla di ognuno di noi, così allo stesso modo è "naturale" che ci siano opinioni contrastanti e modi di comportarsi contrastanti.
La signora Coletti sostiene:
"[...]Nessuna amministrazione, nessun politico, ha mai lavorato o favorito nessuna delle nostre problematiche per cui se volevamo che qualcuno si accollasse la nostra situazione e portasse a termine le nostre speranze di una giustizia, non potevamo che essere noi stessi"
e ancora
"Penso che la memoria del Vajont dovrebbe essere portata avanti soprattutto da chi l'ha vissuta sulla propria pelle mentre non è così. Esempio? A Trieste al teatro Miela, in varie date , si sono tenute varie manifestazioni sul dopo Vajont alle quali sono intervenuti personaggi come: Bepi Zanfron - fotografo; Mauro Corona scrittore, scultore; Renzo Martinelli - regista; Balestrieri - regista; Vastano, giornalista e scrittrice.
Di tutti questi, nessuno- dico, nessuno - ha vissuto in prima persona il disastro del Vajont. Cosa possono sapere di quello che abbiamo passato noi? Soltanto perchè ci hanno fatto parlare, chi per i libri, chi per i film, ma chi di loro ci ha dato una mano nell'affrontare i nostri problemi?".
In una intervista rilasciata dalla signora Coletti in occasione di un lavoro redatto ad opera di una associazione culturale denominata "La giacca" in tema Vajont, la presidentessa afferma:
"[...]Sono passati quarant'anni, le strutture ci sono, ci sono persone valide, perchè non approfittarne, perchè non far qualcosa, perchè volere a tutti i costi dimenticare queste persone?[...]È logico pensare al futuro, ma vogliamo un po' pensare a quello che noi abbiamo ancora dentro?
Come facciamo ad avere un futuro diverso se dentro non abbiamo ancora elaborato il lutto che ci portiamo dietro?[...]".
Sempre la signora Coletti, interrogata da me riguardo le accuse di essere parte del gruppo dei "superstiti di professione" ha così risposto:
"Caro Claudio, prima di tutto vorrei davvero conoscere coloro che dicono che io sia una sopravvissuta di professione. A costoro dico che SONO una sopravvissuta, all'incontrario di loro, e lo sono non per libera scelta ma per l'ingordigia del potere, per l'indifferenza dello stesso, per l'indifferenza e per il non rispetto dell'altrui persona!!!
Perchè abbiamo dovuto sopportare l'insopportabile allora e, a detta di costoro, a quanto pare!!, anche ora!! Perchè non devo raccontare il vuoto che la perdita dei miei parenti mi ha lasciato!
Perchè non devo raccontare dell'indifferenza dello stato!!
Perchè non vogliono ascoltare? Perchè ritengono che "sia meglio " il silenzio? Mica racconto la loro storia, racconto la mia di storia, il mio vuoto, le mie mancanze!! Ma perchè costoro non vanno al cimitero a vedere lo scempio che è stato fatto!! Certo è più facile criticare, che fare qualcosa ed esporsi con delle proprie idee!
Ma poi a chi interessa se costoro parlano a sproposito, a me no davvero.
Come mai, comunque, che mai nessuno ha smentito nemmeno una parola di quello che sono andata a raccontare in televisione!!
Non è strano tutto ciò? oppure vogliono essere gli unici depositari della 'storia del Vajont' in modo da gestirla come meglio crede!!
Per me non è un introito, sicuramente, all'incontrario di chi comunque si è fatto conoscere perchè 'abbinato' al Vajont quando con esso ha poco a che vedere. Si ripagano da soli con la stessa moneta, costoro!! Non vale nemmeno la pena di dar loro l'importanza di una risposta. Comunque rispondo sempre a tutti, chissà che anche costoro prima o dopo trovino il coraggio di rivolgersi direttamente a me, ammesso che parlino espressamente della sottoscritta, e che evitino di parlare alle spalle! Non fanno sicuramente bella figura, o provano vergogna della loro stessa bassezza!!?? Ciao, Micaela".
Anche queste idee della signora Coletti, come quelle di Corona e di Danielis, non possono essere considerate giuste o sbagliate in assoluto, ma solo opinioni contrastanti circa una stessa tematica e la sua analisi.
Ascoltate ed analizzate con attenzione, entrambe le posizioni sono parzialmente valide, esse affrontano analoghe tematiche secondo un'ottica ed un punto di vista diametralmente opposti, che vedono in un certo senso da un lato il superamento della differenza tra superstiti e non, tesa verso l'evoluzione futura "comune" del paese nel rispetto naturale della memoria; dall'altro l'impossibilità, per i non superstiti, di "capire" fino in fondo l'esperienza passata da questi ultimi e le sue ripercussioni anche nel presente, che non possono essere dimenticate in alcun modo quando si prendono decisioni in una realtà particolare come quella longaronese.

2 - IL "RILANCIO DELLA MEMORIA" CON PAOLINI E LA CONSACRAZIONE DI QUESTA AL GRANDE PUBBLICO CON MARTINELLI

I "nuovi" media: come riportare il Vajont nella coscienza collettiva?
L'inizio del lento ma inesorabile risveglio della memoria del caso Vajont si può datare intorno agli inizi degli anni '90 quando, in concomitanza con l'emergere di "tangentopoli" ed anche con il 30° anniversario della tragedia, venne ristampato il libro di Tina Merlin nella sua seconda edizione dal titolo "Vajont 1963. La costruzione di una catastrofe".
La "presentazione" inserita all'inizio di questa nuova edizione porta la firma di un importante giornalista italiano, Giampaolo Pansa. Egli riporta lo stralcio di un articolo scritto dalla stessa Merlin sul mensile 'Patrià nel 1983:

"Oggi, chi si ricorda del Vajont? Chi conosce la sua vera storia dall'inizio alla fine? I giovani non possono sapere perchè sono nati dopo. Gli anziani hanno vissuto, in questi venti anni, tante altre tragedie. I superstiti hanno rimosso quel fatto dalle loro coscienze, come unica possibilità di sopravvivenza. Ma si può dimenticare il Vajont?".
La presentazione prosegue con il commento di Pansa: "L'ho letto quest'estate il libro di Tina. E ne sono uscito umiliato. Tanti sermoni sul giornalismo di denuncia, sull'informazione come contro-potere, sulle carte false e le carte vere della stampa italiana, senza aver incontrato Tina in queste pagine fatte di verità e di rabbia.[...]Pagine che sono un atto di amore per chi ha patito l'olocausto e un atto di accusa per noi che non abbiamo saputo o voluto raccontarlo come si doveva e si poteva. Pagine dedicate ad una storia infinita che, dopo il Vajont, si è ripetuta mille volte in Italia, per trent'anni.[...]Ecco, Sulla pelle viva è proprio questo[...]In fondo, è la storia di Tangentopoli, no?[...]".
Una importante firma del giornalismo italiano, cronista sul campo all'epoca della tragedia, riconosce gli errori fatti allora dai giornalisti e ancor più evidenzia l'attualità del "significato" di quella catastrofe. La riflessione di Pansa appare come il sintomo iniziale di una primordiale rianalisi del Vajont da parte dei "giornalisti anziani" che lo vissero in prima persona e che "topparono" nel modo di raccontarlo.
Quando Pansa scrive, sono passati 30 anni dalla tragedia ed il mondo dei mass-media ha subito molteplici e rilevanti variazioni. La carta stampata, principale mezzo di comunicazione di notizie negli anni '60, ha ceduto lo scettro mediatico alla televisione. I media sono oramai più "liberi" e lavorano all'interno di un "pluralismo" informativo che consente all'utente una visione meno distorta degli avvenimenti. Non esiste più un tipo di informazione politicamente "sovversiva" a tal punto da considerarsi "non credibile", ma al limite ci sono informazioni considerate "di parte" e di conseguenza analizzate alla luce di questa consapevolezza.
Il principale mezzo di comunicazione di massa, la televisione appunto, raggiunge un tipo di utenza che ricopre il più della popolazione: ogni categoria sociale, età e livello di istruzione. I messaggi proposti sono diffusi in modo omogeneo: la scelta del canale è libera e la programmazione offerta da ogni emittente è comune alle varie categorie di utenza.
Il contesto economico nel quale si inserisce la televisione lega in modo stretto la programmazione di quest'ultima alle ferree regole del "profitto" tali per cui: un programma, per essere mandato in onda, deve garantire un certo numero di ascoltatori. Elemento necessario, per gli editori, al fine di ottenere sponsorizzazioni ed investimenti economici per la messa in onda della pubblicità, che consente la copertura delle spese di produzione oltre ad un aggiuntivo margine di profitto.
La memoria del Vajont, per riacquistare un posto nella conoscenza, ed in seguito coscienza collettiva, ha dovuto necessariamente passare attraverso questo mezzo di diffusione di massa e le sue attuali regole. È stato quindi necessario trovare il motivo, l'occasione ed il coraggio, da parte dei media, di "rischiare" la programmazione di una memoria così complessa.

La strada di Paolini verso il "risveglio" del caso Vajont
Come già sottolineato, il messaggio di un libro non arriva al pubblico di massa. Non è stata infatti la prefazione alla ristampa del libro della Merlin l'artefice del risveglio della memoria del Vajont a livello nazionale, ma essa ha comportato il risveglio di una consapevolezza individuale che ha tenacemente agevolato e condotto a quella nazionale.
Fu proprio la lettura del libro della Merlin che, nel 1993, portò Paolini alla decisione di raccontare il Vajont, come lui stesso spiega: "Il punto di partenza è stato un libro che mi è capitato in mano, quello della giornalista Tina Merlin.[...]Visse la vicenda del Vajont sulla propria pelle, e visse soprattutto il dopo-Vajont.[...].Io l'ho letto esattamente [...]nel '93, perchè me l'ha messo in mano Sandro Buzzati di Belluno. Anzi l'ha messo in mano a Gabriele Vacis, e poi a me, chiedendoci di collaborare a preparare uno spettacolo sul Vajont per l'anniversario del '93[...]quella volta non facemmo nulla[...]
Anche se in quell'occasione non avevo fatto niente, avevo letto il libro della Merlin[...]. In me quel libro ha aperto una voragine[...]. E così ho cominciato a raccontarlo a qualcuno, questo libro. 'Il Racconto del Vajont' è nato dalla necessità di condividere con alcune persone un libro appena letto.".
Come sostiene lo stesso Paolini, il desiderio di raccontare quella storia nacque da un "pugno allo stomaco" ricevuto dal libro della Merlin. Tutto ebbe inizio molto in piccolo, nelle case, poi nei circoli aziendali, nelle biblioteche, ecc. ed il più delle volte era lo stesso Paolini a dire: "Vorrei venire a raccontare il Vajont". Eppure da subito la storia di questo "olocausto" sensibilizzò ed interessò molto il pubblico che prese parte al suo racconto, il "pugno nello stomaco" di cui parlava l'attore veneto colpì molte altre persone che in alcuni casi addirittura "si ammalarono" di Vajont, diventando accanite promotrici anch'esse della diffusione della sua memoria. Si generò in questo modo un meccanismo di passaparola tra la gente e quello che era partito come un racconto proposto ad un pubblico ristretto "di amici" iniziò ad essere ampiamente richiesto quale rappresentazione pubblica in varie località, soprattutto del nord-Italia.
La memoria della storia del Vajont, attraverso le repliche dello spettacolo di Paolini, tra il 1995 ed il 1996, si diffuse come una macchia d'olio in giro per l'Italia ed iniziò a sensibilizzare sempre più persone al suo messaggio. Paolini stesso riconosce questa sensibilizzazione dicendo: "[...]ho visto formarsi un pubblico per cui la storia del Vajont è diventata importante. Adesso gliene importa per davvero e lo dimostrano tornando più e più volte, scrivendo, diventando collaboratori senza chiedere nulla in cambio[...]".
Il racconto della tragica catastrofe colpì immediatamente il pubblico per la sua intensità e complessità e per la sua scatenante voglia di rivalsa e di giustizia, di riconoscimento della verità. Spesso originò anche grande curiosità circa le motivazioni che avevano spinto l'attore a prendersi a cuore le sorti di una simile memoria. Almeno a livello locale, come già detto per lo più nel nord-Italia, l'interesse dimostrato dal pubblico verso una storia così vecchia, ma con un messaggio così attuale non potè passare inosservata.
La "memoria" del Vajont apparve subito dotata di caratteristiche adatte a consentirle il "salto di qualità" e passare ad una diffusione "nazionale", attraverso la programmazione sul mezzo televisivo. Restava comunque un'incognita importantissima: l'audience che la storia del Vajont avrebbe potuto ottenere non era calcolabile a livello di diffusione nazionale e per questo motivo comportava, da un punto di vista strettamente commerciale, un elevato livello di rischio.
Forse fu proprio una sufficiente dose di coraggio a spingere il direttore di Rai 2, Carlo Freccero, a decidere per la messa in onda dello "spettacolo teatrale" di Paolini sulla rete nazionale, in prima serata, sfidando l'ostilità di una "programmazione dettata dalla pubblicità, e che quindi non può più permettersi di rischiare una serata con un calo di audience". Dopo 34 anni di oblio mediatico il caso Vajont tornò alla famosa "hitline" di cui parlava Ambrosi conquistando un'insolita collocazione per uno spettacolo teatrale nella fascia più importante del palinsesto televisivo quotidiano.

Orazione Civile: la fine del silenzio
La coraggiosa ed inconsueta scelta di Carlo Freccero di inserire la storia del Vajont nella programmazione della prima serata di Rai 2 mise in difficoltà la carta stampata e la televisione, che ebbero il compito di avvertire il pubblico sulle possibili proposte televisive offerte dai vari canali. Nelle pagine dedicate al palinsesto televisivo i giornali trovarono "strano" utilizzare la parola "teatro" per definire ciò che sarebbe andato in onda in prima serata nel palinsesto di Rai 2.
"Guardiamo i programmi tv, eccoci, ci siamo: 'Raidue ore 20.50, Vajont 9 ottobre 1963'. Fin qui più o meno tutti uguali, poi cominciano le incertezze. Un giornale scrive 'trasmissione in diretta', e va bene, un altro 'documentario'...Ma come? Uno[...]indica 'film drammatico'! Nessun quotidiano usa la parola 'teatro'[...]. Forse non l'hanno scritto a fin di bene, per non far scappare la gente in anticipo[...]in fondo la parola teatro evoca altri ricordi, altri mondi, altri odori".
Dobbiamo tener sempre presente che in questo mondo televisivo odierno, governato dall'audience, la programmazione che frutta maggiormente in termini di ascolto (se escludiamo gli eventi sportivi) è costituita da film e fiction, densi di emozioni e caricati spesso di effetti speciali, o da spettacoli di varietà, ricchi di personaggi famosi e di belle donne. In un mondo frenetico come quello attuale il pubblico è principalmente attirato da una programmazione "leggera", che distende la mente facendola rilassare.
"[...]bisogna ricordare che il rapporto tra il teatro e la televisione, in questi ultimi anni dominati dall'audience, non è stato facile. Nei primi anni della televisione in bianco e nero, l'appuntamento con la prosa era un'abitudine, che risentiva forse di una certa vocazione pedagogica[...] ...Progressivamente il teatro è stato scacciato, o relegato in seconda serata, da una programmazione dettata dalla pubblicità, e che quindi non può permettersi di rischiare una serata con un calo di audience."
Promuovere un programma televisivo definendolo "teatro", in un contesto del genere, poteva apparire forse controproducente in termini di ascolto perchè rischiava di esser penalizzato da un pubblico a cui la parola "teatro" avrebbe forse rievocato l'idea di qualcosa di "impegnato" o di "pesante", specialmente in prima serata, dopo una stressante giornata di lavoro. "A render difficile il rapporto con la televisione non è solo la diffidenza nei confronti del teatro. Uno spettacolo costruito sulla memoria di un evento vecchio di trent'anni, che in apparenza non ha alcun rapporto con la cronaca, si scontra inevitabilmente con i ritmi e le esigenze dell'attualità Ð e in particolare della politica".
A pochi minuti dall'inizio del "risveglio" del Vajont l'interesse dei media verso la vicenda era pressochè inesistente anche perchè completamente catalizzato sulle notizie "bollenti" che avevano animato la giornata: lo stesso 9 ottobre 1997 cadde infatti il governo Prodi e Dario Fo vinse il Premio Nobel per la letteratura.
Eravamo oramai alle porte del terzo millennio, un'epoca altamente tecnologica e fortemente mediatizzata per cui, più che mai, furono ferree le regole del giornalismo d'assalto: "Stiamo aspettando di essere chiamati da uno studio per un breve servizio di "lancio" della trasmissione, ma le leggi dell'informazione ci hanno messo in subordine rispetto al fatto del giorno. Il ritardo nel collegamento aumenta, nessuno osa staccare dalla crisi di governo per inserire il Vajont.[...]Il conduttore, un giornalista nervoso, riprova il percorso sulla passerella seguendo le indicazioni del suo annoiato regista.[...]Tanto è chiaro che a nessuno frega niente di interviste sul Vajont il giorno della frana di governo".
Ma il telegiornale doveva finire e la programmazione proseguire, così, finalmente lo "spettacolo" di Paolini ebbe inizio.
Questo racconto dell'attore veneto, ipoteticamente "pesante" perchè "impegnato", esaminò la storia del Vajont (prendendo spunto dichiaratamente dal libro della Merlin, lo stesso che lo aveva avvicinato alla vicenda di cui ora si occupava) e riuscì per ben 2 ore e 40 minuti ad intrattenere un vasto pubblico.
Gli spettatori rimasero rapiti dalla passione e dal trasporto con cui Paolini narrò una vicenda tanto complicata, rendendola di chiara comprensione. Non si presentò alcuno spazio vuoto ed anche l'alternarsi di momenti sarcastici a momenti tragici contribuì a catalizzare l'interesse dell'ascoltatore.
Paolini rese comprensibile, anche per chi non aveva alcuna conoscenza della vicenda, il susseguirsi degli eventi. Non tralasciò di fare i nomi delle persone implicate più importanti, non mancò di istruire il pubblico circa il contesto nel quale tutta la vicenda si inserì e si adoperò per ricostruire gli effettivi retroscena che condussero ad una tragedia di dimensioni così catastrofiche.
Per la prima volta dopo 34 anni, il pubblico fu reso consapevole della vera storia che condusse ad una "fatalità?", come precedentemente era stata definita.
Lo spettacolo risultò molto intenso. Tra i presenti, sebbene in condizioni climatiche avverse, nessuno riuscì ad andarsene e chi, anche facendo zapping da casa, si sintonizzò per sbaglio su Rai 2, restò rapito dall'emozione suscitata da quello sconosciuto attore che rievocava una storia tanto vecchia quanto intrigante ed appassionante nella sua tragicità.
Le emozioni furono ulteriormente accresciute dall'ubicazione geografica e temporale del racconto. Il palcoscenico fu ricavato in una spianata alle pendici della diga del Vajont, una delle "protagoniste" della storia, e precisamente sulla frana del monte Toc, la stessa che generò l'onda assassina.
La diretta tv fu fatta coincidere con il giorno dell'anniversario della tragedia ed ebbe inizio poco prima della fatidica ora in cui 2000 persone persero la vita, 34 anni prima. Il racconto di Paolini giunse al culmine della sua intensità quando, alle 22:39, ora esatta della frana del Toc, l'attore, quasi rivivendo in un crescendo di emozioni l'intensità dell'evento, ricordò come a quell'ora esatta, nello stesso luogo si stava originando l'olocausto.
L'emozione suscitata da questo racconto appassionato e da questa ambientazione così suggestiva hanno generato un "non so che" attorno alla vicenda del Vajont. È stata come una molla scattata irrimediabilmente sia a livello di consapevolezza degli stessi sopravvissuti, che a livello, soprattutto, della coscienza nazionale e che ha spinto verso un rinnovato interesse, che non può più essere facilmente sedato come in passato. Il silenzio non è più ammesso.

L'interesse mediatico verso una "operazione televisiva" di successo
Perchè considerare Paolini come l'artefice del "recupero e risveglio mediatico" del Vajont? Per rispondere ad una domanda di questo genere è necessario partire dalla consultazione degli indici auditel riguardanti l'Orazione Civile tenuta dall'attore veneto: nonostante si trattasse di un monologo teatrale, e non di una trasmissione di facile impatto sul telespettatore, ottenne un risultato di ascolto positivo.
I telespettatori che si sintonizzarono su Rai 2 furono indicativamente 3.515.000 e raggiunsero uno share pari al 15,75%. Queste cifre sono tipiche di un linguaggio televisivo poco comprensibile per i profani del settore che, tradotte in termini semplici, stanno a significare, per una programmazione così rischiosa e decisamente anticonformistica come quella optata da Freccero, che il monologo di Paolini ottenne decisamente un buon risultato. Questi telespettatori, sparsi per tutta Italia, ancora non sapevano, come non poteva immaginarlo da subito nemmeno Paolini, che avrebbero dato il via ad una svolta per il futuro della memoria del Vajont.
Proprio questi risultati portarono lo "spettacolo" del 9 ottobre 1997 ad esser da subito considerato un "evento" mediatico, che avrebbe potuto trasformarsi anche in un ottimo "business".
L'attenzione dei media si indirizzò inizialmente verso la performance di Marco Paolini, lasciando la vicenda del Vajont e l'importanza della sostanza del suo contenuto in secondo piano.
I media non mancarono infatti di sottolineare principalmente il buon lavoro dello sconosciuto attore veneto che aveva rievocato in modo così particolare e così trascinante una vicenda oramai dimenticata, riuscendo soprattutto nella difficilissima impresa di intrattenere, per oltre due ore, una platea televisiva "difficile" come quella della prima serata, quella della fascia di maggior concorrenza televisiva.
In realtà la diretta sul canale nazionale non fece altro che amplificare quell'interesse che l'argomento aveva già esercitato sul pubblico, anche se a livello locale, anche prima della programmazione di "Vajont. 9 ottobre 1963".
Il meccanismo che porta a fare una "puntata zero" dei programmi televisivi prima di progettarne una programmazione seriale vide in Paolini l'inaspettata "puntata zero" del Vajont, attraverso la quale fu possibile prospettare una "serie" futura di programmazioni dedicate all'attenzione di questa vicenda. Paolini attirò l'interesse del pubblico, lo incuriosì, lo conquistò, lo spinse a farsi delle domande, ad analizzare anche il libro della Merlin, a sensibilizzarsi su una vicenda tanto intricata quanto appassionante nella sua tragicità.
I media non poterono non accorgersi di questo e lo spazio dedicato al Vajont, prima del tutto nullo, iniziò ad espandersi lentamente. A piccoli passi, ma la memoria di quell'olocausto stava ricominciando a tornare a galla anche nella coscienza civile del Paese.
Mario Passi descrive così l'operazione mediatica di Paolini: "[...]Gli riuscì di inchiodare davanti ai teleschermi alcuni milioni di persone. Quello fu probabilmente il momento in cui probabilmente qualcosa ebbe a scattare nel nostro sentire collettivo, e di Vajont si ricominciò a parlare, anche fra i giovani che nulla sapevano[...]:".
La prima "notizia", dopo lo spettacolo di Paolini non fu tanto l'evento "tragedia", ma l'interesse manifestato dal pubblico televisivo nei confronti del Vajont, al punto tale da farlo ritenere nuovamente "degno" di rievocazione. La "storia", di per sè, non era più "bollente", era ormai vecchia di quasi 35 anni, ma era ancora densa di mistero, di segreti protetti per anni. Nella vecchiaia della notizia, questo rinnovato "taglio" offertole era la vera novità.
La tragicità della vicenda del Vajont e la sua grandezza, i 2000 morti , la devastazione che provocò e soprattutto i motivi che portarono a tutta questa devastazione furono una tematica di importanza non irrilevante che iniziò a ridestarsi nella coscienza collettiva e non potè esser ignorata di nuovo nella "libera" società attuale, propensa a lanciare messaggi educativi.
Il clima politico oramai da "Seconda Repubblica" non fu più un deterrente in grado di frenare la diffusione di queste riscoperte "verità" riguardanti un sistema politico oramai "defunto", del quale l'attuale riconosceva gli errori e ne prendeva le distanze.

L' "effetto Paolini": conseguenze del monologo
La diretta tv creò un "effetto Paolini" che, sul piano anche mediatico, ridestò attorno all'analisi della memoria del Vajont un interesse prima del tutto inesistente a livello nazionale. I quasi 4 milioni di telespettatori che videro l'attore veneto diedero vita ad un nuovo "business" mediatico che portò immediatamente ad una corsa allo "sfruttamento" della sua rinnovata popolarità.
Questo grande interesse per il "Vajont" non fu necessariamente economico, ma anche a livello di immagine e di impegno morale: alcuni di coloro che avevano, anche in maniera diversa, partecipato alla tragedia decisero, come svegliati dalla diretta tv verso una consapevolezza prima dimenticata, di diffondere a questo "nuovo pubblico" il loro contributo storico nella vicenda, la loro testimonianza e partecipazione.
Molti libri sull'argomento, pubblicati precedentemente e mai presi in grande considerazione, vennero ripubblicati in edizioni rinnovate. Alcuni, addirittura, videro il loro titolo mutare in direzione di una consonanza più stretta con la tematica oramai diventata "di moda". È il caso, tra gli altri, del romanzo intitolato "Belvedere sulla diga" scritto da Giuseppe di Ragogna e pubblicato per la prima volta nel 1964 in 1350 copie prima della riedizione con il titolo "Vajont".
Lo stesso libro della Merlin fu ripubblicato nel 1997 per una 3° edizione che conteneva al suo interno persino una presentazione ad opera di Marco Paolini.

Alla riedizione di vecchie pubblicazioni si aggiunse anche la pubblicazione di opere nuove, prodotte in seguito alla rinascita dell'interesse verso il tema e mai prospettate fino a quel momento.
In un'intervista telefonica personalmente rilasciatami, l'attuale segretario della CGIL di Belluno, Giovanni Sardella, "giustifica" la decisione presa dal sindacato di pubblicare, proprio nel 1998, l'opera intitolata "La notte del Vajont. Storie di solidarietà" in occasione del 35° anniversario della tragedia e proprio l'anno seguente lo spettacolo di Paolini: "Sicuramente, come dice lei, Paolini ha risvegliato questa memoria. Il fatto che noi abbiamo avviato questa riflessione nel '98 deriva dal fatto che nel '98 ricorreva il 35° anniversario e quindi una certa importanza[...]perchè il '98?Io posso risponderle con una certa franchezza e sincerità, perchè c'eravamo accorti improvvisamente che nell'occasione del 30° anniversario non avevamo fatto niente di significativo[...]".
La "rilevanza" mediatica restituita al Vajont, sebbene con toni naturalmente modesti, si manifestò anche nell'apparentemente insignificante dedica di spazio all'interno dei quotidiani e soprattutto dei telegiornali nazionali. Dopo moltissimi anni di assoluto silenzio, rotto solo in occasione degli anniversari importanti e grazie alla presenza di eminenti personalità politiche, la "memoria" della morte delle 2000 vittime del Vajont iniziò ad esser nuovamente ricordata tra i titoli delle edizioni nazionali dei telegiornali almeno in occasione degli anniversari annuali del 9 ottobre. Anche questo contribuì a diffondere ulteriormente nel Paese la conoscenza di tale avvenimento tragico, soprattutto a beneficio delle generazioni più giovani, spesso all'oscuro dei fatti.
Potrebbe sembrare poca cosa, ma esser menzionata all'interno di un telegiornale nazionale, per una vicenda completamente tralasciata e dimenticata per anni, costituiva l'ammissione dell'esistenza di un "lutto" collettivo, degno di essere conosciuto dai milioni di telespettatori che ascoltano le notizie quotidiane. Insieme ai telegiornali nazionali, anche alcuni programmi di approfondimento tematico ripresero in considerazione il Vajont. Questi programmi non si limitavano al semplice "ricordo" di un anniversario, ma si preoccupavano di andare alla ricerca di un contributo maggiormente approfondito, segnando in questo modo il risveglio ulteriore dell'interesse mediatico premiato dall'attenzione del pubblico a casa.

La memoria si svela alla curiosità della massa: il film "Vajont"
La principale e più importante opera riguardante la memoria del Vajont dopo Paolini fu quella di Renzo Martinelli, il regista che nel 2001 girò il film "Vajont".
In un'intervista rilasciata in data 7 ottobre 2001 al quotidiano locale "Corriere delle Alpi", il regista parla in questo modo della proiezione del film: "Presentare l'opera sotto il monte Toc ha un'enorme portata storica ed emotiva[...]domani saremo lì a ricomporre e onorare una memoria collettiva. Sarà il modo di ridare dignità a 2000 morti, l'occasione per ripetere che tutti insieme pensiamo ancora a loro[...]. Le immagini indignano, scuotono, avvincono con il bisogno di conoscere la verità. 'Vajont' non ha timidezze nel rivelare cinismi e spregiudicati calcoli compilati sulla pelle di migliaia di persone".
Nello stesso articolo si prospetta a Martinelli l'ipotesi di una ricostruzione della trafila giudiziaria in un sequel del film magari col titolo di "Vajont 2" alla quale questi risponde: "Viviamo in un paese complicato: se la gente non stacca i biglietti, un film passa nel dimenticatoio e puoi avere tutti i progetti di sequel che vuoi, ma resteranno nel cassetto". Il tema commerciale legato alla diffusione del Vajont continuava a manifestarsi.
Martinelli, servendosi anche di imponenti effetti cinematografici, ricreò la storia della grande diga e della distruzione che ne derivò. Sebbene lontano dal suscitare il pathos e l'emozione evocati dalla viva voce di Paolini, il grande successo di Martinelli va analizzato principalmente dal punto di vista della diffusione dell'evento "Vajont" e della conseguente capacità di sensibilizzare ancora più persone alla sua storia. A Martinelli va riconosciuto il merito di aver portato il Vajont sul grande schermo, fornendogli una piazza ancor maggiore per essere conosciuto.
Mauro Corona parla così del film di Martinelli, nel quale ha accettato di ricoprire un piccolo ruolo: "Del Vajont[...]A questo punto mancava l'immagine in movimento, la fotografia che cammina. Ha sopperito alla lacuna il regista Renzo Martinelli col suo film 'Vajont'[...]Con il lavoro di Martinelli, il trittico sulla tragedia, immagine-suono-movimento, dovrebbe ritenersi concluso e la vicenda del Vajont consegnata per sempre alla storia".
Il teatro di Paolini riuscì infatti a creare un effetto a catena di sensibilizzazione sulla vicenda del Vajont, ma il teatro, si sa, è alla portata di pochi nonostante lo spessore e la qualità offerti. La diffusione della storia raggiunta da un messaggio comunicato tramite una via molto più "commerciale" quale il cinema, con l'utilizzo di effetti speciali tanto graditi al pubblico, fu di gran lunga superiore dal punto di vista della quantità.
Martinelli fu in grado, con il suo film, di far conoscere, specialmente alle nuove generazioni, "l'olocausto" delle 2000 vittime e la "diga più grande del mondo". Da questa conoscenza derivò inizialmente una semplice "attrazione" nei riguardi di un così complesso ed intricato insieme di particolari spesso anche macabri.
Il film diede alla storia del Vajont quasi l'aspetto di una "leggenda" lontana, della quale andar a visitare i luoghi ancora esistenti. Il messaggio di denuncia proposto anche da Martinelli non fu di primo impatto quale quello di Paolini perchè offuscato dalla "cinematograficità" che inevitabilmente porta con sè una pellicola, ma il risultato in termini di avvicinamento del pubblico alla "prima" conoscenza della storia del Vajont fu decisamente notevole.
La pellicola di Martinelli fu inoltre proposta proprio nell'ottobre 2001, esattamente un mese dopo l'attentato alle torri gemelle negli U.S.A.. Il contesto storico, sebbene avente differenze a dir poco abissali, riportava con se' il messaggio comune della morte di migliaia di concittadini in una tragedia. Anche gli italiani, a quasi 40 anni di distanza, avevano un dolore riguardante 2000 morti da piangere e ricordare.

Una rinnovata "distorsione mediatica" dopo quasi mezzo secolo?
La memoria del Vajont, riportata alla luce dall' "Orazione Civile" di Paolini, nemmeno dopo così tanti anni smise di subire, almeno in apparenza, delle ulteriori distorsioni ad opera dei media.
In occasione della rievocazione della notizia da parte dei telegiornali nazionali, l'anniversario dell'olocausto fu descritto, in ripetuti casi ed in modo erroneo, come la tragedia causata da un'ondata d'acqua provocata dal "crollo" di una diga.
Marco Paolini, in un articolo dal titolo "La verità e la memoria" tratto da "la Repubblica" dell' 8 ottobre 2003, scrive: "Il Vajont non è il crollo di una diga. Dighe ne cascano tante' sulla Terra. Vajont è il crollo di una montagna e una montagna è infinitamente più grande di una diga. È immensa. Duecentosessanta milioni di metri cubi. Una massa biblica. Ecco, il Vajont è un evento biblico in epoca storica. Eppure c'è chi continua a cadere nell'errore, a confondere la diga con la montagna. Un brutto segno. Il segno che si rimuove ancora la verità. Vajont è apocalisse. Di solito le apocalissi si ricordano per millenni. A noi no, sono bastati quarant'anni per dimenticare. E la dimenticanza è una frana più grande del Toc.
C'è una seconda storia del Vajont, quella che va dal '63 ad oggi, tutta da scrivere. Una storia di rimozioni. L'assimilazione dell'evento a catastrofi naturali come alluvioni e terremoti.
Il mondo accademico che continua a parlarne senza trarre una lezione morale. Il mancato riconoscimento dell'olocausto nello sterminio di un piccolo, sconosciuto popolo di montagna."
Ci si chiede: come è possibile una simile disinformazione da parte dei mass-media dopo così tanti anni?
Bisogna pensare infatti che la tragedia del Vajont è stata sottoposta, nel tempo, a ripetute analisi tecnico-scientifiche circa la dinamica della frana. Si conoscono attualmente i metri cubi di roccia che franarono, le dimensioni dell'onda, la sua velocità, la sua potenza, ecc.
Le responsabilità circa la mancata evacuazione dei paesi poi distrutti sono state giudicate in un processo penale e riconosciute pubblicamente. Come si può dunque spiegare l'ennesima "distorsione" nel descrivere il caso Vajont alla luce di tutti questi chiarimenti?
Purtroppo, anche il caso Vajont e la sua analisi vanno inseriti, pur nella loro gravità, all'interno di uno spazio mediatico limitato come quello televisivo dell'informazione, che deve occuparsi di una grande massa di notizie in un tempo assai breve. Tra tutte, alcune sono destinate alla famosa "hitline", quella che detiene la precedenza nell'ordine di esposizione e di durata, le altre sono semplicemente "sfiorate" da servizi per così dire "marginali".
Nell'analizzare una notizia molto vecchia, sebbene importante, non si è fatto nuovamente lo sbaglio di descriverla come una "fatalità": il "crollo della diga" del Vajont non è un errore causato da una imprecisa informazione delle redazioni dei telegiornali, bensì un modo per inserire una notizia "abbreviandone" lo spazio dedicatole. La reale vicenda del Vajont è molto complessa e richiede molto tempo per una descrizione esaustiva: un telegiornale, a differenza di un programma di approfondimento, non dispone del tempo necessario.
Ricordare l'anniversario di quell'avvenimento come il "crollo" di una diga serve per "ridurre" il tempo riservatogli, focalizzando l'attenzione non sulle modalità della tragedia, ma sul suo esito. L'interesse si sposta sulle 2000 vittime, peccando di imprecisione sulle modalità di realizzazione della strage.
La "riduzione" della tragedia del Vajont appare ricondotta nei binari di un clichè facilmente compreso dall'utente a casa. Un fenomeno come il "crollo" di una diga risulta infatti di più immediata comprensione per il grande pubblico che ignora la vicenda e che viene così aiutato ad ipotizzare la possibile entità della devastazione attraverso il paragone con episodi simili verificatosi in Italia e nel mondo. Il collegamento risulta così istantaneo con altre tragedie quali quella del crollo della diga del Gleno, o quella di Molare, o ancora la caduta della diga del Frejus.
Per un ennesimo paradosso, la "ignoranza" è "finta" e la "distorsione" che ne deriva è indirettamente "voluta".

Nuovo giornalismo: l'assenza di autocritica in merito al Vajont
Il Vajont è dunque tornato a far notizia, ad attirare l'attenzione della gente, è diventato un ottimo "business" per i media che accettano di riproporlo. Il giornalismo è cambiato, si è evoluto, spesso si autodefinisce "di denuncia" e si propone come "contro potere" teso alla difesa delle masse attraverso la conoscenza effettiva dei reali avvenimenti. Eppure, nemmeno un simile giornalismo è mai riuscito a riaffrontare un tema importante come il Vajont autocriticandosi pubblicamente per il modo in cui erroneamente se ne è occupato molti anni prima.
I media si sono dedicati al Vajont con rinnovato interesse, hanno rispolverato la vicenda e le sue cause servendosi anche di contributi scientifici moderni e più aggiornati. Le tappe che portarono alla tragedia sono state ripercorse e le effettive responsabilità evidenziate una volta per tutte.
Alla luce delle conoscenze attuali risulta dunque palese l'errore commesso dai giornalisti che molti anni fa si apprestarono a raccontare al pubblico la vicenda, e che rimasero ciechi di fronte ad alcune svolte che essa da subito manifestò.
Tutto questo viene ora riaffrontato, ma senza alcun tipo di spirito autocritico, senza alcuna denuncia di come fu erroneamente trattato in precedenza. Tutto riparte da zero, senza ammissioni di colpa. È come se il rinnovato interesse dato dai media alla vicenda avesse automaticamente cancellato, quasi scusandolo, il totale disinteresse precedente alla programmazione di Paolini. Nonostante questo cammino evolutivo, nonostante questa rinascita e rinnovata obiettività dimostrata nel trattare una memoria così complicata, forse per spirito di conservazione della categoria, forse per una forte idea personale difficilmente attaccabile, alcuni giornalisti hanno preferito seguitare ad autogiustificarsi.
Un esempio lampante è dato da un autorevole giornalista del calibro di Indro Montanelli, che si manifestò ancora incredibilmente dubbioso, a quasi 40 anni di distanza dalla tragedia, riguardo al tanto tormentato problema delle responsabilità, che aveva "macchiato" la prima analisi mediatica della tragedia. Un sito Internet che si occupa anche di Vajont riporta una discussione, verificatasi nei primi mesi del 1999 tra l'anziano giornalista e l'allora sindaco di Longarone Gioacchino Bratti, in merito all'attribuzione effettiva delle responsabilità della tragedia:

Documenti tratti da www.itis-setificio.co.it - (montanelli) Gli argomenti di Montanelli -

La risposta di I. Montanelli al sindaco di Longarone, "Il Corriere della sera", lunedì 29 marzo 1999

..."Devo ancora una volta intervenire per ribadire fermamente che la tragedia del Vajont, diversamente da quanto lei asserisce nella sua risposta al signor Mortillaro a proposito del fatto di Cermis (Corriere, 10 marzo) non può essere addebitata a cause naturali ma, come è stato accertato e sancito anche da 1969 una sentenza di tribunale, è dovuta a precise e inequivocabili responsabilità umane." (Gioacchino Bratti, Sindaco Di Longarone, BL)

"Ci fu anche una sentenza di tribunale che accertò l'appartenenza di Enzo Tortora alla camorra degli spacciatori di droga e lo tenne in galera per oltre un anno. Comunque, la condanna per il Vajont non smentiva affatto la «causa naturale» del disastro qual'è sempre il distacco e il precipizio di un pezzo di montagna. L'imputato fu fu condannato per non averlo previsto. (I. Montanelli)


E ancora, da un altro lettore:

"Scrivo un po' tardivamente riguardo ad un suo intervento in risposta al sindaco di Longarone (BL). Lei si sbaglia di grosso. Le costa tanto ammetterlo? "L'imputato fu condannato per non averlo (il crollo del monte Toc) previsto". Queste sono le sue parole. La SADE - ENEL, responsabile dell'impianto della diga del Vajont, sapeva benissimo che la montagna stava per crollare, tant'è vero che fece costruire la "galleria di sorpasso" un canale di comunicazione fra i due estremi della valle proprio nel caso in cui si verificasse quel frangente. Le prove e le perizie geologiche c'erano. Solo che i soldi hanno accecato il raziocinio e l'amore per i propri simili, facendo sì che i lavori proseguissero si ignorassero le prove evidenti del crollo imminente..." (Carlo Biason, Pordenone)

"Caro Biason, la fermo e mi fermo Ð una volta per tutte - qui, per farle una confessione. Sì, è vero, mi costa moltissimo, è anzi al di sopra dei miei mezzi immaginativi l'idea che un'impresa Ð pubblica o privata - volle costruire una diga sapendo che la montagna vi sarebbe precipitata sopra. Cosa vuole che le dica? Sarà colpa della povertà della mia fantasia. Ma non riesco a crederci." (Indro Montanelli)

Dopo anni di silenzio, in bene o in male, finalmente anche voci "importanti" come quella di Montanelli sono costrette a confrontarsi con un discorso taciuto per anni. È incredibile come Montanelli sostenesse ancora la tesi del fatto naturale, che ha socializzato in maniera errata tutta una generazione, ma la vicenda ha comunque un risalto non più in una sfera prettamente locale, ma comincia ad interessare l'opinione pubblica generale.
A differenza di Montanelli, in verità, altri importanti giornalisti, posti di fronte ad un riesame del caso Vajont del quale si erano occupati anche nel 1963, hanno manifestato uno spirito autocritico più acceso, ma sempre tendente ad una giustificazione, effettivamente consentita dal contesto offerto dalla realtà dell'epoca.
In questo modo Giorgio Bocca, in un articolo apparso su "la Repubblica" dell'8 ottobre 2003, in cui il giornalista descrive se stesso all'epoca della tragedia e si giustifica analizzando la situazione dell'epoca: "Arrivo a Longarone il giorno dopo la sciagura[...]Così vanno le sciagure nell'Italia degli anni Sessanta, del miracolo economico: i morti giacciono sotto la coltre bianca, i vivi non riescono a capire cosa è accaduto, perchè è accaduto. Fra noi cronisti ce n'è uno solo che sappia come sono andate le cose, si chiama Mario Passi[...]è corrispondente dell'Unità[...].Ma sono gli anni della guerra fredda, quello che pubblica l'Unità non conta".
Bruno Ambrosi così analizza la mancata autocritica dei giornalisti:
"[...] mentre io come giornalista, come ancora per pochi giorni consigliere del principale ordine dei giornalisti italiani posso ammettere in piena coscienza che il giornalismo italiano ha scritto una brutta pagina in quell'occasione, e forse ancora più brutta nel non assumersi le proprie responsabilità e nel non fare appunto 10 anni dopo, 20 anni dopo non importa e magari l'occasione sarebbe potuta essere proprio quella grande ondata di commozione emotiva creata dallo spettacolo di Paolini. Allora un ordine dei giornalisti, una istituzione dei giornalisti avrebbe potuto dire: 'Avete sentito come l'ha raccontata Paolini, benissimo, noi come l'abbiamo rappresentata nei giornali?' Una grande occasione che mi viene in mente adesso, non so perchè non mi sia venuta in mente in quei giorni, ma se mi fosse venuta in mente in quei giorni mi avrebbero detto 'ma è una storia vecchia, lasciamo perdere, con tutto quello che purtroppo l'attualità ci propina in questi giorni', dal decapitato, agli ostaggi, alle torri gemelle voglio dire, che sono solo di due anni fa e che sembrano di un'epoca lontanissima. È chiaro che questa ponderazione non si ha".

Resta un "buco" nella memoria
Le operazioni mediatiche di Paolini e Martinelli hanno risollevato l'attenzione del pubblico sulla vicenda ed hanno anche creato un substrato di utenti che sono ora vigili sui movimenti operati dai media in ambito del tema Vajont. Siamo oramai giunti nel terzo millennio, il nuovo mezzo di comunicazione che sta emergendo sempre di più è Internet, che certo non si lascia sfuggire l'analisi del Vajont e sono così molteplici i siti in rete che si occupano della vicenda.
Per molti anni sia giornali che televisione hanno potuto ignorare la vicenda, hanno potuto fingere che nulla fosse accaduto più di quanto era già stato spiegato prima. Paolini e Martinelli hanno decretato la fine di questa indifferenza e mancanza di consapevolezza.
Bruno Ambrosi, a proposito di Vajont e nonostante il tema in questione stia a lui particolarmente a cuore, sostiene che "[...]conoscendo l'ambiente giornalisticamente l'argomento è finito, sfruttato, strasfruttato[...]". Effettivamente, se si considera la memoria dal punto di vista della tragedia, delle quantità di materiale, del numero delle vittime, dei motivi che hanno portato a tutto questo forse l'argomento è stato molto analizzato.
Non può dirsi altrettanto di ciò che accadde dopo la tragedia e dopo il definitivo riconoscimento delle responsabilità.
La memoria del Vajont, ripresa nel 1997 dai media, porta al suo interno un "buco" temporale che si estende per tutti gli anni del "silenzio", che vanno dal primo abbandono dei media fino allo spettacolo di Paolini.
La "memoria" del Vajont sembra aver subito un ulteriore "effetto Paolini", che ha fatto coincidere il racconto dell'attore veneto con la memoria stessa della tragedia. L'artefice della rinascita della memoria ha finito per essere considerato come un "esperto", anzi spesso come l' "esperto" del Vajont. Paolini stesso dice: "Io lo sapevo che il mio era un mestiere pericoloso, che c'era il rischio di essere scoperti.[...]Ricevevo proposte gentili per parlare sui giornali e in televisione[...]Dopo il 9 ottobre '97 ho raccontato ancora per poche volte quella storia, ho rifiutato di partecipare a un film su quell'argomento e anche di commentare eventi che potevano essere confrontabili con quanto accaduto al Vajont.[...]Trovo ridicolo che qualcuno mi consideri un esperto, perchè la mia esperienza non è paragonabile a quella di chi impiega una vita a studiare una cosa. La mia esperienza è quella di chi sa raccontare storie".
Se tralasciamo i telegiornali, che come già affermato hanno un limitatissimo spazio temporale per l'analisi di un tema, soprattutto nei programmi televisivi di approfondimento, quelli che si occupano della spiegazione dei dettagli della vicenda, anche con l'utilizzo di contributi in termini di testimonianze tecniche ed anche sociali, il risultato di una situazione simile è stato quello di limitare l'analisi della memoria del Vajont ad un approfondimento di ciò che l'attore stesso aveva raccontato, senza scavare sugli avvenimenti accaduti dopo.
Le pubblicazioni varie, le trasmissioni di approfondimento, lo stesso film di Martinelli, tutta la produzione giornalistica o mediatica in generale, seguita a Paolini e dedicata al tema Vajont è stata dedicata agli anni che vanno dagli anni '20 e terminano nei primi mesi del 1964 circa, con alcuni accenni a qualche aneddoto seguente ed alle principali date delle sentenze civili del processo nei primi anni '80 e nei primi anni '90. È come se un "nuovo oblio" stia cercando di cadere ora sul post-Vajont, una sorta di "salvare il salvabile" dall'esser posto a conoscenza della memoria del Paese. Come voler cancellare il fatto che, in molte occasioni, anche nell'attualità ci sono molti "vajont" come quello che si ripresentò nelle valli disastrate anche dopo la tragedia, "Il potere che aveva causato la disgrazia ribadiva la sua forza anche nel dopo. I metodi erano gli stessi. Salvaguardare per prima cosa gli interessi economici e poi tutto il resto".
A rompere questo silenzio sul dopo Vajont, anche se non a livello mediatico di ampia diffusione, ci pensa una giornalista che nel 2003, in clima di 40° anniversario, pubblica, per la prima volta, un libro proprio sul post-Vajont.
Il suo nome è Lucia Vastano e, come lei stessa afferma, si è avvicinata alla tragedia del Vajont dopo aver assistito alla proiezione del film di Martinelli in quella famosa anteprima dell'8 ottobre 2001. Il retro della copertina del suo libro recita: "C'è un Vajont che mai nessuno ha raccontato. Non riguarda la spaventosa notte di 40 anni fa.[...]È il Vajont del dopo.[...]È la storia di come lo Stato si comportò con i superstiti. È la storia di come si riuscì a fare un business anche della disgrazia[...]È la storia di come gli stessi meccanismi che avevano portato ala tragedia si riproposero nel dopo[...]Il "dopo" è quello che si racconta in questo libro che comincia quindi proprio dove sono finiti il monologo di Paolini e il film di Martinelli".
È l'inizio di un nuovo tentativo di risveglio mediatico, quello del post Vajont, quello più direttamente collegato alla situazione attuale dei paesi sinistrati. Se la tragedia ha causato la nascita di una "nuova" storia per la gente della valle, azzerando la precedente, la memoria degli "inizi" di questa storia sono un necessario collegamento per capire anche il presente.

Il Vajont attuale nei mass-media: una "lezione" da imparare
Con il passare degli anni, la tragedia del Vajont ha finito con l'esser accomunata alla storia del paese di Longarone, cioè quello maggiormente colpito dalla catastrofe. Mediaticamente parlando, Longarone ha avuto, ed ha tutt'ora, in termini di coscienza collettiva, un destino migliore rispetto agli altri paesi sinistrati, dei quali in molti casi non si ricorda nemmeno il nome.
Bruno Ambrosi descrive questo fenomeno: "Io che ho bazzicato la zona ho visto cosa è successo anche nei paesi minori. Longarone è assunta a simbolo. Longarone, che ha avuto sicuramente il maggior numero di morti, la distruzione maggiore, era l'unica entità grossa, con il suo comune[...]ed era dalla parte di qua, più accessibile ed immediata. La parte friulana che rimaneva al di là del monte Toc, Erto e Casso, quei paesi lì hanno avuto un destino ancora peggiore dal punto di vista mediatico. La sciagura è Longarone, non è Castellavazzo, Erto, Casso, Fortogna, voglio dire tante frazioni che compongono un'entità territoriale che afferisce ad un comune. E Longarone diventa simbolo[...]".
I media nazionali sono tornati quindi sul tema Vajont, se ne sono occupati nelle occasioni importanti, ma il loro interesse per questa notizia è andato scemando in modo del tutto naturale, se non per essere ravvivato ulteriormente in occasione di accadimenti importanti.
Del resto, in un mondo che si muove in modo così frenetico, una informazione che ricopre gli eventi di tutto il Paese, ma anche di tutto il mondo, non può dedicarsi più di tanto ad una tematica "locale" come quella del Vajont, almeno dal punto di vista dell'informazione quotidiana. Discorso differente va affrontato dal punto di vista dei media locali: essi si occupano regolarmente dell'evoluzione della vicenda Vajont, delle polemiche che li vedono protagonisti, degli avvenimenti che riportano a galla vecchie ferite, delle iniziative prese.
Toni Sirena, vicedirettore del "Corriere delle Alpi" e figlio di Tina Merlin, in una mail inviatami dice: "In realtà fin da quando siamo nati (settembre 1994) abbiamo sempre trattato il tema Vajont quasi quotidianamente, con innumerevoli articoli sia in cronaca che in cultura, e anche con alcune inchieste (per esempio sull'area industriale nuova di Erto realizzata sulla frana)".
La stampa locale, proprio in quanto tale, non può che evidenziare le ripercussioni che quella immane tragedia ha portato con sè fino ai giorni nostri. Le polemiche, i litigi, i dissidi di opinione circa il modo di affrontare varie problematiche, ecc. Tutte queste notizie, però, sebbene riconducibili, come origine alla tragedia del Vajont, e spesso collegate ad essa dal punto di vista della sostanza, da un punto di vista prettamente mediatico non possono che esser considerate pari ad ogni polemica riguardante un paese e le decisioni che lo riguardano, almeno al pari di quelle che, come i paesi sinistrati per via del Vajont, hanno alle spalle una storia segnata da una tragedia.
La memoria del 9 ottobre e di quel che si è verificato dopo, nei media attuali, ha iniziato ad evolversi, anzi necessita di evolversi. Non è più di primaria importanza la conoscenza dettagliata della vicenda in sè per fini solo storici, argomento già ripetutamente affrontato, ma la memoria della tragedia deve trasformarsi in spunto per una lezione, un insegnamento.
Col passar del tempo infatti, in molti casi la "qualità" dell'utenza è infatti diminuita, nel senso che molti vengono conquistati inizialmente dalla storia del Vajont per il gusto del macabro, per "attrattiva" dello strapiombo di 260 metri offerto dalla diga, per la curiosità di vedere che ne è rimasto di quel lago e come è fatta la montagna che è caduta dentro a quello che era il grande bacino.
Una curiosità del genere può essere sfruttata per un "business" e da un certo punto di vista considerata "negativa", ma non se si pensa ad essa come al "primo passo" verso una reale sensibilizzazione al Vajont ed a ciò che esso comporta. La rilevanza della memoria del Vajont non perde importanza per via della quantità di tempo dedicatole dai media nazionali, ma può invece guadagnarne per la sua qualità.

3 - LA POLITICA E LE ISTITUZIONI NAZIONALI IN "DIREZIONE VAJONT": VERSO LA "LEZIONE DELLA MEMORIA"

È un "risveglio" quello del mondo politico riguardo al Vajont?
Il caso Vajont e le conseguenze che ne derivarono, sebbene poco "pubblicizzate" a livello di conoscenza pubblica, non poterono mai esser del tutto dimenticate e tralasciate dal mondo politico e non smisero mai di esser presenti nello svolgimento dei lavori dell'amministrazione statale.
La voce "catastrofe del Vajont", per tutti questi anni, ha infatti significato un regolare intervento dello Stato in materia di bilancio economico per via delle "vantaggiose" agevolazioni fiscali create appositamente nel 1964 per la rinascita della zona disastrata.
In realtà, nonostante quella legge abbia manifestato, col tempo, una distorsione di risultati ottenuti rispetto al reale motivo per cui era stata promulgata, i suoi strascichi sono presenti ancora oggi. Questo si evince dalla rassegna dei vari gazzettini legislativi ufficiali degli ultimi 10 anni, che testimoniano che il "risveglio" del caso Vajont non è stato del tutto improvviso:

  • Legge 24 dicembre 1993, n. 560
    Norme in materia di alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica Pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 31 dicembre 1993 Serie Generale n. 306

    ... ...

    ... ...

  • 21. Gli assegnatari di alloggi realizzati dalla Gestione case per lavoratori (GESCAL) nel territorio del comune di Longarone, in sostituzione degli immobili distrutti a causa della catastrofe del Vajont, possono beneficiare, indipendentemente dalla presentazione di precedenti domande, della assegnazione in proprietà con il pagamento rateale del prezzo e con garanzia ipotecaria, secondo quanto previsto dall'articolo 29, primo comma, della legge 14 febbraio 1963, n. 60 , purchè detengano l'alloggio da almeno venti anni alla data del 30 dicembre 1991.
  • GAZZETTA UFFICIALE N.007 SERIE GENERALE PARTE PRIMA DEL 10/01/1997 DECRETO 23 dicembre 1996.
    Determinazione, per l'anno 1997, della commissione onnicomprensiva da riconoscere agli istituti di credito per gli oneri relativi alle operazioni di credito agevolato per i settori dell'industria, del commercio, dell'industria e dell'artigianato tessili, dell'editoria e delle zone sinistrate dalla catastrofe del Vajont ... ... Pag. 15
  • Gazzetta Ufficiale n. 16 del 21-1-1999 DECRETO 18 gennaio 1999. Determinazione, per l'anno 1999, della commissione onnicomprensiva da riconoscere agli istituti di credito per gli oneri relativi alle operazioni di credito agevolato per i settori dell'industria, del commercio, dell'industria e dell'artigianato tessili, dell'editoria e delle zone sinistrate dalla catastrofe del Vajont ... ... Pag. 23
  • Gazzetta Ufficiale n. 15 del 20- 01- 2000

    http://gazzette.comune.jesi.an.it/2000/15/11.htm DECRETO 14 gennaio 2000

    Commissione onnicomprensiva da riconoscersi, per l'anno 2000, agli istituti di credito per gli oneri relativi alle operazioni di credito agevolato per i settori dell'industria, del commercio, dell'industria e dell'artigianato tessili, dell'editoria e delle zone sinistrate dalla catastrofe del Vajont. Pag. 12

  • Gazzetta Ufficiale N. 15 del 20 Gennaio 2003 MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 13 gennaio 2003

    Commissione onnicomprensiva da riconoscere alle banche per gli oneri relativi alle operazioni di credito agevolato per i settori dell'industria, del commercio e dell'artigianato tessili, dell'editoria e delle zone sinistrate dalla catastrofe del Vajont per l'anno 2003.

  • Gazzetta Ufficiale del 6 Febbraio 2004 n. 30 DECRETO 30 gennaio 2004

    Determinazione della commissione onnicomprensiva da riconoscere alle banche per gli oneri connessi alle operazioni di credito agevolato per i settori dell'industria, del commercio e dell'artigianato tessili, dell'editoria e delle zone sinistrate dalla catastrofe del Vajont per l'anno 2004. (Decreto n. 10351). Pag. 12

Queste gazzette ufficiali mostrano come il "caso Vajont", in questi anni di oblio mediatico, sia stato regolarmente oggetto di un intervento statale in direzione economico-finanziaria, intervento che, tuttavia, era privo di un vero e proprio intento "morale".
Forse proprio in questo può essere individuato il vero "risveglio" del caso Vajont all'interno del mondo politico-istituzionale nazionale e cioè la nascita di una analisi della tragedia secondo l'ottica della lezione che essa può insegnare attraverso una riflessione seria ed approfondita sugli errori che la stessa classe politica compì nel passato e sul miglioramento che da questa analisi deve derivare.
Una amministrazione statale moderna presenta molteplici ramificazioni, si occupa di tutti gli interessi dello Stato a partire da quelli che sono maggiormente sentiti dalla popolazione, per i quali i gruppi di pressione ed i partiti politici lottano.
A seguito del decentramento politico ed amministrativo, il governo è stato sollevato dal peso di prendere alcune decisioni inerenti le realtà locali, trasferite ai governi delle Regioni, delle Province e dei Comuni. Per via di questo meccanismo, il caso Vajont ha finito con l'essere relegato ad un piano decisionale principalmente locale, rappresentando per lo Stato una semplice formalità.
Le cose sono cambiate nel 1997 quando una serie di congetture hanno riportato in qualche modo a galla la tragedia in questione dal punto di vista dell'interesse politico generale e da un punto di vista non solo economico-finanziario. L'anno in questione ha visto il verificarsi quasi contemporaneo di episodi giuridico-economici ma anche mediatico-informativi: la Montedison è stata definitivamente condannata al risarcimento dei danni morali e materiali ai paesi sinistrati e solo pochi mesi dopo, lo "spettacolo" di Paolini ha ampliato la conoscenza e l'interesse riservato al caso Vajont da una sfera prettamente locale ad una di più ampio respiro nazionale, favorendo la presa di posizione rispetto a tale ritrovata "memoria" anche da parte dei gruppi di interesse del Paese intero, che potevano trovare nell'attualità del caso un importante "esempio" cui far riferimento.
La condanna della Montedison ha condotto, proprio l'anno seguente, ad un risultato da alcuni definito "casuale" se analizzato anche nell'ottica della nuova luce offerta al caso di cronaca dallo spettacolo di Paolini: "Ma ieri, con l'approvazione da parte del Consiglio dei ministri dell'ultima ipotesi di accordo, è stata posta la pietra tombale sull'infinita vicenda giudiziaria della tragedia del Vajont. La Montedison, il cui unico torto è stato quello di rilevare quella Sade che costruì la diga maledetta, pagherà allo Stato e all'Enel 210 miliardi, divisi a metà[...]. La causa civile, infatti, si trascinava da decenni. Da quando, alla fine degli anni Sessanta, l'Enel liquidò con una decina di miliardi di allora i parenti delle duemila vittime. Salvo poi rivalersi nei confronti della sfortunata erede della Sade: la Montedison. Lo Stato, d'altra parte, aveva presentato il conto salato delle infrastrutture e dei danni subiti dalle amministrazioni dipendenti, dalle Poste all'Anas. La vicenda giudiziaria si era trascinata stancamente fino al 1998, quando la Montedison di Enrico Bondi ha impresso una brusca accelerazione. Nel giugno dello scorso anno fu firmato lo storico accordo con il Comune di Longarone[...] Rimaneva il capitolo riguardante Stato ed Enel. Così, proprio alla vigilia delle assemblee di Compart e Montedison che dovranno deliberare la fusione delle due società per la costituzione di una 'nuova Montedison', Bondi ha voluto chiudere anche questa partita. Che, alla fine, all'azienda di Foro Bonaparte è costata quasi 300 miliardi. Il via libera del Consiglio dei ministri non sarà peraltro formalmente l'atto finale. Nel corso degli anni, infatti, alcune competenze sono state trasferite alle Regioni, che all'epoca del disastro non esistevano. Per cui sia il Veneto che il Friuli Venezia Giulia dovranno ratificare l'accordo.
Un passaggio che dovrebbe peraltro essere privo di sorprese. Altrettanto dovranno fare Anas e Poste Italiane.
Alla fine, 105 miliardi andranno all'Enel. Altrettanti allo Stato, che dovrà ripartirli fra gli enti interessati. Qualche mese, probabilmente, per non leggere più il nome 'Vajont' sulle pagine di cronaca dei giornali, legato all'ennesimo processo". In un breve sunto quindi, questa rassegna di "casualità" e "coincidenze" fortuite hanno offerto a tempo ravvicinato il manifestarsi di questi episodi: condanna sanzionata dalla Cassazione al risarcimento da parte della Montedison ai comuni sinistrati, accordo col Comune di Longarone, la diretta televisiva di Paolini ed infine processo di accelerazione diretto alla soluzione della vicenda da parte della Montedison.
Gli anni 1999/2000 sono stati quelli che hanno posto fine alle vertenze relative ai risarcimenti: "Luglio 2000. Trentasette anni dopo la tragedia, un decreto firmato dal Presidente del Consiglio Giuliano Amato chiude con un versamento di 77 miliardi di lire la partita dei risarcimenti dovuti dall'Enel e dalla Montedison per i danni patiti da Longarone. È lo Stato, cioè la collettività nazionale, a farsi carico della spesa per le ferite che le sono state inferte".
A questo punto, il fuoco dell'interesse è stato nuovamente acceso, il Vajont è tornato ed essere una "notizia", anche se non da prima pagina forse, ma comunque sufficientemente importante da essere considerato nuovamente una "materia elettorale", cioè un tema che può, attraverso la sua interpretazione, portare gli elettori a simpatizzare per questo o quello schieramento politico. Gli interventi dello Stato in ambito Vajont hanno ritrovato così una certa "funzionalità" all'interno dell'interminabile lotta politica.
Ma perchè i nuovi interventi dello Stato in materia Vajont ottengono una "pubblicità" nazionale dopo tutti questi anni di oblio, senza passare inosservati come i molti altri precedenti?
Forse proprio perchè di Vajont ora se ne parla e suscita interesse.
In 40 anni, il mondo politico non ha mai smesso di presenziare e "pubblicizzare" il suo interesse verso la vicenda del 9 ottobre 1963 in occasione dei più importati anniversari della tragedia. In queste ricorrenze le principali autorità statali, come già sottolineato, si presentarono nei luoghi sinistrati ricordando le vittime ed ottenendo in tal modo la tenue "luce" dei pochi riflettori puntati sulla memoria della vicenda. Nel più dei casi, tale interesse si esauriva dopo pochissimo tempo, così come la diffusione degli eventuali interventi riservati al mantenimento della memoria, istituzionalmente assenti in modo concreto. Le visite risultarono così un utile modo di valorizzare la propria immagine politica e personale attraverso una presenza istituzionalmente quasi "dovuta", anche se effettivamente a livello di intervento poco "sentita".

Dopo Paolini, il mondo politico è stato quasi costretto a svegliarsi, ad esporsi sul tema, per via del rinnovato interesse dimostrato dalla gente, da quelle persone che la classe politica stessa rappresenta e della quale dovrebbe essere sempre espressione.
Un Deputato del Parlamento spiega: "Non vi è dubbio che il contributo dato da Paolini in particolare ha consentito che la tragedia entrasse nelle case di tutti. Molti si sono resi conto o hanno conosciuto per la prima volta l'immane disastro di quella notte. La 'catastrofe annunciatà è stata spiegata rendendo comprensibile i minimi particolari della costruzione di quella diga, il rimpallo delle responsabilità, l'incapacità dell'uomo di darsi dei limiti dal progettare un'opera pubblica che stravolgeva la natura del territorio e che, anche di fronte ai primi cedimenti, ha continuato ad andare avanti. Tutto questo ha creato una grande attenzione e penso abbia contribuito a far assumere le proprie responsabilità anche al mondo politico che aveva rinchiuso la vicenda nel dimenticatoio. Non è la prima volta che un film, un libro, un'opera teatrale o anche un'indagine giornalistica (pensa al famoso caso Watergate o in questi giorni alla vicenda delle torture in Iraq) consentono di togliere il tappo e liberare la memoria o di abbattere i muri di omertà alla ricerca della 'verità'".
Un meccanismo di questo genere può far sorgere un'ipotesi: per gli "addetti ai lavori", quali sono i rappresentanti della classe politica, la vicenda del Vajont non è stata una novità, la consapevolezza di qualcosa che non si conosceva prima, il "risveglio" da una memoria sconosciuta, ma è stata la necessaria presa di posizione verso una tematica "risvegliatasi" in altri, nei cittadini, negli elettori, a partire dai quasi quattro milioni di telespettatori che hanno assistito alla diretta televisiva. Questo fattore ha, forse, generato in realtà il cambiamento dell'analisi del caso Vajont, che da semplice routine amministrativa ha iniziato ad avere un valore più ampiamente "elettorale", nel senso che anche a partire da questo, e dalla sua memoria, è ora possibile ottenere spunti attuali cui riferirsi, prese di posizione dietro cui schierarsi, per combattere nella continua lotta politica.
Addirittura, in senso generale, il Vajont poteva tornare "utile" anche per riconoscersi definitivamente "distaccati" da quel sistema politico corrotto oramai scomparso e, conseguentemente, per esaltare la ritrovata "efficienza" di un nuovo sistema politico, che opera "bene" ed in modo positivo nei confronti dei suoi cittadini, cercando di evitare in tutti i modi di compiere errori già commessi, che ora sono analizzati, rielaborati e superati.

Anniversari come "rafforzativo" contro l'ipotesi di speculazione politica
Una volta verificatosi il risveglio del mondo politico, tornato sensibile al tema Vajont, rimane ora da chiarire ancora qualche perplessità circa gli interventi che ne sono derivati a livello delle Istituzioni maggiori, più che altro in relazione alla scelta dei tempi per realizzarli.
A prescindere dal colore politico da cui deriva l'interessamento, la perplessità deriva dal fatto che una serie di "coincidenze" hanno fatto sì che molti importanti progetti e decisioni sul futuro "nazionale" del Vajont siano state "promosse" proprio in concomitanza con eventi mediaticamente rilevanti, come la proiezione della prima nazionale del film "Vajont" nel 2001 o come la ricorrenza del 40° anniversario della tragedia: periodi in cui il ritrovato interesse nazionale alla vicenda avrebbe avuto presumibilmente un ulteriore ampio palcoscenico mediatico.
Questo motivo è stato sicuramente un rafforzativo per la diffusione del messaggio derivante dalla memoria della tragedia, ma si può anche ipotizzare un tentativo di "speculazione politica" tesa ad ottenere il favore elettorale.
Ecco che nel 2001, anno della proiezione della già citata pellicola di Martinelli intitolata "Vajont", nasce un progetto per inserire la frana del Monte Toc e la diga del Vajont tra i beni inestimabili protetti dall'UNESCO quali patrimonio dell'umanità.

Risoluzione in Commissione 7-00042 presentata da FABIO GARAGNANI martedì 23 ottobre 2001 nella seduta n. 051

La VII Commissione, considerato che:
•   sono trascorsi oltre trentotto anni dal disastro del Vajont del 9 ottobre 1963, avvenuto nel comune di Erto e Casso, in provincia di Pordenone, e di Longarone in provincia di Belluno, determinato dal distacco di una frana di immani proporzioni dal monte Toc, che rovesciò nel sottostante bacino idroelettrico una quantità enorme di metri cubi di terra;

•   le conseguenze della frana sono state devastanti per il comune di Erto e Casso e per i comuni di Longarone e di Castellavazzo in provincia di Belluno, provocando oltre duemila morti, la completa distruzione di paesi e di frazioni, nonchè danni incalcolabili all'ambiente;

•   va considerato lo Stato della diga del comune di Erto e Casso, nella quale, a seguito della frana, si sono accumulati oltre trecentomilioni di metri cubi di sassi e di fango;

•  va considerato il cimitero monumentale delle vittime del disastro del Vajont situato in località Fortogna, nel comune di Longarone in provincia di Belluno, che con le sue lapidi resta a memoria dell'immane tragedia e del lutto di intere popolazioni;

•  il disastro del Vajont rappresenta uno di quegli eventi destinati a rimanere impressi nella memoria di tutti e, in particolare, di uno Stato, come quello italiano, che non vuole e non deve dimenticare;

•  va considerata l'opportunità che il disastro del Vajont divenga un monito universale contro lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali, causa frequente di irreparabili danni all'ambiente e di perdite di vite umane;

•  va considerato il ruolo dell'UNESCO, organo internazionale nato per la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, ed al quale l'Italia aderisce sin dal 1973;

•  va considerata la rilevanza che i luoghi ove è accaduto il disastro del Vajont siano tutelati al fine di costituire memoria imperitura della tragedia, sanzionando e bloccando eventuali interventi che ne possano minare la valenza storica e morale e garantendo opportunità di crescita mediante una corretta gestione dei territori;

impegna il Governo

ad inserire nell'elenco dei siti ritenuti dall'UNESCO «patrimonio dell'umanità» la frana del monte Toc e la diga del Vajont, nel comune di Erto e Casso in provincia di Pordenone, e nel comune di Longarone in provincia di Belluno, ed il cimitero monumentale delle vittime del disastro del Vajont, situato in località Fortogna, nel comune di Longarone in provincia di Belluno, in conformità a quanto disposto dalla legge 6 aprile 1977 n. 184, recante «ratifica ed esecuzione della Convenzione internazionale sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale», firmata a Parigi il 23 novembre 1972.

(7-00042) «Garagnani, Paniz, Mario Pepe, Sandi, Milanato, Ferro, Zorzato».

L'ipotesi di "speculazione politica" potrebbe iniziare a prender corpo per via di questa "coincidenza" così, al fine di chiarire questo dubbio, ho pensato di rivolgermi direttamente al parlamentare che ha inoltrato questa proposta, l'On. di Forza Italia Maurizio Paniz, il quale ha motivato personalmente le ragioni del suo intervento in questo modo: "Non c'entra niente per quanto mi riguarda nè Paolini nè Martinelli.[...]Il progetto UNESCO per me nasce dalla volontà di compiere come primo atto del mio mandato parlamentare...perchè non ho mai fatto politica fino al 2001 quando sono stato eletto per la prima volta in parlamento...dalla volontà di fare un atto importante per la mia terra. E l'atto più importante per la mia terra come momento di partenza nasceva dal far riconoscere come patrimonio dell'UNESCO un angolo di mondo che ha delle caratteristiche secondo me da UNESCO. Non tutti concordano su questo, però secondo me sì. Ma non tanto per i 2000 morti che il Vajont ha cagionato, quanto perchè dietro i 2000 morti del Vajont ci sono almeno due elementi di significativa importanza agli effetti UNESCO.
La diga del Vajont che, come lei sa, è rimasta intatta, che è una diga, come lei sa, che ha 40 anni di vita e che è la più grande diga ad arco del mondo, non se ne costruiscono più ed il patrimonio UNESCO non è dato soltanto da opere naturalistiche, è dato anche da importanti opere dell'uomo che sono destinate a rimanere nella storia. Secondo me è importante che questa diga rimanga nella storia come testimonianza di un'opera eccezionale dal punto di vista tecnico, tant'è che non è stata buttata giù da una disgrazia di questa importanza, e rimane lì a memoria sì di una grande disgrazia cagionata dall'uomo, ma anche a memoria di un risultato tecnico assolutamente insuperabile. Sul tema, lei sa, non si entrerà più perchè dighe di questo genere non se ne costruiscono nel mondo. Quindi questa è la prima ragione.
La seconda ragione è che c'è un paesino che si chiama Erto, la vecchia Erto, che è un paesino rimasto intatto nelle sue caratteristiche, che sono caratteristiche bicentenarie. È il paesino accanto all'ex lago del Vajont rimasto assolutamente intatto e rimasto assolutamente integro nelle sue conformazioni naturalistiche che rispecchiano una tradizione e un mondo passato che non deve essere toccato. Queste sono le ragioni per le quali io ho chiesto al governo italiano, che per altro dopo tre anni non si è ancora pronunciato, come lei sa, di proteggere questa zona. Quindi non un fatto assolutamente politico".
L'ipotesi di "speculazione politica" sembrerebbe crollare immediatamente di fronte alle "sentite" motivazioni di questo parlamentare, originario delle terre della tragedia.
Eppure le "coincidenze" continuano. Passano due anni circa quando a livello nuovamente nazionale viene presentata una proposta di legge a primo impatto "sospetta", non tanto per il contenuto, ma ancora per la scelta temporale. Di seguito è riportata l'intera proposta di legge firmata dagli Onorevoli DS: Sandi, Ruzzante e Maran, i primi due dei quali sono stati contattati via mail per rispondere ad alcune domande inerenti questa loro proposta:

XIV LEGISLATURA - CAMERA DEI DEPUTATI
N. 3695
PROPOSTA DI LEGGE


d'iniziativa dei deputati SANDI, RUZZANTE, MARAN
Istituzione del "Museo diffuso del Vajont"

Presentata il 19 febbraio 2003

XIV LEGISLATURA - PROGETTO DI LEGGE - N. 3695

PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1. (Finalità dell'istituzione del Museo).

1. Al fine di ricordare e onorare le vittime della tragedia ambientale causata dalla frana caduta dal monte Toc il 9 ottobre 1963 con il relativo straripamento del bacino del Vajont, attraverso la promozione e l'organizzazione di manifestazioni a carattere nazionale e internazionale relative ai temi della sicurezza e della compatibilità eco-ambientale, la creazione di percorsi guidati sul territorio per lo studio geologico della frana e dei vari aspetti della ricostruzione e il recupero del patrimonio architettonico e storico abbandonato a causa del disastro del Vajont, è istituito il "Museo diffuso del Vajont".

Art. 2. (Comitato di gestione).

1. Le regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia, sentite le province di Belluno e di Pordenone e i comuni di Erto e Casso, Vajont, Longarone e Castellavazzo, promuovono la costituzione di un comitato di gestione unitario per l'istituzione del Museo.

2. Il comitato di gestione è composto da rappresentanti delle regioni, delle province e dei comuni di cui al comma 1, e da esponenti del mondo associativo dell'università e della ricerca.

3. Per la realizzazione del Museo, i comuni interessati possono predisporre singoli progetti ai fini della elaborazione e presentazione di un programma unitario di interventi da sottoporre all'approvazione del comitato di gestione.

4. La sede del Museo è individuata nel comune di Erto e Casso, nel cui territorio si trovano la diga del Vajont e avvenne la caduta della frana omonima.

Art. 3. (Disposizioni per l'individuazione dell'area del Museo).

1. Le regioni Friuli Venezia-Giulia e Veneto, d'intesa con le province di Pordenone e Belluno e in particolare d'intesa con i comuni di Erto e Casso, Vajont, Longarone e Castellavazzo, approvano l'individuazione e la delimitazione dell'area su cui saranno realizzate le iniziative di cui all'articolo 1.

Art. 4. (Copertura finanziaria).

1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, pari a 5 milioni di euro per gli anni 2003, 2004 e 2005, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, nell'ambito dell'unità previsionale di base di conto capitale "Fondo speciale" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Posti anch'essi di fronte all'ipotesi di "speculazione politica", i due cofirmatari della proposta di legge hanno argomentato le loro motivazioni relative a quell'intervento: l'Onorevole Piero Ruzzante, originario di Padova, ha fornito una risposta di questo genere:
"I fatti del Vajont e le tragedie che ne sono derivate, sono forse l'ennesimo esempio di come il nostro Paese non sia abituato a confrontarsi con la sua storia. Ci sono voluti più di 20 anni di battaglie di Tina Merlin, molti interventi di politici (come l'onorevole del PCI Franco Busetto), intellettuali, artisti e cittadini per arrivare a riconoscere pacificamente che il progetto di quella diga è stata una follia che ha provocato solo vittime innocenti. Dunque nessuna coincidenza con l'anniversario, ma solo i tempi troppo dilatati del "metabolismo storico" del nostro Paese.[...] il progetto di Parco della Memoria viene da lontano e parte proprio dai cittadini e dalle amministrazioni dei Comuni colpiti dalla tragedia del Vajont, quindi nessuna forma di 'strumentalizzazionÈ da parte nostra".
La stessa accusa di "speculare" sul Vajont per fini di consenso politico è stata posta anche all'Onorevole Italo Sandi, deputato originario della zona della tragedia, il quale ha così risposto:
"[...]il 40 anniversario è stato un rafforzativo, visto che vi è stata la visita ufficiale del capo dello stato. Non comunque il motivo principale.[...] è vero anche che in alcune occasioni si creano le possibilità per misure e provvedimenti utili. Forse non è il caso del mio progetto. Ecco, se un altro motivo c'è stato è quello di dare più forza ad altre iniziative sul territorio[...], attivare insomma anche altri livelli politico-amministrativi ed altro ancora".

A detta di questi due parlamentari non una "coincidenza" bensì un "rafforzativo", che va ben al di là della strumentalizzazione politica, nemmeno sfiorata dagli intenti personali.
Tirando le somme, è facile riscontrare come gli esponenti politici direttamente interessati al tema, sebbene provenienti da opposte fazioni tra le maggiormente rappresentative a livello nazionale, concordano nel confutare in modo deciso l'ipotesi di "speculazione politica" nei riguardi del caso Vajont e della sua memoria, che ritengono esser considerata "super partes" ed assolutamente svincolata da qualsiasi "strumentalizzazione".
In aggiunta a tutto ciò, è un intervento dello stesso Presidente della Repubblica a dare ulteriore collocazione politicamente "super partes" agli interventi istituzionali in tema Vajont.

Ministero per i Beni e le Attività Culturali

UFFICIO STAMPA

Comunicato Stampa
Il Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Giuliano Urbani, ha proposto al Presidente della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi, di dichiarare monumento nazionale il cimitero di Longarone.
"Con questo atto - ha dichiarato il Ministro Urbani - le Istituzioni intendono conservare la memoria delle migliaia di persone che hanno perso la vita nella catastrofe del Vajont la tragica notte del 9 ottobre 1963.
A quarant'anni di distanza, negli occhi di ogni cittadino sono ancora vivide le immagini di un disastro che colpì duramente il Paese e devastò l'esistenza di tante famiglie.
Il luogo in cui riposano le vittime di questo terribile evento sarà ora affidato al rispetto imperituro dei cittadini italiani".
Roma, 1 ottobre 2003
Ufficio Stampa MiBAC
A questo comunicato stampa è seguito, in data 2 ottobre 2003 un decreto presidenziale:
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 2 ottobre 2003

Dichiarazione di monumento nazionale per il cimitero delle vittime del Vajont,

in Longarone.

Pubblicato su: GU n.278 del 29.11.2003
Fonte: Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato
urn:nir:presidente.repubblica:decreto:2003-10-02;nir-3

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visto il Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell'articolo 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352;

Il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, recante +Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell'art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352;

Considerata l'opportunità che il cimitero di Longarone (Belluno) sito in località Fortogna - luogo di memoria delle migliaia di vittime del disastro del Vajont che nella notte del 9 ottobre 1963 perirono incolpevoli - sia ricordato e affidato al rispetto della Nazione per il suo rilevante interesse sotto il profilo storico sociale;

Su proposta del Ministro per i beni e le attività culturali;

Decreta:

Il cimitero di Longarone, in località Fortogna, è dichiarato monumento nazionale.

Dato a Roma, addì 2 ottobre 2003

CIAMPI
Urbani, Ministro per i beni e le attività culturali

Sebbene sollecitato da un Ministro del Governo e soggetto all'ipotetico "dubbio" riguardo alla sua collocazione temporale, l'intervento del Presidente di un Paese è da considerarsi al di sopra delle parti e resta dunque molto più semplice, in questo caso, affidarsi alla veridicità assoluta della collocazione temporale con valore esclusivamente "rafforzativo" per via delle celebrazioni del 40° anniversario della tragedia.
Il riconoscimento rimane della massima importanza: la più alta carica statale finalmente riconosce quale "Monumento Nazionale" il sepolcro delle 2000 vittime innocenti della tragedia. Così come lo Stato aveva 40 anni prima contribuito ad oscurare una verità "scomoda", allo stesso modo sempre lo Stato, attraverso il suo massimo esponente, riconosce "onore" e "massima considerazione" per le vittime di un olocausto "colposo".
Si può parlare degli interventi politici e soprattutto della dichiarazione di "Monumento Nazionale" per il Cimitero delle Vittime di Fortogna quale "riscatto", sebbene tardivo, offerto da un mondo politico "nuovo" alla memoria di un avvenimento così importante.

Il Vajont ha un preciso colore politico?
A prescindere dalla necessaria apoliticità del Presidente della Repubblica, un altro interrogativo può nascere nella mente di chi analizza il tema di questa memoria e cioè quello relativo alla sua collocazione "politica".
Alcuni ritengono che la memoria del Vajont, così come era stata "gettata nel cassetto" da un sistema che non voleva piegarsi ad una realtà che lo individuava come corrotto, allo stesso modo, una volta ripescato dall'oblio, sia stata sfruttata per ragioni nuovamente "politiche", essendo in ogni caso una memoria che potrebbe mettere in risalto una parte politica "buona" ed una "cattiva".
Affrontato l'argomento con due Onorevoli originari delle terre in questione, essi hanno totalmente negato l'esistenza di una qualsiasi divisione politica in tema Vajont, anzi, entrambi la considerano un rafforzativo dell'identità di questa "particolare" comunità territoriale nella sua interezza. L'Onorevole Sandi sostiene: "[...]non credo che nella vicenda del Vajont la politica (quella bellunese) abbia mai giocato questo ruolo (quello del consenso). Mai.[...] penso che la logica è stata semmai quella di garantire un futuro e un risarcimento, di rispettare e onorare la memoria, di dare un segnale alla società italiana. Mai in questi quarant'anni ho pensato che un personaggio politico abbia avuto simili pensieri. Troppo importante è per noi la vicenda del Vajont".
A sua volta, anche l'Onorevole Paniz difende l'assoluta "buona fede" degli interventi in tema di memoria del Vajont e sua conservazione, al di là del "colore" politico, ribadendo: "No. Guardi è un'offesa alla comunità di Longarone e del bellunese. Il bellunese ha vissuto questa tragedia come una tragedia di tutti. Non c'entra nulla il fatto politico. Non è un fatto di governo[...]".

Risulta molto difficile non credere alle spiegazioni di questi due deputati, persino di orientamento politico avverso, soprattutto se analizzate considerando che il loro interessamento alla problematica Vajont è "sentito" in modo maggiore proprio per via dell'essere originari della zona in questione. Eppure la memoria del caso Vajont, proprio in corrispondenza dell'esordio storico della vicenda, potrebbe essere politicamente "sfruttata" in chiave favorevole per la Sinistra di allora e per i suoi "eredi" attuali, forti di una coscienza "pulita" perchè all'epoca stavano al di fuori del potere decisionale che non evitò quella tragedia.

Se le cose stessero esclusivamente in questo modo, l'ipotesi di una "memoria rossa", che torna a favore esclusivamente degli "sciacalli comunisti" e dei loro eredi politici, potrebbe avere una qualche veridicità.
Ma il Vajont è molto di più, è la memoria di tutto un sistema corrotto e disfunzionale. Un sistema che, decentrandosi nel tempo, ha offerto la possibilità anche alle forze di sinistra, per anni all'opposizione politica, di gestire delle amministrazioni statali locali, quali Regioni e Province, dando modo anche a queste di "sporcarsi" le mani per via dello stesso sistema politico macchiato di "corruzione" e di clientelismo politico. Il sistema che aveva cercato di celare la verità sul Vajont, una verità principalmente ricercata dai "faziosi" comunisti, aveva finito per inglobare anche questi ultimi nelle sue maglie, rendendoli "complici" delle disfunzioni generali e partecipi di questo tentato processo di conservazione dello status quo.

La conseguenza di questa situazione di caos è stata un tentativo di "azzeramento" del precedente sistema, in cui la classe politica "nuova" ha dovuto riconquistare la fiducia del popolo, evidenziando in modo netto il suo distacco dal precedente modo di governare.
Sono passati 40 anni, la Sinistra storica e la Destra storica non esistono più così come erano strutturate un tempo, esistono però gli "eredi", almeno simbolicamente, di quelle forze politiche. Quale il legame tra politica e Vajont a primo impatto alla luce di queste premesse?
I politici direttamente interessati tendono ad estraniarsi da questo tentativo di attribuire la memoria del Vajont ad un qualunque colore politico, così come dice l'Onorevole DS Piero Ruzzante:
"Credo che oggi la (doverosa) verità sulla vicenda Vajont e il giusto riconoscimento per la sofferenza che ne sono derivate, non sia più oggetto di divisioni politiche e, in qualche maniera, la mia P.d.l. si prefigge lo scopo di mettere la parola fine a queste divisioni o diverse interpretazioni".

Anche l'Onorevole Sandi, di orientamento politico sempre di sinistra, aggiunge un ulteriore commento a difesa di questa apoliticità della memoria del Vajont sostenendo:
"[...]credo che però sull'idea di uno stato che difende sè stesso prima che le persone e in questo caso anche le loro vite, uno stato che secreta quanto più possibile le verità tutta la politica debba interrogarsi (non c'è solo il Vajont purtroppo).Sul caso in questione sono aiutato dal fatto che il primo atto sul Vajont in questa legislatura non è mio ma dell'onorevole Paniz di Forza Italia. Una richiesta che ho firmato anche io per l'immissione del sito fra quelli Unesco[...] ecco, credo che la battaglia per la verità sul Vajont sia stata tanto forte da potersi mettere accanto alla resistenza come carta d'identità della sinistra bellunese e questo non significa affatto escludere tutta l'altra società bellunese che visse anch'essa in modo forte la ricerca delle verità se così infatti non fosse delle due l'una o duemila morti passano nel dimenticatoio di una popolazione barbara, o la sinistra avrebbe dovuto avere percentuali bulgare.... invece non è stato così".

Ad incrementare il sostegno all'"apoliticità" della memoria del Vajont interviene anche il pensiero dell'Onorevole di Forza Italia, Maurizio Paniz, che commenta:
"Per quanto posso saperne io,per le persone che conosco e che sono di diversa conformazione politica, perchè Bratti non è di Forza Italia, De Cesero non è di Forza Italia, Sandi non è di Forza Italia, queste 3 persone io le conosco bene tutte e tre e posso escludere che queste 3 persone, in qualsiasi modo, al pari di me, abbiano voluto dare un minimo di colorazione politica alla cosa[...]".

Dopo la caduta dell'ipotesi di strumentalizzazione, anche quella di "colorazione politica" pare decadere, a detta dei rappresentanti di entrambi gli schieramenti. Quasi un paradosso: simili risposte portano al riconoscimento di una manifesta "par condicio" in tema Vajont dal punto di vista politico ove ogni parte difende se stessa da accuse di speculazione riconoscendo dei meriti alla controparte avversaria.

Resta un dubbio: quello che a livello locale può esser considerato un interesse "concreto" alla conservazione della memoria di per sè stessa, senza alcuna monopolizzazione di questa verso fini di consenso, può dirsi altrettanto anche a livello nazionale? Resta difficile credere ad una simile tesi applicata ad un Paese come l'Italia, ove si è creato il linguaggio "politichese" e dove ogni cosa è legata alla politica. In tale sistema politico, caratterizzato da una lotta continua verso il consenso diffuso, anche il caso Vajont ha indiscutibilmente dato la possibilità alle varie forze politiche, eredi di quelle storiche e non, di potersi avvalere (anche se, come è ovvio, non lo ammettono direttamente) di quella memoria per evidenziare il proprio buon operato o i buoni propositi in merito.
Uniformarsi apparentemente a livello nazionale in ambito di riscoperta di quella ferita e di recupero del tempo perso per valorizzarla è anche fruttuoso dal punto di vista del pentimento dimostrato dalla classe politica per quegli interventi errati da parte dei loro "colleghi" nel passato, ma anche per sottolineare come si sia imparata la lezione e si voglia insegnare ora una nuova lezione derivata da quella tragedia. L'On. Ruzzante ammette: "Credo che in passato (per rispondere alla tua ultima domanda) la politica abbia contribuito in maniera determinate al non far conoscere quanto era realmente successo[...]È evidente che c'è stata una responsabilità politica nelle forze di Governo dell'epoca che hanno taciuto sui rischi e non hanno saputo e voluto ascoltare le grida di allarme preventive delle popolazioni[...]".

I rappresentanti della classe politica intervistati offrono un ovvio punto di vista che lascia scarse perplessità riguardanti il buon operato e la buona fede in assoluto di tutto il sistema, proiettato verso un intervento esclusivamente concreto ed adeguato, senza alcuna connessione con il tentativo di ricavarne consensi.

Naturalmente le opinioni riguardanti questa apoliticità della memoria del Vajont, almeno a livello nazionale, sono nettamente differenti quando sono espresse da personalità che stanno al di fuori del mondo politico, come Antonio Chiocchi, direttore di una rivista che si occupa di storia, politica e cultura, secondo cui:

"Non che oggi non esistano differenze (e anche notevoli) tra Dx e Sx; ma esse, purtroppo, rimangono ancorate al terreno della 'tattica'. Per usare il lessico dei politologi: oggi le differenze non si misurano in termini di 'alternativa', ma in quelli di 'alternanza'.
L'alternativa è apportatrice di cambiamenti; l'alternanza lascia tutto come è, dove non peggiora le cose.[...] Personalmente (posso, ovviamente, sbagliarmi) non nutrirei eccessiva fiducia in una 'memoria super partes', proprio perchè non vedo la fattibilità della condizione cardine da te (giustamente) posta: la presa di distanza (effettiva, compiuta e politica) da parte dell'intero sistema politico dalle cause e dagli effetti del sistema corruttivo disvelato da 'Tangentopoli'. La classe politica italiana (sia quella di governo che quella di opposizione) si qualifica per essere indisponibile all'autocritica, facendo emergere sul punto una sostanziale continuità nei metodi e nelle strategie di 'conquistà e 'gestionÈ del potere".
Rimane l'ottimismo di augurarsi che questo non sia del tutto vero, e che nel caso in cui la politica nazionale inserisca anche il Vajont, al pari di molti altri argomenti, come elemento "utilizzabile" dalla "demagogia" partitica per la lotta al consenso, almeno a livello locale sia realmente vissuto in assoluta concretezza e porti a uniformità diretta verso il sentimento della conservazione della memoria e verso l'impegno al continuo progresso "positivo" a seguito dell'insegnamento ricevuto da questa.

La "lezione Vajont": un messaggio "pronunciato" ma non del tutto "imparato"
Al di là delle ipotizzabili differenze politiche in ambito di considerazione e presa di posizione verso la memoria del Vajont (siano esse dotate o meno di fondamento), un elemento che realmente è valutato in modo omogeneo da ogni schieramento politico, nazionale e locale, è la "lezione" che dalla memoria della catastrofe deriva.
In primis riportiamo le parole del Presidente della Repubblica Ciampi che si è pronunciato sulla lezione offerta dalla memoria del Vajont in occasione della sua visita a Longarone il 9 ottobre 2003: "Non sarebbe mai dovuto accadere; quel disastro lo si sarebbe potuto evitare [...]la memoria non serve solo a fare un pur doveroso riconoscimento di quello che è stato. Occorre trarne insegnamento e forza per andare avanti[...]Il paese deve progredire, ma rispettando le leggi della natura".
Alle considerazioni del Presidente della Repubblica si possono affiancare quelle di alcuni rappresentanti parlamentari provenienti da avversi schieramenti politici:

On. Piero Fassino: "La tragedia del Vajont rimane una ferita aperta nella nostra memoria collettiva e negli affetti di tanta gente di quelle vallate. Mantenere e onorare la memoria delle vittime significa battersi per una politica di sicurezza che non sia solo di emergenza, ma anche di prevenzione e di vera protezione civile. Si tratta in una parola di scelte politiche, prima ancora che tecniche. Oggi quel drammatico evento deve essere un monito a non consentire mai più la realizzazione di opere pericolose e a vigilare sulla tutela del territorio e della vita di tutti i cittadini del nostro Paese";

On. Maurizio Paniz: "La lezione del Vajont all'interno del mondo politico deve essere molto chiara: è la lezione della necessità di vagliare bene i profili tecnici dei vari interventi che lo Stato fa. Lo Stato fa grandi interventi in tanti settori e la necessità di soddisfare interessi pubblici come può essere l'interesse dell'energia e così via, non deve mai andare a scapito delle comunità sulle quali si interviene"

On. Piero Ruzzante: "Quarant'anni non possono essere passati invano! La tragedia del Vajont, nella quale il 9 ottobre del 1963 persero la vita 2000 persone, dovrebbe averci insegnato molte cose. Innanzitutto che non si può "violentare" la natura alla ricerca sfrenata del profitto e di un progresso privo di anima, senza causare dei danni gravissimi alle persone e all'ambiente. In secondo luogo, chi ha raccontato con coraggio e passione i soprusi subiti dalle popolazioni di Erto, Casso e Longarone e le devastazioni che danneggiarono irrimediabilmente le valli dell'alto bellunese ci ha insegnato quale sia il ruolo e l'importanza del giornalismo libero in una democrazia.[...] Il parlamento e la libera stampa non sono intralci del potere esecutivo, sono piuttosto gli anticorpi di cui si serve la società per impedire l'eccesso di potere, per ostacolare quanti vogliono governare contro la natura e nonostante i cittadini piuttosto che in loro favore. Anche questa è stata la lezione del 'Vajont', come non si stanca di ripetere Franco Busetto tutte le volte che gli chiediamo di aiutarci a tenere viva la memoria storica di quanti, prima nella resistenza e poi nelle Istituzioni repubblicane, hanno contribuito a fare del nostro un Paese libero e civile".

On. Italo Sandi: "Così il Vajont dà una lezione di grande attualità che dice: conservare la memoria perchè senza di essa non c'è mondo. Nemmeno quello che con tanto spirito di progresso (o di rabbia) così superficialmente diciamo che cambia. E la memoria, sia quella di uno stato padrone, sia quella di una grande tragedia umana sia quella di un lavoro sfruttato (così come ancora oggi può essere), di una natura violentata e quanto più se ne voglia aggiungere, è uno dei fondamenti delle comunità, regala insegnamenti , è 'costituzione sostanzialÈ per dirla con una parola grossa".

Tendenzialmente tutti gli appartenenti alla classe politica sono concordi nell'affermare l'importanza del messaggio che il Vajont porta con sè e nel sostenere la necessità del rispetto ed utilizzo di tale messaggio. Anche a seguito di questa convinzione e dichiarazioni, le Istituzioni si proclamano "conformi" al buon operato, reso migliore "anche" dalla lezione imparata da questa "difficile" memoria.
La realtà, però, non sempre rispecchia quanto affermato a parole e purtroppo questo messaggio così importante, questa memoria così istruttiva, talvolta porta con sè soluzioni che non le rendono effettivo merito e gli errori seguitano ad essere commessi.
È ben presente, tra le opinioni di coloro che gravitano al di fuori del sistema partitico, l'opinione che la lezione "non" sia stata imparata così come invece si sostiene: "Tornando alla tua domanda politica cruciale, ritengo che la memoria del Vajont debba essere ricondotta ad una forte critica della politica di ieri e di oggi: disastri di quel genere non capitano a caso e sempre non a caso si sono più o meno ciclicamente riprodotti e, temo, si riprodurranno, finchè le responsabilità storiche del passato e del presente non saranno isolate e superate, con decisioni e atti di 'svoltà ".

"Il disastro del Vajont è purtroppo oggi ancora una lezione inascoltata, accusa il WWF: si sta depotenziando l'unico strumento tecnico in grado di valutare l'impatto delle opere sull'ambiente (la VIA) si continua a costruire in aree golenali, la politica delle grandi opere a tutti i costi resiste e mancano politiche adeguate per la difesa del suolo dal rischio idrogeologico.[...] Per decenni si è assistito in Italia alla devastazione ambientale perchè opere anche buone sono state realizzate in posti sbagliati.[...] Questo perchè per decenni in Italia abbiamo subìto una visione tutta "ingegneristica", la cui massima era costruire sempre e comunque. Senza ascoltare i geologi e in generale chi aveva competenze sul territorio. Questo assioma purtroppo è ancora in parte vero quando si parla di grandi opere[...]Secondo il WWF le "grandi opere pubbliche" di cui il nostro Paese ha bisogno sono in realtà una miriade di piccole opere che ricostruiscano la trama di un territorio massacrato da in cultura e malgoverno, per rendere efficienti i sistemi e le reti di servizio già esistenti".
"[...]nonostante la vivezza di quelle impressioni, la cultura del "primato" dell'ambiente sulle leggi del profitto non è entrata nella nostra comunità con quella forza e profondità che ci si sarebbe potuti aspettare dopo una strage immane, annunciata e lasciata cadere davanti ai nostri occhi[...]oggi quando assistiamo ad input assolutamente negativi rispetto a tali problematiche. [...]Ad esempio alla politica dei condoni[...]va contro la lezione del Vajont e che la logica del 'tutto si può fare' indotta dalla ormai sistematicità dei condoni impatterà negativamente soprattutto in territori particolarmente fragili, come quello montano, dove le costruzioni vanno attentamente valutate e regolamentate". Gli "errori" ancora presenti nel modo di agire delle istituzioni, in alcuni casi, sono riscontrati anche da alcuni membri della stessa classe politica, come il deputato Italo Sandi, il quale aggiunge: "Penso che la politica abbia e conservi responsabilità nella gestione del territorio e che gli interessi che essa interpreta si facciano qualche volta beffe sia della storia che dei diritti delle comunità".
Se pensiamo alla "lezione" derivata dalla tragedia del Vajont ed ai motivi che portarono a quella catastrofe, non possiamo non soffermarci su un possibile "errore" che, dopo 40 anni, rischia di compromettere nuovamente lo stesso posto, la stesa gente e per le stesse motivazioni, a dimostrazione che le "lezione", forse, non è stata del tutto recepita.
Risale infatti al 2002 l'intenzione della Regione Friuli di far sfruttare da un'impresa privata l'acqua del lago del Vajont che proprio per motivi di interesse economico, energetico e di rinnovato sviluppo tecnologico, motivazioni molto simili a quelle per le quali la diga nacque, stanno portando alla ipotetica progettazione di un riutilizzo dell'impianto per lo stesso fine per il quale era stato studiato originariamente.
Da un punto di vista esclusivamente "morale", probabilmente questo riutilizzo deve fare i conti con un dolore che non si è ancora spento, e che forse non si spegnerà mai. È lecito pensare anche al futuro, al benessere della zona, al tempo che è passato e che non potrà cancellare quelle ferite, la quali devono comunque essere superate per il bene di tutta la comunità, ma è altrettanto importante, soprattutto con un precedente del genere, fare i conti "con le memorie di tanti[...] con la paura che non si estirpa (specialmente in storie come questa) nè con una fiducia in mezzi tecnologici fra virgolette più moderni nè con la modestia dei nuovi interventi".

La speranza che rimane è che, sulla scia della "lezione" denunciata dalla più grande catastrofe europea del dopoguerra, qualunque sia il modo di agire intrapreso dalle amministrazioni competenti, rimanga ben presente il messaggio di fondo: "ricordare per imparare" perchè, come dice sempre l'On. Sandi: "[...]non si può condannare una comunità ad una perpetua situazione di dolore, la vita deve continuare, lavorare, non lasciare la propria terra. Ma oggi, di fronte ad un intenzione simile a quella di allora, si pone un problema che è quello di consultare la gente, proprio tutta la gente, che ha tutto il diritto di sapere ed anche di decidere come e se si interviene. Teniamo presente che la storia racconta che tanti morirono proprio perchè fino alla fine non furono al corrente di niente".

Bibliografia

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