La diga del Vajont

Introduzione

Daniela Lombardi

Introdurre «Sguardi sul Mondo» significa per me fare un passo indietro, ripercorrere con la memoria due lunghi anni di lavoro con gli studenti. Nel frattempo, alcuni di loro hanno conseguito il diploma di Laurea, proiettandosi verso un nuovo futuro, altri hanno continuato il loro percorso di formazione, affrontando discipline diverse. Eppure, hanno continuato fianco a fianco a condividere un'esperienza nata tanto tempo prima.

L'idea di lavorare insieme ad un progetto di studio nasce a poco a poco durante le lezioni di Geografia. E' la curiosità il vero motore di questo progetto, ma lo sono altrettanto il mettersi in gioco e il voler provare a "fare" - magari sbagliando, ma imparando da questo sbaglio, come già Rousseau insegnava-, pregustando, ad ogni passo, l'emozione della scoperta.

Per logica conseguenza, questo percorso è stato lasciato il più possibile libero, senza l'imposizione di rigide griglie di lavoro e fornendo solo delle linee-guida generali. Si è infatti ritenuto didatticamente più efficace che gli studenti sperimentassero in prima persona il significato della ricerca, intesa nelle sue diverse fasi, dalla progettazione e individuazione di obiettivi alla scelta degli strumenti metodologici più adatti, ecc. Si è voluto che assumessero la consapevolezza di questo percorso, fornendo loro aiuto nei momenti più problematici, ma sempre con l'obiettivo di renderli pienamente attori di questo processo di apprendimento: attori in grado di comprendere il significato delle informazioni, di valutarne l'obiettività e il livello di interesse per la ricerca, ma anche di scegliere tra la moltitudine di dati a disposizione quelli più consoni a spiegare la realtà di cui avevano scelto di occuparsi; consapevoli, in ogni caso, di aver operato, privilegiando questo o quell'argomento, una scelta tra le tante possibili.

Da qui le diverse scale e modalità di approccio, ora più tradizionali ora più propense ad accogliere input dal sapore innovativo, che ben si osservano sfogliando le pagine di questo volume. D'altra parte, i casi-studio affrontati riguardano realtà assai diverse tra loro, sotto molteplici punti di vista, per cui non era difficile prevedere l'individuazione di più di una modalità di lettura, di più di un registro interpretativo.

Ma la libertà di scelta ha contraddistinto questo lavoro sin dalle sue prime fasi: perché Malmö e non Stoccolma, Buenos Aires e non Mosca, tanto per fare qualche esempio? Non c'è (e lo si vede d'acchito) una selezione a priori, essendo la scelta dei singoli casi-studio il frutto dell'interesse dei singoli studenti: un interesse motivato ora da viaggi compiuti in quelle località (Malmö), ora da legami profondi con quelle terre (Buenos Aires), ora dal fascino esercitato da luoghi mai visti eppure conosciuti, ed amati, attraverso le letture (Barcellona), ora dalla curiosità intellettuale verso città che sembrano essere "nella storia" più di altre, per eventi che le stanno attraversando o le hanno da poco attraversate (Hong Kong); o ancora, dal desiderio di conoscere meglio realtà più vicine, cui li legano frequentazioni assidue (Bergamo) o che hanno modo di visitare quasi ogni giorno (Vajont, Aviano).

Realtà diversissime, dicevamo, a volte estremamente complesse da decifrare e problematiche da restituire - si pensi a Hong Kong o a Buenos Aires. In questi giovani studiosi c'è la consapevolezza di essersi incamminati lungo una strada difficile; più di una volta, durante gli incontri del gruppo di ricerca, hanno manifestato il timore di non riuscire a cogliere l'essenza di queste città, di cadere nell'errore di un'analisi superficiale o comunque incompleta.

E' con umiltà che essi si presentano qui, consapevoli che il loro è un prodotto gioco-forza incompleto, senz'altro migliorabile e arricchibile - come d'altronde quello di ognuno di noi -, eppure comunque fieri di aver raggiunto un primo traguardo.

Sono il gruppo che "ha resistito" in questo lungo periodo, incontrandosi e discutendo, imparando pian piano ad affrontare un lavoro di ricerca, sottraendo tempo ed energie ad altri studi o ai momenti liberi, per vincere una sfida raccolta durante una lezione di Geografia di tanto tempo prima. Una sfida che qualcun altro aveva abbandonato, perché si era sentito incapace di affrontarla in modo adeguato o perché aveva perso interesse verso un'impresa che sarebbe costata fatica.

C'è, in chi scrive, l'amara consapevolezza di non aver saputo motivare quei ragazzi e di non aver fatto abbastanza per fugare i loro dubbi. Al contempo, però, c'è la soddisfazione di vedere, nelle parole e nei risultati del piccolo gruppo che è giunto fin qui, che l'amore per la ricerca e il gusto per la scoperta continuano anche nelle generazioni più giovani.


(In questa pagina, del lavoro viene riprodotto solo il capitolo "Vajont - PN di Michela Del Mistro)

1.1. Dalla tragedia alla fondazione del nuovo comune

Vajont, un piccolo comune di circa 1500 abitanti, si estende su poco più di 1 kmq di territorio della provincia di Pordenone.

Diventato comune autonomo nel 1971, questo paese è sorto da zero per rispondere alla necessità di una nuova sistemazione conseguente alla diaspora degli ertani e dei cassanesi causata dalla tristemente nota tragedia del Vajont, avvenuta il 9 ottobre del 1963.

Tutto iniziò prima del 1957, quando il territorio del comune montano di Erto e Casso venne sconvolto dalla costruzione di quella che doveva essere la diga più alta del mondo (265 metri), innalzata al fine di sbarrare il corso del torrente Vajont per scopi idroelettrici (foto).

La diga del Vajont| 1.1 La diga | Fonte: www.vajont.net l

* = Toc nel dialetto locale significa "marcio" (Merlin, 1983).
L'intera struttura della diga poggiava (e poggia tuttora) sulle pareti del monte Toc*, dalle quali proprio la sera del 9 ottobre 1963, da un'altezza di 700 m., si staccò una frana di circa 270.000.000 di m3. Questa provocò un'onda altissima, che spazzò via alcune delle frazioni di Erto (S.Martino e Spesse), quindi oltrepassò la diga travolgendo e distruggendo il paese di Longarone, che si trovava sotto la diga stessa. Le vittime furono quasi 2.000 (dati www.vajont.net). Gli Ertani e i Cassanesi, immediatamente dopo il disastro, furono ospitati in ricoveri di emergenza sia in Val Cellina che in altre zone. Subito dopo la tragedia si iniziò a pensare alla ricostruzione, ipotizzando, in un primo momento, di spostare sia il sito di Erto che quello di Longarone. Tuttavia si decise di ricostruire Longarone nel medesimo luogo, perché i paesi limitrofi che non erano stati colpiti dalla tragedia avrebbero altrimenti perso un fondamentale punto di riferimento. Per quanto riguarda Erto, invece, si scelse invece di ricostruire il paese in un nuovo sito che fosse, innanzitutto, sicuro (2*) e che potesse anche offrire migliori prospettive di lavoro.
2* = Era forte, infatti, la paura di una nuova frana dal Monte Toc.

L'economia del paese montano, infatti, era piuttosto povera e si reggeva principalmente sull'agricoltura, comunque poco produttiva sia per la scarsa fertilità del terreno sia per i mezzi scarsi e primitivi con cui veniva praticata, e sull'allevamento, altrettanto poco redditizio. Veniva esercitato anche l'ambulantato e le donne ertane si recavano in pianura per vendere recipienti di vimini e oggetti di legno di produzione artigianale. La popolazione di Erto, prima della tragedia, era costituita per lo più da donne e anziani, poiché la maggior parte della popolazione adulta era emigrata nel corso degli anni alla ricerca di lavoro ((AA.VV., 1971).

Fra il 1951 e il 1961 si ebbe un fortissimo calo del numero di abitanti, aggravato dal fatto che indice di natalità e di mortalità erano quasi equivalenti. La situazione di Erto poco prima della tragedia era quindi quella di un paese con crescita zero, isolato, con un'economia arretrata e con l'impossibilità di costruire industrie e di mirare, quindi, ad uno sviluppo futuro.
Comprensibile, dunque, dopo il 9 ottobre del 1963, la decisione di spostare il sito del paese. Tuttavia la popolazione si divise fra coloro i quali erano favorevoli al trasferimento e quelli che, invece, volevano tornare nel proprio paese non appena questo fosse stato dichiarato agibile. Ma a gennaio del 1964 si definì chiaramente la situazione: Erto fu dichiarata ancora non totalmente sicura, per cui furono proposti altri siti per la ricostruzione, collocati o nel pordenonese o nel bellunese. Il mese successivo furono prese in esame alcune zone nei pressi di Maniago, S. Quirino, Fontanafredda, Polcenigo, Codroipo e altre nel bellunese. Si decise quindi di indire un referendum, affõnché fosse la popolazione stessa a decidere quale dovesse essere il luogo dove far sorgere il nuovo paese.
Ad aprile si definirono i tre paesi fra i quali gli ertani avrebbero dovuto scegliere: Maniago, S. Quirino (entrambe nel pordenonese) e Codissago (sulla sponda sinistra del Piave): la popolazione si espresse dando parere favorevole a Maniago (Martinelli, 1976).
Per la costruzione del nuovo sito furono espropriati al comune maniaghese terreni agricoli per circa 1 kmq: in pochi anni, su quello che era esclusivamente un territorio di campagna sarebbe sorto un paese che prima non era mai esistito. Nel febbraio del 1965 fu approvato il piano per quella che avrebbe dovuto chiamarsi "Nuova Erto al Ponte Giulio", paese che, nelle intenzioni, avrebbe costituito una nuova frazione del comune di Erto e Casso.
A quegli ertani che avevano scelto di abbandonare il loro paese e di scendere a valle fu promesso un lavoro nella zona industriale, che sarebbe sorta in territorio maniaghese proprio grazie alla legge speciale sul Vajont. Passarono quasi due anni dall'approvazione del piano alla posa della prima pietra, che avvenne solamente il 28 dicembre del 1966. Due anni dopo, l'insediamento fu "battezzato" Vajont e vi si stabilirono i primi abitanti. Nel frattempo era andato crescendo il preesistente contrasto fra quegli ertani che avevano deciso di trasferirsi in pianura e quelli che, invece, avevano deciso di restare nel paese montano.
Questa opposizione divenne presto insostenibile e portò alla separazione delle due comunità: Vajont divenne così comune autonomo con la legge regionale del 16 giugno 1971 (www.vajont.net).



2.2. La struttura del paese

Vajont fu edificata in pochi anni, in un'area di campagna fino ad allora disabitata. La sua edificazione procedette seguendo gli indirizzi del "Piano urbanistico comprensoriale del Vajont", elaborato dall'arch. Samonà e dai suoi collaboratori. Anche in considerazione del fatto che si trattava di una zona di pianura, quindi priva di ostacoli naturali, i progettisti ritennero che la conformazione ideale per il paese fosse una struttura geometrica. Nelle intenzioni, vi era l'idea di creare " una forma urbana razionalmente definita, una forma che per i molti provenienti dalla montagna apparisse come una figura geometrica perfetta (Samonà, 1965, p. 35). Da qui discende l'aspetto di Vajont, ancor oggi chiaramente visibile, quello di un paese dalla struttura fortemente razionalizzata, molto diversa da quella di un paese che nasce "spontaneamente" e si sviluppa nel tempo in modo graduale (cfr. immagine a lato). Vajont è stata costruita prendendo come riferimento la forma geometrica del quadrato, suddivisibile in quattro parti da due assi principali orientati da nord a sud e da est a ovest. Il paese è attraversato da un grande viale che passa per il centro e che costituisce anche la zona commerciale del paese. A destra e a sinistra di questo viale sono stati realizzati una serie di lotti rettangolari, delimitati da vie ortogonali (si veda, questo proposito, la mappa seguente, 1.3). La costruzione delle case si è basata su due modelli fissi: quello di unifamiliare ad un unico piano e quello di bifamiliare a due piani, entrambe circondate da un piccolo giardino. Questo modulo è stato ripetuto in maniera ossessiva, come si può vedere anche nella foto seguente (1.4). Escludendo le piccole attività commerciali, si può affermare che Vajont è un paese esclusivamente residenziale. Le piccole dimensioni del suo territorio, infatti, non hanno reso possibile lo svilupparsi di attività lavorative in loco, per cui la maggior parte degli abitanti è costretta a gravitare sulle zone limitrofe (principalmente Maniago e Pordenone).

3.3. La "costruzione" di una comunità

Vajont nasce, dunque, grazie ad un'azione pianificata.

Nasce un paese - inteso come un insieme di case, di strade, di edifici di pubblica utilità -, ma bisogna anche "costruire" una comunità. Immediatamente si percepisce come quest'ultima sia un'operazione ben più difficile, per le sue implicazioni sociali e culturali. Gli Ertani e i Cassanesi, divisi da due dialetti diversi, sentono fortemente la propria appartenenza al paese di origine e nei primi anni faticano ad identificarsi in una comunità nuova.

L'essere vajontesi non poteva naturalmente considerarsi un'acquisizione immediata per il solo fatto di condividere uno stesso territorio. Un territorio, peraltro, profondamente diverso, per conformazione geografica e per estensione, da quello d'origine.

Il gruppo che si è stabilito in pianura ha visto mutare profondamente il proprio stile di vita, ha dovuto spesso reinventarsi un'occupazione, tessere nuovi legami, con il territorio e con il tessuto sociale che si andava formando.

Tuttavia, nemmeno la separazione legale del comune di Vajont da quello di Erto è riuscita a determinare una divisione affettiva degli abitanti verso la loro terra di provenienza. Al contrario, essi si sentono ancora fortemente legati alle loro origini e alla loro storia dolorosa. I nomi delle strade dimostrano chiaramente questo attaccamento: questi ultimi sono quasi tutti riconducibili alla toponomastica della valle natia (e questo vale anche per le vie più recenti, a dimostrazione del fatto che il fenomeno non si è arrestato), oppure ricordano la tragedia (ad esempio, la piazza principale è stata nominata "Piazza vittime del Vajont") o, ancora, sono dedicati a coloro che aiutarono la comunità a risollevarsi (come "Piazza Corriere della Sera").

Assai più difficile si è rivelato il processo di fusione socio-culturale tra le persone provenienti dalle due aree. La frequentazione quotidiana sembrava comunque essere in grado di creare, nel tempo, la comunità vajontese.

Si è trattato in realtà di un processo lungo, complicato dal fatto che, nel frattempo, Vajont è diventato terra di insediamento di genti provenienti anche da altre località contermini, come Maniago.

Ancor oggi il senso d'appartenenza sembra comunque abbastanza scarso, almeno per alcuni gruppi: per un'analisi dettagliata sulla comunità vajontese e sulle "diverse anime" che la compongono, si rimanda ai risultati del questionario somministrato da Sheila Corona, per la stesura della sua tesi di laurea (Corona, 2001-02). Ci sembra comunque opportuno rilevare, sulla base di quest'indagine condotta su un totale di 248 individui, come la quota di coloro che non si sentono per niente vajontesi sia piuttosto elevata: essi costituiscono, infatti, il 10% del campione (soprattutto Ertani e Maniaghesi).

A questa posizione estrema va aggiunto un ulteriore 24% di persone che qualificano tale appartenenza con l'aggettivo "poco".
Va comunque rilevato che il 66% degli intervistati si sente "abbastanza" o "molto" parte della comunità vajontese. La costruzione del senso d'appartenenza è, come si è potuto osservare in molte realtà, un processo che necessita di tempi medio-lunghi. Alla luce di quanto è stato possibile verificare, ci sembra di poter sostenere che ciò sia particolarmente vero in casi come questo, in cui comunità lontane per cultura e radici, magari tradizionalmente abituate a sentire l'altra come "rivale", sono state in qualche modo costrette a convivere.



3.4. Gli abitanti di Vajont oggi: una breve analisi demografica

Al 31 dicembre 2003 Vajont conta 1.503 abitanti ed ha una densità molto alta (circa 960 ab/kmq), dovuta al fatto che il territorio occupato è poco esteso (si pensi, infatti, che la densità media della provincia di Pordenone si aggira attorno ai 120 ab/kmq e quella della regione è di 150 ab/kmq). Tale dato e quelli successivi sono quelli ufficiali forniti dalla regione (Fonte: www.regionefvg.com/cittaepaesi/PN).

E' interessante a questo punto fare un breve confronto con i dati anagrafici riguardanti il comune di Erto e Casso, che conta oggi poco più di 400 abitanti che vivono nella Nuova Erto, ricostruita più in alto rispetto al paese originario.

La densità in questo caso risulta molto bassa (appena 8 ab/kmq), per il motivo esattamente opposto a quello che porta Vajont ad una densità molto alta. A Erto, infatti, gli abitanti sono pochi e distribuiti su un territorio relativamente ampio (52,22 kmq). Tuttavia interessanti novità stanno riguardando questo paese: si parla, infatti, di un possibile recupero della vecchia Erto (fatta sgomberare dopo il disastro con un decreto ministeriale mai decaduto) e di uno sviluppo della stessa in chiave turistica: questi fatti potrebbero in qualche misura consentire un qualche incremento demografico.

Vajont resta, comunque, il luogo deputato ad una crescita numerica di abitanti.
Attualmente, il movimento della popolazione mostra una situazione decisamente buona: il saldo del movimento naturale è positivo (+11%), così come quello del movimento migratorio (+26%). Questi dati di crescita demografica risultano ancora più confortanti se si pensa che al censimento del 2001 la popolazione risulta cresciuta di circa 140 unità. L'incremento della popolazione è dovuto soprattutto ad un'immigrazione di persone provenienti dai comuni vicini, le quali trovano in questo paese condizioni più favorevoli per l'attività edilizia. C'è inoltre da rilevare una crescente immigrazione di extracomunitari (in linea, quindi, con le tendenze regionali e nazionali) e anche la presenza di una modesta comunità di militari statunitensi che lavorano presso la non lontana Base Usaf di Aviano.
Comprendendo anche le famiglie di questi ultimi, si possono contare circa 200 Americani, che tuttavia non rientrano ufficialmente nel numero degli abitanti del comune (www.vajont.net).


Ricerca di Michela Del Mistro

3.5. Conclusioni

Il comune di Vajont, l'unico caso in Italia ad essere stato creato ex-novo e dunque costruito in virtù di un piano urbanistico che ne esaltava gli elementi razionali e perpetuava alcune tipologie edilizie, sta subendo un nuovo sviluppo verso la parte settentrionale del paese, che ne sta cambiando il volto.

Stanno sorgendo infatti molte nuove abitazioni, progettate con una configurazione totalmente diversa dallo standard della "casa vajontina". Questo fatto è in parte conseguenza dell'arrivo di popolazione dalle aree contermini e di personale impiegato nella vicina base di Aviano e dei loro familiari.

In ogni caso, esso conferisce al paese un'aria decisamente più "umana" e meno fredda, almeno sotto il profilo estetico. Questo processo, tuttavia, non è senza conseguenze. Si osserva, ad esempio, che non esiste comunque una grande interazione fra una parte dei nuovi abitanti, spesso solo provvisori, e gli autoctoni.

Il comune di Vajont sta perciò diventando sempre più eterogeneo. Questo fatto pone nuovi ostacoli al processo di rafforzamento della sua identità di paese autonomo - senza dimenticare le proprie radici -, portato avanti, con fatica, dalla sua costituzione.

Più a monte, si intravede un nuovo futuro di sviluppo per il comune originario di Erto e Casso. Dopo quarant'anni e dopo la disgregazione di una comunità.



Bibliografia e siti internet consultati:

  • AA.VV., Piano urbanistico comprensoriale del Vajont. Suo comprensorio in provincia di Udine, Udine, 1971
  • Corona S., Vajont: edificazione di un paese o rinascita di una comunità?, tesi di Laurea in Geografia Umana, Facoltà di Lingue, Università di Udine, a.a. 2001-2002
  • Fiumi C., "Il paese che torna a casa (quarant'anni dopo il Vajont)", in "Sette", Corriere della sera, Milano, 9 ottobre 2003
  • Martinelli R., Il mio Vajont, Comune di Vajont, 1976
  • Merlin T., Sulla pelle viva, Milano, Ed. La Pietra, 1983
  • Paolini M. e Vacis G., Il racconto del Vajont, Milano, Garzanti, 1997
  • Samonà G. (a cura di), Piano urbanistico comprensoriale del Vajont. relazione generale dello schema, Udine, 1965
  • Zanfron B., Vajont. 9 ottobre 1963 - Cronaca di una catastrofe, Cortina d'Ampezzo, Zanfron, 1998
  • www.vajont.net/dopo/vajont.html
  • www.ancitel.it/sindaci/index.cfm
  • www.portaleitalia.net/vajont.htm
  • www.demo.istat.it
  • www.regionefvg.com/cittaepaesi/PN/vajont
  • www.valvajont.it
  • www.provincia.pordenone.it/comuni/vajont.htm
  • www.itis-setificio.co.it/allievi/vajont/def-erto.html
  • www.utenti.lycos.it/forum2002/studies.html
  • www.pnl.it
  • Fonte dell'immagine della prima pagina: www.pnl.it (rielaborata)

Fatta 'a mano' con un Apple Macintosh