Cap. 1 - II

2 - I PROTAGONISTI DELLA "MEMORIA" DEL VAJONT

Analizzare la "memoria" di un caso come la tragedia del Vajont richiede necessariamente l'analisi del contesto entro il quale tale vicenda si inserì e cioè un particolare momento della storia d'Italia che non ne favorì minimamente una corretta comprensione nè una adeguata diffusione.

I protagonisti della vicenda, diretti o indiretti, delineati nelle loro caratteristiche peculiari dell'epoca ci possono dunque aiutare ad individuare le evoluzioni del caso.

Il tessuto sociale

La principale ed indiscussa protagonista della "memoria" del Vajont è naturalmente la popolazione superstite cioè quella parte di tessuto sociale "risparmiata" dalla furia dell'acqua.
Le popolazioni delle valli sinistrate furono quelle dell'alta valle del Vajont, ove erano ubicati i paesini di Erto e Casso e le loro frazioni e quelle della valle del Piave, ove si trovavano i centri di Longarone e Castellavazzo, con le rispettive frazioni.
Gli abitanti dei territori in questione, all'epoca della tragedia, erano caratterizzati da alcuni aspetti tipici che li rendevano differenti, pur nelle loro similitudini.
Gli abitanti della valle del Piave, infatti, appartenevano al ceppo etnico bellunese, con un dialetto proprio, una tradizione ed uno stile di vita già indirizzato verso gli albori di uno sviluppo industriale primordiale, basato sul lavoro di fabbrica. La popolazione dell'alta valle del Vajont apparteneva al ceppo etnico friulano, geograficamente vicino a Longarone, ma basato su scambi con la Valcellina, una valle friulana con un dialetto proprio, tradizioni differenti ed un "modus vivendi" ancora basato su un'economia caratterizzata da un 'agricoltura di sussistenza e un piccolo artigianato locale.
Nonostante queste distinzioni, la popolazione della zona presentava anche molte caratteristiche accomunanti: ci riferiamo, da un punto di vista generale, ad una zona dell'Italia ancora arretrata rispetto ad altre regioni da un punto di vista dello sviluppo industriale. Unica eccezione è Longarone, piccolo centro di riferimento della zona, già particolarmente attivo all'epoca e considerato come centro di confluenza per le popolazioni delle limitrofe Valle Zoldana e dell'alta Valle del Vajont.
Renato Tormen, superstite longaronese intervistato trent'anni dopo la tragedia, racconta che "C'erano due cinema, i concerti della banda cittadina, le manifestazioni culturali e folkloristiche, il carnevale, le mostre. C'era un fervore che non avevo trovato in altri paesi. Le varie attività commerciali ed industriali recavano già allora un buon reddito e non esisteva quasi disoccupazione. La popolazione era molto unita, collaborava alle varie attività con una disponibilità veramente rara".
Nonostante questo sviluppo particolare di Longarone si trattava ancora di una società prettamente rurale.
Le popolazioni di queste zone avevano vissuto per molti anni in un forte isolamento geografico e politico, ai margini dei grandi movimenti culturali che avevano determinato i cambiamenti e le evoluzioni sociali.
Il più della popolazione era costituito da "montanari" o contadini che sfruttavano la terra con mezzi tradizionali e che non avevano ancora visto il sorgere delle grandi proprietà private, mantenendo così una arcaica proprietà comune dei pascoli e dei boschi delle "loro" montagne. Anche il sistema politico di queste popolazioni era molto arcaico: le divergenze di opinione sugli argomenti più svariati, anche su quelli politici, venivano amichevolmente discussi davanti ad un bicchiere di vino nelle osterie del paese, "tra una sigaretta ed una bestemmia". La società infatti non vedeva una stratificazione tale da suscitare forti contrapposizioni. Anche il nucleo familiare, molto spesso allargato a più generazioni, era marchiato da aspetti che lo rendevano incapace di una forte comunicazione al suo interno (coniugi-figli o fratello-fratello) portando all'insorgere di un meccanismo compensativo che trasferiva ad alcune parti della comunità alcuni ruoli familiari, dando vita così a legami affettivi simili a quelli riservati ai consanguinei.
L'industrializzazione iniziale della valle del Piave non era riuscita ad ottenere uno sviluppo importante poichè non aveva saputo scalzare la tradizionale economia rurale. Si trattava di attività produttive poco remunerative e prive di grandi prospettive per il futuro e dava pertanto ampio spazio alla pratica frequente dell'emigrazione in cerca di una vita più prospera.
La "politica" in quelle zone aveva una importanza "particolare": gli esponenti politici erano costretti ad atteggiarsi secondo i modelli voluti dalla popolazione, dal momento che il credito personale era fondato sul prestigio e sui modelli di vita ed atteggiamenti approvati dal gruppo e rappresentati dal leader. La politica era caratterizzata da un'ottica esclusivamente "locale", indifferente ai problemi amministrativi ed alle problematiche sociali del pensiero politico moderno.
La cultura locale presentava aspetti di arretratezza per via della scarsa istruzione e delle scarse influenze esterne derivate dall'isolamento della zona. Quando pensiamo al popolo della valle del Vajont dobbiamo quindi immaginarcelo inserito in questo ambiente ristretto, tradizionale, fatto di relazioni forti, dove non è facile spostarsi se non per affrontare scelte radicali come l'emigrazione, dove i legami coi familiari e con alcuni membri della comunità sono altrettanto importanti, i ricordi, il lavoro, tutta la vita è strettamente collegata ai ritmi ed alle tradizioni del paese nel quale si nasce e nel più dei casi si pone termine alla propria esistenza. Questo modo di condurre la propria quotidianità, privo di una qualsiasi alternativa immediata e valida, in 4 minuti venne completamente spazzato via. Niente più casa, niente più lavoro, niente più riferimenti geografici, niente più amici e niente più familiari: NIENTE.
Chi sopravvisse all'onda assassina fu catapultato nello smarrimento, nello shock, nella disperazione e senso di vuoto.
Una riflessione su queste privazioni non è di facile comprensione per chi vive nell'epoca attuale, fondata sul cellulare ed Internet, sulle tecnologiche reti di comunicazione che ci permettono di fare chiamate intercontinentali e di contattare in un istante persone che si trovano ai lati opposti del globo. Oggi le distanze si sono talmente ridotte che un viaggio di migliaia di chilometri è diventato questione di poche ore. Il tipo di vita che conduciamo consente di instaurare rapporti di conoscenza a livello internazionale, anche se in modo meno radicato. Le famiglie spesso si trovano sparpagliate in più località lungo l'Italia o il mondo, nel più dei casi per motivi di lavoro.

Per chi vive un'epoca come la nostra immaginare una privazione così totale, psicologicamente devastante e priva di sbocchi, forse è addirittura impossibile.
Questo fu l'impatto con la realtà che ebbero i sopravvissuti del Vajont.

Essi si risvegliarono un giorno tra il lutto dei propri familiari ed amici, privati della propria casa e dei propri oggetti, abitudini, luoghi di riferimento, di tutto il loro passato.
Immediatamente furono spaventati dalla riflessione sul cosa attendersi dal futuro, un futuro che li avrebbe inseriti in un mondo totalmente "diverso" rispetto a quello cui erano stati abituati fino a quel momento.

I mass-media

Nell'analisi dell'evoluzione del caso Vajont e del suo inserimento nel contesto dell'epoca non si può assolutamente tralasciare una definizione di quelle che erano le caratteristiche di un altro importante protagonista, sebbene indiretto, della vicenda: i mass-media.
Nei primi anni '60 il media di più ampio rilievo e diffusione era la carta stampata, nonostante fossero già presenti anche i giornali radio ed i telegiornali. L'epoca di cui parliamo vedeva infatti il mezzo televisivo ancor poco diffuso e situato principalmente nei bar o in quelle poche abitazioni di benestanti che potevano permetterselo. Al contrario, la carta stampata era il mezzo mediatico principalmente raggiungibile dalle masse.
Il giornalismo degli anni '60 era caratterizzato da limiti tecnici sotto più punti di vista. Basti pensare inizialmente alla velocità degli spostamenti dei cronisti, i quali dovevano muoversi nel più dei casi in treno ed impiegare quindi molte ore per raggiungere una destinazione. Lanciare un articolo ad una redazione non era un'operazione altrettanto semplice poichè richiedeva anche l'utilizzo di mezzi di comunicazione quali i telefoni di allora, privi di teleselezione e legati a centraline comuni, tramite i quali dettare i propri articoli. Le tecniche televisive, che non richiedevano l'intervento del telefono, necessitavano però dell'utilizzo di speciali apparecchiature di tipo cinematografico per analizzare e montare le riprese fatte con le telecamere di allora. Anche queste operazioni richiedevano molto tempo, senza considerare il fatto che solitamente le redazioni erano le uniche ad avere a disposizione queste attrezzature.
A tutto ciò va aggiunto che le possibilità di documentarsi non era così semplice per i giornalisti richiamati da un'emergenza: poteva capitare che essi non conoscessero minimamente i luoghi dei quali scrivevano le cronache.
Il tipo di giornalismo degli anni del Vajont era molto particolare.
Esso si muoveva entro un clima politico che pervadeva tutte le sfere della vita del Paese e di riflesso influenzava "inconsapevolmente" anche i media. Si trattava di un giornalismo "non libero", ma principalmente prono al potere, che, nella maggior parte dei casi, stabiliva il taglio da attribuire ad una notizia. Basti pensare che molte delle testate giornalistiche avevano proprietari strettamente legati ai partiti politici, dai quali subivano dunque forti pressioni. La stessa televisione dell'epoca, sebbene meno diffusa e dotata di importanza minore rispetto a quella attuale, vedeva la presenza di due canali Rai rigidamente controllati dal governo.
Non esisteva una libera controinformazione e non si aveva nemmeno una coscienza tale da ritenerla necessaria: i giornalisti erano abituati ad "attaccare l'asino dove voleva il padrone". Anche i più importanti professionisti dell'epoca, sebbene dotati di libere coscienze, erano comunque pervasi da questo "conformismo" che attribuiva al governo ed al suo operato sempre e comunque la garanzia del mantenimento dell'ordine pubblico e per tal motivo non spingeva ad una indagine più approfondita causa assenza di dubbi.
Gli unici spunti di giornalismo anticonformista erano costituiti da quegli organi di stampa dichiaratamente contrari al governo, giudicati per questo motivo sovversivi e privi di reale credibilità. Essi spesso scrivevano male delle azioni del governo, indipendentemente dal fatto che tali azioni fossero realmente negative o meno.
Quello che mancava ai giornalisti di quell'epoca era uno spirito critico, che permettesse loro di analizzare la situazione a partire da eventuali dubbi che la medesima suscitava. Dubbi che quando sorgevano erano messi a tacere da una censura anche interna alle stesse redazioni.
Quando analizziamo il caso Vajont dal punto di vista mediatico (di allora) non possiamo pensare dunque nè alla velocità dell'informazione consentita dall'attuale tecnologia, che ci permette di sentire tramite telefoni satellitari i giornalisti che si trovano dall'altra parte del globo o di vedere in diretta tv un attacco aereo che si sta svolgendo a migliaia di chilometri di distanza da noi.
Non si può nemmeno paragonare i media dell'epoca a quelli attuali da un punto di vista del pluralismo informativo: l'attuale globalizzazione informatica ci permette di scegliere tra più canali tv non solo nazionali, ma attraverso l'utilizzo di antenne paraboliche anche internazionali. La cultura evoluta permette oggi di conoscere più lingue e quindi di potersi avvalere, sia da parte dei giornalisti che da parte degli utenti, di un più ampio termine di paragone per la verifica di informazioni anche tramite il raffronto con testate straniere.
In un clima come quello degli anni '60 tutto ciò non fu possibile e, pertanto, non fu difficile offrire una visione "parziale" e quindi "scorretta" dello svolgimento dei fatti e dei suoi risvolti.

Le Istituzioni

Il contesto storico-istituzionale e le derivate relazioni tra il potere politico e quello economico furono un altro grande protagonista della nascita, formazione ed in seguito anche dell'evoluzione del caso Vajont.
Se analizziamo la nascita della democrazia italiana possiamo notare come questa si realizzò in un contesto costitutivamente debole, caratterizzato dall'antifascismo come suo valore fondante e dall'anticomunismo come conseguente collante. Da ciò trasse origine una contraddizione di base tra costituzione formale antifascista e costituzione materiale anticomunista, che creò così un sistema politico conservatore e centralistico.
Un sistema politico configurato in questo modo decretò la fortuna di un partito di centro come la Democrazia Cristiana e ne sancì la conseguente inamovibilità del primato politico quindi dell'egemonia di governo. Essa si presentò infatti quale unico partito politico garante della stabilità dell'ordine democratico del Paese all'interno di un sistema partitico che rischiava di tendere verso una ricaduta nel fascismo se orientato troppo a destra o nel sovietico comunismo, se orientato troppo a sinistra. Alla luce di questa premessa va analizzata la situazione dell'Italia all'epoca della tragedia del Vajont per capirne le conseguenze immediate e future. Negli anni '60 l'Italia era un paese che da tempo cercava di proiettarsi nel novero delle grandi potenze industriali ed era immerso nel pieno del boom economico. Questo attraversò il massimo sviluppo proprio nel 1963 raggiungendo il top della crescita del PIL.
Il governo liberale, al potere già dalla fine degli anni '40, era molto propenso a favorire le iniziative tendenti a questo sviluppo e progresso in nome della "pubblica utilità". Molto spesso serviva per questa ragione il potere economico attraverso decisioni politiche ad esso favorevoli. Finì col crearsi in questo modo una fitta rete clientelare fatta di scambio di favori: il governo prendeva decisioni favorevoli per il potere economico che, in cambio, manteneva il primo in carica con la sua influenza anche aiutandolo nel "progresso e sviluppo" del Paese.
Un tipo di democrazia "schizoide" come quella italiana non poteva non tener conto anche della situazione politica internazionale.
All'epoca del Vajont si era negli anni della guerra fredda. Le due principali potenze del mondo, U.S.A. e U.R.S.S., rappresentanti dei due differenti modelli politici ed economici dell'epoca, erano in forte tensione tra di loro. L'Italia si era giovata degli aiuti americani derivati dal "Piano Marshall", ma subiva le influenze politiche di entrambe le grandi potenze, sebbene riflesse in differenti schieramenti politici. Questo acuì ulteriormente il divario tra DC filo-americana e PCI filo-sovietico, appesantendo ulteriormente la posizione del minoritario PCI ad una opposizione politica costante e favorendo sempre più la già solida posizione della DC al governo, quindi al potere decisionale.

L'immagine del PCI era quella di oppositore del governo, di fomentatore della rivoluzione, di partito sovversivo, teso al disturbo dell'ordine pubblico per raggiungere il potere a spese della libertà degli individui. Politicamente era poco considerato dalla DC che prendeva le sue decisioni tenendo in scarso conto gli interventi dell'opposizione considerati spesso come inopportuni rallentamenti del buon governo.
L'immagine che si presentava era quella di un sistema politico che vedeva un partito quasi coincidere con lo Stato del quale garantiva l'ordine e la stabilità. Un sistema ove la titolarità del potere e dei soggetti del potere era esercitata in modo autoritario essendo nel nome della lotta contro i "fattori interni" ritenuti portatori di disordine politico e sociale. Questo insieme di elementi che aveva determinato lo strapotere della DC comportava però un rovescio della medaglia che trasparì anche nell'evolversi del caso Vajont.
Un partito politico predominante e sempre al governo, che prendeva tutte le decisioni, non poteva dichiararsi estraneo ad una decisione fallimentare presa, nè permettere che i suoi oppositori si servissero di quell'errore per scalzarlo dall'egemonia decisionale.
Tornando al momento storico riassumiamo dunque la situazione: il PCI era il "nemico interno" da tener sotto controllo. Esso era anche pericolosamente fomentato dalla grande U.R.S.S. all'epoca in tensione con i liberali U.S.A., sinonimo di libertà. Anche questo conduce al mantenimento quanto più possibile di un assoluto spirito di conformismo al potere costituito, considerato "infallibile" e "giusto", e per questo privo della possibilità o di un qualsivoglia motivo di esser indagato od ispezionato.

Cap. 2

Fatta 'a mano' con un Apple Macintosh